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SIGMUND FREUD E LA PSICANALISI (1856-1939)

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SIGMUND FREUD E LA PSICANALISI (1856-l939)



I) Malgrado tutte le critiche e le condanne di cui è stato oggetto, Freud continua ad esercitare un'influenza determinante sui modelli di comportamento odierni e sulla cultura contemporanea in generale (come dimostra l'ampia diffusione delle sue opere). Diverse sono le discipline che hanno subìto questo influsso: oltre alla psicologia e alla psicopatologia, che esprimono in massimo grado il loro debito nei confronti di Freud, l'influsso dello psicanalista di Vienna è fortemente operante anche nelle ricerche di carattere sociologico (Marcuse, Fromm), nella pedagogia (che alla luce del pensiero freudiano ha riconsiderato il problema del fanciullo e dei suoi rapporti con la famiglia e la società) e nell'antropologia. Va ricordato inoltre l'approccio psicanalitico ai fenomeni artistico-letterari, alla storia e alla mitologia.


II) Freud è stato a lungo diffidente nei confronti della filosofia, ma ha finito per riconoscere più volte le implicazioni teoriche delle sue indagini e delle sue scoperte. Partito come terapeuta di malattie mentali, già nelle sue prime opere (Interpretazione dei sogni, Psicopatologia della vita quotidiana) egli appare consapevole del fatto che il suo discorso investe l'uomo in quanto tale e non solo come 'essere malato'. Più tardi i vari cicli di lezioni e alcuni suoi saggi, evidenzieranno maggiormente la portata filosofica delle sue ricerche; ma saranno gli scritti della tarda maturità e della vecchiaia che affronteranno in modo formale e diretto tutta una serie di problemi di ordine antropologico, morale e sociologico. Opere come Totem e tabù, Il disagio della civiltà e la Metapsicologia, appartengono interamente ad un ambito filosofico.




III) Oltre agli scritti propriamente filosofici, anche in quelli psicanalitici troviamo valenze filosofiche, proprio perché F. si occupa della natura dell'uomo, dei piani in cui l'uomo è diviso e delle forze che operano in lui, dei bisogni e dei desideri profondi dell'essere umano. Per questo egli mette in discussione il concetto di libero arbitrio, modifica i concetti di ragione e di coscienza, delinea una concezione estremamente complessa dei rapporti fra individuo e società, e propone, in ultima analisi, un'interpretazione nuova della religione, della morale, della storia e della società.


IV) Tutto questo ha fatto sì che oggi non vi siano più dubbi circa l'influsso di F. sulla cultura, tanto che ormai non si discute più sull'effettivo valore di questo influsso, ma si discute sui fondamenti teorici della psicanalisi, la validità dei suoi strumenti e delle sue procedure, il senso delle sue tesi sull'uomo e la società e i suoi rapporti con le altre scienze.



ITER BIOGRAFICO E INTELLETTUALE



V) F. nasce a Freiberg (in Cecoslovacchia) nel 1856 da famiglia ebraica e trascorre l'infanzia e la giovinezza a Vienna. Qui si iscrive alla facoltà di Medicina, dove si laurea nel 1881 in fisiologia, specializzandosi subito dopo in neurologia (1885). Entrato in rapporto con Josef Breuer (suo amico più fidato per oltre un decennio), F. comincia a discutere con questo studioso di malattie nervose il problema dei disturbi mentali e della loro terapia. Molto importante, nella formazione del giovane F., fu un soggiorno a Parigi che gli permise di frequentare le lezioni del grande psichiatra Charcot, il quale insegnava a trattare le malattie nervose non tanto su un piano fisiologico, ma da un punto di vista psicologico. F. condusse anche diversi studi sull'ipnosi, che risulteranno molto importanti in quanto egli constata che in stato di ipnosi anche i pazienti affetti dai più gravi disturbi nervosi si placano, raccontano fatti mai esposti in condizioni normali e sembrano registrare un miglioramento.


VI) Aperto uno studio per malattie nervose dove applica regolarmente la terapia ipnotica, F. riceve le critiche da parte della medicina ufficiale del tempo, ispirata a principi positivistici e convinta della natura non psicologica, ma puramente organico-materiale dei disturbi mentali. Freud si accorge ben presto dell'autonomia e della peculiarità delle sue ricerche, legate più ai fenomeni psichici che a quelli organici. Si accorge inoltre ben presto che i disturbi di alcuni suoi pazienti appaiono sintomi di disturbi più profondi, legati non a vicende organiche ma alla storia passata del paziente stesso. Fu Breuer ad elaborare una terapia consistente nell'enucleare i vari aspetti della malattia e nel risalire alle loro cause remote, in una specie di viaggio a ritroso nel tempo, ma fu indotto da diverse ragioni a non generalizzare quella spiegazione oltre il caso specifico in cui si era rivelata valida (Il caso di Anna O., una donna affetta da isteria e guarita dopo la consapevolizzazione delle radici delle sue fobie). F. invece non esiterà ad elaborare, sulla base di questa vicenda terapeutica, una vera e propria teoria della malattia mentale e del modo di curarla, la cui prima elementare formulazione appare in Studi sull'isteria del 1895. La malattia mentale è la conseguenza di un conflitto troppo violento tra le varie forze (o pulsioni) che risiedono nell'essere umano: un conflitto che determina fenomeni assai gravi, come la rimozione, che possono far cadere il soggetto in uno stato di nevrosi. La terapia consiste nell'aiutare il malato a portare a livello cosciente quegli episodi e quei conflitti che, a livello profondo, hanno generato uno stato nevrotico. Proprio svolgendo questa indagine F. scopre che gli individui affetti da determinati disturbi nevrotici incontrano gravi difficoltà a raccontare le vicende che più direttamente hanno provocato il disturbo nevrotico; manifestano cioè delle resistenze, ovvero una sorta di incapacità, malgrado la buona volontà a livello cosciente del soggetto in cura, di individuare e svelare a se stesso e al medico la causa primaria della propria nevrosi.


VII) La terapia ipnotica sembrava rappresentare una soluzione di questo problema, ma F. scopre che essa rappresenta anche un pericolo, sia perché instaura un rapporto di dipendenza fra il paziente e il suo medico, sia perché la guarigione che fornisce è illusoria, in quanto cessato l'effetto dell'ipnosi cessa anche quella. In definitiva l'ipnosi era solo un palliativo. Per questo F. la abbandona e ritiene che la vera guarigione debba consistere in un atto conoscitivo compiuto dallo stesso paziente, in stato di consapevolezza, della ragione del proprio disturbo. In stato di coscienza il paziente inizierà a raccontare, e quando si incepperà l'analista capirà che si tratta di un elemento importante (e aiuterà il paziente a superarlo).


VIII) Le ardite generalizzazioni operate da F. e la crescente insistenza con cui egli poneva al centro della vita dell'individuo, sia sano che malato, la sessualità, determinarono la dolorosa interruzione dell'amicizia con Breuer e le critiche di gran parte del mondo accademico. Nonostante questo F. approfondisce il campo delle sue ricerche. Nel 1899 pubblica l'opera che è considerata dai più come il suo capolavoro: L'Interpretazione dei sogni. Alla base di questa indagine vi è la tesi secondo cui anche il sogno costituisce un sintomo (mediatamente): non si tratta cioè solo di una funzione organica o di un accozzo casuale di immagini, ma di un'attività connessa con la vita profonda dell'individuo. Parzialmente libero dalle proprie censure e dai propri condizionamenti, l'individuo dormiente esprime nel sogno i propri bisogni, desideri, e il loro apamento. Ma li esprime in vesti improprie, per cui a prima vista non sono così facilmente riconoscibili: occorre allora passare dal contenuto manifesto al contenuto latente, in modo tale da svelare la vita profonda dell'individuo. La scienza del tempo accolse abbastanza freddamente l'opera sui sogni, in quanto vi vedeva un allontanamento dai suoi principi.


IX) La psicopatologia della vita quotidiana, pubblicata nel 1901, fece conoscere il pensiero di F. ad una più ampia cerchia di lettori, a causa dell'interesse per le tematiche legate alla vita quotidiana di ogni individuo. In questa ricerca F. sostiene che anche i piccoli gesti, i lapsus, le azioni più banali, non sono mai realmente casuali e prive di senso, ma rivelano i bisogni e i desideri profondi dell'individuo.


