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DIRITTO DEL LAVORO - RAPPRESENTANZA NEI LUOGHI DI LAVORO - DIRITTI SINDACALI - LA REPRESSIONE DELLA CONDOTTA ANTISINDACALE - LA CONTRATTAZIONE COLLETT

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DIRITTO DEL LAVORO


1 – IL DIRITTO SINDACALE


ORGANIZZAZIONE SINDACALE:

Struttura complessa con più intrecci e suddivisa sia a livello orizzontale (settori) che a livello verticale (territorio) a loro volta in rapporto tra loro.


Si articola su quattro livelli:

Livello base costituito dalle rappresentanze sindacali in azienda;

Livello provinciale e comprensoriale che comprende sia strutture di tipo verticale che orizzontale;



Livello regionale, anch’esso comprende sia strutture di tipo verticale che orizzontale con maggiori poteri soprattutto visto il recente decentramento amministrativo;

Livello nazionale che comprende le strutture nazionali di categoria e la confederazione.


Si articola altresì su due piani:

Linea verticale: imperniata sul dato di appartenenza alla categoria.
Si distinguono, ad es. tra metalmeccanici, chimici, commerciali, ecc . e sono a loro volta articolate sul piano territoriale fino ad arrivare alle confederazioni di livello nazionale.

a)  Compiti: condurre l’attività contrattuale e di iniziativa nei propri settori.

Linea orizzontale: imperniata sul dato territoriale.
Riguarda le confederazioni CGIL, CISL e UIL che si articolano su 3 livelli, comprensoriale, regionale e le confederazioni nazionali.

a)  Compiti: fissare gli indirizzi fondamentali di politica sindacale, economica e contrattuale.


N.B.: CdF > RSA > RSU

Si iniziò nel ’69 con la nomina, nelle varie aziende, su spontanea iniziativa dei lavoratori, dei delegati di fabbrica (nominati dai diversi uffici e reparti) che costituivano il Consiglio di Fabbrica. I sindacati, vista l’importanza dell’iniziativa, la fecero propria con le Rappresentanze Sindacali d’Azienda modificate con la riforma del ’93 in Rappresentanze Sindacali Unitarie.


RSU: hanno competenze generali di tutela collettiva dei lavoratori in azienda, compresa la titolarità contrattuale nei limiti delle competenze loro attribuite. Sono composte per 2/3 da delegati eletti dai lavoratori secondo le liste sindacali e per il rimanente da delegati designati direttamente dai sindacati nazionali.

E’ organo dell’insieme dei lavoratori, iscritti e non, e dei sindacati nell’azienda.


LIBERTA’ SINDACALE

Fonti: il diritto sindacale trova le proprie fonti sia a livello costituzionale che contrattuale che europeo.

Art. 39 Cost.: l’organizzazione sindacale è libera;

Convenzione n. 87: riguarda la libertà sindacale e la protezione dei fenomeni sindacali in generale;

Convenzione n. 98: riguarda il diritto di organizzazione e negoziazione collettiva;

Statuto dei lavoratori: dà concreta attuazione e regolazione di quanto contenuto nel disposto costituzionale e nelle convenzioni europee.

Profilo individuale: concerne libertà positive come quelle di costituire un sindacato, di parteciparvi, di raccogliere contributi e di riunirsi in assemblee e libertà negative come quella di non aderirvi o recedervi.

Profilo collettivo: concerne la libertà organizzativa del sindacato (scelta del modello organizzativo e regole, obiettivi e strumenti), la facoltà di aderire a strutture complesse e di scegliere gli organi di vertice.


Definizione di “sindacale”

Profilo teleologico: la sindacalità si ravvisa nei fenomeni di autotutela di interessi (collettivi) connessi alle relazioni giuridiche inerenti all’attività lavorativa.

Profilo strumentale: gli strumenti utilizzati dal movimento sindacale servono a distinguerlo dal movimento politico-partitico. Si tratta di strumenti di autotutela diretta dei lavoratori quali sciopero, contrattazione collettiva, raccolte di firme, ecc .

Profilo soggettivo: il concetto di autotutela presente sia nel criterio teleologico sia in quello strumentale, prevede che la gestione degli interessi collettivi sia posta in essere dagli stessi lavoratori o da loro rappresentanze immediate fornite di investitura diretta.


Protezione della libertà sindacale:

Poteri Pubblici: la libertà sindacale è garantita anche nei confronti dei poteri pubblici ai quali sono impediti controlli o ingerenze nella sfera organizzativa dei sindacati, nella loro identità politica e governativa anche tramite condizionamenti autoritativi. Il problema si pone soprattutto per i limiti legislativi imposti alla contrattazione collettiva, che si fanno via via sempre più penetranti.

Datori di lavoro: la libertà sindacale e poi garantita anche nei confronti dei datori di lavoro, soprattutto per quanto riguarda la presenza sindacale sul luogo di lavoro. Difatti vengono garantiti al sindacato spazi all’interno delle aziende.


RAPPRESENTANZA NEI LUOGHI DI LAVORO

Diritto sindacale italiano: caratterizzato dalla mancata attuazione delle disposizioni costituzionali in tema di registrazione dei sindacati, dall’esiguità degli interventi legislativi e dall’efficacia dei contratti collettivi.

Tutto ciò ha portato a spostare il sostegno sindacale ai lavoratori in ambiti sempre più vicini ad essi, quali appunto le stesse aziende.


Sindacato maggiormente rappresentativo: è stato per lungo tempo il destinatario del sostegno legislativo alla libertà sindacale. Si identificava all’interno delle aziende perché più vicino ai lavoratori e quindi direttamente rappresentativi di essi e in possesso di un maggiore potere di controllo sugli stessi. Oggi tale definizione viene spesso alternata a quella di sindacato ativamente rappresentativo.


La maggiore rappresentatività: non essendo mai stata data una vera e propria definizione legislativa di tale rappresentatività, gli interpreti l’hanno ravvisata secondo vari criteri.

L’equilibrata presenza in un ampio arco di categorie professionali, non essendo sufficiente la rappresentatività di un solo settore o categoria.

La diffusione su tutto il territorio nazionale.

L’esercizio continuativo dell’autotutela a diversi livelli e interlocutori quindi l’esecuzione effettiva di quelli che sono i compiti del sindacato.

La reale capacità di influenza dell’assetto economico e sociale che solo uno stabile ed effettivo interlocutore dei pubblici poteri è in grado di spiegare.

Sono state individuate quali maggiormente rappresentative la CGIL, CISL, UIL ed altre confederazioni.


Dalle RSA . : l’operazione politica che diede vita alle rappresentanze sindacali aziendali era quella di legittimare una rappresentanza sindacale nei luoghi di lavoro ma solo se aderente a uno dei SMR e a condizione che fosse in grado di controllare l’attivismo dei lavoratori.

. alle RSU: a seguito dell’accordo del ’93 e del referendum del ’95 e la debolezza del criterio della maggiore rappresentatività, si vide la nascita delle RSU al fianco delle RSA. Le RSU si identificavano non più perché aderenti a Sindacati Maggiormente Rappresentativi, ma sulla base della sottoscrizione di accordi collettivi. Si ritenne che la sottoscrizione di tali accordi fosse un criterio più diretto e oggettivo del potere e della rappresentatività di tali strutture sindacali.

Oggi pertanto in una unità produttiva possono coesistere più RSA (derivate dai SMR e che abbiano comunque sottoscritto il contratto collettivo) ed una RSU. La RSU viene eletta dalla collettività aziendale, deve avere un proprio statuto ed aderire agli accordi del ’93 e subentra in tutti i poteri delle RSA.


DIRITTI SINDACALI:

Derivano dallo statuto dei lavoratori Titolo II e III.


Associazione e attività sindacale in azienda (art. 14): diritto per tutti i lavoratori di costituire associazioni sindacali, di aderirvi e di svolgere attività sindacale in azienda. Tale principio ha portata individuale quanto collettiva.

a)  Limite: salvaguardia dell’attività aziendale.

Principio di non discriminazione (artt. 15 e 16): i divieti nascono in relazione alle discriminazioni su base sindacale che potevano nascere per arginare i diritti e le libertà riconosciute ai lavoratori. In seguito si sono estesi a motivi religiosi, politici, di razza, sesso, ecc .
In relazione all’attività sindacale questi divieti impongono al datore di lavoro di non subordinare licenziamenti od assunzioni, trattamenti di favore o sfavore, all’appartenenza a determinati sindacati piuttosto che ad altri.

