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SOCIETÀ DEI CONSUMI



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Nelle culture contadine quasi tutto ciò che si usava e consumava trovava modo di essere riutilizzato. In un modo o nell'altro i rifiuti rientravano nel circolo della vita, venivano destinati a nuovi usi e a nuovi consumi. In un mondo povero, in cui produrre e costruire era cosa difficile e impegnativa, ogni oggetto era dotato di un suo valore che portava a conservarlo, a farlo partecipe dell'esistenza delle persone.

Con l'avvento della società industriale la sempre maggiore facilità di produzione e disponibilità di tutti gli oggetti ha modificato il rapporto con le cose. Lo sviluppo illimitato divenuto sola regola dell'economia ha dato luogo a un rapporto immediato tra produzione degli oggetti, loro consumo e loro distruzione.

(Il processo incessante di sviluppo ha causato l'inquinamento e la saturazione della produzione.)

L'espansione economica e lo sviluppo tecnologico creano sempre nuovo benessere e nuove possibilità di vita, ma nello stesso tempo danno luogo a sempre più numerosi scarti e residui, ad un accumulo di cose inservibili. All'affacciarsi continuo di nuove cose si collega il moltiplicarsi dei rifiuti, dell'immondizia, della spazzatura. Come accade a una delle "città invisibili" di Italo Calvino, sembra che le nostre città vivano per far crescere intorno a loro e dentro di loro cumuli sempre più estesi di immondizie.

Qualcosa di analogo accade nell'ambito dell'estetica, della comunicazione, della cultura, dove le informazioni, le immagini, i miti e le mode si consumano con sempre maggiore velocità. Il mondo della cultura è come un immenso serbatoio di rifiuti, dove si confondono le esperienze autentiche e quelle volgari, banali, degradate, dove tutto è accomunato dallo stesso destino di essere usato e gettato via.



In questa situazione l'arte d'avanguardia ha più volte assunto dentro di sé gli oggetti di scarto, le cose più banali e degradate quasi sacralizzandole, con l'intenzione di riscattare il valore di ciò che si perde o con quella di mostrare che l'accumulo infinito degli oggetti ha ormai contaminato per sempre le forme artistiche. Con questi intenti, che comunque erano di tipo critico, nel corso di questo secolo gli artisti hanno raccolto più volte ciò che in inglese si chiama trash: spazzatura, cose gettate via, residui e frammenti banali e volgari.

Nella nostra società della comunicazione globale si sta diffondendo una curiosità sempre più morbosa per tutti gli scarti della comunicazione, per le forme di spettacolo e di comportamento più degradate, per tutto ciò che appare ottuso, demenziale, violento. Con una buona dose di nichilismo, pretendendo che questo sia l'unico orizzonte capace di rivelare l'essenza del nostro presente, sono all'opera molti cultori del trash, intenti a raccogliere quanto di peggio la cultura di massa produce, consuma e getta via.

Gli anni Cinquanta e Sessanta, consumatisi gli entusiasmi post-bellici, furono caratterizzati dall'incalzare di uno sviluppo tecnologico ed industriale dirompente, che influenzò in profondità le ideologie, i valori, i modi di vita dei popoli. Meccanizzazione ed automazione diffusero il mito consumistico, inteso come partecipazione competitiva al benessere e al possesso di alcuni beni, quali  automobile, televisore, denaro, ecc., divenuti veri e propri "status-symbol", simboli di prestigio sociale. In questa grande corsa al mito del benessere e del consumo, appoggiata dai potentissimi mezzi di comunicazione di massa, si crearono profondi squilibri tra paesi ad avanzato sviluppo e paesi sottosviluppati; fortemente diseguale iniziava ad essere anche la distribuzione della ricchezza e del benessere all'interno degli stessi paesi più industrializzati. D'altra parte, il neocapitalismo industriale, attraverso meccanismi di integrazione e persuasione, tendeva a stritolare sempre più l'uomo nella sua morsa alienante, trasformandolo in un uomo smarrito di fronte al "labirinto" della società altamente industrializzata, in un uomo-massa, anonimo e disponibile al consumo.

"Consumismo", quindi, è il termine con cui si suole indicare il fenomeno economico più appariscente e, sotto molti aspetti, inquietante della nostra epoca, presso quelle società, tra le quali anche la nostra, dove non è lo Stato a decidere che cosa produrre e che cosa non produrre, ma tutto è lasciato all'iniziativa individuale.