X) Nel 1905 F. pubblica Tre saggi sulla sessualità, opera che susciterà vivo scalpore a causa delle teorie dello psicanalista su un argomento così delicato. F. contesta la tradizionale contrapposizione fra sessualità buona e sessualità cattiva e sostiene che, accanto all'attrazione fra i due sessi vi sono anche altre forme di attrazione che non vanno occultate, ma esaminate. Egli contesta la riduzione della sessualità alla funzione riproduttiva, mostrando che essa esprime pulsioni verso il piacere che sono complesse e variamente graduate. Sempre all'interno di questo testo egli critica uno dei principi della psicologia tradizionale, quello secondo cui la sessualità sarebbe una prerogativa dei soli individui adulti: Freud dimostra che anche i bambini possiedono, sin dalla più tenera età, una loro vita sessuale, dapprima intensamente connessa con altre funzioni vitali e poi autonoma. Per fare questo occorre guardare alla sessualità non solo come unione carnale, ma come ricerca del piacere fisico. F. suddivide l'attività sessuale del bambino in tre stadi, a seconda dell'organo che viene consacrato a tale attività, e precisamente fase orale, anale e genitale. Proprio mentre entra in questa terza fase, il bambino entra in competizione col padre, nel senso che è geloso della madre che egli vorrebbe possedere senza doverla dividere con altri (complesso di Edipo).


XI) Nonostante le riprovazioni dell'ambiente medico ufficiale del suo tempo, già agli inizi del novecento F. può raccogliere attorno a sé i primi discepoli, tra cui Adler, Rank e Stekel. Presto nacque addirittura un'associazione, che prese il nome di Società Psicoanalitica di Vienna. Molto importante per lo sviluppo del movimento psicoanalitico fu l'amicizia tra F. e Jung, il quale in quegli anni stava compiendo ricerche molto simili a quelle freudiane; per alcuni anni essi lavorarono insieme, sino a quando, nel 1913, l'amicizia fu interrotta clamorosamente perché Jung, come altri psicanalisti prima di lui, si rifiutava di attribuire alla sessualità quel ruolo centrale nella spiegazione dei fenomeni che vi attribuiva F.


XII) Nonostante questo, nei primi due decenni del Novecento, il movimento andava diffondendosi: nel 1908 a Salisburgo fu tenuto il primo Congresso internazionale di psicoanalisi e venne, in quell'occasione, fondata anche una rivista specialistica nel settore, alla quale collaborarono gli studiosi che già abbiamo incontrato, oltre ad altri tra cui Ferenczi, Abraham e Jones (il futuro biografo di F.). Nel 1910 si tenne a Norimberga il secondo Congresso, che sanzionò la nascita della Società Psicoanalitica Internazionale, di cui Jung fu nominato presidente, mentre al gruppo di Vienna andò il controllo della rivista.


XIII) La vita del movimento fu molto turbolenta, caratterizzata da continui abbandoni e dissensi dalle posizioni di F., il quale continuò comunque a lavorare assiduamente e producendo molti risultati. Oltre a rivedere continuamente alcune sue posizioni, egli cerca ora di delineare i principi di una nuova psicologia sistematica e alle possibili applicazioni delle procedure psicoanalitiche ad altri campi delle scienze umane e storico-sociologiche, senza dimenticare l'arte e la letteratura, dove  cercherà di dimostrare in quale modo la psicoanalisi può aiutare a comprendere sia l'artista che l'opera d'arte (Scritti sull'arte, la letteratura e il linguaggio). Escono così in questi anni opere come Al di là del principio del piacere (1920), L'Io e l'Es (1923), Casi clinici (1924) e Introduzione alla psicoanalisi (contenente testi di lezioni tenute fra il 1915 e il 1917, integrate poi nel 1932). Opere di psicologia sistematica sono Metapsicologia (1915), Considerazioni attuali sulla guerra e sulla morte (saggio di carattere psico-sociologico, che esce nel 1915), Psicologia delle masse e analisi dell'Io (1921), Avvenire di un'illusione (1927), il celebre Disagio della civiltà (1929). Quindi opere di carattere storico-psicoanalitico, come Totem e tabù (1913) e Mosè e il monoteismo (1938). L'attività di F. fu enorme, se consideriamo che nel 1923 fu colpito da un cancro alla mascella che gli procurò sofferenze infinite e numerose dolorose operazioni. Muore il 23 settembre del 1939.



Analisi sistematica del pensiero



XIV) Rifacendosi ad una concezione tardo-positivistica, F. delinea una concezione dinamico-energetica dell'essere umano. Egli parla più volte di una energia psichica che ogni individuo avrebbe in una determinata quantità; questa energia alimenta un fenomeno che nella psicologia freudiana ha la massima importanza: il fenomeno pulsionale. In senso generale la pulsione esprime le spinte dell'organismo verso determinate mete: essa, a differenza dello stimolo, trae origine da fonti di stimolazione interne al corpo, agisce con una forza costante e la persona non vi si può sottrarre, come invece può fare con lo stimolo.


XV) Nella pulsione possiamo distinguere fonte, oggetto e meta. La fonte è uno stato di eccitamento nel corpo, la meta è l'eliminazione di tale eccitamento; lungo il percorso dalla fonte alla meta, la pulsione diviene psichicamente attiva.


XVI) F. distingue fra pulsioni dell'Io e pulsioni sessuali: mentre le prime tendono all'impegno nella realtà, le seconde tendono al piacere ed entrano in contraddizione con quelle dell'Io. In un secondo tempo F. aggiunge le pulsioni di Morte ed Eros, e sviluppa la tesi secondo cui nell'uomo esisterebbe, accanto a una tendenza alla conservazione e allo sviluppo della vita e dell'eros, anche una tendenza all'autodistruzione, al dissolvimento di se stessi. F. chiama le pulsioni sessuali anche con il nome di pulsioni libidiche: inizialmente egli intendeva per libido la somma delle energie vitali, poi ha ristretto il riferimento del termine alle sole sessuali, in polemica per questo con Jung. Egli descrive la libido come una forza cieca e irrazionale, violenta e incoercibile come la fame; nonostante promuova l'incontro tra i sessi, essa è intimamente asociale, perché induce l'individuo a ricercare il proprio piacere personale e ad investire cariche energetiche in obiettivi edonistici. La libido sospinge l'essere umano verso il piacere, a scapito del lavoro nella realtà, per cui la sua vita sarà attraversata dal conflitto tra il principio di piacere e il principio di realtà.


XVII) Dall'analisi delle pulsioni, F. perverrà ad elaborare la sua più matura concezione della personalità umana; era arrivato col bipartire la personalità umana in dimensione conscia e dimensione inconscia. Dirà poi che questi due processi tendono a trasformarsi l'uno nell'altro. In un secondo tempo, egli pone fra conscio e inconscio il preconscio (un inconscio latente che diventa facilmente conscio). Ma dopo una lunga riflessione egli comprende che le forze che sono alla base della vita profonda non sono quelle da lui indicate in un primo momento nel conscio, inconscio e preconscio, ma l'Es, il Super-io e l'Io.


XVIII) Es è un termine tedesco che indica il pronome neutro della terza persona singolare; con esso F. intende designare la parte oscura, inaccessibile della nostra personalità, che è una sorgente organica di energie pulsionali non organizzate, che fluiscono in una dimensione  atemporale, operando al di fuori delle consuete categorie logiche e da qualsiasi nozione di valore o di bene, di male o di moralità. Questa dottrina dell'Es assume un'importanza fondamentale nel F. maturo, in cui l'essere umano appare fondato su questa base energetica, che non rispetta né le categorie kantiane né tanto meno le leggi morali, e agisce secondo direttive appartenenti a tutt'altro ordine di motivazioni e di finalità. Non sono estranee a questa concezione gli echi di una certa filosofia di Schopenhauer e di Nietzsche.