Sindacati di comodo (art. 17): sono vietati in quanto sono associazioni sindacali promosse dai datori di lavoro per avere un interlocutore di favore.

Diritto di assemblea (art. 20): i lavoratori hanno il diritto di riunirsi nell’unità produttiva. Tale diritto è direttamente consequenziale al diritto di partecipare all’attività sindacale. Hanno il potere di indire le assemblee la RSU e le RSA.

a)  Limiti: le assemblee devono riguardare materie di interesse sindacale e del lavoro, possono svolgersi in orario di lavoro col limite di 10 ore annue per ciascun lavoratore, regolarmente retribuite. Inoltre è sempre presente il limite della salvaguardia dei beni aziendali.

Referendum (art. 21): è destinato a far emergere l’opinione dei lavoratori su determinate tematiche. Hanno il potere di indirlo la RSU e le RSA congiuntamente onde garantire una stabilità di strategie e decisioni ed impedire un proliferare di consultazioni.

a)  Limiti: devono riguardare materie di interesse sindacale e del lavoro, devono tenersi in ambito aziendale ma fuori dall’orario di lavoro.

Diritto di affissione (art. 25): tale diritto è la conseguenza di molti dei diritti elencati in precedenza. Riguarda infatti il collegamento tra unità produttiva (lavoratori) e sindacato. Può essere esercitato dalla RSU e dalle RSA all’interno dell’unità produttiva dove il lavoratore ha l’obbligo di fornire appositi spazi.

Proselitismo e collette sindacali nei luoghi di lavoro (art. 26): in funzione di sostegno al sindacato è data la possibilità ai lavoratori di promuovere il proprio sindacato, anche attraverso la raccolta dei contributi, all’interno dell’azienda nel rispetto dell’attività aziendale.

Locali per RSA e RSU (dove costituite) (art. 27): l’azienda deve mettere dei locali a disposizione delle rappresentanze sindacali ove queste possono svolgere le loro attività.

a)  Limiti: azienda con più di 200 dipendenti deve mettere a disposizione permanentemente un locale nell’unità produttiva o nelle immediate vicinanze; azienda con meno di 200 dipendenti, deve trovare di volta in volta un locale idoneo a svolgere le attività sindacali.

Permessi per i dirigenti sindacali (artt. 23, 24, 30 e 31): ai dirigenti delle RSA e della RSU sono concessi particolari permessi per svolgere le attività sindacali a loro assegnate.

a)  Retribuiti: nel caso che tali attività riguardino competenze inerenti alla sfera sindacale aziendale con l’onere di darne comunicazione al datore di lavoro 24 ore prima.

b)  Non retribuiti: nel caso in cui si tratti di attività sindacale extraziendale, con l’onere di darne comunicazione tre giorni prima.

Strutture sindacali esterne (provinciali, regionali e nazionali): i loro dirigenti hanno il diritto di ricevere permessi retribuiti onde garantire lo svolgimento dei loro compiti sindacale. Quelli nazionali hanno altresì la facoltà di essere messi in aspettativa non retribuita.


LA REPRESSIONE DELLA CONDOTTA ANTISINDACALE

La protezione dei diritti sindacali sopraesposti trova la sua massima espressione nell’art 28 che sancisce uno speciale procedimento repressivo della condotta antisindacale del datore di lavoro.

L’articolo 28 vieta i comportamenti del datore di lavoro diretti a impedire o limitare l’esercizio della libertà ed attività sindacale nonché del diritto di sciopero.


Soggetto attivo: è l’unico fattore definito in modo tipico dalla norma e consiste nella condotta vietata.

Legittimato passivo: si identifica col generico datore di lavoro, qualsiasi sia la sua qualifica.

Il comportamento: è illegittimo quando idoneo a ledere libertà e attività sindacale e diritto di sciopero. E si può realizzare sia con atti giuridici che con comportamenti materiali.

Beni protetti: sono esplicitati nella norma quali libertà e diritti sindacali e diritto di sciopero e vengono riconosciuti sia dal punto di vista collettivo (maggior riconoscimento) sia dal punto di vista individuale.

I limiti: il problema dei limiti entro i quali l’esercizio del potere sindacale è protetto sorge in quanto è nella normalità una logica di conflitto tra lavoratori e datore.

a)  Interesse dell’impresa: è il primo stadio di casi controversi e pare risolto nel senso che le esigenze aziendali che possono giustificare determinati comportamenti del datore di lavoro devono essere provate e particolarmente gravi.

b)  Reazioni allo sciopero: riguardano le difese del datore nei confronti degli scioperi. Si possono considerare legittime quando gli scioperi travalicano i limiti elaborati dalla giurisprudenza e legislatore.

c)  Comportamenti nelle trattative: il rifiuto di trattare, non esistendo un obbligo in tal senso, non costituisce condotta antisindacale. Si dovrà perciò fare riferimento al principio di buona fede.

d)  Violazione di diritti sindacali contrattuali: la tesi principale è che tali diritti di derivazione contrattuale rientrino nell’ambito di protezione dell’art. 28, poiché la lettera della legge fa riferimento ai diritti sindacali riconosciuti dall’ordinamento e quindi anche quelli di derivazione contrattuale collettiva.

Elementi soggettivi: per identificare una condotta antisindacale non sono necessari gli elementi soggettivi del dolo o della colpa, ma è sufficiente accertare la obiettiva portata lesiva del comportamento tenuto dal datore.

Soggetti legittimati: si esclude che siano i lavoratori sia singolarmente, sia collettivamente associati. Pertanto sono legittimati soltanto gli organi locali delle associazioni sindacali nazionali.

Procedimento: ha carattere d’urgenza con una istruttoria minima e tempi brevi.
Si propone con ricorso al tribunale del luogo in cui è avvenuta la condotta ritenuta antisindacale e termina con l’emanazione di un decreto da parte del giudice che ordina l’immediata cessazione del comportamento, la rimozione degli effetti lesivi realizzati e il ripristino del libero godimento di quelle libertà o diritti.
E’ ammessa opposizione entro 15 giorni davanti allo stesso tribunale, che non sospende l’efficacia del decreto e viene decisa con sentenza.
Tale sentenza è appellabile in corte d’appello secondo il rito del lavoro.

Sanzioni: la sanzione penale viene posta nel caso non si obbedisca all’ordine contenuto nel decreto del giudice e consiste nell’arresto fino a 3 mesi e in un’ammenda fino a 206 euro nonché la revoca di agevolazioni.


LA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA

Inizialmente aveva carattere saltuario e occasionale e vedeva contrapposti i sindacati ai padronati con lo stato quale arbitro e intermediario. Col passare del tempo, il sorgere di problemi economici e l’ingresso nell’unione europea (con tutti i vincoli che ciò comporta) ha visto aumentare sempre più il ruolo attivo dello stato.


Due livelli di contrattazione collettiva: quello nazionale di categoria e quello aziendale. Tra di loro sono collegati in modo che le decisioni e gli ambiti del secondo siano predeterminati dal primo.

Durata dei contratti: è predeterminata, quattro anni per la parte normativa del CCNL e per il contratto aziendale e due anni per la parte retributiva (salari).

a)  Scansioni temporali: sono previste in prossimità dell’apertura delle trattative (vere e proprie clausole di tregua) per i tre mesi antecedenti e il mese successivo alla contrattazione.

Rappresentanze aziendali: è stato inoltre rafforzato il potere delle rappresentanze in azienda stabilendo che saranno sindacati ed aziende insieme a fissare le soglie di produttività cui agganciare aumenti integrativi e che le RSU hanno il potere di negoziare al secondo livello.

Parlamento: onde evitare di esautorarlo il governo, cui spetta la gestione della concertazione, si impegna a fornire informazioni e forme di coinvolgimento in modo da far convergere la concertazione con la produzione normativa.

Tendenze: le tendenze sia dal punto di vista aziendale che dal punto di vista europeo, sembrano portare verso l’abbandono del sistema della concertazione verso il sistema del dialogo sociale. Questo vedrebbe: un minor coinvolgimento e minor potere dei sindacati che rimarrebbe confinato in ambito di pareri e raccomandazioni; uno spostamento del rapporto, da generale a specifico e settoriale. Verso tendenze di questo genere ha spinto il Patto per l’Italia del 2002 che però ha solo valenza politica e non gode dell’assenso della CGIL.


