ePerTutti


Appunti, Tesina di, appunto varie

ASSOCIAZIONI PER LA DIFESA DEI DIRITTI UMANI E PROBLEMI ATTUALI

ricerca 1
ricerca 2

ASSOCIAZIONI PER LA DIFESA DEI DIRITTI UMANI E PROBLEMI ATTUALI



AMNESTY INTERNATIONAL


Mettere fine agli arresti segreti, alla tortura e agli omicidi richiede un lavoro organizzato e internazionale. Accanto agli organismi governativi (come ad esempio l'ONU e tutti gli altri organi che da essa dipendono), possiamo trovare anche numerose organizzazioni internazionali, tra le quali Amnesty International.

Amnesty International è un movimento internazionale, indipendente da qualsiasi governo, interesse politico o credo religioso. Essa fu fondata nel 1961 e lavora per la promozione e la difesa dei diritti umani, concentrando la sua attività in particolare sui casi dei singoli prigionieri. Possiede uno status consultivo presso le Nazioni Unite e ha ricevuto il premio Nobel per la pace nel 1977.




Gli obiettivi di Amnesty International

Ø  Si batte per la liberazione e l'assistenza di prigionieri per motivi di opinione: uomini e donne detenuti per le proprie opinioni, il colore della pelle, il sesso, l'origine etnica, la religione, che non abbiano usato violenza o non ne abbiano promosso l'uso.

Ø  Sollecita procedure giudiziarie eque e rapide per i prigionieri politici e lavora a favore di coloro che si trovano detenuti senza processo o imputazione.

Ø  Si oppone incondizionatamente alla pena di morte e alla tortura, così come a ogni altro trattamento crudele e degradante per la persona umana.

Ø  Si oppone alla pratica delle sparizioni e delle esecuzioni attuate arbitrariamente dai governi, così come agli omicidi avvenuti ad opera di gruppi armati di opposizione ai governi.

Ø  Svolge un'attività di educazione ai diritti umani attraverso la quale promuove la consapevolezza e l'aderenza alla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo e ai valori in essa contenuti.


Le tecniche

Per attuare i suoi obiettivi, Amnesty Internatinal usa tecniche diverse, tutte miranti ad esercitare una forte pressione sui governi. Le tecniche di intervento variano a seconda della situazione ma sono essenzialmente quattro:

Ø  Tecnica dell'adozione: azioni a lungo termine intraprese in caso di prigionieri di opinione condannati a molti anni di detenzione.

Ø  Azioni urgenti: vengono attuate nel caso di persone in serio pericolo di vita o di tortura che necessitano pertanto di un'azione tempestiva e concentrata nelle ore immediatamente dopo l'arresto.

Ø  Le camne: consistono in una massiccia mobilitazione del movimento. Esse hanno il duplice obiettivo di denunciare le violazioni dei diritti umani, cercando di colpire l'opinione pubblica, coinvolgendola in azioni concrete a favore delle vittime, e di esercitare al tempo stesso una forte pressione sulle autorità dei paesi dove questa violazioni si verificano.

Ø  Reti d'intervento su aree regionali: sono state studiate per fronteggiare situazioni in cui il metodo dell'adozione è inefficace.




LA PENA DI MORTE


L'articolo 3 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo riconosce ad ogni persona il diritto alla vita e l'articolo 5 afferma in modo categorico che "nessun individuo potrà essere sottoposto a tortura o a punizioni crudeli, disumane o degradanti".

La crudeltà della pena di morte è evidente. Come la tortura, un'esecuzione rappresenta un estremo insulto, fisico e mentale, a una persona già resa inerme dall'intervento delle autorità governative. La pena di morte nega il valore della vita umana. Essa inoltre può comprendere altre violazioni ai diritti umani. Non solo c'è un pregiudizio etnico e razziale, non solo ci sono leggi che permettono di condannare a morte i minorenni e le persone con un quoziente intellettivo inferiore alla norma, ma c'è anche il sospetto che la pena di morte venga utilizzata come mezzo di pulizia sociale, di epurazione.