XIX) L'Es è inconscio, ma tende ad affiorare a livello cosciente; anche il Super-io è largamente inconscio, pur potendo elevarsi a coscienza: ecco in che senso appare superata la precedente rigida suddivisione in conscio e inconscio (cui F. aggiunse il preconscio). In F. il Super-io rappresenta quella che può essere definita la coscienza morale: è una sorta di censore che giudica gli atti e i desideri istintivi dell'uomo (facendogli provare piacere o rimorso, e guidandolo nelle decisioni). Questa coscienza si distacca però da quella dei moralisti antichi e moderni, in quanto non è innata nell'uomo e non sempre svolge un'azione benefica. Il Super-io nasce nel bambino, inizialmente libero da qualsiasi principio morale, per effetto del potere condizionante dei genitori; a un certo punto della sua evoluzione il bambino interiorizza, sotto forma appunto di Super-io, l'autorità familiare. Ma mentre nell'autorità dei genitori vi era anche un elemento affettivo, nel Super-io rimane solo l'elemento proibitivo e punitivo, per cui spesso diventa fonte di infelicità.


XX) Nato dall'influsso dei genitori, il Super-io può poi essere sviluppato da quelle persone che si sono sostituite ai genitori (ure ideali, insegnanti). Con tutte queste persone è avvenuto il processo di identificazione, attraverso il quale l'Io del soggetto viene in parte scisso da se stesso, assimilato all'Io di un altro individuo ed eretto a censore della nostra vita. Il Super-io svolge una funzione positiva quando obbliga l'Io a non ascoltare solo la voce delle pulsioni ma a dare ascolto anche alla realtà, ma è anche il veicolo che trasmette miti e pregiudizi di ogni sorta. E' questa una dottrina che ha importanti conseguenze etiche e filosofiche, in quanto riproblematizza il concetto di coscienza morale, nonché pedagogiche, in quanto getta nuova luce sull'evoluzione del bambino e sui suoi rapporti con i genitori. Sul piano sociologico cambia invece il rapporto dell'uomo con i suoi miti, e quello dei governanti con i governati in certi regimi (per F. la massa è un insieme di singoli che hanno inserito nel loro Super-io la medesima persona, identificandosi fra loro nel proprio Io in base a questo elemento comune). Queste concezioni della massa appaiono nella Psicologia delle masse, scritta nel 1921: dieci anni più tardi, l'avvento del nazismo pare confermare queste teorie.


XXI) Dopo Es e Super-io, si tratta di vedere che cos'è l'Io per F. Egli lo definisce come quella parte dell'Es che è stata modificata dalla vicinanza del mondo esterno, definizione che non delinea in modo molto chiaro la portata dell'Io. L'Io è condizionato dalle proprie pulsioni libidiche, dal complesso dei principi e valori morali recepiti dall'interno (Super-io) e dalla realtà esterna. L'io è quindi minacciato dl mondo esterno, dal Super-io e dall'Es, e reagisce alle loro esigenze spesso inconciliabili sviluppando angoscia. La funzione dell'Io è una funzione amministrativa, che F. chiama economica, proprio perché si occupa di amministrare l'influsso dei tre elementi che abbiamo visto essere predominanti. In questa concezione si può vedere anche un riflesso della situazione precaria dell'uomo nel mondo moderno.


XXII) L'obiettivo di F., che si manifesta nella celebre affermazione 'Dov'era l'Es, deve diventare Io', è quello di portare l'uomo alla consapevolezza delle forze che lo condizionano; da questa consapevolezza doveva scaturire automaticamente la liberazione psicoanalitica, ma la realtà ha mostrato che la psicoanalisi, se è riuscita nel compito di consapevolizzare, non è sempre riuscita in quello di creare qualcosa di nuovo e alternativo al modello culturale dominante.


XXIII) Proprio perché spesso l'individuo non riesce a costruire quegli equilibri interni di cui ha bisogno, cade vittima di qualche malattia mentale. F., contrariamente a quanto si crede, non ha mai pensato di poter intervenire in qualche caso di disturbo mentale: egli si è occupato solo di alcuni casi di nevrosi. Per F. la nevrosi è un rapporto inadeguato fra le fondamentali componenti della vita psichica dell'individuo; in modo particolare è affetto da nevrosi l'individuo nel quale determinate forze impediscono alla libido di scaricarsi in modo soddisfacente. In genere la nevrosi nasce quando il conflitto fra pulsioni sessuali (libidiche) e altre funzioni supera un certo livello. I modi in cui questa pressione libidica può essere bloccata, sono chiaramente determinati da F., mentre le cause sono infinite, e l'analista le deve cercare per poter aiutare il soggetto a superare la nevrosi. La situazione più frequente è quella, come già abbiamo visto, in cui la pulsione libidica non riesce a scaricarsi in modo soddisfacente: questo può accadere per effetto di un intervento del Super-io, che in nome di qualche principio morale considera illecito quel piacere, e ne proibisce quindi il raggiungimento da parte della libido; allora l'Io, per placare un conflitto interiore divenuto troppo doloroso, cerca di eliminare la causa di questo conflitto. Constatando l'impossibilità di rimuovere il veto espresso dal Super-io, esso opererà sulla propria pulsione libidica, rimuovendola. La rimozione è infatti una funzione dell'Io mediante la quale l'individuo allontana dal proprio orizzonte cosciente la causa del conflitto. La procedura appare semplice, anche se dolorosa, ma non sempre sortisce l'effetto desiderato: una volta rimossa infatti, la pulsione libidica mantiene la sua energia psichica, solo che questa passa dal piano conscio a quello inconscio, da dove continua sotto altre forme più o meno intense a manifestare la propria presenza. La testimonianza dell'operazione di rimozione compiuta dall'Io e dalla presenza dell'impulso rimosso, è fornita dal sintomo. 


XXIV) L'itinerario psicanalitico che abbiamo delineato, giunge alla sua fase finale quando esplica un'azione terapeutica. Abbiamo già visto che l'obiettivo di F. è quello di far procedere l'inconscio sino alla coscienza; ora si tratta di vedere in quali modi l'analista conduce il paziente a questo processo di consapevolizzazione. Il processo terapeutico tende a disvelare nel paziente quei conflitti che in un'epoca più o meno remota hanno indotto un'azione nevrotica: in uno stato di rilassatezza psico-fisica, il paziente è invitato a raccontare i propri sogni, le proprie fantasie e le vicende più intime. A forza di raccontare il paziente raggiunge episodi lontani ,nascosti nelle pieghe della memoria, sino a giungere alla scoperta dell'episodio che è alla base della nevrosi. Rivivrà così quell'episodio che ha indotto l'Io a negare alla libido un certo suo soddisfacimento, rimuovendo un determinato impulso libidico e spingendolo così a determinare la propria azione sotto forma di sintomi, i quali disturbano in modo più o meno grave la vita normale dell'Io. Il paziente guarirebbe se il conflitto fra il suo Io e la sua libido avesse fine e il suo Io disponesse della facoltà di disporre della sua libido. siccome la libido del nevrotico si trova legata ai sintomi, si tratta di aggredire questi sintomi, individuarne la genesi e dissolvere quest'ultima dissolvendo in questo modo anche i sintomi medesimi, riportando così l'energia libidica ad un corretto rapporto con l'Io. Per raggiungere questo risultato l'analista si serve di tutti i mezzi disponibili (sogni, lapsus, fantasie, desideri): tutto può servire per arrivare alla fonte del conflitto del nevrotico. Grazie alla collaborazione del paziente, l'analista riuscirà a portare alla luce della coscienza quell'episodio che, messo a nudo e ridimensionato dal paziente, perderà la sua carica disturbatrice. Si tratta naturalmente di un lavoro lungo e faticoso, che richiede comunque molta collaborazione da parte del paziente.


XXV) Non sempre però la terapia raggiunge i risultati sperati: a volte le resistenze che il paziente oppone, nonostante la volontà di guarire, impediscono di scoprire la causa della nevrosi (questo accade in modo particolare per certi tipi di nevrosi particolarmente gravi). Per far fronte a questa situazione F. ha elaborato la dottrina, molto discussa, del transfert (o traslazione). F. parte dalla considerazione che alla forza esercitata dal conflitto nevrotico non si può reagire con le sole parole; per combattere la forza sprigionata dalla resistenza, occorre reagire con una forza uguale e contraria. Ad un processo conoscitivo occorre sostituire un processo pratico-affettivo. Occorre insomma utilizzare contro la forza della resistenza operante nell'individuo nevrotico un'altra forza (pratico-affettiva) agente anch'essa in tale individuo.