CONTRATTO COLLETTIVO NEL LAVORO PRIVATO:

Sono rinvenibili almeno quattro tipi di contratto collettivo: quello corporativo (residuale col venir meno delle corporazioni), quello di diritto comune, quello preurato dal legislatore costituente e quello recepito in decreto legislativo. Il più importante è sicuramente quello di diritto comune che è però atipico in quanto sfornito di regolamentazione legale e frutto di molte operazioni giurisprudenziali.


Contratti di diritto comune.

Ambito di efficacia: venendo meno la rappresentatività istituzionale delle proprie categorie da parte delle associazioni sindacali, la giurisprudenza per giustificare l’applicazione dei contratti da queste stipulate nei confronti di lavoratori e datori di lavoro, utilizzò la ura giuridica della rappresentanza dilatandone poi i contenuti. L’ambito diventa perciò il seguente:

a)  Il contratto collettivo è perciò applicabile quando le parti vi diano anche solo implicita adesione (basta applicarlo).

b)  Il datore iscritto è tenuto ad applicare il contratto collettivo anche ai lavoratori non iscritti.

c)  Il datore deve applicare il contratto corrispondente alla propria attività e se sono molteplici saranno molteplici i contratti, ovvero sarà quello dell’attività principale se le altre sono complementari o accessorie.

I minimi tariffari: sono stati applicati, a partire dagli anni 50, anche ai datori e lavoratori non iscritti sulla base dell’art. 36 Cost. che garantisce ai lavoratori il diritto ad una retribuzione proporzionata per una vita dignitosa. I giudici hanno rinvenuto nei minimi dei contratti collettivi il valore della retribuzione dignitosa e proporzionata.

Contratto collettivo di livello aziendale: qui il problema si pone in relazione a quei lavoratori e datori iscritti che non intendono applicare il contratto collettivo nazionale. All’uopo si volle dare al contratto collettivo rilevanza erga omnes, relegando al contratto aziendale il solo ruolo gestionale e procedimentale.

Efficacia del contratto collettivo: problema che si pone se si relaziona il contratto collettivo al contratto individuale del singolo lavoratore.
Inizialmente si fece ricorso alla disciplina dell’art. 2077 del cc secondo il quale i contratti individuali dovevano uniformarsi alle disposizioni del contratto collettivo e le clausole eventualmente difformi sono sostituite di diritto da quelle del contratto collettivo.
Successivamente poi si riscrisse l’art 2113 cc e l’art. 808 cpc in modo tale il legislatore assegnò al contratto collettivo l’efficacia costitutiva non soltanto di limiti obbligatori ma bensì reali, con la conseguenza che le clausole de contratti collettivi, considerate non derogabili dai contraenti, concorrono a determinare la disciplina dei contratti individuali indipendentemente dalla volontà dei contraenti.

a)  Derogabilità in melius: in generale i contratti collettivi sono derogabili da quelli individuali solo in melius.

I)     Criterio del cumulo: le clausole migliorative del contratto individuale si sommano a quelle dei contratti collettivi.

II)    Le clausole peggiorative invece sono sostituite con quelle previste dalla disciplina legale e non trovano compensazione in quelle migliorative.

III)  Criterio del conglobamento: se le clausole difformi costituiscono un istituto intero (come individuato dalla stessa contrattazione collettiva) allora i miglioramenti si compensano con i peggioramenti e si applica la disciplina globalmente più favorevole.

Legge e autonomia collettiva: il contratto collettivo deve ritenersi subordinato alla legge. L’opinione prevalente ritiene però che alla legge sia stato affidato il compito di garantire la tutela minima del lavoratore, perciò si ritiene che la legge sia inderogabile dai contratti collettivi in peggio, ma sia derogabile in meglio. Un’eccezioni in merito è sempre sta la legislazione sul costo del lavoro che ha un tetto massimo legislativo e non minimo. Inoltre la corte costituzionale ha stabilito che al legislatore deve essere riconosciuta la potestà di tracciare linee guida entro le quali le parti sociali devono essere lasciate libere.

Efficacia nel tempo: il protocollo del ’93 prevede una durata di quattro anni per la parte normativa del CCNL e per il contratto aziendale e due anni per la parte retributiva (salari).

a)  Scansioni temporali: sono previste in prossimità dell’apertura delle trattative (vere e proprie clausole di tregua) per i tre mesi antecedenti e il mese successivo alla contrattazione.

b)  Ultrattività: non di rado capita che la contrattazione superi il periodo stabilito, sono state all’uopo previste indennità finalizzate a disincentivare i ritardi e a proteggere i lavoratori.

c)  Retroattività: la giurisprudenza ritiene che i contratti collettivi possano stabilire per la loro efficacia una data precedente a quella della pubblicazione sia per i benefici sia a danno del lavoratore con il solo limite dei diritti quesiti, ossia quelli già entrati a far parte del patrimonio individuale del lavoratore.

Interpretazione: sancita la sua operatività verso i contratti individuali alla pari della legge bisogna però distinguerne la sua interpretazione.

a)  Va interpretato alla stregua di un contratto e non di una norma di legge, cercando quindi di ricostruire la volontà delle parti.

b)  Non è possibile il ricorso in cassazione per falsa applicazione o interpretazione del contratto collettivo.

c)  Deve essere prodotto in giudizio dalla parte che lo invoca poiché il giudice è tenuto a conoscere solo della legge.

d)  Le clausole del contratto collettivo non sono applicabili in via analogica.

e)  Non è altresì applicabile il principio di uguaglianza nei rapporti tra privati.

f)    Deve ritenersi vigente il principio generale della libertà di forma.


Sistema corporativo: con l’abolizione delle corporazioni vennero meno anche i contratti corporativi, si fecero salve le loro disposizioni se non modificate dalla disciplina vigente. Successivamente per facilitare l’eliminazione di tali contratti venne modificata tale regola nel senso che si consideravano abrogate le stipulazioni dei contratti corporativi se modificate anche in peggio dalla disciplina vigente.


Contratti recepiti in decreto: fu un’operazione che ebbe inizio nel ‘59 quando il legislatore diede al governo il compito di emanare decreti contenenti i minimi di trattamento economico e normativo riferendosi ai contratti collettivi stipulati anteriormente all’entrata in vigore di tale delega. La motivazione di tale delega fu la costante ed irrealizzabile attuazione dell’art. 39 cost.. Inizialmente avvallato dalla corte costituzionale in quanto avente carattere eccezionale e transitorio, tale procedimento venne meno quando il governo cominciò ad usufruire di una serie di reiterazioni e proroghe che fecero cessare quel carattere di provvisorietà e specialità che lo rendeva attuabile.

Per cui la corte dichiarò che rientra nei compiti del giudice individuare i confini della categoria cui la legge delega si riferisce; la giurisprudenza e la corte hanno poi dato prevalenza al dato sostanziale del contenuto (contratto) rispetto al dato formale dell’involucro (decreto) stabilendo che non vale come diretta legiferazione;







2 – IL LAVORO SUBORDINATO


IL TIPO “LAVORO SUBORDINATO”


Rapporto tipico: nell’impianto del codice al rapporto di lavoro subordinato è affidato il compito di rappresentare il rapporto tipico. E la subordinazione viene rappresentata come la prestazione alle dipendenze e sotto la direzione del datore di lavoro (art. 2094 cc).
La subordinazione deve permettere quindi in astratto la delimitazione della fattispecie tipica e in concreto la riconduzione ad essa dello specifico rapporto da qualificare.
Qualificazione del lavoro subordinato.

a)  Metodo sussuntivo: è il metodo di qualificazione principale, per identità con la fattispecie legislativa.

b)  Metodo tipologico: secondariamente viene utilizzato dalla giurisprudenza per qualificare il rapporto di lavoro subordinato. Si realizza con l’enunciazione di una serie di indici presenti nella ura prevalente di lavoro subordinato. Il collegamento di questi indici con le fattispecie di volta in volta esaminate avveniva poi con un giudizio di approssimazione. La tendenza è stata quella di espandere il lavoro subordinato a più fattispecie possibili. La suprema corte dal canto suo non ha mai avvallato la riconduzione agli indici, ritenendo invece corretta la valutazione delle circostanze di fatto.

c)  Procedura di certificazione: da ultimo si tende ad assumere tra gli indici di qualificazione il nomen juris, ossia la definizione che le parti danno al rapporto. Tale qualificazione viene utilizzata solo in via sussidiaria. E’ stato anche introdotto uno speciale procedimento (presso gli enti e le direzioni provinciali del lavoro) che permetta di certificare e convalidare il nome che le parti danno al contratto. Una volta convalidato il nomen juris spiega tutta la sua efficacia.

