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La rivoluzione Russa e la guerra civile 1917-21

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La rivoluzione Russa e la guerra civile 1917-21

Agli inizi del Novecento il 70% della popolazione russa viveva nelle camne.

Le condizioni di vita dei contadini erano miserabili e la maggior parte dei terreni apparteneva ai kulaki (contadini agiati) o ai grandi proprietari terrieri.

Nelle maggiori città ( Mosca, Pietroburgo, Odessa ) cominciava a nascere una classe operaia che viveva in condizioni non certo migliori di quelle dei contadini, orari prolungati e salari bassissimi.

Nel febbraio del 1917 uno sciopero operaio e un'insurrezione di soldati fecero crollare l'impero degli zar.

La delegittimazione del potere monarchico unì le forze dell'opposizione:

esponenti dell'aristocrazia liberale

borghesi del Partito Costituzionale Democratico

gruppi di ispirazione socialista rivoluzionaria, divisi in menscevichi guidati da Martov e bolscevichi guidati da Lenin.

Il dissenso fra questi due gruppi verteva soprattutto sulla concezione del partito: per i bolscevichi doveva essere un ristretto manipolo di rivoluzionari fortemente centralizzato; per i menscevichi invece doveva trattarsi piuttosto di un'organizzazione aperta a tutti i simpatizzanti. I pareri dei due gruppi erano contrastanti anche riguardo la rivoluzione. I bolscevichi credevano in una rivoluzione possibile e portata avanti dal proletariato, i menscevichi, riponendo la loro fiducia nella borghesia ritenevano che i tempi non fossero ancora pronti per la rivoluzione.



Durante la rivolta di Pietroburgo nacque il soviet dei lavoratori organismo di massa che rappresentava la classe operaia, che ebbe vita brevissima ma contribuì a rendere evidente che il proletariato doveva farsi carico della rivoluzione democratica.

I primi tre anni di guerra portarono ad una situazione caratterizzata da ricorrenti ondate di scioperi. Tra il gennaio e il febbraio 1917 la situazione precipitò e scoppiò a Pietroburgo una rivolta di operai e di soldati che ebbe come conseguenza inaspettata l'abdicazione dello zar Nicola II.

Due differenti organismi salirono al potere : il governo provvisorio e il soviet di Pietrogrado, spontaneamente ricostituito dopo la rivoluzione di febbraio, che avevano però obiettivi diversi; il primo voleva limitarsi alla creazione di uno stato socialdemocratico, il soviet ambiva alla pace immediata e alla ridistribuzione delle terre.

Nel febbraio del 1917 Lenin si trovava in esilio in Svizzera e quindi non fu presente alla prima parte della rivoluzione.

Secondo i menscevichi la rivoluzione di febbraio era il massimo traguardo raggiungibile.

Al suo ritorno Lenin affermò, con le tesi di aprile, che il potere doveva passare nelle mani del proletariato e degli strati poveri delle classi contadine.

Lenin affermava inoltre la necessità di una repubblica dei soviet, bisognava superare il dualismo al potere (governo provvisorio e soviet) con l'obbiettivo del passaggio di tutto il potere ai soviet.

La disgregazione dell'esercito e le condizioni economiche e sociali sempre peggiori portarono i bolscevichi a ottenere la maggioranza relativa alle elezioni di giugno.

Nel vuoto di potere legale i soviet erano l'unico punto fermo e nella notte del 25 ottobre/7 novembre i membri del governo provvisorio vennero arrestati e la rivoluzione risultò più simile a un colpo di stato, senza spargimenti di sangue.

Fu quindi costituito il primo governo rivoluzionario guidato da Lenin.

Le prime disposizioni furono:

giungere al più presto a una pace senza annessioni né indennità

la nazionalizzazione della terra

l'uguaglianza di tutti i popoli della Russia

La pace di Brest-Litovsk impose alla Russia condizioni gravose:

indipendenza dell'Ucraina

occupazione tedesca della Bielorussia

perdita della Polonia

perdita dei paesi baltici

ma era un passo inevitabile e necessario per poi potersi occupare della ricostruzione e della guerra civile.



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