XXVI) F. ha compreso che era possibile applicare una forza di questo tipo, grazie alla sua esperienza professionale: egli si è accorto che con grande frequenza i propri pazienti si legavano affettivamente a lui, sia donne che uomini. La spiegazione di questo fenomeno, secondo F., risiede nel fatto che gli individui nevrotici sono tutti carenti, per un motivo o per l'altro, a livello affettivo, e quindi trasferiscono il loro desiderio insoddisfatto nell'analista. Non si tratta necessariamente di un desiderio erotico-sessuale, perché la libido è un'energia multiforme e complessa che si può manifestare anche sotto l'aspetto di amore filiale o di altro affetto di natura analoga. Quello che è più importante comunque, è il fatto che il paziente, una volta 'innamoratosi' dell'analista, è attivissimo nelle sedute terapeutiche. La traslazione della propria energia libidica nella persona dell'analista induce l'individuo nevrotico a sforzarsi in ogni modo di compiacere il desiderio conoscitivo dell'analista medesimo.


XXVII) In certi momenti F. ha guardato al transfert come al momento decisivo della terapia psicoanalitica, al punto di affermare che certe malattie nevrotiche non sono curabili perché non è possibile il transfert. Nel narcisismo, ad esempio, il malato ha investito tutta la propria libido nel suo Io; l'impossibilità di farlo uscire da questo circuito affettivo rende impraticabile la terapia psicoanalitica, basata sul rapporto affettivo paziente-medico.


XXVIII) Al tempo stesso il transfert può divenire anche un grosso pericolo, in quanto l'innamoramento del paziente può portare a tacere certi episodi per paura di una riprovazione dell'analista; il transfert, come ogni innamoramento, potrebbe suscitare anche sentimenti di odio, ostili alla prosecuzione della pratica psicoanalitica; potrebbe inoltre determinare una situazione di dipendenza del paziente nei confronti del proprio medico, la quale ostacola quel consolidamento dell'Io e della sua autonomia che è l'obiettivo primario della terapia psicoanalitica.


XXIX) F. ha sempre respinto ogni rigida contrapposizione fra sanità e disturbo mentale ed ha affermato che tutti gli individui hanno uguali possibilità di cadere in situazioni nevrotiche e che nessun essere umano è tanto sano da non aver compiuto almeno qualche rimozione e da non essere vittima di almeno qualche conflitto tra le proprie forze pulsionali. La nevrosi viene vista dal pensatore viennese non come un'anormalità, ma anzi come la prerogativa dell'uomo rispetto agli animali, perché solo nell'uomo si può riscontrare quel processo di sdoppiamento delle proprie energie profonde per il quale alcune si incarnano in pulsioni sessuali ed altre in pulsioni connesse alla conservazione dell'Io, divergendo a tal punto da creare costantemente conflitti interiori più o meno gravi.


XXX) F. ritiene inoltre che non tutte le nevrosi debbano essere eliminate, perché a volte l'individuo instaura con la sua nevrosi un equilibrio che potrebbe essere interrotto dalla terapia e potrebbe quindi portare all'insorgere di fenomeni nevrotici più gravi. ½ sono quindi dei casi in cui si ritiene che lo sfociare di un conflitto nella nevrosi rappresenti la soluzione più innocua e socialmente più tollerabile. La fuga del nevrotico in alcuni casi è l'unica risposta in grado di impedire il crollo dell'individuo di fronte alle difficoltà della vita.



Le ricerche storico-religiose



XXXI) Nell'ultima parte della sua vita, F. si dedicò a ricerche di carattere storico, antropologico e sociale, che lo portarono ad applicare i suoi principi psicoanalitici alla cultura in genere. F. precisa che in questi lavori ha dato corso alla libera speculazione, per cui i risultati non sono da collocare sullo stesso piano della dottrina psicoanalitica generale; resta comunque a questi lavori il merito di aver indicato tutta una serie di problemi ai quali la psicoanalisi potrebbe dare una soluzione.


XXXII) In 'Totem e tabù' F., che da tempo era impegnato in un'intensa ricerca sull'origine anche storica del sentimento di colpa accertabile nell'uomo associato non meno che nell'individuo singolo, propone un'ipotesi in parte mutuata da Darwin. All'alba della storia dell'umanità gli uomini vivevano in orde capeggiate da un maschio padrone di molte donne e padre di innumerevoli li. Gli altri uomini erano costretti a cercarsi delle comne fuori della tribù, e le donne di questa erano destinate ad accoppiarsi solo col capo dell'orda. A un certo punto i giovani maschi hanno deciso di ribellarsi a questa situazione uccidendo il capo-padre. Tale gesto ha liberalizzato la situazione sessuale (e anche politica) in seno all'orda, ma ha indotto negli autori del parricidio un fortissimo senso di colpa e un conseguente desiderio di espiazione.


XXXIII) Questa ricerca di F. si ricollega ai suoi studi sul complesso di Edipo e in genere sulla centralità, entro la vita psicologica dell'individuo, dei suoi rapporti col padre; si connette inoltre alla riflessione freudiana sulla religione, sviluppata in modo sistematico nell'Avvenire di un'illusione. In quest'ultima opera F. (che qui si rivela legato ad un certo tipo di cultura materialistico-positivistica diffusa in Germania verso la fine dell'Ottocento) spiega la religione in chiave esclusivamente antropologico-psicologica, o meglio antropologico-psicoanalitica. A suo avviso infatti, la religione si fonda solo sui bisogni e sulle angosce dell'uomo; a livello sociale poi la religione serve a mantenere un determinato sistema di leggi e di norme. Secondo F. l'umanità moderna dovrebbe liberarsi da quel complesso di illusioni che sono le credenze religiose. F. però non nota ancora nell'uomo un cambiamento in questa direzione e ritiene quindi che l'uomo non abbia attinto ancora il necessario livello di maturità e di saggezza (anche se resta convinto che il progredire del sapere avrebbe spazzato via ogni forma di religione).


XXXIV) Nel saggio su Mosè e il monoteismo F. riprende alcuni temi di 'Totem e tabù', ma aggiunge una riflessione sull'ebraismo e sull'antisemitismo resa drammaticamente attuale dalle grandi persecuzioni antisemite perpetrate dal nazismo. A parte la tesi che Mosè fosse un egiziano, la prima parte del lavoro sostiene che gli Ebrei hanno ucciso in Mosè il loro padre, seguendo in questo lo schema delineato in 'Totem e tabù'. Per questo essi hanno poi provato un forte sentimento di colpa e hanno sempre oscillato nel trascorrere del tempo fra l'odio e l'obbedienza nei confronti di Mosè. Nell'accusare gli Ebrei di aver ucciso Dio (il padre) molti popoli hanno in qualche modo ripreso la teoria freudiana, convalidandola. L'antisemitismo secondo F. si fonda comunque su basi ben più complesse di queste. In particolare si basa sull'ostilità verso una popolazione molto antica e dimostratasi capace di mantenere una notevole compattezza etnica e culturale, mai distrutta dalle moltissime persecuzioni di cui è stata fatta oggetto. Si fonda inoltre su un inconscio sentimento di invidia nei confronti di un popolo ritenuto il favorito del Signore. Si fonda infine su una serie di fattori inconsci, quali l'orrore per la circoncisione (evocante l'idea della castrazione), che possono essere spiegati con strumenti psicoanalitici.


XXXV) Un discorso a parte merita il Disagio della civiltà: questo saggio del 1929, che in più punti è abbastanza generico e legato più ad alcune considerazioni occasionali e soggettive che non ad un'analisi sistematica e approfondita, si presenta come una delle opere più interessanti di F., punto di riferimento per molte analisi psico-sociali contemporanee.


XXXVI) In quest'opera F. si propone di analizzare la genesi e le funzioni della civiltà dal punto di vista dell'individuo e della sua felicità; analizza le cause dell'infelicità umana e i modi per porvi rimedio. Sempre in base ai principi di felicità ed infelicità dell'individuo F. passa poi ad analizzare l'essenza stessa della civiltà, per rivelare elementi tradizionali ma anche fattori che pongono grossi interrogativi. E' il caso dei principi/valori di bellezza, pulizia ed ordine (tipici della civiltà occidentale), che negano certi istinti umani e certe esigenze. Per F. caratteristica fondamentale della civiltà è la sostituzione del potere della comunità a quello del singolo, per cui essa si identificherebbe in tutta una serie di limitazioni della libertà dell'individuo. Nell'imporre un potere esterno alla persona dell'individuo, nel limitarne la libertà individuale, la civiltà provoca dei danni gravissimi all'individuo medesimo, in quanto obbliga l'uomo a inibire un numero considerevole di desideri e di pulsioni, a rinunciare al soddisfacimento di molte esigenze profonde del suo essere, ovvero a deviarle in atti che non soddisfano pienamente l'individuo.