Inoltre alcuni paesi non prevedono la pena di morte solo per l'omicidio (il reato capitale per eccellenza), ma anche per reati minori, come piccoli furti.

Spesso poi tra i condannati a morte vi sono i perseguitati per motivi politici e religiosi, persone a volte colpevoli di soli reati di opinione, che non hanno usato alcuna violenza.

Ci si aspetterebbe che, in un paese dove vige la pena di morte per determinati reati, siano previste anche particolari garanzie, al fine di evitare di commettere errori giudiziari purtroppo irrimediabili. E invece solo raramente è così. Alcuni processi celebrati in Iran di recente sono durati solo pochi minuti, davanti ad un giudice non indipendente (un'autorità religiosa) e si sono conclusi con una sentenza di morte inappellabile eseguita quasi immediatamente.

Un terzo aspetto che riguarda la pena di morte in pratica, ovvero la pena di morte effettivamente eseguita, è quello del metodo di uccisione. Sembra che non esistano metodi indolori. E certamente non lo sono quelli attualmente utilizzati. Per quanto riguarda la morte attraverso la sedia elettrica, sono noti negli Stati Uniti diversi casi in cui sono state necessarie varie scosse prima che il detenuto morisse. E' per questo motivo che l'esecuzione capitale, oltre a violare il diritto alla vita, è anche una forma di tortura fisica.


I dati sulla pena di morte

La metà dei paesi del mondo ha abolito la pena di morte di diritto o di fatto. Le informazioni più recenti possedute da Amnesty International mostrano che:

Ø  72 paesi hanno abolito la pena di morte per tutti i reati

Ø  13 paesi hanno abolito la pena di morte per tutti i reati tranne che per quelli eccezionali e per quelli commessi in tempo di guerra

Ø  21 paesi si possono considerare abolizionisti di fatto: mantengono la pena di morte ma non eseguono condanne a morte da più di dieci anni


In totale 106 paesi hanno abolito la pena di morte nella legge o nella pratica. 89 paesi mantengono la pena di morte, ma il numero di paesi che eseguono condanne è sempre più esiguo ogni anno

Secondo i dati in possesso di Amnesty International, nell'anno 2000 almeno 1625 persone sono state giustiziate in 37 paesi e almeno 3899 persone sono state condannate a morte in 78 paesi.


La pena di morte in Italia

In Italia tutti gli stati preunitari, ad eccezione della Toscana, prevedevano la pena di morte, che nel 1889 fu abolita dall'ordinamento del Regno d'Italia con il codice Zanardelli. Reintrodotta dal fascismo per i più gravi delitti politici con le Leggi Fascistissime nel 1926, e per quelli comuni nel 1930, fu definitivamente sostituita dall'ergastolo con un decreto legislativo dell'agosto 1944,dopo la caduta del fascismo. La Costituzione italiana, ribadendone all'articolo 27 il divieto e riaffermando il principio secondo il quale le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso dell'umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato, ha lasciato in vigore la pena di morte solo per i casi previsti dalla legge militare. Anche questi casi sono però definitivamente caduti nel 1994.


Costituzione Italiana

Articolo 27, comm. 3 e 4

Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.

Non è ammessa la pena di morte.



Il dibattito sulla pena di morte: tesi a favore dell'abolizione e del mantenimento

Il dibattito tra i sostenitori della pena di morte e gli abolizionisti è relativamente recente. Per secoli il problema se fosse lecito condannare a morte un detenuto non è stato neppure posto. Bisogna giungere all'illuminismo per trovarsi per la prima volta di fronte a un dibattito su questo argomento. In particolare è stata molto importante l'opera di Beccaria, "Dei delitti e delle pene", dove egli sostiene la tesi che la pena di morte non è utile (necessaria), in quanto non occorre che le pene siano crudeli per fungere da deterrenti, l'importante è che siano certe.

