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Accoppiamento in parallelo degli alternatori

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Accoppiamento in parallelo degli alternatori



L'accoppiamento in parallelo di più alternatori consiste nel farli funzionare alla stessa tensione e frequenza, con i morsetti corrispondenti ad essi direttamente collegati a un sistema di sbarre dalle quali si dipartono le linee che convogliano la somma delle potenze erogate dalle singole macchine.

La necessità dell'accoppiamento in parallelo si presenta tutte le volte che la potenza richiesta dalla rete di utilizzazione supera la potenza che può essere fornita da un solo alternatore.






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Con riferimento ad una centrale trifase, i circuiti elettrici per l'accoppiamento in parallelo possono essere predisposti come è indicato nella ura in cui le sbarre di partenza della linea sono già mantenute in tensione dall'alternatore A1. Su queste sbarre si vuole mettere in parallelo l'alternatore A2 che è ancora fermo (interruttore Im aperto). Una condizione indispensabile per la regolarità della manovra è che questa si compia senza alcuno scambio di corrente fra la nuova macchina e le sbarre all'atto della chiusura dell'interruttore. Per far si che anche la tensione Eo generata a vuoto dalla macchina sia uguale alla tensione V di linea, prima di chiudere l'interruttore Im è necessario avviare e regolare l'alternatore in modo da fargli produrre una tensione ai morsetti, e cioè una f.e.m. a vuoto Eo, vettorialmente identica alla tensione V esistente tra le sbarre. Vettorialmente identica perché l'identità fra le due tensioni non deve limitarsi all'eguaglianza fra i rispettivi valori efficaci segnati dai voltmetri, ma richiede l'eguaglianza di tutti i valori istantanei, ed è pertanto necessario che l'alternatore A2 venga preventivamente regolato in modo che la sua f.e.m. Eo abbia a presentare lo stesso valore efficace e la stessa frequenza della tensione V esistente fra le sbarre, e che si trovi inoltre rispetto a questa in esatta concordanza di fase.

Il verificarsi di questa precisa condizione viene controllata per mezzo di opportuni strumenti denominati appunto indicatori di sincronismo. I più semplici indicatori possono essere rappresentati da dei voltmetri e da delle lampadine derivate a cavallo dell'interruttore Im  che deve allacciare il nuovo alternatore alle sbarre. Prima della chiusura di questo interruttore, ai morsetti degli indicatori viene ad agire una tensione che è uguale in ciascun istante alla differenza fra i valori istantanei contemporanei delle due tensioni che esistono rispettivamente fra le sbarre e fra i morsetti dell'alternatore A2. Quando le due tensioni sono identiche si ha costantemente che il voltmetro di sincronismo rimane a 0, mentre le lampadine rimangono permanentemente spente.

In base alla considerazioni sopra indicate vediamo ora come procedere per la manovra di parallelo. Si comincia ad avviare l'alternatore A2 con l'interruttore Im aperto, regolandone la velocità corrispondente alla frequenza dell'impianto. Dopo di ciò si regola l'eccitazione dell'alternatore A2, agendo sul suo reostato di campo, finchè si osserva che il voltmetro derivato ai morsetti segna una tensione uguale a quella indicata dal voltmetro che dà la tensione esistente fra le sbarre.

In queste condizioni dunque l'alternatore A2 è regolato in modo da fornire una f.e.m. Eo che ha lo stesso valore efficace della tensione fra le sbarre ma una frequenza leggermente diversa. In queste condizioni ai morsetti degli indicatori di sincronismo agisce quindi una tensione che ha un valore efficace pulsante, se queste pulsazioni, denominate battimenti, sono abbastanza lente da poter essere seguite dall'indice del voltmetro si vedrà questo oscillare alternativamente fra zero e un massimo; analogamente le lampadine di sincronismo saranno condotte ad accendersi e spegnersi tante volte al secondo quanto è la differenza fra le due frequenze.

In base a queste indicazioni si può quindi agevolmente regolare per gradi assai piccoli la velocità dell'alternatore A2 fino a rendere sempre più lenti i battimenti che si osservano sugli indicatori di sincronismo e ottenere infine che le lampadine restino spente per un tempo sufficentemente lungo, quando ciò accade, si può chiudere l'interruttore Im e il parallelo è eseguito.

Anche se l'alternatore A2 non aveva una velocità rigorosamente esatta, dopo che l'interruttore è stato chiuso nel momento giusto, l'alternatore si mette senz'altro in marcia sincrona col primo, ciò accade perché ogni sua tendenza ad accellerare o ritardare viene automaticamente contrastata dalle energiche coppie sincronizzanti che intervengono per effetto degli scambi di corrente che si verificano fra le macchine quando una di esse tende a uscire di sincronismo.

La manovra è tanto più regolare, e cioè gli scambi di corrente meno sentiti, quanto minore è lo scarto di frequenza che separa le due macchine nel momento in cui si chiude l'interruttore. Dopo di che cessa ogni scambio di corrente con le sbarre e il parallelo è stabilmente eseguito.

All'atto della chiusura dell'interruttore di parallelo, il nuovo alternatore che si vuol mettere in servizio è regolato in modo da generare una tensione a vuoto e cioè una f.e.m. Eo, esattamente uguale e in perfetta concordanza di fase con la tensione V già esistente fra le sbarre. l'alternatore cioè, pure essendo stabilmente allacciato alle sbarre, funziona ancora a vuoto.

In queste condizioni l'alternatore assorbe dalla turbina o dal motore che lo aziona, solamente la potenza meccanica che corrisponde alle perdite a vuoto.

Si pone ora il problema di far assumere un certo carico attivo e reattivo al nuovo alternatore,per far assumere all'alternatore una certa potenza reale P è necessario provocare un certo anticipo della f.e.m. Eo generata dalla macchina rispetto alla tensione V alle sbarre. Un tale anticipo non può mai prodursi spontaneamente, ma deve essere forzato applicando all'albero la coppia motrice necessaria a vincere la coppia resistente che esso produce, ciò avviene grazie ad un motore diesel oppure una turbina a gas o una qualsiasi altra macchina. La maggior coppia motrice impressa tende ad accelerare la rotazione della ruota polare dell'alternatore, la quale comincia così a guadagnare un certo angolo di anticipo, corrispondentemente la f.e.m. Eo subisce un anticipo di fase e la macchina comincia ad erogare corrente.

Per mezzo della sola manovra di accellerazione del motore che trascina l'alternatore, si nota però che il carico reattivo è poco influenzato, appare chiaro dunque, passando a considerare la regolazione della potenza reattiva, come tale regolazione non possa ottenersi che agendo sul grado di eccitazione della macchina, dal quale precisamente dipende il valore della f.e.m. generata.

Si mette dunque in rilievo il fatto importante che le manovre eseguite solo sull'eccitazione spostano esclusivamente il regime delle potenze reattive, ma non variano in nessun modo la potenza reale. Questa non può essere regolata se non agendo direttamente sul motore che trascina la macchina. Si deduce perciò che le potenze reali e reattive restano totalmente indipendenti fra loro e debbono essere regolate con due manovre distinteche agiscono rispettivamente sugli organi che regolano il motore che trascina gli alternatori, per le potenze reali, e sui reostati di campo che regolano le eccitazioni, per le potenze reattive.





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