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SALVATORE QUASIMODO - ALLE FRONDE DEI SALICI, UOMO DEL MIO TEMPO

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SALVATORE QUASIMODO

Salvatore Quasimodo, (1901-l968) poeta il cui percorso umano e letterario si è snodato tra la Sicilia e la Lombardia emblema dell'attivismo e della civiltà industriale.

Nato a Modica (Ragusa) nel 1901, lio di un capostazione, trascorre l'infanzia e l'adolescenza in vari paesi dell'isola a causa degli spostamenti del padre.

Dopo aver conseguito il diploma di geometra, ottiene un impiego nel Genio Civile e intanto coltiva gli studi letterari e classici.

Durante un soggiorno fiorentino, il cognato Elio Vittorini lo presenta al gruppo di letterati che collaborano alla rivista 'Solaria', sulla quale vengono pubblicate le sue prime poesie.

Si avvicina ai poeti ermetici e ne condivide le caratteristiche letterarie.

Risentono fortemente dell'Ermetismo (corrente letteraria che si afferma in Italia dall'inizio degli anni trenta alla fine degli anni quaranta) le sue prime raccolte di versi, Acque e terre, Oboe sommerso, Erato e Apollion, Nuove poesie che successivamente verranno ripubblicate in un unico volume intitolato: 'ED E' SUBITO SERA'.



Nel secondo dopoguerra Quasimodo si segnala per un attivo impegno politico e imprime una svolta anche alla sua poesia che diventa strumento di testimonianza civile e di polemica sociale assumendo toni più discorsivi.

Risalgono a questo periodo le raccolte Giorno dopo giorno, La vita non è sogno, Il falso e vero verde, La terra impareggiabile, Dare e avere.

Nel 1959 gli viene conferito il premio nobel per la letteratura.

Muore improvvisamente a Napoli nel 1968


ALLE FRONDE DEI SALICI (S. Quasimodo)


E come potevamo noi cantare

con il piede straniero sopra al cuore,

tra i morti abbandonati nelle piazze

sull'erba dura di ghiaccio, al lamento

d'agnello dei fanciulli, all'urlo nero

della madre che andava incontro al lio

crocifisso sul palo del telegrafo?

Alle fronde dei salici, per voto,

anche le nostre cetre erano appese,

oscillavano lievi al triste vento


Parafrasi

Come potevamo noi poeti comporre versi

sentendo pesante sul cuore il piede del nemico che calpestava il suolo italico,

con i morti abbandonati nelle piazze e nei prati dove l'erba è irta dal ghiaccio

dove costante era il lamento innocente dei fanciulli e

quello della madre che, disperata (urlo nero), correva come impazzita verso il lio crocifisso su un palo del telegrafo?

Anche le nostre cetre, simbolo della poesia, erano appese inerti ai rami dei salici, per un voto di silenzio, nell'ora più triste della nostra storia

e oscillavano lente sotto il flusso del vento della distruzione.


La poesia è tratta da Giorno dopo giorno, la raccolta che segna una svolta rispetto alle precedenti produzioni. Lo scrittore infatti appare qui orientato verso una poesia impegnata civilmente; ha sostituito all'esperienza individuale l'esperienza collettiva tesa a cogliere l'essenza delle cose, in un linguaggio più aperto e colloquiale.

Davanti all'orrore dell'occupazione nazista il poeta preferisce tacere e appendere la cetra alle fronde dei salici come fecero gli ebrei durante la cattività babilonese. Come gli ebrei non possono intonare il loro canto a Dio durante l'esilio, così la poesia non può che tacere di fronte alla violenza della guerra. La poesia ha quindi una sola possibilità: quella di trasformarsi in una denuncia che permetta di riflettere con fermezza e decisione sull'assurdità di tutte le guerre.

Tutta la lirica è impostata sulle analogie ' dura di ghiaccio, urlo nero, lamento d'agnello' che creano una crescente tensione drammatica e giustificano lo scoraggiamento dei poeti a levare le loro voci di canto in quel clima di impotente smarrimento.












UOMO DEL MIO TEMPO


Sei ancora quello della pietra e della fionda,

uomo del mio tempo. Eri nella carlinga,

con le ali maligne, le meridiane di morte,

-t'ho visto- dentro il carro di fuoco, alle forche,

alle ruote di tortura. T'ho visto: eri tu,

con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio,

senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora,

come sempre , come uccisero i padri, come uccisero

gli animali che ti videro per la prima volta.

E questo sangue odora come nel giorno

quando il fratello disse all'altro fratello:

-Andiamo ai campi- E quell'eco fredda, tenace,

è giunta fino a te, dentro la tua giornata.

Dimenticate, o li, le nuvole di sangue

salite dalla terra, dimenticate i padri:

le loro tombe affondano nella cenere,

gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore.


parafrasi


Sei ancora quello dell'età della pietra , quando l'unico strumento di guerra era il sasso lanciato dalla fionda;

Eri nella cabina di pilotaggio e, gli strumenti di misurazione del cruscotto, volti a segnare il momento della strage, il momento in cui l'esplosivo doveva essere sganciato.

ti ho visto dentro il carro armato, intento a rizzare le tue forche come nei secoli oscuri della tortura medioevale.

Ti ho visto, eri tu , con la tua scienza studiata così superba di se stessa, eppure piegata, persuasa a farsi strumento di morte, senza considerare l'amore e la parola di Cristo.

Hai ucciso ancora ,come uccisero i padri, simile in tutto agli animali dei primi tempi.

E questo sangue ha lo stesso odore come in quel giorno, quando Caino disse al fratello Abele 'Usciamo fuori' e l'eco di quelle parole è giunta fino a te, dentro la tua giornata.

li, dimenticate le nuvole di sangue salite verso il cielo, dimenticate i padri: già le loro tombe su cui passa un vento tempestoso e su cui volano sinistri gli uccelli di sciagura (i bombardieri) affondano nella cenere dei loro stessi incendi.



Una lirica di denuncia, in quel tono colloquiale, discorsivo eppure alto, vibrante che è del secondo Quasimodo.

In questa poesia Quasimodo compie un excursus nella storia umana citando i mezzi di distruzione e di morte che l'uomo ha inventato e si rivolge ai suoi lettori affinché acquisiscano una coscienza etica e civile, e per rendere più efficace il suo messaggio ricorre a una precisa scelta stilistica. L'uomo di oggi è violento e selvaggio come l'uomo dell'età della pietra che usava la fionda; secoli di storia non hanno cambiato niente: oggi nella cabina di un bombardiere e con le sue ali porta strumenti di distruzione e di morte, con la sua scienza si è offerto per uccidere, senza rispetto per il messaggio di Cristo. L'uomo ha ucciso sempre e il sangue che sparge ora è lo stesso del fratricidio di Caino contro Abele quando gli disse: 'andiamo ai campi'.

L'eco di quell'invito di Caino è giunto fino ad oggi con la continua violenza di cui l'uomo si rende responsabile verso i suoi simili. Negli ultimi quattro versi il poeta si rivolge ai li di questi uomini crudeli per esortarli a scrollarsi di dosso la pesante eredità dei padri: dimenticate il sangue versato dai padri, dimenticate i padri; anche le loro tombe ormai sono coperte dalle ceneri delle loro stesse distruzioni e circondate solo da uccelli neri e vento.





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