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Nedda

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Nedda

Si parla di una povera ragazza senza padre, raccoglitrice di olive che cura la madre ammalata e vive di umiliazione e rassegnazione. Quando la madre muore, Nedda, incontra un povero ragazzo giovane e da questo amore nasce una bambina gracile che morirà presto, quando il padre, già ammalato, si rompe la schiena cadendo da un albero. Nedda è già una vinta, come lo saranno i personaggi dei Malavoglia e di Mastro don Gesualdo: la caratteristica, appunto, del verismo del Verga è la partecipazione dell'autore al dolore dei - vinti -. Mentre il Manzoni crede nella provvidenza, il Verga si rassegna in modo eroico al destino. Per quanto riguarda la sua storia poetica, Verga ne parla in -Fantasticheria- (novella che fa parte di: Vita dei campi). All'inizio del Realismo, nella seconda metà dell'ottocento, in Italia si ha la reazione all'idealismo romantico e questa reazione si chiama positivismo in filosofia, realismo in letteratura.

Il realismo è la tendenza, l'aspirazione generale e generica al vero, al reale in modo diverso, parlando spesso della vita come è veramente anche nei suoi aspetti molto nobili che in Francia diede origine a opere come i -Miserabili- di Victor Hugò; sentirono questa tendenza generica al vero gli Scapigliati con il loro amore dell'orrido, del lugubre, degli aspetti più malsani della società reale. Mentre il verismo fu come una scuola in cui, questa tendenza generica al vero, ebbe leggi poetiche e precise. Non esiste una separazione fra le opere scritte prima di Nedda, perchè, per esempio, nelle opere passionali ( Una peccatrice) si parla pure di 'vinti' come in -Storia di una Capinera-, è una giovane monacata per forza, che muore disperata; e quelle scritte dopo, perchè Verga ne parla in Fantasticheria (novelle che fanno parte della raccolta Vita dei campi) in cui bisogna farsi piccini per capire le piccole cause che fanno battere i piccoli cuori e anche quella novella, sempre appartenente a 'Vita dei campi', -L'Amante di Gramigna- in cui dice che l'opera d'arte deve sembrare che si è fatta da e la mano dello scrittore non si deve vedere, il romanzo deve essere come un fatto reale e spontaneo e seguì, però, in pratica l'impersonalità; cioè lo scrittore non deve intromettersi nel racconto e ciò gli servì per frenare la sua passionalità, perchè nei suoi scritti, come dice il Russo, si vede sempre quella commozione affettuosa con cui racconta i fatti dei suoi personaggi. Verga aveva pensato di scrivere cinque romanzi che rappresentano il -Ciclo dei vinti- ma soltanto i primi due furono finiti: I malavoglia in cui c'è la lotta per il pane quotidiano; Mastro Don Gesualdo in cui c'è il benessere e si vuole arrivare alla nobiltà; La Duchessa di Leira, in cui c'è la nobiltà, la vanità aristocratica, L'Onorevole Scipioni in cui c'è l'arrivismo (ambizione politica) ed infine L'uomo di lusso che riunisce tutti questi desideri che lo affaticano e lo fanno soffrire (il poeta).



Infatti il Verga stesso dice che in questo ciclo voleva studiare l'ansia del progresso che affatica l'uomo partendo dalle classi più umili per arrivare a quelle più elevate. Ma tutte queste persone sono dei vinti. Il Verga riuscì a finire solo i primi due romanzi perchè dopo Mastro Don Gesualdo il pubblico si era allontanato da lui anche per le critiche negative per cui Verga ne soffrì e si chiuse ancora di più ma soprattutto perchè, Verga, sentiva di trovare la vera poesia solo parlando della povera gente. Il poeta vuole mettere in pratica le leggi del verismo che riguardano l'oggettività e l'impersonalità nel modo seguente: eliminando qualsiasi autobiografismo, cioè cercando di non mettere nei personaggi le proprie passioni personali (come invece successe nelle Ultime lettere di Jacopo Ortis) non intervenendo con propri giudizi sui fatti e sui personaggi (come invece era successo al Manzoni con la sua ironia) parlando di fatti culturali che possono far vedere la personalità dello scrittore usando un linguaggio lontano dalla tradizione letteraria, una lingua semplice che userebbero gli stessi personaggi nei loro discorsi reali: una lingua, quindi, non dialettale, perchè l'uso del dialetto (non si capirebbe) pieno di sentimento, di psicologia, di modi di pensare dialettali, cioè siciliani: ossia un italiano comprensibile a tutti, un italiano parlato su base toscana, ma rispettando lo spirito e la sintassi del siciliano, quindi un siciliano sollevato in un nuovo e più poetico linguaggio.

Però anche se Verga dice di allontanarsi dalla tradizione letteraria egli ha un grande impegno nel curare la forma, difatti la critica ha parlato di classicità del Verga, cioè di un'espressione pura ed equilibrata. Riguardo alla sua impersonalità, Verga anche se non esprime chiaramente i propri sentimenti, però questi stessi sentimenti sono continuamente presenti in tutto il racconto, quando si sente il dolore per il destino che non cambia e soprattutto la partecipazione affettuosa e la pietà per le sofferenze dei pescatori e dei contadini. Quindi il Verga pur volendo fare un'indagine sociale fece un'opera umanissima di poesia, come dice il Russo; mentre gli altri scrittori fornivano documenti umani e scientifici lui dava uomini e sempre secondo Russo, Verga è scrittore morale non perchè diede giudizi morali ma perchè rese umana la vita degli umili, dei vinti e vide in essi un'anima umana, mentre il verismo vedeva soltanto un'insieme di forze materiali. I temi principali dei romanzi di Verga sono la dura lotta quotidiana per la vita, attaccamento alla casa (I Malavoglia), la passione della 'Roba' (Mastro Don Gesualdo). Infatti i Malavoglia, come dice il Russo, hanno come centro politico 'il focolare domestico', sono il poema della fedeltà alla casa, di una fedeltà quasi religiosa alla vita, alle usanze antiche, ai sentimenti semplici, quando si tradisce questa fedeltà ecco che si ha il dramma.





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