XXXVII) La vita libidica dell'individuo risulta quindi chiaramente danneggiata, e F. spiega questo fatto dicendo che la società non può rinunciare all'energia dei suoi membri e deve quindi obbligare ognuno di essi ad investire, attraverso opportune sublimazioni, l'energia libidica in prestazioni di tipo sociale. Di conseguenza diminuirà l'energia di cui il singolo può disporre per soddisfare le proprie esigenze di un piacere personale. Ma la società non si accontenta di questo e cerca con vari mezzi (tra cui il processo di identificazione) di spersonalizzare i propri membri, eliminando la ricerca individuale della felicità e diventando per costoro il modello in cui riflettersi, o ancor più il polo cui aggregarsi con vincoli libidici. Bisogna osservare che i regimi totalitari che si andavano insediando in quegli anni sembravano confermare queste tesi: i dittatori riuscivano, attraverso diversi meccanismi di persuasione, ad incarnare agli occhi delle masse la ura del padre, suscitando così in essi istinti di attrazione libidica e di identificazione. Anche senza arrivare al caso estremo dei regimi totalitari, F. nota che ogni civiltà, in quanto tale, tende a reprimere la vita libidica del singolo e la ricerca individuale della libertà e del piacere, attraverso l'imposizione di valori, principi e norme di comportamento lontani dalle esigenze profonde dell'essere umano.


XXXVIII) Questo non significa che F. condanni la società senza appello; egli appare anzi comprensivo nei confronti delle situazioni che hanno portato le varie civiltà ad elaborare queste forme di repressione, in quanto per lui l'uomo è un essere malvagio, di cui una delle pulsioni più profonde è l'aggressività. Se all'uomo fosse permesso di dare libera espressione ai suoi istinti qualsiasi vincolo intersoggettivo verrebbe spezzato (come per Hobbes, anche per F. l'uomo è un lupo per l'altro uomo). Si pone quindi la necessità di reprimere questi istinti distruttivi.


XXXIX) La civiltà si adopera con molto impegno nel reprimere questi istinti dell'uomo, in particolare attraverso l'instaurazione del Super-io e del sentimento di colpa. Attraverso l'opera educativa poi la società prosegue nell'individuo l'opera paterna (consolida il Super-io familiare e vi aggiunge un nuovo Super-io di carattere sociale).


NUOVA SINTESI


I.     Freud prese le mosse dallo studio della medicina neurologica, pensando d'impegnarsi nella ricerca o nell'insegnamento, non nella pratica medica. Ma le difficoltà finanziarie lo costrinsero a prestare servizio presso l'Ospedale Generale di Vienna. L'amicizia col dr. Josef Breuer lo indusse a studiare il fenomeno dell'isteria (caso di Anna O.). La paziente era una ragazza di notevole cultura. La sua malattia era iniziata mentre si dedicava alla cura del padre, gravemente malato, ch'essa adorava. Breuer scoprì che sottoponendola a ipnosi, la paziente rivelava le frustrazioni che in stato di coscienza teneva represse. Il metodo terapeutico la guarì, e Freud, convincendosi dell'esistenza di malattie psichiche prive di una causa organica determinata, decide di adottarlo. In Francia ottiene conferma dal medico Charcot sui grandi effetti che può produrre l'ipnotismo e la suggestione. A Vienna però la sue comunicazioni vengono male accolte.

II.       Nel 1895 Freud e Breuer pubblicano Studi sull'isteria. Il trattamento di Anna O., ragazza isterica, rivelò a entrambi che i sintomi scompaiono quando se ne scopre il senso. Era nata la psicanalisi. Prima di Freud, l'isteria veniva considerata la malattia della simulazione. Freud dirà che l'isteria è legata all'attaccamento troppo violento della bambina al padre. L'amore, che si scontra col divieto dell'incesto, viene rimosso nell'inconscio. Non potendo amare il padre, l'isterica non può amare nessuno, poiché tutti gli uomini le richiamano la ura del padre.

III.      Breuer però si stacca da Freud proprio sul problema della eziologia sessuale delle nevrosi. Breuer sosteneva che gli stati patogeni non possono essere risolti perché hanno radici fisiologiche. Freud invece cominciò a collegare lo stato patologico del nevrotico a una nuova teoria della sessualità: la nevrosi veniva considerata come perturbazione della funzione sessuale (critica dell'ipocrisia legata alla sessualità).

IV.   Nel contempo s'accorge che l'ipnosi risolve sì certi sintomi, ma i pazienti tornano da lui con sintomi differenti. Inoltre alcuni pazienti nevrotici non si lasciano ipnotizzare. Freud tende a prediligere la tecnica delle libere associazioni. Il paziente, sdraiato sopra un divano, viene incoraggiato a parlare liberamente, esprimendo senza riserve qualunque idea che gli venga in mente (anche imbarazzante o futile). L'obiettivo è quello di far affiorare a livello conscio tutti i ricordi-pensieri-immagini rimossi. Freud scopre che molti di questi ricordi hanno un contenuto sessuale, e che molte esperienze infantili sono solo delle fantasie a sfondo sessuale. Per Freud diventa necessario affrontare, prima del contenuto inconscio, la resistenza che si oppone a far conoscere al malato il suo inconscio.

V.      Nel 1897, per meglio comprendere i suoi pazienti, Freud decide di fare l'autoanalisi. Egli s'interroga sull'origine dei sentimenti che l'avevano agitato da bambino: scopre di aver avuto una forte aggressività verso suo padre. Collega questo fatto con la tragedia di Sofocle, Edipo re, in cui Edipo non può sfuggire al tragico destino di uccidere il padre e di sposare la propria madre. Freud afferma che, all'inizio, il primo oggetto d'amore d'ogni bambino è la madre. Pur amando anche il padre, arriva a desiderarne la morte, per eliminarlo come rivale. Tuttavia, il bambino, temendo d'essere punito con la castrazione dal padre, rinuncia alla madre come primo oggetto di desiderio. In tal modo al complesso di Edipo viene collegata l'origine degli 'imperativi morali', cioè l'origine della moralità nello sviluppo della società e l'origine del sentimento di dovere di ogni individuo. Il sentimento di colpevolezza per aver nutrito il desiderio di eliminare il padre avvia il processo di identificazione con lo stesso padre, il cui effetto principale è l'accettazione dei suoi precetti morali (il complesso di Edipo porterà alla formulazione del concetto di Super-io).

Nella bambina il complesso di castrazione non segna la fine del complesso di Edipo ma il suo inizio. Quando scopre la differenza dei sessi, ne prova un profondo rancore e ne incolpa la madre. L'odio verso la madre la spinge verso il padre. Il desiderio di avere un pene si trasforma in desiderio di avere un lio dal padre. Quando rinuncia a questo desiderio accede alla sessualità adulta.

Se il bambino non rinuncia mai alla madre come primo oggetto di desiderio, può diventare omosessuale o fissarsi alla nevrosi ossessiva. La fissazione della bambina può portare all'isteria o frigidità.

VI.   Nel corso della propria autoanalisi, Freud si serve anche dell'Interpretazione dei sogni. A suo parere, il sogno deve essere compreso come la realizzazione simbolica di desideri rimossi nell'inconscio. Nel sogno infatti i motivi inconsci diventano manifesti, perché i controlli della censura morale diminuiscono. Il sogno è fondamentalmente costituito da una scena infantile modificata mediante il trasferimento su un'esperienza recente. La censura è quell'istanza psichica che ostacola i motivi proibiti, che non possono essere soddisfatti: quando questi motivi entrano nel sogno, sono già stati modificati (poi Freud dirà che la censura dipende dal Super-io).

Per poter interpretare il sogno bisogna distinguere fra contenuto latente e manifesto. Il contenuto manifesto è lo scenario del sogno, come lo racconta chi l'ha fatto, con le sue contraddizioni e lacune. Il contenuto latente è invece il desiderio stesso che è riuscito ad esprimersi simbolicamente nelle immagini del sogno. Solo l'analista è in grado di capire questo secondo contenuto.

