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Dall'oralità alla scrittura: interpretazione

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Dall'oralità alla scrittura: interpretazione

Tre sono, per Ricoeur, i tratti della parola viva suscettibili di maggior alterazione nel passaggio alla scrittura: "il rapporto tra il soggetto e il proprio discorso", che nel discorso parlato si attua mediante la voce che "tace" - per così dire - nello scritto; "il rapporto del parlante con l'interlocutore" con la sua logica della domanda e della risposta; ma anche il "nucleo" stesso del "dire qualcosa su qualcosa" è condizionato dalla diversa esecuzione del discorso. Che il rapporto di colui che parla con colui che ascolta subisca una profonda trasformazione, nel momento in cui il discorso si "fissa" nella scrittura, è abbastanza evidente: ciò che cade è il "faccia a faccia", l'immediatezza del dialogo, per cui il discorso diventa un messaggio indirizzato a "chiunque sappia leggere". E chiunque sappia leggere in genere non conosce l'Autore dello scritto, che gli può essere estraneo sia per un diverso contesto geografico di appartenenza, sia per una distanza temporale che fa tacere l'autore ma non la sua opera. Strettamente connesso appare, allora, il problema della referenza del discorso scritto, del suo "dire qualcosa su qualcosa": questo nella parola presenta "una costituzione a due facce' dal momento che locutore e interlocutore si riferiscono alla stessa situazione di discorso. Rispetto al "dire qualcosa", la parola opera "una coincidenza fra l'intenzione di dire e il significato del detto"; coincidenza che, per esempio, l'ironia tende a nascondere: con le sue battute "il significato del detto smentisce l'intenzione del dire". Intenzione che il passaggio alla scrittura nasconde ancora di più. Se, infatti, il fatto di parlare "di qualcosa" evidenzia "il carattere ostensivo della referenza", in quanto "tutti i dimostrativi funzionano come mezzi per mostrare", la lontananza instaurata dalla scrittura annulla la possibilità di un riferimento comune all'autore e al lettore. Ma questo, come vedremo, non significa per Ricoeur che venga abolita qualsiasi funzione referenziale del discorso, bensì che bisogna instaurare una referenza di secondo grado, la referenza cioè al "mondo dell'opera". Mondo che l'opera propone al lettore e che il lettore potrebbe abitare su di un modo immaginativo. Più avanti, torneremo sull'argomento.



La sa della scrittura - ci fa rilevare allora Ricoeur - è un fatto culturale di portata "incommensurabile". Di primo acchito sembrerebbe essere solo "un'estensione della parola grazie alla fissazione della parola in segni esteriori" . Ma l'ampiezza dei cambiamenti politico-sociali che tale evento comporta e che vanno dal sorgere di un forte potere politico alla nascita dell'economia, della storiografia e della legge, fanno "sospettare" come tale fenomeno superi di gran lunga la semplice fissazione materiale. Insomma la scrittura non può essere un semplice supporto strumentale, ma segna l'atto di nascita di un nuovo modo di comunicazione. Si tratta dunque di un vero e proprio "cambiamento epocale", per dirla con le parole di Heidegger.

Ricoeur inizia la sua riflessione affrontando le accuse contro la scrittura presenti nel Fedro di Platone. In questo dialogo si afferma che "affidare il discorso all'esteriorità dei segni si pone . contro l'autentica reminescenza, cioè il risveglio della verità nell'interiorità dell'anima" ,

E Socrate dice che la scrittura "erra" in cerca di un destinatario, cioè che è orfana. Egli sottolinea come:

"Le immagini dipinte ti stanno davanti come se fossero vive, ma se chiedi loro qualcosa, tacciono solennemente. Lo stesso vale anche per i discorsi: potresti avere l'impressione che essi parlino, quasi abbiano la capacità di pensare, ma se chiedi loro qualcuno dei concetti che hanno espresso, con l'intenzione di comprenderlo, essi danno una sola risposta e sempre la stessa."[3]

Ribatte Ricoeur, partendo dall'ultima affermazione di Socrate, che le pitture non sono "smorti doppioni della realtà", ma "occasione" e "strumento" di un "incremento di senso"; per esempio, le varie rappresentazioni pittoriche della crocifissione, da Rembrandt a Dalì, non fanno altro che essere delle nuove letture del fatto evangelico ed apportano nuovo significato alla nostra interpretazione dei Vangeli stessi.  Così è anche per la scrittura che causa rispetto alla perdita della viva voce un "incremento del potere di dire".

Ricoeur introduce quindi la nozione di "autonomia semantica del testo", intendendo con questa la "triplice liberazione" che la scrittura rende possibile. Liberazione rispetto al parlante: "il testo non coincide più con ciò che l'autore ha voluto dire", il lettore del testo può dare una lettura completamente diversa dall'intenzione dell'autore; liberazione rispetto all'interlocutore presente nel faccia a faccia: il testo viene così "offerto" ad un pubblico immenso; liberazione della referenza dalla situazione comune di discorso: se nel discorso faccia a faccia la referenza è legata all'ambiente, con la scrittura la referenza diviene il mondo. Ma di questo abbiamo già fatto cenno in precedenza.

Conseguenze dell' "autonomia semantica del testo" sono: la "tessitura", cioè "la composizione codificata che fa di un testo un'opera" , e che si aggiunge alla scrittura; la "sedimentazione " e la "stratificazione": un testo nel suo stadio definitivo contiene la storia delle scritture che vi si sono sedimentate. Si tratta del fenomeno della "intertestualità": un testo non tratta solo il proprio "tema" (eventi, fatti, cose, pensieri) nella chiusura del suo contesto proprio, ma si riferisce anche all'insieme dei testi che formano la letteratura, adottandone canoni, codici, stili.

Ricoeur conclude dicendo che nella lettura, il lettore dà compimento al senso del testo. Il lettore, così, prende il posto dell'interlocutore ormai assente e, con la sua interpretazione del messaggio dell'opera, contribuisce al suo incremento di senso. È quanto accade in occasione della lettura di un classico: nella sua interpretazione noi non ci rifacciamo soltanto all'opera ma anche alla storia delle sue interpretazioni. L' "altro", cioè il testo, prende il posto della "reminescenza" platonica. Vedremo più avanti (nel modulo "La triplice Mimesis") l'importanza che Ricoeur connette alla lettura e al lettore per dare senso e compimento al "destino" di un testo.




Paul Ricoeur, Filosofia e linguaggio, a cura di Domenico Iervolino, Guerini e Associati, Milano 1994, . 222.

Ibidem, . 223.

Platone, Fedro, cit., . 125.

Paul Ricoeur, Filosofia e linguaggio, cit., . 226.




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