Ma è solo dall'ultimo dopoguerra che la pena di morte è stata presa in considerazione come eventuale violazione di diritti umani internazionalmente tutelati.

In primo luogo se ne discute riguardo al diritto alla vita, ci si chiede cioè se la pena di morte possa costituire o no un'eccezione a tale diritto. Essa, da questo punto di vista, viene giustificata considerandola come una forma di legittima difesa dello stato. Ma ha senso affermare che uno stato può agire in legittima difesa contro un individuo? Da una parte lo stato, che detiene il monopolio della forza, ha a disposizione pene alternative. Dall'altra, la pena di morte inflitta al termine di un processo non è più una reazione immediata al crimine (come dovrebbe essere la legittima difesa) ma un "omicidio legale premeditato".

Esiste poi una teoria utilitaristica della pena di morte, che fa riferimento al suo poter deterrente. Ma in molti casi di omicidio o violenza (ovvero di reato spesso commesso sotto l'effetto di droghe, alcool, o comunque in condizioni in cui l'omicida manca di lucidità) sembra improbabile che l'assassino possa calcolare a mente fredda le conseguenze del suo gesto. Nei casi invece in cui egli è in grado di esaminare tutte le possibili conseguenze del crimine che intende commettere, è probabile che ritenga di avere buone possibilità di non essere punito. In altre parole, sembra confermata la tesi di Beccaria: è l'incertezza della pena e non la sua lievità a far venir meno l'effetto dissuasivo.

Ma la tesi abolizionista della mancanza di deterrenza della pena di morte ha un punto debole: se si potesse dimostrare che, in dato momento e in determinate circostanze, la pena capitale ha avuto un effetto dissuasivo, l'intero argomento a favore dell'abolizione verrebbe a cadere.

E' per questo che gli abolizionisti fanno riferimento anche ad altri elementi, come ad esempio il problema dei recidivi. Non c'è dubbio che l'esecuzione di una sentenza di morte impedisca al condannato di commettere altri crimini, non è questo il problema di cui si discute. La prima questione è piuttosto di sapere in che misura si può stabilire se un detenuto commetterà ancora lo stesso crimine. Qui entra di nuovo in gioco il problema dei mezzi alternativi a disposizione dello stato per impedire che ciò accada. Diversi studi indicano la difficoltà estrema di fare previsioni a lungo termine in fatto di recidiva. In conclusione, secondo i sostenitori della pena di morte, questa rappresenta un modo certo per impedire che un criminale possa continuare a mietere vittime. Per gli abolizionisti si tratta di un sistema di giustizia criticabile in quanto si affida a provvedimenti irrevocabili sulla base di previsioni assai incerte.

Si discute della pena capitale anche sul piano etico, domandandosi se questa sia "giusta" o no. Essa si giustifica, in questa prospettiva, come punizione perfettamente corrispondente al crimine commesso. Ma i diritti fondamentali non possono essere sottratti ad un individuo perché ha commesso un crimine, per quanto crudele possa essere.

Questo argomento porta ad alcune considerazioni importanti. Esiste davvero un sistema giudiziario in grado di stabilire con esattezza chi merita di morire, ovvero chi merita una pena che ha il carattere drammatico dell'irreversibilità? Gli errori sono purtroppo presenti in tutti i sistemi giudiziari, e un errore commesso sulla pena capitale è l'unico a cui non si può porre rimedio.