VII.       Oltre che nei sogni, Freud ha colto indizi di nevrosi (dinamismi inconsci) anche nei piccoli incidenti della vita quotidiana: lapsus (errori nel dire una parola per un'altra, storpiature delle parole), dimenticanze (provocate dal disgusto legato all'esperienza dimenticata). Si tratta di idee inconsce che cercano di farsi strada verso l'espressione cosciente, modificando il pensiero-la parola-l'azione. È il materiale psichico imperfettamente represso che riemerge perché non è stato privato della capacità di manifestarsi.

VIII.     Netta è la rottura (1911-l3) di Freud con Jung e Adler, che erano suoi seguaci. Jung rifiuta di riconoscere la sessualità infantile e il complesso edipico, ritenendo che i complessi dipendono dagli archetipi che si conservano nell'inconscio collettivo (Dio, p.es., è un archetipo che le generazioni si tramandano). Istinti e archetipi si equivalgono. Per liberarsi degli archetipi l'uomo deve integrarli: di qui la tendenza di Jung al misticismo e persino all'occultismo.

Adler nega qualunque valore alla sessualità e all'inconscio, attribuendo la formazione delle nevrosi all'aspirazione che gli uomini hanno per il potere (pulsione di aggressione), ovvero al desiderio di compensare il senso di inferiorità costituzionale con manifestazioni aggressive. Per liberarsi delle nevrosi occorre accettarsi nei propri limiti o dimensioni.

IX.     Intanto la psicanalisi di Freud diventa una teoria sistematica della personalità (1900-l920). In un primo momento Freud distinse le strutture della personalità in due campi: conscio e inconscio, attribuendo a quest'ultimo un ruolo molto più importante ai fini della comprensione delle nevrosi. In seguito egli afferma che le forze alla base della vita psichica sono tre: ES (parte oscura, inconscia della nostra personalità, ove nascono le pulsioni: essa agisce in base al principio di piacere), SUPER-IO (che rappresenta la coscienza morale, frutto del rapporto con gli altri: può anche svolgere una funzione negativa o repressiva), IO (che cerca di mediare fra le pulsioni inconsce e le esigenze della realtà sociale e della coscienza morale).

X.       L'impulso prevalentemente rimosso dal Super-io è, secondo Freud, quello sessuale. Le fasi dello sviluppo psico-sessuale sono caratterizzate dalle zone del corpo da cui procede la soddisfazione sessuale (zone erogene). Le fasi sono 5:

a)   orale (la prima attività sessuale è connessa al piacere di succhiare il latte al seno materno per nutrirsi: fino al 1o anno);

b)   anale (la defecazione può esprimere soddisfazione nei confronti del mondo, come 'dono da offrire'; la ritenzione invece esprime ostilità-sfida: fino al 3o anno);

c)   fallica (qui si sviluppa il complesso di Edipo, in quanto il bambino manifesta un forte attaccamento verso il genitore di sesso opposto: fino al 4o anno);

d)   periodo di latenza (mentre si attenua la sessualità il bambino fa proprie tutte le norme imposte dai genitori, le quali possono procurare frustrazione-inibizione da adulti: di qui la formazione del Super-io. Questo fino al 12o anno);

e)   genitale (risa dell'istinto sessuale, ma ora in presenza di norme morali; l'interesse si sposta verso extra-familiari: è la pubertà).

XI.     A partire dal 1920 Freud oppone alle pulsioni di vita (Eros) le pulsioni di morte (Thanatos), attribuendo all'uomo capacità innate di distruzione (sadismo) e autodistruzione (masochismo). L'ES non solo è sottoposto ai pregiudizi del Super-io, ma contiene anche in sé il principio del 'nirvana' (che riduce ogni bisogno e porta alla morte).



Considerazioni critiche



F., nel Disagio della civiltà propone una problematica estremamente importante e ancora oggi attuale. Egli è consapevole delle esigenze connesse con la convivenza intersoggettiva, e non ha condannato la società e la civiltà come tali: egli ha denunciato con fermezza le implicazioni di una pratica sociale eccessivamente repressiva. Ha riproposto la tematica cara a Rousseau dell'antinomia fra bontà dell'individuo ed esigenze dell'ordine e del progresso sociale. Ha demistificato valori e principi morali ritenuti ovvii e universali, mostrando in qual misura essi possono turbare l'equilibrio psichico profondo dell'individuo.


Certo F. non ha tratto tutte le conseguenze che erano implicite nella sua analisi, limitandosi a postulare lo studio della patologia delle comunità civili e mostrandosi non poco pessimista sulla possibilità della civiltà degli uomini di riuscire ancora a dominare i turbamenti della vita collettiva provocati dalla loro pulsione aggressiva ed autodistruttrice. Tuttavia questo saggio ha avuto il merito di spingere ad una riflessione sull'atteggiamento della società nei confronti dell'individuo. F. ha così insegnato all'uomo non solo come può conoscere meglio la propria vita conscia e inconscia, ma anche come può riproporsi i grandi problemi della civiltà e della vita associata in rapporto al proprio essere ed alla propria esigenza pulsionale di piacere e di felicità.


Il grande successo di F., in un pubblico che non è formato certamente solo da specialisti, può essere spiegato dai molteplici campi della cultura che egli ha sottoposto alla sua analisi, oltre che dallo stile chiaro e comprensibile anche ad un pubblico di non addetti ai lavori. Il pensiero freudiano è ancora oggi oggetto di consensi e di critiche; diversi autori si sono occupati di lui, elaborando spesso anche interpretazioni molto originali. In questa circostanza mi vorrei limitare a ricordare l'interpretazione che di F. ha dato il filosofo francese Paul Ricoeur, interpretazione che a sua volta è stata criticata da più parti. Ricoeur cerca di recuperare il pensiero freudiano all'interno di un discorso ontologico e cristiano sull'uomo: questo è particolarmente interessante se pensiamo alle conclusioni cui approda F. in materia di religione. La psicoanalisi freudiana, per Ricoeur, può diventare un utile strumento per recuperare un rapporto con Dio più maturo, purché venga impiegato secondo nuovi criteri. E' facile immaginare quindi come una simile tesi possa aver suscitato tante critiche.



Libertà sessuale e inconscio 'borghese'


L'inconscio scoperto da Freud non è che il vaso di Pandora in cui sono contenuti gli istinti più bassi della società capitalistica, istinti non naturali ma artificiali, creati appunto dall'alienazione tipica della vita borghese: quegli istinti che il moralismo borghese impedisce di emergere con sicurezza o prepotenza solo perché teme il giudizio della moralità pre- e/o anti-borghese, e quindi di far perdere al soggetto economico un potere acquisito. In futuro, se il moralismo pre-borghese verrà ridotto ai minimi termini, o se non sarà sostituito con qualcos'altro, quegli istinti s'imporranno con la massima facilità, anche da parte di quelle classi o ceti che dal punto di vista produttivo non godono gli stessi privilegi della borghesia. Sarà una lotta furibonda in cui vincerà inevitabilmente il più forte. Ecco perché il mondo occidentale ha bisogno, in modo assoluto, di un'alternativa.

Il problema non può essere risolto dicendo che il moralismo pre-borghese del Super-ioè non meno ipocrita di quello borghese dell'Io e che gli istinti dell'Es sono 'naturali', ovvero dicendo che se la coscienza è pre-borghese e l'esperienza borghese, bisogna adeguare la coscienza all'esperienza. Non solo infatti è ipocrita quel moralismo pre-borghese di tipo religioso, lo è pure quella coscienza borghese che lo conserva senza crederci, che lo strumentalizza per un fine di potere; gli stessi istinti dell'Es non sono 'naturali' ma frutto di una determinata civiltà, quella basata unicamente sul profitto individuale, sull'interesse privato, sull'antagonismo. Quindi l'ipocrisia va interpretata mettendola in rapporto alla società da cui dipende, altrimenti la critica servirà soltanto a rafforzare gli istinti peggiori, indebolendo le ultime difese della coscienza.

Freud, in altre parole, non ha soltanto svelato il dualismo della coscienza borghese, che in pubblico crede (o finge di credere) in certi valori pre-borghesi, mentre in privato vorrebbe esprimersi in ben altri modi (Freud direbbe: 'in modo soprattutto sessuale', poiché la maggior ipocrisia borghese si verifica -secondo lui- nell'ambito della sessualità). Egli ha pure contribuito ad accelerare il declino di questa civiltà, non perché -come il marxismo- ha saputo proporre una qualche alternativa, ma perché ha portato alle conseguenze più negative lo sviluppo della mentalità borghese.