Tassatività: una volta che vengono riscontrate le caratteristiche della subordinazione il rapporto va ricondotto obbligatoriamente alla fattispecie della subordinazione.


Lavoro autonomo: si caratterizza perché è senza vincolo di subordinazione e i soggetti del rapporto sono su un piano paritario.

a)  Parasubordinazione: fattispecie ibrida a metà tra lavoro subordinato e autonomo soprattutto sul piano della durata della prestazione. Questa ura non viene ricondotta alla fattispecie subordinato e quindi non gode dell’accesso alla disciplina tipica.

b)  Collaborazione coordinata e continuativa: nata anch’essa da un modello ibrido di lavoro subordinato e dotata di propria autonomia.

c)  Lavoro a progetto: nasce per evitare che l’utilizzo delle collaborazioni coordinate e continuative siano utilizzate allo scopo di eludere la disciplina tipica. Di fatto garantisce una disciplina minimale di tutela. I requisiti per tale tipo di lavoro subordinato sono l’esistenza di un progetto o programma riconducibile ad una attività ben identificata, in assenza del quale il rapporto si considera subordinato a tempo indeterminato. Deve risultare per iscritto con la durata e il corrispettivo.

d)  Lavoro occasionale e accessorio: non viene ricompreso nel lavoro a progetto se inferiore a 30 giorni annui e con retribuzione minore di 5000 €.


Lavoro gratuito: si riconduce alla fattispecie del lavoro subordinato e lo si ritiene lecito in quanto idoneo a realizzare interessi di tipo benefico ed ideologico. La gratuità viene perciò ammessa solo se le circostanze del caso concreto lo permettono.

a)  Lavoro familiare: è l’ipotesi di lavoro prestato nell’ambito di un’impresa gestita da familiari ed in questo caso la giurisprudenza ha sempre fatto uso della presunzione di gratuità.

b)  Volontariato: se rispettoso dei requisiti richiesti dalla legge (avvalersi in modo determinante e prevalente delle prestazioni gratuite dei propri associati) non viene ricondotto alla fattispecie subordinato e non necessità la corresponsione di alcuna retribuzione (salvo rimborsi spese).


Disciplina speciale: vista la vastità di tipi contrattuali e la parziale riconducibilità di molti di essi alla specie subordinato, il legislatore ha sovente dato vita a discipline speciali. Si evidenzia come qualsiasi disposizione della disciplina generale che non sia oggetto di diversa disciplina speciale si ritiene sempre e comunque applicabile.

a)  Lavoro a domicilio: la specialità è correlata al luogo di lavoro che è l’abitazione del lavoratore, sussistendo invece tutti gli altri caratteri del lavoro subordinato (differenza dal lavoro autonomo è che in esso sono del lavoratore anche i mezzi, la loro organizzazione e i rischi).

b)  Lavoro domestico: si realizza per colui che presta attività a favore di una comunità familiare o similare.

c)  Lavoro giornalistico: presuppone il requisito dell’appartenenza all’ordine, senza il quale è nullo dando solo origine ad una prestazione rilevante agli effetti della pretesa retributiva. In questa disciplina speciale il vincolo di subordinazione appare più attenuato per via dei margini di autonomia più ampio concessi al prestatore (es. clausola di coscienza: mutamento di indirizzo del giornale).

d)  Lavoro sportivo: intercorre tra atleti professionisti e società sportive e viene ricondotto alla fattispecie di lavoro subordinato a meno che non ricorra una delle seguenti ipotesi. Singola manifestazione sportiva; nessun vincolo sugli allenamenti; non superi 8 ore settimanale o 5 giorni al mese o 30 giorni l’anno.

e)  Lavoro nautico: l’interesse per la sicurezza della navigazione (anche aerea) impone una regolamentazione rigorosa e specifica.


CONTRATTO E RAPPORTO

Teoria contrattualistica: nonostante le spinte europee che sottopongono il lavoro subordinato ad una fattispecie acontrattuale (inserimento del lavoratore nell’impresa), la nostra dottrina rimane contrattualistica, il rapporto di lavoro subordinato deriva da un contratto.

Prestazione di fatto (art. 2126 cc): il contratto è sempre necessario perché trovi applicazione la disciplina del lavoro subordinato, senza contratto ed in luogo di una prestazione di fatto, il lavoratore potrà contare soltanto sull’ingiustificato arricchimento del datore.


Soggetti del contratto.

a)  Lavoratore: dalla natura contrattualistica del lavoro subordinato deriva una rilevanza essenziale dei soggetti che lo stipulano. Il lavoratore è infatti soggetto alla infungibilità soggettiva della prestazione, il contratto di lavoro e la relativa obbligazione non è quindi trasmissibile. La capacità giuridica speciale del soggetto costituisce poi la sua capacità al lavoro e coincide con il termine della scuola dell’obbligo e comunque età non inferiore a 15 anni. Mentre la capacità di agire consiste nella capacità a stipulare un contratto (maggiore età). Il difetto della prima determina nullità del contratto salva applicabilità del rapporto al periodo già eseguito, il difetto della seconda non comporta ostacoli all’applicabilità della disciplina.

b)  Datore di lavoro: non è richiesto il possesso di nessun requisito speciale, facendosi solo distinzione tra imprenditori e non (attività a fini non lucrativi).

Forma del contratto.
Vige in materia il generale principio della libertà di forma (nel settore pubblico è richiesta la forma scritta). A tale principio generale sono però affiancate numerose deroghe per cui è prevista la forma scritta ad substantiam, senza la quale, cioè, il rapporto viene ricondotto sotto la fattispecie tipica.

a)  Consenso, vizi del consenso e simulazione:la natura contrattuale del rapporto pone in primo piano il fattore volitivo e rinvia generalmente alla disciplina generale sui contratti.
- L’errore sulle qualità del lavoratore può essere causa di annullamento se direttamente inerente all’attività.
- La simulazione del contratto è anch’essa riconducibile alla disciplina generale sui contratti. Se viene simulato in un contratto sia il rapporto che la prestazione, non si produce nessun effetto tra le parti. Se viene simulato solo il rapporto, questo verrà ricondotto alla fattispecie che lo ricomprende.

b)  Clausola di prova: riguarda la previsione di un periodo di prova, deve risultare per iscritto, la durata massima viene generalmente stabilita in 6 mesi dai contratti collettivi ed il recesso del datore non necessita motivazione né preavviso.


INTERVENTO PUBBLICO E PRIVATO

Il precedente regime di vincolismo operato dallo stato sul mercato del lavoro, è stato sostituito oggi dal decentramento e liberalizzazione, in un’ottica di sussidiarietà verticale (da stato a regioni ed enti) ed orizzontale (lasciare agli stessi cittadini il compito di amministrarsi).


Politiche attive: vengono tradizionalmente individuate 4 grandi aree, informazione e orientamento, incontro tra domanda e offerta, promozione dell’occupazione e sostegno ai soggetti deboli.

Informazione, orientamento e formazione professionale

a)  Per quanto riguarda l’informazione la situazione odierna vede la coesistenza di tutta una serie di strutture pubbliche che controllano e monitorano i flussi del mercato del lavoro e cercano di studiarne le caratteristiche e le tendenze (CNEL, Istat, Ministero del lavoro, ecc . ).
- Inoltre esiste la Borsa Continua Nazionale del Lavoro (nata dal Sistema Informativo Lavoro) che si basa su una rete di nodi regionali facilmente consultabile sia da lavoratori che imprese, condotta dallo Stato e gestita dalle regioni.
- Sono state poi istituite delle banche dati di lavoratori in cerca di impiego, che ha sostituito le liste di collocamento, corredate da schede professionali dei lavoratori, che hanno sostituito il libretto di lavoro.

b)  Per orientamento professionale (disciplinato a livello regionale) si suole indicare l’attività volta ad informare ed indirizzare un soggetto verso il tipo di impiego che più risponde alle sue caratteristiche, competenze e aspirazioni nel mercato delle richieste di lavoro.

c)  Per formazione professionale (nella potestà legislativa regionale e disciplinato a livello locale) si intende il momento di raccordo tra istruzione e lavoro.