Un caso recente: Missione per Safyia


Safya Husseini è una donna nigeriana che ha avuto un lio   fuori dal matrimonio, dopo il divorzio dal suo terzo marito e per questo, è stata condannata ad essere sepolta nel terreno fino all'altezza del seno e ad essere lapidata dai suoi concittadini. La sua storia mescola stupro, intrighi amorosi e leggi ingiuste. Il cugino del suo ex marito, dopo il divorzio, l'ha corteggiata a lungo e, in seguito al suo rifiuto, l'ha stuprata. A Safyia però non è mai stata data la possibilità di dimostrarlo. Il suo crimine, l'avere avuto un bambino fuori dal matrimonio, è considerato gravissimo dalla Sharia, la legge islamica. Ma non prevede sempre una punizione così crudele: se Safyia non fosse stata sposata prima, se la sarebbe cavata "soltanto" con 100 frustate. Attorno alla donna è scattato un movimento di solidarietà che ha coinvolto le maggiori associazioni umanitarie del mondo e che ha spinto il presidente della Nigeria a intervenire affinchè a Safyia fosse concesso di difendersi in appello. La sentenza di colpevolezza è stata così annullata e ora Safya può vivere e far crescere la sua bambina.






L'INFANZIA VIOLATA: I BAMBINI NEI CONFLITTI ARMATI


Non esiste aspetto della vita di un bambino che non sia sconvolto dalla guerra. I conflitti armati mettono in pericolo la loro vita non solo per il rischio di essere coinvolti in azioni militari, ma anche per alcune inevitabili conseguenze della guerra, come ad esempio la mancanza di derrate alimentari, di acqua potabile e di assistenza medico-sanitaria. Ma anche quando non ne mette in pericolo la vita, la guerra interferisce ugualmente con lo sviluppo dei minori: la disintegrazione delle comunità li priva di radici sociali e culturali, la distruzione della struttura familiare fa mancare loro stabilità emotiva. La guerra mette anche in pericolo in futuro dei bambini. La chiusura delle scuole e l'impossibilità di accedere a un'istruzione di base pregiudica la vita dei minori, che senza un'alfabetizzazione adeguata o una preparazione professionale saranno condannati a una vita di lavori sottoati e quindi di povertà.


Crisi dei servizi medici

In diretta violazione delle leggi umanitarie, nella maggior parte delle guerre, molte strutture sanitarie sono attaccate e distrutte. Lo stesso personale medico è oggetto di aggressioni e intimidazioni. Inoltre gli ospedali, anche se funzionanti, mancano spesso di adeguate scorte mediche sia per la difficoltà di reperimento, sia perché i fondi a esse destinati sono invece impiegati nell'industria bellica. Bisogna anche tener conto che molti conflitti avvengono in paesi dove, anche in tempo di pace, il sistema sanitari è carente.


Malnutrizione

Una conseguenza della guerra è anche la diminuzione delle scorte alimentari. Questo può essere dovuto al fatto che i contadini, per paura di essere coinvolti nel conflitto, abbandonano i campi facendo così diminuire la produzione agricola. Un altro motivo è la difficoltà, in tempo di guerra, di reperire sementi e attrezzi agricoli e soprattutto i problemi negli spostamenti, per cui i coltivatori non possono portare i prodotti al mercato per venderli. Non di rado poi, per mettere in crisi un paese, le zone coltivate vengono disseminate di mine e diventano così inutilizzabili.

Quale che sia la causa, la diminuzione delle risorse alimentari colpisce soprattutto i minori e provoca varie forme di malnutrizione.


L'istruzione

Durante una guerra l'istruzione può essere difficile, se non impossibile. Anche le scuole infatti, come gli ospedali, possono essere bersaglio di attacchi e saccheggi. Spesso, se non vengono distrutte, le scuole sono utilizzate come rifugio per gli sfollati. Inoltre gli insegnanti stessi possono diventare bersaglio di attacchi, perché sono personaggi di spicco di una comunità, sono coloro che devono trasmettere la cultura di un popolo che si vuole sterminare.

La distruzione del sistema educativo ha effetti molto gravi non solo per il bambino, ma anche per il futuro di una nazione appena uscita dalla guerra. Essa infatti priva il paese di risorse umane indispensabili alla ricostruzione e a un rapido recupero economico e sociale.