La società dei consumi è una società che, ritenendo di aver raggiunto il soddisfacimento delle necessità più vive dell'uomo, lascia libero corso al soddisfacimento di quelle accessorie, superflue, senza porre alcun freno. La continua produzione di beni superflui di consumo desta sempre nuove esigenze, stimola all'acquisto di nuove comodità, crea una frenesia per il progresso mal inteso. L'assalto del denaro ha mercificato tutto e ai bisogni naturali dell'uomo si sono sostituiti dei falsi bisogni. I valori dominanti nell'attuale società sono i valori di mercato, i prezzi. Sociologi e filosofi hanno sottolineato come una "confortevole, levigata, ragionevole, democratica non-libertà" prevalga nella società industriale avanzata.

La spinta delle imprese all'utilizzazione della loro capacità produttiva richiede un continuo sforzo di differenziazione della produzione, e quindi di induzione di nuovi consumi, di creazione di nuovi bisogni. Il "consumismo" è certamente uno degli aspetti più importanti, caratterizzanti, e sotto molti aspetti inquietanti della nostra epoca. I suoi aspetti negativi sono seri e gravi. Nessuno può però sottovalutare l'immensa area di benessere aperta alla società moderna con la diffusione dei consumi di massa.

In nessun tempo, prima d'oggi, la gamma degli impieghi del reddito è stata così vasta, il sentimento estetico così esaltato nella produzione, il superfluo, sotto forma di oggetti comodi e di occasioni di impiego del tempo libero, così diffuso tra le masse. I mali dell'opulenza non stanno negli oggetti che ha creato. L'esplosione dei consumi è un aspetto caratterizzante del benessere della società industriale, cui nessuno può seriamente pensare di rinunciare in nome di un'artificiale austerità. La "macchina produttiva" è capace di suscitare un'abbondanza inconcepibile fino a pochi decenni prima.

Oltre un certo limite, tuttavia, il "consumismo" assume forme di dissipazione, essenzialmente prive di un contenuto reale di soddisfazione. La natura di questa tendenza degenerativa, da tempo al centro dell'attenzione di economisti e sociologi, è diventato uno dei temi dominanti del nostro tempo. 

Oggi viviamo in un mondo in cui si cerca sempre più di annullare la personalità del singolo e di ridurre l'uomo ad un semplice elemento di un grande ingranaggio. L'arma principale che viene usata per perseguire questo poco onesto intento è la pubblicità: per mezzo di essa è possibile trascinare le masse in qualsiasi direzione senza che esse si accorgano di tale strumentalizzazione. Nessuno è, ormai, libero delle scelte che fa: anche quando crede di agire con il proprio cervello, egli è, in realtà, condizionato da una miriade di fattori che lo costringono inconsciamente a preferire, ad esempio, un prodotto piuttosto che un altro. Ormai non siamo più liberi di scegliere, ma sono i prodotti che scelgono noi e non ci abbandonano prima di averci costretti a consumarli fino in fondo e di aver suscitato in noi la voglia di provare qualcosa d'altro. Evitare la pubblicità è, d'altronde, molto difficile, per non dire impossibile. La si trova dappertutto: nelle strade, al cinema, nella propria casa nella quale arriva, talora sgradita ospite e disturbatrice della intimità familiare, attraverso i mezzi d'informazione. Anche le persone meno suggestionabili, alla fine, vengono costrette a seguire la corrente. Si può quindi senz'altro affermare che la pubblicità è il più grande potere del mondo moderno.

Oggi noi tendiamo sempre più a scambiare l'uomo con gli oggetti che consuma. In altre parole non giudichiamo più un individuo per quello che egli è come uomo, ma per le cose che ha. In questo modo il vero uomo, con le sue reali qualità, passa in secondo piano a favore di un uomo sempre più vuoto, capace solo di consumare nuovi vestiti, nuovi alimenti, nuovi dischi. (Non è nemmeno raro il caso in cui per soddisfare questi bisogni creati artificialmente si ricorra al furto, alla rapina, allo scippo.)