Decentramento: alle regioni è stata attribuita potestà legislativa concorrente in materia di tutela e sicurezza del lavoro, e ad esse sono stati trasferiti i compiti e le funzioni relative al collocamento e alle politiche attive del lavoro.

  1. Oggi il ruolo di regia, coordinamento e programmazione è affidato soprattutto alle regioni (tramite le leggi regionali) ed il ruolo di attuazione, gestione ed erogazione viene affidato da queste alle province.
  2. Allo stato è rimasta la potestà legislativa esclusiva in materia di livelli essenziali delle prestazioni.

Liberalizzazione: la trasformazione è avvenuta con la demolizione del monopolio pubblico nell’esercizio dell’attività di mediazione tra domanda e offerta di lavoro, regolamentando l’ingresso dei privati in questo settore.

  1. Agenzie per il lavoro: nate da questa operazione, nel ’94 venne istituito un vero e proprio albo articolato in 5 sezioni (alle 5 sezioni dell’albo corrispondono 5 tipi di agenzie) in cui vengono iscritte le agenzie autorizzate a svolgere attività di somministrazione (fornitura professionale di manodopera), intermediazione (mediazione tra domanda e offerta di lavoro), ricerca e selezione del personale (a livello di consulenza) e supporto alla ricollocazione.
    Per ottenere l’autorizzazione e quindi l’iscrizione all’albo vengono richiesti una serie di requisiti minimi che garantiscano solidità e affidabilità a protezione dei lavoratori.
    L’esercizio non autorizzato comporta sanzioni penali.
    Viene inoltre ribadita la regola generale per cui, visto che il lavoro non è una merce, il servizio fornito da tali agenzie deve essere gratuito per i lavoratori, ammettendo però particolari deroghe da parte delle parti sociali.
  2. Assunzione diretta: con l’abolizione di gran parte delle liste di collocamento tenute dallo stato ora il datore di lavoro è quasi totalmente libero nella scelta dei propri dipendenti, dovendo rispettare solo le precedenze stabilite dalla legge, le norme antidiscriminatorie e la riservatezza individuale.
    A seguito dell’assunzione il datore ha poi l’obbligo di darne comunicazione ai relativi uffici perché possano rispondere alle loro funzioni di trasparenza e certificazione.


Collocamento disabili
: fa parte del regime vincolistico della legge 68/1999, il cui scopo è però quello della promozione dell’inserimento ed integrazione lavorativa. Soglie: più di 50 dipendenti, assumere il 7 % di disabili; da 36 a 50, 2 disabili; da 15 a 35, un solo disabile e solo se viene effettuata più di una sola assunzione. I disabili che aspirano ad una occupazione si trovano iscritti in apposite liste che ne determinano anche la graduatoria.

Collocamento extracomunitari: la preferenza è, ovviamente, per gli extracomunitari che abbiano già un permesso di soggiorno nel nostro paese il regime è quello di parità di trattamento e piena uguaglianza, per gli altri esistono invece misure limitative concretizzate nel controllo dei flussi e nella predisposizione di quote massime in entrata.


Somministrazione di lavoro.

Storia: inizialmente la legislazione vedeva come illecita (il lavoro non è una merce) l’interposizione di manodopera, ossia quella pratica triangolare che vedeva coinvolti un committente (datore di lavoro), un interposto (detto anche caporale) e i lavoratori. La pratica consisteva nel fatto che il committente otteneva dall’interposto il numero di lavoratori necessari senza però assumerli, poiché questi rimanevano alle dipendenze dell’interposto. Definito anche decentramento: scorporare il processo produttivo affidando a terzi pezzi dello stesso.

Il legislatore a partire dalla legge 1369/1960 comincia a regolamentare il fenomeno anche con lo scopo di contenerlo. Inizialmente tali previsioni tendevano infatti a impedire il decentramento fittizio e disincentivare il decentramento regolare.

Nel 1997 la tendenza muta di segno e nasce il lavoro temporaneo tramite agenzia (interinale).

Oggi: da ultimo la riforma del 2003 rimette mano a tutta la materia che ora è così organizzata.
Il fenomeno interpositorio continua ad essere vietato salvo la deroga ammessa dal legislatore che la liceizza nei limiti e nelle condizioni previste dalla disciplina, pena l’imputazione del rapporto a capo all’utilizzatore.
Può avvenire sia a tempo determinato che indeterminato e secondo una casistica tassativa che però è molto ampia e ulteriormente ampliabile dalle parti sociali.
Accanto al contratto di somministrazione tra agenzia e utilizzatore troviamo il contratto di lavoro subordinato tra agenzia e lavoratore, anch’esso a tempo determinato o indeterminato. Sull’agenzia gravano perciò obblighi contributivi, previdenziali ed assistenziali, inoltre per i lavoratori somministrati è prevista una obbligazione solidale sussidiaria dell’utilizzatore.

a)  Appalto: accanto alla ura della somministrazione è prevista anche quella dell’appalto (preferita dal legislatore) distinta dalla prima perché l’appalto prevede una propria organizzazione dei mezzi, un proprio rischio d’impresa ed una gestione diretta della forza lavoro da parte dell’appaltatore.


Ammortizzatori sociali: intervento pubblico volto al sostegno del reddito della manodopera inoccupata, disoccupata e occupata ma sospesa. A metà tra politiche del lavoro e politiche assistenziali (welfare). La tendenza fino ad oggi è stata quella di prestare assistenza soprattutto alla manodopera occupata piuttosto che a quella disoccupata e inoccupata, si riscontrano però proposte di senso opposto , il cosiddetto workfare.

Liste di mobilità: lavoratore in mobilità è quello disoccupato e gode di particolare tutela economica e preferenziale nel ricollocamento. L’iscrizione in tale lista, che conferisce una posizione giuridica di vantaggio nel mercato del lavoro, avviene con richiesta alla regione (o ad altro organismo da questa delegato) da parte del lavoratore che presenti determinati requisiti, e a seconda dei requisiti godrà eventualmente anche di una indennità.

a)  Indennità: riservata a operai, impiegati e quadri nel casi di disoccupazione derivante da licenziamento dopo o durante la CIGS (cassa integrazione guadagni straordinaria), procedure concorsuali o licenziamento senza passare per la CIGS; è erogata dall’INPS su richiesta dell’interessato per un periodo che va da 12 a 48 mesi a seconda dell’area geografica.

Disoccupati: sono le persone prive di lavoro e immediatamente disponibili allo svolgimento di ricerca di attività lavorativa (di lunga durata se disoccupati da 12 mesi). Spetta alle regioni il compito di fissare obiettivi e indirizzi operativi ma il legislatore impone interventi minimi.

a)  Indennità ordinaria: prevista per il disoccupato involontario, rilasciata sempre dall’INPS su richiesta dell’interessato, con diverse modalità a seconda del settore.


LA PRESTAZIONE DI LAVORO

E’ l’oggetto dell’obbligazione lavorativa che si esplica solo in un comportamento, senza alcun obbligo di risultato.


Mansioni: indicano il tipo di attività del lavoratore e riflettono anche l’organizzazione dell’impresa. Solitamente le mansioni per cui un lavoratore viene assunto sono molto generiche.

Qualifiche: i gruppi di mansioni individuano le qualifiche dei lavoratori, raggruppamento che in genere individua una ura professionale.

L’individuazione delle mansioni e della qualifica avviene generalmente secondo le disposizioni previste dalla contrattazione collettiva e comunque rientra nelle materie soggette al principio di contrattualità. In mancanza di disposizioni in merito il punti di riferimento per l’individuazione delle mansioni e relativa categoria saranno quelle effettivamente svolte. Mansioni e categorie concorrono ad individuare l’oggetto della prestazione ed i tratti essenziali del trattamento economico.

Categorie: le categorie sono entità classificatorie più ampie delle qualifiche e che le racchiudono. Sono 4 (3+1) operaio, impiegato, dirigente e quadro. Le categorie servono ad individuare gli aspetti del trattamento normativo del lavoratore.

a)  Operai e impiegati: attualmente è in corso un processo di identificazione delle due categorie, prima distinte dal criterio della manualità per gli uni e della professionalità per gli altri. L’unificazione è anche avvenuta sul piano retributivo grazie all’inquadramento unico.

b)  Dirigenti: sono sottratti ad una serie di norme protettive in quanto costituiscono l’alter ego dell’imprenditore preposto alla direzione.

c)  Quadri: sono quei lavoratori che pur non appartenenti alla categoria dei dirigenti svolgono mansioni di rilevante importanza ai fini dello sviluppo e dell’attuazione degli obiettivi dell’impresa.