IL PROBLEMA DELLE MINE


Le mine anti-uomo, usate su vasta scala fin dalla prima guerra mondiale, sono dispositivi predisposti per uccidere e ferire chiunque entri in loro contatto attraverso un innesco che può essere un interruttore o un filo. Possono rimanere attive anche per 50 anni, in campi privi di alcuna segnalazione. Restano nascoste nel terreno o nella vegetazione finchè la mano di un bambino o il passo di un contadino casualmente non le urtano. Sono un'arma di guerra, ma è soprattutto la popolazione civile a arne il prezzo in tempo di pace.

Saddam Hussein, nel 1991, quando le sue truppe furono costrette a ritirarsi dal Kurdistan, disse: "Ci siamo spostati, ma il nostro esercito è ancora lì"

Alcuni dati riguardo le mine:

Ø  119 milioni sono le mine attive in 71 paesi, per lo più paesi in via di sviluppo

Ø  c'è una mina ogni 48 abitanti del pianeta e una ogni 16 bambini

Ø  200 milioni sono le mine immagazzinate in 108 paesi

Ø  una vittima ogni 20 minuti

Ø  nel 90% dei casi le vittime sono civili

Ø  nel 20% dei casi le vittime sono bambini

Ø  2000 è il numero delle vittime ogni mese.



Uno dei tanti modelli di mine anti-uomo prodotte nel mondo

L'Italia e le mine

A partire dal 1970 il nostro paese è diventato il maggior produttore ed esportatore al mondo di mine. Finalmente, il 19 novembre 1987, il Parlamento italiano ha approvato la legge 374/97 per la messa al bando delle mine, definendo come mina "ogni dispositivo o ordigno dislocabile sopra, sotto, all'interno o accanto a una qualsiasi superficie, adattato in modo tale da esplodere, causare un'esplosione o rilasciare sostanze dannose come conseguenza della presenza, della prossimità o del contatto con la persona".


Lo sminamento umanitario

Lo sminamento è una condizione essenziale per il ritorno delle popolazioni alla pace e per la ripresa dello sviluppo economico. E' un'operazione mirata alla sicurezza della popolazione civile e si definisce pertanto sminamento  umanitario. Per attuarlo sono stati sperimentati vari metodi, ma sembra che il metodo più efficace sia comunque uno scrupoloso sminamento manuale. Oltre all'intervento di bonifica dei terreni disseminati di mine, è necessario informare sensibilizzare la popolazione del luogo affinchè vengano adottate tutte le precauzioni possibili per evitare incidenti.


I programmi di sensibilizzazione e i bambini

Nei paesi inquinati dalle mine i bambini devono imparare a convivere con la dura realtà che il terreno attorno a loro nasconde insidiosi ordigni che possono esplodere da un momento all'altro. L'obiettivo dei progetti educativi è proprio quello di ridurre il rischio di morte o di ferimento dei bambini, che devono, quindi, essere messi in grado di riconoscere eventuali oggetti pericolosi e di capire cosa succede quando ci camminano sopra, li toccano e ci giocano. Lavorare con i bambini in questo senso non è facile, si corre il rischio di turbare un equilibrio psicologico già compromesso e quindi occorre un'attenzione particolare per mantenere un contatto con la realtà e non minimizzare il rischio pur conservando un atteggiamento positivo. Un progetto interessante è quello dell'associazione Save the Children, che ha organizzato a Kabul incontri nei centri sanitari e nelle moschee, utilizzando materiali didattici adatti ai bambini e metodologie informali, come le attività di gioco, che consentivano ai bambini di adattarsi a vivere in un territorio minato. Persone colpite da mine hanno portato la loro esperienza, per far capire ai bambini quanto è pericolosa una mina e che anche una persona resa disabile può essere un membro attivo e produttivo della società. Al fine di raggiungere un maggior numero di bambini, sono stati formati volontari locali addetti a diffondere queste informazioni.