Diceva bene, in questo senso, la Kate Millet, nella sua famosa Politica del sesso: 'Sebbene l'opera di Freud sia generalmente accettata come prototipo dell'impulso liberale verso la libertà sessuale e come contributo cospicuo alla revisione delle tradizionali inibizioni puritane sulla sessualità, le sue conseguenze, quelle dell'opera dei seguaci di lui, e ancor più dei suoi divulgatori, consistettero nel razionalizzare il rapporto iniquo tra i sessi, nel ratificare i ruoli tradizionali e nel convalidare le differenze di temperamento'.

In effetti, sostenere che la censura degli istinti più bassi (ad es. l'incesto o il desiderio di uccidere il padre rivale) è possibile solo se si apre la strada all'esperienza di altri istinti (ad es. una maggiore libertà sessuale nei rapporti interpersonali), significa non solo distruggere il moralismo pre-borghese ma anche illudersi che l'alienazione borghese (frutto di determinati rapporti economici) possa trovare una qualche soluzione. Freud ha creduto che se il soggetto avesse preso coscienza dell'origine 'naturale' degli istinti più bassi, e avesse capito che la censura di altri istinti 'naturali' è del tutto immotivata, si sarebbe convinto più facilmente della necessità della rimozione degli istinti peggiori, quelli cioè che la società umana, da tempi immemorabili, rifiuta di accettare: quelli che sono insiti nel soggetto e che lo rendono, per questa ragione, un 'mostro'.

Il complesso di Edipo fa parte degli istinti più 'bassi', quelli che il soggetto non vorrebbe mai ammettere -dice Freud. Il soggetto se ne può liberare dando sfogo alla propria sessualità con un partner diverso dal proprio genitore. Il rifiuto consapevole di quel 'tabù' fa addirittura nascere la coscienza morale e quindi la possibilità di vivere la sessualità entro limiti accettabili. In tal modo Freud, pur credendo di avere a che fare con la sessualità dell'uomo in generale, stava descrivendo in realtà quella di un individuo particolare: il borghese alienato, profondamente frustrato nella sua vita sociale e privata. Di più: invece di considerare i vizi, i difetti, le debolezze di tale individuo come propri di lui solo, ha voluto estenderli a tutta la collettività, arrivando così se non a giustificarli, per lo meno a scusarli. Gli istinti più bassi insomma sono per Freud 'naturali'; siccome però essi impedirebbero l'esperienza della socialità, perché profondamente egoistici, è bene che l'individuo li sublimi: o attraverso una diversa esperienza della sessualità (vedi l'istituzione della famiglia), oppure attraverso l'attività artistico-intellettuale.

Come si può notare la coscienza morale resta subordinata alle esigenze della sessualità: la sua stessa origine è collegata alla rimozione di un desiderio sessuale antisociale, cioè la possibilità di una convivenza civile dipende da uno sforzo moralistico che l'individuo compie nei confronti di se stesso. All'origine della società moderna vi è un individuo completamente lacerato, diviso, incredibilmente egoista. Freud si è illuso di poter costruire una nuova civiltà su queste basi così fragili. Non a caso alla fine della sua vita è stato costretto ad ammettere il fallimento della sua teoria: solo che lo ha fatto peggiorando la situazione. Egli infatti ha affermato che nell'uomo vi sono certe 'pulsioni di morte' (distruttive e autodistruttive), che fanno parte appunto della 'natura' umana e nei confronti delle quali non c'è liberazione sessuale che tenga. Egli cioè si era reso conto che una maggiore liberazione sessuale o anche la sublimazione delle pulsioni di per sé non possono garantire la rimozione degli istinti più bassi, né l'affermazione di una coscienza morale più coerente e meno ipocrita.

In realtà, se vogliamo curare la coscienza malata della società borghese, non abbiamo bisogno, in primo luogo, di 'liberare' gli istinti, ma piuttosto di costruire una nuova mentalità, una nuova esperienza di vita. All'interno della mentalità borghese la mera liberazione delle pulsioni (sulla natura delle quali Freud non fa mai una riflessione critica) non può che comportare un peggioramento della nevrosi, poiché la percezione dello scarto tra la coscienza 'liberata' e la realtà 'alienata' diventa ancora più grande. Che senso ha infatti poter essere sessualmente più liberi in una società che continua a sfruttare economicamente? Che senso ha legittimare certi istinti quando proprio essi sono un indice della nostra alienazione? In effetti, o la libertà sessuale (al pari di tante altre libertà: artistica, culturale, religiosa, politica, sindacale, ecc.) viene usata come stimolo per conseguire l'obiettivo di una libertà più globale, più generale, valida per tutti, oppure la libertà sessuale non sarà che un'altra forma di illusione per le classi marginali, e una forma di dominio o di arbitrio per le classi egemoni, le quali si serviranno della sessualità per sfogare i loro bassi istinti, fino alle depravazioni più totali, distogliendo altresì le masse, con la stessa 'droga', dall'impegnarsi per la transizione. La psicanalisi, da questo punto di vista, non fa che giustificare il sistema borghese, illudendo i soggetti che sia possibile sopportarlo meglio con una maggiore libertà sessuale. La psicanalisi è stata utile quando ha messo in crisi la volontà del sistema borghese di utilizzare i sensi di colpa della tradizione religiosa, connessi alla sfera della sessualità, per reprimere la coscienza delle masse, ma oggi la sua funzione è ridotta al minimo.

Ora, quali proposte si possono fare perché la psicanalisi evolva verso l'alternativa alla società borghese? Anzitutto bisogna ribadire la necessità di raccordare la liberazione delle pulsioni di vita con la liberazione dai meccanismi di sfruttamento socio-economici della sistema borghese; in secondo luogo, bisogna elaborare una diversa concezione del 'piacere' o della 'libido': non solo nel senso che la 'libido' non può coincidere strettamente con la sessualità (anche l'odierna psicanalisi l'ammette), ma anche nel senso che nessun piacere individuale ha il diritto di sentirsi pienamente soddisfatto finché al mondo esisterà anche una sola persona il cui piacere non potrà essere oggettivamente soddisfatto. Superare la mentalità borghese significa anche questo: avere a cuore i destini dell'intera umanità, lottare perché si affermi il piacere di tutto il genere umano. L'uomo avverte il bisogna di adeguare la realtà a un piacere universale, vero, di realizzazione personale e generale, che non riguarda solo determinati individui e che la realtà, così com'è, non è in grado di soddisfare.



I limiti della psicanalisi


La grande illusione della psicanalisi è stata quella di credere che i sintomi nevrotici scompaiono quando se ne scopre il senso, quando cioè il paziente ne accetta consapevolmente la spiegazione sulla loro origine. Sotto tale aspetto, la psicanalisi freudiana va considerata come una filosofia idealistica, poiché affida al pensiero un ruolo catartico decisivo. In verità oggi, più che mettere il nevrotico colle spalle al muro, di fronte alle sue responsabilità, la psicanalisi si limita a rassicurarlo dicendogli che il suo è un 'male comune'. Anche perché le psicosi affermano ciò che la psicanalisi ha sempre negato: il rimosso resta rimosso, anche se il soggetto ha coscienza di sé e dell'origine del suo male.

Non a caso Freud è arrivato persino ad affermare, nel Disagio della civiltà (1931), che la cultura diventa sempre più incapace di frenare le grandi pulsioni aggressive della società moderna. Egli però continuava a parlare di pulsioni istintive, connaturate all'uomo, e non di condizionamenti sociali. In tal modo non faceva altro che giustificare il declino della civiltà borghese.

Della sua psicanalisi si può soltanto accettare l'idea che la rimozione non cancella definitivamente certe esperienze, ma le trasferisce nell'inconscio, in quanto nulla che l'uomo abbia vissuto può andare definitivamente perduto. Non è tuttavia l'inconscio (l'ES) ad avere pulsioni irrazionali che l'IO deve controllare: il primato spetta sempre alla coscienza; non esistono istinti di morte e di distruzione strutturali all'essere umano, poiché, se così fosse, la coscienza sarebbe destinata a soccombere. Dobbiamo invece pensare che sarà proprio l'inconscio a sire col progresso della verità storica. E' la forza stessa delle psicosi, la loro assoluta gravità che, indirettamente, ci lascia capire quanto sia precario il destino dell'inconscio. Gli uomini, infatti, possono relegare nei labirinti dell'inconscio tutto quello che vogliono, ma non per un periodo illimitato. Individualmente possono farlo sino alla morte, ma non come genere umano. La rimozione è destinata irreversibilmente a esplodere come una pentola a pressione con la valvola otturata.