Jus variandi: potere unilaterale riconosciuto al datore di lavoro, di modificare le mansioni del lavoratore oltre l’ambito convenuto.

a)  Limiti: invariabilità in peius della retribuzione, ed equivalenza delle mansioni cioè l’esclusione di qualsiasi mutamento verso il basso. Tale equivalenza deve essere riscontrata sul piano professionale, considerando il complesso delle attitudini e capacità acquisite dal lavoratore. Da questo punto di vista è illecito il comportamento del datore di lavoro che rifiuta la prestazione intaccando così il quadro professionale del lavoratore.

b)  Violazione: oltre alla nullità dell’atto il lavoratore può chieder la reintegrazione e il risarcimento dei danni.

Nullità dei patti contrari: sia i contratti individuali che quelli collettivi che realizzano un risultato vietato dalla norma.

a)  Deroghe: nel caso in cui la variazione sia dovuta a prestazioni diventate inagibili o nel caso di lavoratrici madri spostate a mansioni meno pregiudizievoli.

Mobilità verso l’alto (o verticale): riguarda l’assegnazione a mansioni superiori ed il legislatore ha stabilito che lo svolgimento di mansioni superiori protratto per più di tre mesi dà luogo ad automatica promozione. Le interruzioni di questi tre mesi non comportano il cumulo dei vari periodi, tranne il caso in cui risultino essere adottate dal datore per eludere la normativa.

a)  Eccezione: sostituzione di un lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto. In questo caso il diritto alla conservazione del posto ha maggior valore della promozione automatica.


DILIGENZA, OBBEDIENZA, FEDELTA’ – LUOGO E DURATA DEL LAVORO


Diligenza, obbedienza e fedeltà sono i doveri del lavoratore.

Diligenza: rappresenta il criterio della misura della prestazione dovuta dal lavoratore e si deduce in riferimento a due principali criteri.

a)  Natura della prestazione: si riferisce alla qualità del lavoro prestato risultante dalle mansioni e relative qualifiche.

b)  Interesse dell’impresa: la natura della prestazione v rapportata, oltre che ai criteri di cui sopra, anche alle esigenze organizzative aziendali.

Obbedienza: posizione di soggezione giuridica del lavoratore alle disposizioni impartite dall’imprenditore con l’obbligo di eseguirle.
La tendenza è quella di spersonalizzare il rapporto di lavoro per evitare aspetti di soggezione.
Difatti il lavoratore è anche titolare di una generale autotutela nel senso che potrà legittimamente rifiutare di eseguire disposizioni datoriali se illegittime o contrastanti con lo statuto dei lavoratori.

Fedeltà: non è un vero e proprio obbligo di essere fedele, ma ricomprende in genere una serie di comportamenti omissivi che il lavoratore deve tenere nel rispetto dell’interesse alla concorrenza e alla posizione nel mercato dell’impresa.

a)  Obbligo di non concorrenza: implica l’astensione dl lavoratore da ogni atto di concorrenza che possa arrecare danno all’impresa ed ha valore per la sola durata del rapporto contrattuale di lavoro.

b)  Patto di non concorrenza: aumenta la durata dell’obbligo di non concorrenza oltre la durata del rapporto di lavoro, necessita la forma scritta, non può essere superiore a tre anni e gli segue un corrispettivo.

c)  Riservatezza: divieto di divulgare notizie di carattere organizzativo e produttivo conosciute dal dipendente, perdura anche dopo la cessazione del rapporto. Dal divieto sono escluse le competenze e conoscenze professionali conseguite dal lavoratore.


Luogo della prestazione: se non risulta dal contratto, deve desumersi dagli usi o da altre circostanze, prima fra tutte quella della natura della prestazione.
Limiti: tale potere direttivo del datore di lavoro è soggetto però a dei limiti riguardo i trasferimenti esterni. Ossia devono essere giustificati dall’esistenza di ragioni tecniche, produttive e organizzative ed un nesso di causalità tra queste e lo spostamento.


Durata della prestazione: costituisce la misura della prestazione dovuta dal lavoratore. Questa disciplina viene regolata sia dalla legge sia dalla contrattazione collettiva.

Orario massimo normale: è il limite oltre il quale la prestazione è da considerarsi straordinaria e consta di 40 ore settimanali con la facoltà per i contratti collettivi di ridurlo riferendosi a periodi ultrasettimanali inferiori all’anno.

a)  Orario multiperiodale: consiste nel superamento dei limiti normali massimi salvo compensazione nell’anno e valorizza il ruolo della contrattazione collettiva.

b)  Orario settimanale massimo: riguarda la regolamentazione della durata massima della settimana lavorativa compreso anche lo straordinario ed è affidata ai contratti collettivi col limite legale di 48 ore elevabile per ogni settimana in un arco temporale non superiore a 4 mesi.

c)  Orario giornaliero: la legge non fa più alcun riferimento alla durata dell’orario giornaliero che può essere però dedotto dalla norma sul riposo giornaliero (11 ore di riposo consecutive ogni 24 ore e pausa di almeno 10 minuti) = 12,50 ore.

Lavoro effettivo: tutti i termini sopra esposti si riferiscono al lavoro effettivamente svolto, con esclusione delle soste non inferiori a 10 minuti, pause pranzo, tempo per giungere al lavoro e cambiarsi e tempo per timbrare il sectiunellino.

a)  Lavoro straordinario: è quello prestato oltre l’orario normale settimanale fissato dalla legge (40 ore). E’ visto con sfavore dal legislatore che stabilisce che non deve superare l’orario massimo settimanale, deve avere il consenso del lavoratore ed essere collegato a particolari esigenze (salvo diverse disposizioni dei contratti collettivi di settore), per le aziende con più di dieci dipendenti c’è l’obbligo di informare la Direzione provinciale del lavoro, inoltre lo straordinario deve essere computato a parte e maggiormente retribuito (od a scelta del lavoratore riposi compensativi).

b)  Lavoro notturno: anch’esso, se non compreso in regolari turni, deve essere maggiormente retribuito. La legge rinvia poi alla contrattazione collettiva per la determinazione dei limiti (di durata e requisiti dei lavoratori) e della maggiorazione. Nel caso dei lavoratori notturni compresi in regolari turni, il lavoro notturno non può superare le 8 ore complessive su 24, salva la libertà dei contratti collettivi di individuare un periodo di riferimento più ampio delle 24 ore cui riferire il limite delle 8 ore. Sono altresì imposti controlli sanitari periodici ogni 2 anni e il divieto di adibire apprendisti e donne in gravidanza (fino al compimento di un anno del bambino) a lavori notturni.

Riposo giornaliero: 11 ore consecutive ogni 24, derogabili in caso di lavoro frazionato.

Pausa giornaliera: stabilita dai contratti collettivi per orari giornalieri di più di 6 ore, altrimenti di 10 minuti.

Riposo settimanale: il lavoratore ha diritto ogni sette giorni ad un periodo di riposi di 24 ore solitamente coincidente con la domenica. Il lavoro nella giornata domenicale da diritto ad una maggiorazione retributiva. La prestazione durante giornata festiva è illecita ma non pregiudica il diritto alla retribuzione.

Ferie: il lavoratore ha diritto ad un periodo annuale di ferie retribuite (art. 36 cost.) che la legge individua in 4 settimane, garantendo altresì 1/12 di ferie per ogni mese. Salvo diverse disposizioni dei contratti collettivi vanno godute almeno 2 settimane consecutive. La retribuzione viene definita dai contratti collettivi di settore.


POTERI E DOVERI DEL DATORE DI LAVORO


Potere direttivo

La natura contrattuale del rapporto di lavoro a portato alla riduzione dei poteri di comando del lavoratore e al rafforzamento della contrattazione collettiva.

Principio di non discriminazione: deriva principalmente dal principio costituzionale di uguaglianza e parità fra tutti i cittadini e fra lavoratori e lavoratrici, poi ribadito dalla normativa europea e fatto proprio dallo statuto dei lavoratori.
Vengono quindi ritenuti nulli tutti quegli atti o fatti che tendono a discriminare il lavoratore per motivi sindacali, religiosi, sessuali, politici, razziali, ecc .