La causa principale di questo fenomeno è certamente l'ossessiva pubblicità, che è divenuta un'industria enorme e organizzatissima che non produce nulla, ma ingoia miliardi grazie alla vendita di prodotti che sa rendere desiderabili. È un fatto a tutti evidente che la pubblicità ci assedia e ci colpisce da ogni parte, senza soste e con ogni mezzo: nel chiuso della nostra casa mediante la radio, la TV, i giornali; per strada, mediante sectiunelloni, manifesti murali; nei bar, nel cinema, nei locali pubblici, con scritte luminose. Oggi giorno la pubblicità ci attacca da ogni parte. Quando camminiamo per strada grandi manifesti ci invitano a comprare questo o quel prodotto; se accendiamo la radio o la televisione una voce suadente, sempre accomnata da accattivanti musichette e gingle, ci convince che quella bambola è più divertente di quell'altra; quando apriamo un giornale decine di ine sono occupate da spazi pubblicitari di profumi, automobili veloci, cibi raffinati per cani e gatti, sofisticati prodotti elettronici, merendine super vitaminizzate che offrono anche la possibilità di passare una giornata con il campione preferito, e così via. A volte non se ne può proprio più. Si vorrebbe fuggire dalla morsa pubblicitaria ma . ci si sente quasi braccati perché, dovunque ci si na­sconde, la «signora» pubblicità è in agguato per catturare la nostra at­tenzione e invogliarci a seguire le va­rie mode.



Gli slogan della pubblicità li trovi, quindi, ovunque: alla tv, sui giornali, sui muri, alla radio. Tali slogan sfruttano abilmente il rapporto con le immagini, realizzando delle formidabili esche per il pubblico dei consumatori. Spesso poi, i pubblicitari condiscono i messaggi con astute trovate linguistiche studiate per colpire l'attenzione e la fantasia del pubblico e che lo divertono, lo incuriosiscono, esercitano insomma su di lui un effetto davvero efficace. Ed allora la forza corruttrice della pubblicità ottiene il risultato desiderato: l'innocente ascoltatore ingoia ciò che il "bombardamento pubblicitario" gli ha proposto divenendo un possibile futuro acquirente. I pubblicitari sono gente senza dubbio creativa, ma anche scaltra che conosce le debolezze altrui e, facendo leva sulla vanità e sulla aspirazione alla felicità e al benessere della gente, gli presenta le merci da acquistare come mezzi fantastici per realizzare ciò che desidera.

Il fine ultimo di una camna pub­blicitaria consiste nell'orientare le scelte del consumatore su un determinato prodotto. Bisogna quindi convincere e persuadere. Convince­re significa "vincere insieme" (dal lati­no "cum vincere"); il consumatore de­ve essere convinto, attraverso dimo­strazioni ed esempi pratici, che il prodotto presentato è efficace, du­raturo, conveniente e alla moda. Persuadere, invece, significa consi­gliare o "rendere soave" (dal latino "per", rafforzativo, e "suadere", che a sua volta deriva da "suavis", soave) invitando il consumatore a fare cer­te scelte spinto dall'emozione con cui vive la presentazione del prodot­to. La persuasione stimola l'emozione del soggetto interessato, solle­cita il suo piacere e lo lusinga al fine di attirare la sua attenzione su un determinato prodotto. Molto spesso nella pubblicità nulla è casuale, una parola piuttosto che un'altra, un punto qui, quella foto là, tutto è finalizzato ad ottenere un certo risul­tato. Dice un'esperta: «La pubblici­tà è l'arte di dire una parte della verità, solo una parte della verità, nient'altro che una parte della veri­tà», ma forse in questo non è la sola!

Il gioco della pubblicità è quello di creare dei bisogni nel consumatore e fare in modo che noi tutti desideria­mo questi prodotti. Se non ci fosse la pubblicità e, quindi, se cambiasse il nostro stile di vita, i vestiti sareb­bero acquistati per la loro utilità, il cibo sarebbe comprato in base a cal­coli economici e al valore nutritivo, e infine le automobili sarebbero ri­dotte al minimo e verrebbero con­servate dai proprietari per 10 o 15 anni. Purtroppo tutto questo è solo un sogno perché i consumatori sono spesso degli eterni lattanti a bocca aperta, che succhiano senza sforzo e senza partecipazione tutto ciò che viene loro proposto.

