storia dell arte |
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Nel 448 a.C., progettando la ricostruzione dell'intera acropoli, Pericle aveva affidato l'incarico di riedificare il tempietto di Atena Nike all'architetto Kallicrate (metà del V secolo). Ma la necessità di dare la priorità al partendone e ai propilei e uno scontro fra Kallicrate e Mnesicle per l'area da occupare ne ritardarono l'inizio dei lavori fino al 430. è un piccolo edificio sporgente da uno sperone di ordine ionico. Infatti le sue misure, così ridotte, non sarebbero state in grado di sostenere la gravità dell'ordine dorico. Ne risulta un tempietto pieno di grazia, che interagisce direttamente con l'atmosfera, inserendosi dentro di essa tramite il doppio porticato, che fa penetrare la luce donando alla struttura un ambiente luminoso e vibrante.
Essa ha quattro colonne frontali.
L'Eretteo è di ordine ionico, opera di Filocle. È un edificio complesso, nonostante le proporzioni limitate. In esso Filocle ha dovuto riunire ambienti dedicati a culti diversi, tenendo conto del dislivello del terreno. È perciò assimetrico e sembra quindi andar contro la legge greca di unità. Ma sarebbe sbagliato credere che l'equilibrio greco si basa su una simmetria artificiale. Qui, ancora di più che nel tempietto di Atena Nike, le sporgenze dell'edificio, si inseriscono liberamente nell'atmosfera con leggerezza grazie all'ordine ionico. Anzi per accentuare la leggerezza che caratterizza questo tempio, la parte sud è stata chiusa da un semplice muro rettilineo ed è stata collocata, invece del pronaos, una celletta, detta delle Cariatidi. Infatti le colonne, anche se di ordine ionico e quindi molto eleganti, sono state sostituite da morbide ure femminile, caratterizzata da un portamento rilassato e da lunghi pepli ricchi di pieghe che creano molte ombre. Ricordiamo le Cariatidi sono di origine ionica. Sono le korai canefore, ovvero "portatrici di ceste".
Scultura e architettura del IV secolo a.C.
È dunque un lungo periodo di drammatica decadenza dove vengono contraddetti i valori nella quale si era creduto. Ci si chiedeva come continuare ad affermare la supremazia della ragione sulla forza quando essa era stata l'unica a prevalere. Oppure perché continuare ad invocare la protezione e la giustizia degli dei quando essi si mostravano indifferenti alle vicende degli uomini e non ascoltavano le preghiere che essi gli rivolgevano. Un esempio di ciò si ha nella tragedia greca di Euripide, le Troiane, quando Ecuba, alla quale viene strappata la patria, i li e il marito, invoca gli dei prima di essere portata via schiava dai greci, dopo la caduta di Troia. Ci si chiedeva anche come continuare a credere nello stato ateniese che pure dopo la tirannide ha ristabilito la democrazia, quando questo stato condanna a morte un giusto, Socrate, che ha insegnato agli uomini ad obbedire alle leggi. Per per tutto il 6 secolo e per la prima metà del 5, l'arte greca si è concentrata sulla ricerca dell'assoluto, dell'uomo ideale caratterizzato da proporzioni perfette, fino a che Fidia, nell'età di Pericle, non trova un punto di incontro fra l'umano ed il divino. Nel 4 secolo l'attenzione dell'artista si sposta sull'uomo e sull'ambiente, dopo che Protagora aveva sostenuto l'impossibilità di parlare degli dei: l'uomo, in quanto tale, non può che conoscere se stesso. Per questa ragione gli artisti sviluppano le idee di Paionios, dispongono liberamente la ura nello spazio: non più l'immobilità, espressione del divino, ma la mobilità, espressione dell'umano.
