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LA DESTRA E LA SINISTRA STORICA

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LA DESTRA E LA SINISTRA STORICA


La morte prematura di Cavour aveva lasciato un compito immane al gruppo che egli aveva posto al centro del processo risorgimentale. Il modo in cui si era compiuto il processo di unificazione rendeva automatico l'estendersi al resto del paese il regime sabaudo, di tipo costituzionale moderato e con base elettorale censitaria ristretta. Il gruppo politico che raccolse il mandato di Cavour fu la cosiddetta Destra storica formata dai gruppi dirigenti moderati dei vari ex-stati, che avevano appoggiato la lotta per i referendum dell'annessione. Come per la Sinistra, non si trattava di un partito vero e proprio, ma un insieme di gruppi economici, politici e culturali, accomunati da interessi ed idee (la visione liberale, l'atteggiamento laico e la concezione centralistica dello stato). La Deastra storica fu in generale contraria agli atteggiamenti protezionistici, in nome di un liberalismo gradito ad alcuni settori manifatturieri e agricoli già affermati. Sentì anche la necessità di mantenere rapporti positivi con gli altri paesi europei, tutti più forti del nostro sia militarmente sia economicamente. Preferì, inoltre, organizzare un sistema di imposte abbastanza elevate, che colpiva le popolazioni povere e specialmente l'agricoltura meridionale, nella convinzione che altrimenti mancassero al Paese le risorse per un rinnovamento del sistema produttivo sul modello degli altri paesi europei. Gravava, infatti, sulla nuova Nazione l'enorme debito pubblico ereditato dagli ex-stati: occorreva predisporre infrastrutture e servizi, a cominciare dai mezzi di trasporto e dalle linee ferroviarie. Contemporaneamente emergevano le differenze tra le economie tra le varie aree geografiche (NordÛSud) che purtroppo nei primi anni dell'unità si accrebbero ulteriormente. La cosiddetta "questione meridionale" evidenziò tale fenomeno di arretratezza che coinvolgeva le popolazioni, nell'inerzia di uno stato che non seppe rimuovere i rapporti di forza consolidati e che dovette affrontare fenomeni come il brigantaggio, alimentato anche dalla ribellione al amento di tasse troppo esose e all'obbligatorietà del servizio militare. Tutto questo favorì il rafforzarsi dell'antico costume mafioso. La Destra, attaccata per il suo laicismo, era debole anche per le condizioni interne e internazionali che rendevano incompleto il Risorgimento; le fu imputato, infatti, dalla Sinistra e dai democratici di non rivendicare con forza il Veneto e soprattutto Roma, che la Francia imperiale difendeva al nome del Papa. Soltanto la sconfitta austriaca nella terza guerra d'indipendenza e quella francese nella guerra franco-prussiana consentirono alla destra di completare il suo programma, senza impedire, però, che l'atteggiamento ostile della chiesa vietasse la partecipazione politica da parte dei cattolici e, dunque, precludesse un reale confronto nel paese. La destra si sentì accerchiata dall'arretratezza del paese e da questi problemi; pertanto preferì un rigido centralismo. Ma la principale debolezza della Destra fu la divisione in gruppi di interesse, che la rese sempre sostanzialmente in balia di comitati d'affari, tanto che, nel 1876, su una questione fondamentale come quella delle costruzioni ferroviarie, piena di implicazioni affaristiche, la sua maggioranza finì per sciogliersi come neve al sole. Nel 1876, caduta la Destra sulla questione ferroviaria, la camna elettorale per il nuovo parlamento fu caratterizzata dalla proposta politica di Depretis, il rappresentante più autorevole del settore politico detto "Sinistra storica". Come la Destra, era anche questo un gruppo complesso, senza identità di partito politico moderno, e costituito da varie aggregazioni, che andavano dalla parte più progressista del movimento costituzionale piemontese agli esponenti del vecchio partito d'azione di ascendenza mazziniana ed ad altre esperienze di tipo democratico. Legami fra le variegate ideologie di provenienza erano un comune giudizio sulla politica fiscale e centralistica della Destra, la condivisa convinzione protezionistica e un laicismo che, se era in parte simile a quello dei rivali politici, premeva di più per un'azione di forza nella "questione romana". Socialmente la Sinistra rappresentava gli interessi di ceti borghesi medi e piccoli, commercianti e funzionari, ma anche di gruppi agrari specialmente nel Mezzogiorno. Inoltre essa era il prodotto della convergenza di diversi gruppi regionali d'interesse. Il principale punto di riferimento dell'azione di Depretis, che sul suo programma conquistò la maggioranza in Parlamento, fu l'allargamento della base elettorale, con leggi meno selettive e, soprattutto, sottratte al criterio quasi esclusivamente censitario. Depretis fu accusato di aver aiutato il proprio successo e la propria azione parlamentare con il cosiddetto "trasformismo" (tendenza politica per cui la maggioranza parlamentare coltiva, in modo sotterraneo, accordi con la minoranza), ottenendo talora, attraverso lo scambio politico, il consenso dell'opposizione; d'altra parte la debolezza anche numerica della maggioranza parlamentare avrebbe reso altrimenti incerta e debole la "navigazione" del governo. La riforma elettorale, approvata nel 1882, fu, in questo senso, il cardine attorno a cui ruotarono gli altri provvedimenti che ottennero però risultati limitati da compromessi. Così fu per la legge Coppino sull'istruzione obbligatoria che, nel 1887, rendeva più stretti gli obblighi delle famiglie e dei comuni, ma che non riuscì a cancellare radicalmente l'analfabetismo. Anche la riforma fiscale, che aboliva alcune imposizioni particolarmente invise alla popolazione come la tassa sul macinato, non portò in realtà ad una diminuzione di tali proventi nelle casse dello stato, fornito di scarse risorse proprie e ancora poco inserito nel mercato internazionale. La difesa dell'economia, anzi, fu perseguita attraverso un forte protezionismo, assolutamente diverso dal liberismo della Destra. Il protezionismo favoriva i desideri dei gruppi manifatturieri del Nord di rilanciare il sistema produttivo italiano verso quei processi di rivoluzione industriale che altrove erano già stati compiuti; ma il prezzo di questi provvedimenti ricadde sostanzialmente sui settori più deboli dell'agricoltura meridionale, vincolati da un sistema di rapporti sociali che anche il nuovo gruppo dirigente non seppe modificare. In parte, questo fu dovuto al fatto che, nella Sinistra, erano inserite clientele forti ed importanti del Mezzogiorno, che subordinarono l'appoggio in Parlamento alla difesa di interessi costituiti. La conseguenza della politica economica fu anche la rottura di importanti relazioni internazionali, cui la Sinistra tentò di sottrarsi agendo su due piani: da una parte si unì, con la Triplice Alleanza, all'Austria, tradizionale nemica, ed alla Prussica; dall'altra, avviò programmi colonialistici e imperialistici, destinati a dar sfogo all'esuberanza della manodopera agricola, ma soprattutto a garantire l'immagine di potenza internazionale e a rilanciare la produzione della grande industria. Qui, però, la Sinistra misurò il principale fallimento, tanto che il maggior sostenitore di questi programmi, Crispi, fu travolto dalla sconfitta di Adua, nel 1896 (contro le truppe del Negus d'Etiopia).







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