UN'AIUTO ALLE VITTIME DELLA GUERRA: EMERGENCY

Emergency nasce a Milano nel 1994 per prestare assistenza chirurgica specializzata alle vittime della guerra e delle mine anti-uomo, intervenendo durante il conflitto e nell'immediato periodo post-bellico. Emergency decide i suoi interventi basandosi su due criteri di selezione dei Paesi: l'effettivo bisogno della popolazione di assistenza medico- chirurgica e la scarsità o la mancanza di altri interventi umanitari analoghi nel paese. Questi sono i motivi che hanno portato Emergency in Iraq, Cambogia, Kurdistan, Afghanistan, e Sierra Leone, dove sono stati allestiti centri chirurgici e di riabilitazione.

L'intervento di Emergency viene sempre concordato con le autorità locali e, dove il paese è diviso da un conflitto interno, Emegency è presente su entrambi i fronti, per poter garantire assistenza a tutte le vittime del conflitto.

I centri di Emergency sono luoghi neutrali, che appartengono alla popolazione senza alcuna discriminazione politica, ideologica o religiosa, e prestano assistenza gratuita a tutti i pazienti.

Sono centri altamente qualificati, gestiti da un team internazionale di Emergency, che, nel contempo, si occupa di formare e preparare il personale locale, che sarà così in grado di continuare la gestione del Centro quando Emergency lascierà il paese.


Gino Strada, uno dei fondatori di Emergency e chirurgo attivo nei centri di Emergency nel mondo

Storia di Soran e Felah


Sì è alzato una mattina dello scorso febbraio, con i gesti e i movimenti di sempre. Se ne è andato a fare quello che faceva sempre, che per un bambino di dodici anni significa giocare.


In ospedale, quand'è arrivato gli hanno fatto domande sul suo nome, com'era la mina, se l'aveva vista, che cosa ricordava . Soran ha risposto come poteva, per quel che ricordava, anche perché sentiva un gran dolore, una grande spossatezza.


Al risveglio, dopo l'intervento, ha saputo con certezza che per tutte le altre mattine della sua vita non si sarebbe alzato nello stesso modo, con gli stessi movimenti. Una parte della sua gamba destra non c'era più.

Il suo corpo, le sue possibilità, i suoi sogni, l'idea che aveva di sé e del suo futuro, lui stesso erano un'altra cosa, per sempre.


Nei primi giorni in ospedale la naturale voglia di vivere, la capacità d'adattamento suggerita da questi incidenti e mutilazioni, lo facevano apparire allegro. E davvero lo era, a volte. In altri momenti lo sconforto era troppo grande per essere vinto o nascosto.


Il pensiero dei molti mutilati e amputati che Soran conosce è anche il pensiero di solitudini immobili, di abbandono, di miserie.


Ha inventato un giorno d'avere mal di testa. Poi ha spiegato che non voleva uscire dalla stanza, non voleva incontrare i "fortunati" feriti alla testa o all'addome, che, con la vista compromessa o qualche metro di intestino in meno, torneranno a casa sembrando quel che erano prima.


Come Soran il suo comno e vicino di letto Felah: stessi dodici anni, stessa amputazione alla gamba destra, stesso incidente negli stessi giorni, quasi certamente lo stesso modello di mina.


Come Soran e Felah moltissimi altri, in un catalogo interminabile di sconfinate sofferenze e di esistenze offese.


Un elenco troppo assurdo perché possa continuare. Soran, come Felah e altri, è stato in qualche modo fortunato: non è un numero ma un nome in questo elenco, non è stato abbandonato, perché contro il destino gli è stata proposta una speranza.


Nemmeno due mesi dopo essere stato colpito da una mina, qualche settimana dopo i giorni dello sconforto è della disperazione, Soran ha avuto una protesi, è tornato a camminare, a sorridere, a giocare.


E' troppo bello perché non si ripeta.







Privacy

© ePerTutti.com : tutti i diritti riservati
:::::
Condizioni Generali - Invia - Contatta