Gli agenti pubblicitari, e tutto l'apparato di specialisti che hanno alle spalle, si sono accorti, inoltre, che è molto più facile agire con una fitta proanda sul mondo dei giovani, più duttile e malleabile a causa di una non ancora raggiunta maturità mentale, che su quello degli adulti che, bene o male, offre certe resistenze. I giovani, per la loro stessa natura, seguono più facilmente le eventuali novità e quindi si prestano meglio ad un'opera di strumentalizzazione profonda che li renderà, in futuro, delle perfette "rotelline" insignificanti, ma pur sempre indispensabili, di un grande apparato. Il mondo dei giovani, quindi, è senza dubbio influenzato e strumentalizzato sino all'esasperazione, nelle idee e negli atteggiamenti, dalla moda, dalla pubblicità e dal consumismo; tutti agiscono nello stesso modo, si vestono nella stessa maniera e guardano come un extraterrestre chiunque non si inquadri nei canoni abituali del vivere consumistico o che, comunque, non ne segua rigorosamente le regole.

In questo processo di produzione e di consumo entra, quindi, prepotentemente il linguaggio della pubblicità. È attraverso il linguaggio, infatti, che la gente è persuasa, aggressivamente o sottilmente, a comprare, soprattutto le cose inutili. Intere équipes di psicologi, di economisti, di disegnatori, di fotografi, di registi, di musicisti inventano e realizzano con tecniche raffinate suggestivi motti pubblicitari e immagini allettanti, che spesso non hanno niente a che vedere con la bontà del prodotto "lanciato".

Assai frequente nel linguaggio pubblicitario è l'impiego di prefissi con valore superlativo quali super-, ultra-, extra-, arci-, usati davanti tanto ad aggettivi quanto a sostantivi: "superconcentrato", "extraforte". Più originali e raffinati sono i neologismi, come "intellighiotti", ecc . Tipico del linguaggio pubblicitario è anche l'uso dell'aggettivo in funzione avverbiale (come "lava pulito", "comprate sicuro"); queste, ed infinite altre analoghe, sono formazioni linguistiche dalla forte e rozza carica espressiva, ma che, proprio per questo, hanno vita assai breve, il tempo di sorprendere e sire. In tal modo, la parola diviene una specie di "merce da consumare", che va acquistata, sfruttata e, infine, buttata via come un oggetto, e non solo questo. Diviene, infatti, anche e soprattutto uno strumento per far consumare denaro al pubblico.

Volere o no tutti sono costretti, prima o poi, a cedere alle lusinghe di questa "maga" che con un fascino a volte discreto a volte no ci accomna dalla mattina alla sera.

Numerosi studiosi hanno esaminato a fondo il fenomeno della pubblicità. Essi l'hanno vista come uno degli aspetti più caratteristici della nostra epoca, alla base del quale ci sono interessi economici colossali, ci sono consumatori da attirare a qualunque costo, di fronte ai quali molti scrupoli vengono messi da parte. In tal modo le grandi industrie "non vendono prodotti, comprano clienti!". Chi ne fa le spese è il consumatore, oggetto di continue pressioni, dalle quali, secondo me, sentirebbe il bisogno di difendersi, se solo potesse rendersi conto dei fatti, della gravità del fenomeno.

Una vera e propria violenza, quindi, viene operata nel profondo dell'uomo per mezzo della pubblicità. È una forma di violenza nascosta, sottile, psicologica operata dai cosiddetti "persuasori occulti", cioè la pubblicità, appunto, e anche la moda: un tipo di violenza, quindi, che non uccide nessuno fisicamente, ma uccide la nostra fantasia, la nostra creatività, la semplicità.

Ma quali sono i danni procurati all'uomo da questa nuova "violenza" che è entrata a tal punto nella nostra vita da diventare un fatto naturale come il mangiare e il bere?