Discriminazioni sessuali (pari opportunità): sancisce la parità dei sessi per l’accesso al lavoro, nonché nell’attribuzione di qualifiche, mansioni e nella progressione di carriera.
Pertanto gli atti o patti che rechino tali pregiudizi alla lavoratrice sono nulli, anche se indiretti (formalmente neutri ma che svantaggiano un sesso in modo maggiore).

Azioni positive: iniziative volte a rimuovere tutti gli ostacoli che si frappongono alla pari opportunità. Anche se sono uno strumento diseguale vengono considerate lecite perché transitorie. L’attuazione di queste azioni è affidata ad un numero determinato di organi promotori sia istituzionali (consiglieri di parità) sia privati (sindacati).

a)  Comitato Nazionale della Parità: funzioni propositive e consultive in ambito di pari opportunità tramite programmi-obiettivo annuali.

b)  Consiglieri di parità: nominati ad ogni livello di governo per promuovere e controllare l’applicazione dei principi di parità, sono pubblici ufficiali ed hanno l’obbligo di segnalare i reati.

c)  Azione: sia individuale, sempre concessa al soggetto discriminato, sia istituzionale su delega o d’ufficio da parte del consigliere di parità.
L’azione individuale porterà solo ad effetti individuali, mentre quella promossa dal consigliere porterà alla definizione di un piano collettivo di rimozione degli effetti discriminatori.
Inversione della prova: al ricorrente basta provare l’esistenza di elementi di fatto idonei a fondare l’esistenza di una pratica discriminatoria, spettando poi al convenuto dimostrarne l’inesistenza.


Potere di controllo

Limiti al potere di vigilanza: sono stabiliti dallo statuto dei lavoratori e riguardano le guardie giurate, che hanno particolari privilegi connessi alla loro funzione, il personale di vigilanza sul lavoro, i cui nominativi devono essere comunicati ai dipendenti, il divieto di riprendere il lavoro con impianti audiovisivi e gli stringenti limiti al controllo personale dei lavoratori (perquisizioni, ecc . ).
Lo statuto stabilisce altresì che il controllo sui lavoratori assenti non possa essere esercitato direttamente dal datore, ma dagli istituti competenti (INAIL e ASL) per un generale principio di imparzialità.

Divieto d’indagine: la generale tendenza alla spersonalizzazione del lavoro, (Obbedienza: posizione di soggezione giuridica del lavoratore alle disposizioni impartite dall’imprenditore con l’obbligo di eseguirle.
La tendenza è quella di spersonalizzare il rapporto di lavoro per evitare aspetti di soggezione.
Difatti il lavoratore è anche titolare di una generale autotutela nel senso che potrà legittimamente rifiutare di eseguire disposizioni datoriali se illegittime o contrastanti con lo statuto dei lavoratori)
si riscontra nello statuto dei lavoratori anche quando vieta al datore di fare indagini sui lavoratori da assumere su fatti che non rilevano ai fini delle attitudini professionali. Altri limiti ai poteri del datore di lavoro sono contenuti nella legge per la tutela della privacy.


Il potere disciplinare

L’inosservanza degli obblighi di lavoro da parte del lavoratore, può dar luogo all’applicazione di sanzioni disciplinari.

Requisiti: spetta al datore provare la sussistenza del fatto addebitato, la sanzione deve essere proporzionata all’infrazione (tenendo anche conto dell’eventuale recidiva).

Procedimento: nell’azienda deve essere emesso ed esposto un codice disciplinare che individui, anche in modo schematico e riassuntivo, procedure, infrazioni e sanzioni.
- Il datore di lavoro prima di irrogare la sanzione deve permettere al lavoratore di essere ascoltato in contraddittorio.
- Il lavoratore può appellarsi, oltre che all’autorità giudiziaria, anche all’arbitrato irrituale della direzione provinciale del lavoro.


Doveri del datore di lavoro

Obbligo di sicurezza: il datore deve adottare tutte le misure che sono necessarie per tutelare l’integrità fisica e morale dei suoi lavoratori secondo il principio della massima sicurezza tecnologicamente possibile.
- Accanto al datore di lavoro, che resta comunque il maggior responsabile, lo statuto dei lavoratori permette ad altri organi di effettuare controlli sulla sicurezza: agli stessi lavoratori (mediante loro rappresentanze); agli organismi pubblici (ASL e Direzione del lavoro); ad altre ure interne all’azienda (responsabile per la sicurezza).
- Per adempiere a tale obbligo il datore di lavoro deve mettere in pratica un procedimento che consiste dapprima nell’individuazione dei possibili rischi, poi nella stesura di un progetto di rimozione / riduzione di questi (insieme con le altre ure competenti).

Assicurazione infortuni e malattia: ai lavoratori addetti a particolari lavorazioni viene imposto l’obbligo di tale assicurazione (gestita dall’INAIL) che copre il danno biologico, patrimoniale e anche in itinere.

Ulteriori obblighi: sono gli obblighi di informazione che stanno avendo sempre crescente importanza, e la cooperazione nell’adempimento della prestazione da parte del lavoratore.


LA RETRIBUZIONE


Fonti

Il codice civile: stabilisce che la retribuzione costituisce la prestazione fondamentale del datore di lavoro nei confronti del lavoratore.
Al giudice è stato dato il potere di determinare gli indicatori della sufficienza retributiva.
I minimi tariffari: sono stati applicati, a partire dagli anni 50, anche ai datori e lavoratori non iscritti sulla base dell’art. 36 cost. che garantisce ai lavoratori il diritto ad una retribuzione proporzionata per una vita dignitosa. I giudici hanno rinvenuto nei minimi dei contratti collettivi il valore della retribuzione dignitosa e proporzionata.

La costituzione: stabilisce che il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro svolto e che sia sufficiente per avere un’esistenza dignitosa. Anche in tema di retribuzione trovano applicazione i principi generali di parità e non discriminazione.

a)  Proporzionalità: la giurisprudenza ha sempre dato più valore a tale principio rispetto a quello della sufficienza che si ritiene sempre rispettato quando lo sia il primo. In tal modo è stato individuato un principio di retribuzione minima.

Contratti: la retribuzione è stabilita nel contratto, ma nel caso non venga rispettata la retribuzione minima, questa si inserisce automaticamente. Retribuzione base (o tabellare): è il nucleo centrale della retribuzione che risulta dalle contrattazioni collettive di categoria.


Retribuzione: dalle molteplici fonti emerge una definizione di retribuzione molto ampia, ossia tutte le somme a qualunque titolo percepite in relazione al rapporto di lavoro.

a)  Unitarietà: la giurisprudenza ha elaborato alcuni caratteri strutturali propri della retribuzione unitariamente intesa.

b)  Determinatezza: definirne la quantità in misura sia fissa sia variabile.

c)  Obbligatorietà: esclude le prestazioni eventuali rientranti nella discrezionalità del datore.

d)  Corrispettività: generica riconducibilità al rapporto di lavoro.

e)  Continuità: che ricorre con regolarità nel tempo.

L’utilizzo di questi principi sta lentamente scemando poiché si sono rivelati portatori di effetti discorsivi.


Forme: essendo molteplici i tipi di lavoro, e molteplici i criteri di classificazione, troviamo più forme retributive.

Retribuzione a tempo: determinata in ragione del tempo della prestazione lavorativa (quella più usata).

a)  Diretta: nei singoli periodi di durata del rapporto.

b)  Differita: corrisposta in modo posticipato, annualmente o alla fine del rapporto (TFR).

Retribuzione a cottimo: questa prende in considerazione anche il risultato, ma solo in quanto si identifichi in concreto con l’attività del lavoratore, altrimenti deve basarsi sulla quantità, quindi il rendimento.

a)  Obbligatorio: nelle ipotesi in cui il lavoratore è vincolato a un certo ritmo produttivo o quando la retribuzione viene calcolata sui tempi di lavorazione.

Provvigione: si realizza quando il compenso del lavoratore è ragguagliato in percentuale agli affari trattati.

a)  Partecipazione ai prodotti: specie della provvigione che consiste nel bene fisico oggetto dell’attività.

b)  Partecipazione agli utili: tende a perseguire un coinvolgimento del lavoratore nell’andamento dell’impresa.

Scatti di anzianità: sono aumenti periodici in rapporto all’anzianità di servizio.

Superminimi: incrementi assegnati collettivamente (frutto della contrattazione collettiva) o singolarmente (per meriti).