Ciò che è stato rimosso deve essere risolto, con decisione e obiettività. L'uomo deve accettarsi coi limiti che lo caratterizzano, allo scopo di migliorarsi progressivamente. E' la prassi concreta del rapporto sociale umano che può far superare ogni antagonismo lacerante.

In fondo è una posizione di comodo quella di chi sostiene che, siccome non è possibile vivere una piena liberazione umana nella società borghese, bisogna affermare (o salvaguardare) i desideri istintivi, le pulsioni egoistiche: quelle che fino a ieri la società borghese reprimeva per contenere il dissenso e che oggi promuove per la stessa ragione. Non è forse vero che la società borghese ha ereditato la lezione freudiana facendo della rivoluzione sessuale una cavallo di battaglia per autoriprodursi?

La posizione dunque è di comodo perché si rinuncia a lottare per i cambiamenti oggettivi della struttura economica (al massimo si lotta contro l'ipocrisia di certa morale religiosa); ma è anche una posizione illusoria, poiché pretende di appellarsi a una presunta pulsione primordiale incondizionata per garantire un'opposizione al sistema, dimenticando che la società borghese ha il potere di condizionare gli individui fin nel midollo delle loro ossa. O forse la psicanalisi vuole continuare ad affermare che la maturità dell'individuo dipende dalla rinuncia (sublimazione) del desiderio istintivo, ovvero dalla capacità che ha di mediare le sue pulsioni con le esigenze del reale, per cui la 'maturità' o la 'normalità' coinciderebbe con la 'conformità' alle leggi del sistema?

Freud era partito bene, costatando l'ipocrisia della morale borghese che impediva alle pulsioni di esprimersi con libertà e naturalezza. Poi, invece di proseguire coerentemente questo discorso, arrivando a mettere in discussione tutte le basi della società borghese (verificando le radici socio-economiche dell'ipocrisia morale in campo sessuale), ha accettato l'idea che sia necessario un compromesso tra pulsioni e realtà. L'individuo rinuncia a certi suoi desideri per poter convivere con altri individui. Nella maturità Freud sarà poi costretto ad elaborare la teoria delle 'pulsioni di morte', rendendosi conto che il suddetto compromesso portava comunque alla nevrosi e non aiutava a vincere l'ipocrisia. Solo che la 'pulsione di morte' è una teoria che giustifica la stessa società borghese, in modo ancora più pessimistico.

Freud non ha potuto far prevalere le 'pulsioni di vita' sulla realtà perché le pulsioni fondamentali da lui descritte (anche quelle giudicate 'positive', come ad es. la ricerca del piacere) sono chiaramente anti-sociali, in quanto già condizionate dallo stile di vita borghese. Freud non ha mai elaborato una teoria delle pulsioni veramente alternativa a quella esperienza pulsionale alienata che si verifica nella società borghese.

Lo stesso contenuto della tragedia di Edipo re, trasferito (non senza forzature) nell'ambito della società borghese, lascia intendere che la realtà delle pulsioni primordiali non può accampare maggiori diritti della morale borghese. Il desiderio di uccidere il padre e di realizzare l'incesto colla madre (che peraltro nella tragedia avviene in modo del tutto inconsapevole) è appunto il frutto di una società antagonistica, basata sulla contrapposizione dei soggetti (che si escludono a vicenda). E' assurdo giustificare l'incesto col dire che il padre era autoritario. Freud non l'ha mai fatto, ma la soluzione che ha proposto non risolve certo il problema dell'antagonismo, che è strettamente connesso a motivazioni di carattere socio-economico. In fondo il mito di Edipo re ha potuto essere utilizzato da Freud perché le due società (schiavistica e borghese) soffrono di una medesima contraddizione. Ma quel mito non ci aiuta affatto a comprendere le radici ultime di tale contraddizione, che vanno ricercate nell'alienazione che divide l'uomo dal suo lavoro e dalla proprietà delle cose.


Inconscio e coscienza


L'inconscio non può contenere qualcosa di essenziale di cui non si possa prendere coscienza. Se esiste una struttura del genere, all'uomo non può interessare, in quanto del tutto inutile. Viene qui in mente la celebre frase di Wittgenstein: 'Su ciò di cui non si può parlare è meglio tacere'.

L'inconscio ha senso se lo consideriamo come una 'porta aperta', che può essere soggetta a stimolazioni positive, cioè a ricevere degli input tali per cui le cause di certi sintomi (o comportamenti anomali) possono emergere alla coscienza del soggetto (ed essere da lui risolti).

L'inconscio può conservare aspetti che la coscienza ha rimosso, ma questi aspetti vengono tenuti rimossi dalla coscienza non dall'inconscio. E' la coscienza che decide e ridecide di tenerli nascosti quando qualcosa (o qualcuno) la stimola a fare il contrario. Le nevrosi, in fondo, possono aumentare d'intensità proprio al cospetto d'una alternativa alla rimozione, anche se l'ottimismo ci deve portare ad affermare il contrario, altrimenti con il pretesto che le nevrosi aumentano si finisce col legittimare l'oppressione crescente del regime. Come quando Stalin sosteneva che l'edificazione del socialismo comportava l'intensificazione della lotta di classe.

L'inconscio può forse essere un'àncora di salvezza per quella coscienza che non sa come recuperare l'identità di sé? Relativamente. Nell'inconscio infatti possono essersi conservati degli elementi positivi che la coscienza ha smarrito: elementi che possono essere stati rimossi a causa di condizionamenti esterni Ma questi elementi non hanno alcun significato finché la coscienza non li recupera. Nell'inconscio infatti possiamo aver conservato l'innocenza di quando eravamo bambini e che i rapporti borghesi basati sull'interesse e sul profitto ci hanno fatto perdere, ma se la coscienza non cerca di recuperare una nuova dimensione dell'innocenza, cioè della giustizia, della verità, dell'onestà, contestando il valore dei rapporti borghesi, quell'innocenza infantile, anche se conservata a livello inconscio, non ci sarà di alcun aiuto. Ecco perché tutte le forme nostalgiche di ritorno all'infanzia, usate per contestare indirettamente la società borghese, sono solo una 'fuga dalla realtà', una sorta di contemplazione del passato.

Quando Freud dice che l'inconscio è il luogo delle rappresentazioni rimosse, dà per scontato che le rimozioni siano eventi negativi, in quanto riteneva formali certi valori borghesi. In realtà vi sono anche rimozioni positive, che limitano certi istinti egocentrici stimolati da questa società borghese per esigenze di profitto. Il soggetto dovrebbe capire che la rimozione di certi istinti serve a tutelare la dignità umana, mentre la loro stimolazione la degrada. Deve convincersi di questo, altrimenti si sentirà un frustrato, un diverso, rispetto alla maggioranza che invece cede agli istinti. A tale scopo, naturalmente, occorre che l'alternativa sia praticabile, suggestiva. Nessuna tensione ideale può durare all'infinito, se non s'intravedono opportunità di realizzazione.

Freud ha distrutto il moralismo (laico e soprattutto religioso) della vita privata e familiare borghese, valorizzando l'istinto sessuale o comunque la realtà del piacere individuale, ma oggi dobbiamo dire che la mancanza di rimozioni non rende più veri, più genuini i valori borghesi, o più accettabili i meccanismi di questa società.

Questi valori borghesi alienano l'uomo, siano essi vissuti con 'libertà sessuale' o con angoscia e frustrazione. Ovviamente l'identità umana non è recuperabile tornando tout-court alla rimozione. Per evitare tale forzatura, occorre porre un'alternativa ai valori borghesi, cioè allo stile di vita individualistico, basato sul profitto economico. In questo senso la pulsione sessuale non può essere un'alternativa, poiché essa non costituisce un valore. Cioè essa non dice nulla sul modo come essa stessa dovrebbe essere vissuta per rendere l'uomo veramente libero da ogni alienazione. Se e quando ci sarà una vera alternativa di valore, ogni rimozione sirà da sé e con la rimozione sirà anche l'inconscio.




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