Tra le conseguenze della pubblicità la più micidiale è senz'altro la creazione di nuovi bisogni e lo stimolo a consumare sempre di più. L'uomo è, tra gli animali, quello più debole. Ha bisogno di vestirsi per coprirsi e ripararsi dal freddo. Ha una capacità minore di assimilare alimenti che non, per esempio, i cani o i gatti. Tutto ciò ha portato l'uomo a vivere in società così che, con la divisione del lavoro tra più persone, si potesse provvedere nello stesso tempo ai bisogni di tutti. Quando la società si è fatta più grande e complessa, e soprattutto con la nascita della società industrializzata e tecnologica, è successo un fatto assai strano: oggi gli uomini non lavorano più solo per procurarsi a vicenda le cose di cui hanno maggiormente bisogno, bensì per procurarsi cose di cui potrebbero benissimo fare a meno. Esaminiamone alcune. Tutti vedono la pubblicità che invita a comperare un detersivo dal potere di rendere la biancheria "più bianca del bianco": è un primo esempio di cosa inutile. È chiaro, infatti, che gli uomini hanno bisogno di pulizia, di igiene, di ordine, ma ogni sforzo per rendere la pulizia "più pulita" vuole creare nuovi bisogni e nuove ansie senza senso. Non solo, ma la "tecnica" pubblicitaria ci spinge a comprare un prodotto sempre migliore o spacciato per tale. In questo modo l'uomo perde la sua libertà, diventando schiavo di un certo modo di vivere che gli viene imposto da altri, i quali naturalmente hanno interesse a far ciò perché ne ricavano denaro.



I temi sociali, però, a volte non sono snobbati dalle camne pubblici­tarie. Per esempio, per combattere i pregiudizi legati al colore della pel­le o al credo religioso, «Pubblicità Progresso» lanciò tempo fa, su alcuni periodici, una camna che propose, quali esempi di incivile ottusità, vignette con battute ispirate alla più squallida intolleranza. Lo scopo è stato certamente encomiabile, ma il rischio è forse stato quello di ottenere l'effetto opposto, provocando il riso senza trasmettere il messaggio.

Via via che in una società cresce la convivenza tra persone di diversa razza e cultura, cresce anche l'esigenza di presentare alcuni prodotti con un linguaggio visivo particolare. La camna più celebre è senza dubbio quella della Benetton, tuttora in corso. Il marchio "United Colors of Benetton" ha coinciso con la produzione di immagini, quasi sempre delicate e tenere, che sfruttano il filone di una società multirazziale che cerca di fraternizzare. Peccato che la presenza di una catena di negozi in Sudafrica e l'autocensura di questa pubblicità negli ambienti dei bianchi, annebbino le intenzioni multirazziali dell'azienda italiana. Ecco allora che immagini di bambini provenienti da ogni parte della terra uniti in un festoso carosello da un certo tipo di abbigliamento non è sufficiente per abbattere le frontiere!

In conclusione, abbiamo visto che la pubblicità ha un grande potere sulle nostre scelte giornaliere. Infatti molto spesso si dà troppa importanza all'immagine esteriore di noi stessi e delle cose. Forse è arrivato il momento di fermarci un poco e far apparire all'esterno quello che di bello ciascuno di noi possiede e le ricchezze proprie di ogni cultura per assorbire davvero da tutte le differenze che ci sono sulla terra ed arricchirci così a vicenda.

In conclusione va comunque ricordato, ad onor del vero, che oggi alcuni spot pubblicitari sono veramente ben fatti, al punto da poter essere considerati, senza alcun dubbio, forme artistiche del nostro tempo, in cui si fondono creatività, intelligenza e tecnologia, (ottenendo risultati spesso più validi, dal punto di vista formale e contenutistico,) essendo spesso girati con più cura e più qualità rispetto a tanti programmi televisivi vuoti ed insulsi, che vanno ad alimentare quel gusto "trash" ("spazzatura") che purtroppo dilaga e ci perseguita nella nostra realtà quotidiana.


LA SOCIETÀ DEI CONSUMI

In Italia abbiamo avuto due svolte fondamentali in direzione dello sviluppo del consumismo:

A. alla fine dell'800, quando si passa nella distribuzione dei beni dalla bottega artigiana al negozio (nel 1877 nasce a Milano il primo grande magazzino, specializzato nella vendita di abiti confezionati, che poi diventerà 'La Rinascente' nel 1918, la quale poi creerà nel 1928 l'UPIM, Unico Prezzo Italiano Milano, forma popolare di magazzino rivolta ai ceti meno abbienti, mentre la Società Anonima Magazzini Standard o STANDA nascerà nel 1931. Nel 1936 la Fiat produce in serie l'auto più piccola del mondo, Topolino, destinata a una fascia ampia di consumatori: prezzo L. 8.900);