Skopas è originario dell'isola di Paro, è attivo nel Peloponneso, nell'Asia minore, ma soprattutto nell'Attica. Di lui ci giunge poco. Sappiamo che interpreta il dramma umano, opera in marmo, salvo l'eccezione di una statua in bronzo, egli rafura gli dei più vicini ai sentimenti umani: Afrodite, dea dell'amore e Dioniso, il dio dell'ebrezza, dello slancio vitale. Fra le opere conosciamo alcuni frammenti del frontone del tempio di Atena a Tegea, in Arcadia. È possibile, osservando le teste dei guerrieri, riconoscere i caratteri fondamentali della sua arte: la fronte convessa, alla quale si oppone la profondità delle orbite con il grande occhio spalancato, le guance e la bocca tese. Ne consegue un contrasto fra le parti illuminate e quelle in ombra. Il pathos scopadeo è un modo di esprimersi drammatico. Non è cioè l'espressione del dramma individuale, ma del dramma collettivo. Nella Menade danzante, l'equilibrio ponderato viene perso e il corpo si articola in due direttrici divergenti, una che va dalla gamba alla vita e l'altra che parte dalla vita alla testa. Ciò accentua la mobilità del corpo. La superficie marmorea impedisce alla luce di adagiarvisi, la costringe a sbalzi continui ed impetuosi. Il movimento scopadeo è improvviso. Attraverso la violenza del moto l'uomo conquista il suo ambiente: non ne fa parte in un rapporto equilibrato, lo domina. In altre opere forse per influsso di Prassitele, Skopas sembra placare il furor. Nel periodo più tardo della sua attività, Skopas insieme ad altri tre scultori, Timoteo, Briasside e Leocare lavora ai fregi del Mausoleo (tomba monumentale) di Alicarnasso. Quali dei frammenti spettino ad uno o ad un altro artista è difficile dire.del resto le parti giunte a noi sono molto vicine al suo stile. IL frammento di amazzonomachia è caratterizzato dalla novità di far cavalcare al contrario una guerriera sul cavallo, per ottenere una forte divergenza fra la direzione del cavallo e quella della guerriera. È questo il motivo stilistico dominante. Anche nel combattente la lunga linea obliqua del copro è contrastata dalla direzione della coscia destra. Il guerriero infatti si ritrae rapidamente per evitare l'assalto dell'amazzone. L'ombra, che accomna il rilievo esaltandolo, assume la funzione di linea di contorno e accresce lo scatto delle ure.
Attivo durante la metà del 4 secolo è lio dello scultore Cefisodoto, sceglie per le sue statue, come Skopas, gli dei più vicini ai sentimenti umani e inserisce le sue opere nello spazio, in modo graduale, dolcemente. Ricordiamo i rilievi di Mantinea, dove le ure, in atteggiamento di riposo, sono armonicamente distanziate fra loro, si staccano morbidamente dal piano di fondo. Tali rilievi (3) rappresentano la Gara fra Apollo e Marsia. Nella prima lastra troviamo a sinistra seduto, Apollo che ha già terminato la sua esibizione e attende l'ovvio esito della gara, a sinistra vi è Marsia che sta suonando il flauto e al centro Scita, con un coltello in mano, pronto ad uccidere Marsia per avere sfidato un dio. Nelle altre due lastre vi sono le Muse che accomnano Apollo e, secondo la tradizione, giudici della gara.
Un'altra opera di Prassitele è l'Afrodite di Cnido, di cui ci giungono numerose copie romane. La grazia con la quale Prassitele tratta le superfici marmoree è adatta a rendere bellezza al corpo femminile nella sua nudità. La dea sta per entrane nel bagno dopo aver posato la veste su un vaso.
Nel 1877, nella cella del Tempio di Hera a Olimpia, viene scoperta un statua di Ermes con Dioniso bambino che viene attribuita a Prassitele. È stata inizialmente ritenuta originale da tutta la critica ma successivamente è stata assegnata come copia o come opera di un altro Prassitele, discendente dal primo . Tuttavia i caratteri stilistici sono talmente vicini a Prassitele che potremmo considerare sua l'opera. Prassitele rappresenta un dio, ma un dio in atteggiamento umano di un padre o di un fratello maggiore, che gioca scherzosamente con il bambino. Per sostenere il piccolo col braccio sinistro, il corpo si sbilancia su un lato e si appoggia su un tronco per riacquistare l'equilibrio. Inoltre il braccio sinistro tiene un grappolo d'uva verso il quale il piccolo Dioniso tende il braccio. La superficie marmorea è trattata con delicate sfumature, e vi sono tenui trapassi dalla luce all'ombra, con sottili vibrazioni. Una caratteristica ricorrente nello stile di Prassitele è la veste gettata con negligenza sul piano d'appoggio del corpo, in questo caso il mantello ricco di pieghe e quindi di ombre. Le labbra e i capelli recano tracce di policromia. I greci usano dipingere le statue e giungono perfino a servirsi di materiali diversi: non soltanto oro ed Avorio, nelle statue bronzee si usano anche argento, rame e paste vitree. Nel caso di Prassitele sappiamo che, fra le sue opere preferiva quelle ritoccate da Nicia, il quale gli forniva una miscela trasparente di olio e cera con cui ricopriva il marmo, così da dargli un caldo tono ambrato.
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