B. la seconda svolta è costituita dal boom economico degli anni 1959-l963, che ci fa diventare uno dei 10 paesi più industrializzati del mondo. Usciamo dal primato dell'agricoltura, dove esisteva il monoreddito e ancora dominavano valori come autoconsumo, spirito di sacrificio, etica del risparmio; ed entriamo nel primato dei consumi di massa, dove la struttura familiare è post-patriarcale, urbana e con pluriredditi. Aumenta il ceto medio. Ovviamente il boom economico è stato ottenuto livellando in basso i salari (come oggi succede per molti paesi emergenti del Terzo mondo). Il modello che imitiamo è quello americano.

Il primo supermercato nasce a Milano nel 1957. Le novità assolute: tanti prodotti tutti assieme in uno stesso ambiente; il cliente si serve da solo.

La prima ondata consumistica si rivolge essenzialmente verso l'acquisto di beni durevoli (elettrodomestici).

Il consumo diventa anche uno strumento di socializzazione del nuovo modello di vita urbana (chi non possiede certe cose viene emarginato).

Valori come sobrietà, parsimonia, risparmio vengono considerati un ostacolo allo sviluppo della società. Il consumo non è più visto negativamente, come esempio di sfrenatezza o immoralità, ma anzi come mezzo di emancipazione sociale.



La pubblicità riduce l'importanza della sectiunellonistica e si affida soprattutto alla TV, che nasce nel 1954. Tuttavia solo nel 1966 si supera la soglia del 50% come numero di televisori nel totale delle famiglie italiane.

Carosello diventa un autentico fenomeno di costume: esso propone i nuovi modelli di consumo.

Cambiano i consumi alimentari in virtù dell'introduzione del frigorifero.

Contemporaneamente si sviluppano le autostrade e la rete ferroviaria, per la distribuzione delle merci. Mentre si costruiscono le migliori autostrade d'Europa abbiamo scuole, ospedali e trasporti pubblici da Terzo mondo.

Il possesso del telefono è un segno di vero progresso: nel 1962 solo una famiglia su otto l'aveva.

Con la nuova tipologia distributiva rappresentata dal supermercato tutti cercano di possedere le stesse cose. Il consumismo sta nel possedere le ultime novità reclamizzate alla Rai. L'importante è possedere l'ultima novità, è ostentare che si possiede .

Le prime associazioni che difendono gli interessi dei consumatori contro le frodi alimentari (estrogeni nelle carni, oli - margarine - burri falsificatii con grassi animali, vino falsificato . ) e i ricarichi ingiustificati dei commercianti, nascono alla fine degli anni '50 e si sviluppano soprattutto negli anni '70.

Nel '68 la contestazione studentesca-operaia mette in crisi il fenomeno del consumismo, in quanto il reddito spendibile per i nuovi consumi indotti è troppo basso. Le rivendicazioni operaie infatti sono sostanzialmente di tipo salariale. Nel 1969 l'orario di lavoro era di 46 ore settimanali. I redditi mensili degli operai oscillano tra le 50.000 e le 60.000 mensili.

Verso la fine degli anni '70 si sviluppa il consumismo della distinzione: ognuno cerca di possedere qualcosa di personalizzato. Si sta più attenti a quello che si compra anche perché nel 1973 c'è stata la prima grande crisi petrolifera che ha fatto aumentare i prezzi di tutte le materie prime, salire l'inflazione, aumentare la disoccupazione, calare la produzione .

La crisi energetica ridimensiona l'idea che il progresso sia lineare, continuo, illimitato .

Dal 1946 ad oggi la spesa per l'alimentazione è scesa dal 62% al 26%, mentre è nettamente salita la spesa per i consumi non alimentari.

Intanto la famiglia borghese si è andata frantumando. Il mercato tende sempre più a privilegiare il single.

Sono aumentate le cosiddette subculture di gruppi che fanno tendenza, riconoscibili da un look particolare.

Si è sviluppata un'informazione di tipo globale: questo fa sì che il consumismo esca dai confini nazionali e che le mode diventino presto un fenomeno di massa.

Il consumo sta assumendo sempre più aspetti simbolici e comunicativi che prima non aveva. Si acquistano Cd, computer, ecc. anche perché attraverso di essi si pensa di allargare i propri rapporti sociali.







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