Gratifiche: elementi integrativi corrisposti una volta l’anno per far fronte a particolari esigenze o bisogni del lavoratore.

Indennità: adattare il compenso del lavoratore alle particolarità del proprio lavoro senza che si riscontrino però dei veri e propri rimborsi spese.


SOSPENSIONI DEL RAPPORTO DI LAVORO


Elemento comune a tutti i tipi di sospensione del rapporto è la relativa e conseguente sospensione dell’obbligazione di lavoro e degli obblighi per il suo adempimento.


Per cause inerenti al lavoratore

Disciplina comune: conservazione del posto per il periodo di tempo stabilito dalla legge, dai contratti o secondo equità (periodo di comporto); la computazione del periodo di assenza nell’anzianità di servizio; conservazione e continuazione del reddito secondo la legge, gli accordi o equità.

Malattia ed infortunio: il posto è garantito di solito per periodi variabili a seconda dell’anzianità. Il reddito è garantito integralmente fino ad un certo periodo dopodiché diventa parziale. I lavoratori hanno l’obbligo di reperibilità in determinate fasce orarie per la sottoposizione a visita medica e l’obbligo di comunicazione al datore la causa dell’assenza.

Gravidanza, puerperio e congedi parentali: alle madri è garantito il congedo nei due mesi precedenti il parto e nei tre mesi dopo con in più la possibilità di recuperare il congedo eventualmente non goduto prima, percependo un’indennità pari all’80% della retribuzione normale (l’inosservanza è punita con l’arresto fino a sei mesi).
I congedi parentali sono previsti invece per entrambi i genitori fino all’ottavo anno di vita del bambino, non possono superare i dieci mesi (in tutto) e i sei mesi (a testa) e prevedono la corresponsione di un’indennità pari al 30 % fino ai tre anni del bambino.


Per cause inerenti all’impresa

Cassa integrazione guadagni: rappresenta una forma di intervento pubblico per salvare l’azienda e salvaguardare l’occupazione e il reddito.

Intervento ordinario: in situazioni aziendali temporanee e transitorie non imputabili agli imprenditori o operai oppure imputabili a situazioni temporanee di mercato.
Per le imprese industriali, riservata a operai, impiegati e quadri.
Consiste nell’80 % della retribuzione per le ore non lavorate e comunque non oltre le 40 settimanali, e viene rivalutato annualmente.
Previsto per tre mesi con eventuali proroghe trimestrali fino al massimo di 12 mesi.
Procedura: per cause non prevedibili è prevista una comunicazione successiva alle rappresentanze sindacali, negli altri casi è prevista anche una comunicazione preventiva. Si ha poi una consultazione sindacale presso l’INPS.

Intervento straordinario: in situazioni di ristrutturazione, riorganizzazione, conversione o crisi aziendale.
Per le imprese con più di 15 dipendenti, riservata a operai, impiegati e quadri ed anche i soci delle cooperative.
Consiste nell’80 % della retribuzione per le ore non lavorate e comunque non oltre le 40 settimanali, e viene rivalutato annualmente.
Previsto per tempi diversi a seconda della cause (2 anni ristrutturazione, riorganizzazione, conversione o 12 mesi per crisi).
Procedura: è comunque prevista una comunicazione preventiva alle rappresentanze sindacali. Si ha poi una consultazione al ministero del lavoro.


CESSAZIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO


Licenziamento individuale

Recesso: può avvenire sia da parte del lavoratore che da parte del datore.

a)  Comunicazione: la parte che recede ha l’obbligo di darne regolare preavviso (quantificato dalla contrattazione collettiva) all’altra parte onde consentire la sostituzione (dimissioni) o la ricerca di un altro impiego (licenziamento). Il preavviso può essere sostituito con una indennità

I)     Eccezioni: il recesso per giusta causa non prevede l’obbligo di comunicazione, poiché rende comunque e sempre impossibile la continuazione del rapporto.
La malattia e le ferie sospendono la possibilità di licenziamento e la computa del periodo di preavviso.

Necessaria giustificazione del licenziamento: a tutela del lavoratore che con il licenziamento perde valori e beni di rilevante importanza, la legge prevede che il licenziamento sia sorretto da giusta causa o motivo, prevedendo in caso contrario la riassunzione o il amento di una penale risarcitoria a scelta del datore. Lo statuto dei lavoratori ha ribaltato questa situazione imputando la scelta al lavoratore (da stabilità obbligatoria a reale).

a)  Giusta causa: consente alle parti di non dare preavviso della cessazione del rapporto. Deve essere una causa talmente grave da non consentire la prosecuzione del rapporto, ed il recesso deve avere carattere sussidiario rispetto ad altre soluzioni meno estreme.

b)  Giustificato motivo soggettivo: si realizza quando il prestatore incorre in un notevole (la nocevolezza si deve desumere dal grado di colpa, non di utilità del datore) inadempimento degli obblighi derivanti dal contratto.

c)  Giustificato motivo oggettivo: consiste in ragioni inerenti all’attività, organizzazione e funzionamento del lavoro. Tali esigenze devono essere reali ed effettive ed in stretto rapporto di causalità col licenziamento.

Periodi di irrecedibilità: sono quelli protetti quali malattia, gravidanza, infortunio nonché matrimonio. Il licenziamento in questi periodi è inefficace.

Licenziamento non disciplinare: deve essere comunicato per iscritto anche senza l’indicazione dei motivi salvo che li richieda successivamente il lavoratore. Produce effetto dal momento in cui viene a conoscenza e può essere rinnovato se viziato nella forma.

Licenziamento disciplinare: innanzitutto deve essere stato affisso il regolamento disciplinare poi deve essere contestato l’addebito per iscritto e concesso un termine per difendersi al lavoratore più una pausa di riflessione prima dell’applicazione.

Impugnativa: entro 60 giorni dalla comunicazione, e può essere sia giudiziale che stragiudiziale. La prova della giusta causa o giusto motivo spetta al datore. Una inversione si ha nel caso di motivo illecito, spettando al lavoratore la prova delle regioni di discriminazioni.

Sanzioni: il regime sanzionatorio è doppio.

a)  Tutela obbligatoria: nelle unità produttive di minori dimensioni e consta nella riassunzione entro tre giorni ovvero nella corresponsione di una indennità.

b)  Tutela reale (art. 18): nelle unità produttive con maggiori livelli occupazionali prevede la reintegrazione nel posto di lavoro e il risarcimento del danno subito.


Licenziamenti collettivi

Il licenziamento collettivo (risolve problemi di eccedenza) è connesso con la cassa integrazione guadagni (funzione di sostegno).

Per riduzione del personale: si applica all’imprenditore con più di 15 dipendenti e che intende licenziarne almeno 5. La causa deve essere unitaria per tutti e riconducibile a trasformazione o riduzione di attività. Il giudice non può sindacare il merito delle scelte ma deve solo verificare la correttezza procedurale, l’effettiva necessità di riduzione o trasformazione dell’attività e il nesso tra questa e i licenziamenti.

Per messa in mobilità: quando alla fine di una CIG straordinaria (Intervento straordinario: in situazioni di ristrutturazione, riorganizzazione, conversione o crisi aziendale. Per le imprese con più di 15 dipendenti, riservata a operai, impiegati e quadri ed anche i soci delle cooperative. Consiste nell’80 % della retribuzione per le ore non lavorate e comunque non oltre le 40 settimanali, e viene rivalutato annualmente. Previsto per tempi diversi a seconda della cause (2 anni ristrutturazione, riorganizzazione, conversione o 12 mesi per crisi). Procedura: è comunque prevista una comunicazione preventiva alle rappresentanze sindacali. Si ha poi una consultazione al ministero del lavoro) l’imprenditore sostiene di non poter reintegrare i lavoratori.

Procedura: c’è in capo all’imprenditore un obbligo di comunicare preventivamente alle organizzazioni sindacali i motivi tecnici ed organizzativi che determinano il licenziamento collettivo, il nominativo e i dati del personale che si intende licenziare e le eventuali misure programmate per fronteggiare la situazione. Tale comunicazione deve essere idonea ad aprire un confronto sindacale che si articola in due fasi.
- La prima fase, non superiore a 45 giorni, è sindacale e consiste in un libero confronto alla ricerca di accordi e soluzioni.
- La seconda fase si apre qualora tali accordi non siano stati trovati ed è amministrativa, nella direzione provinciale del lavoro.


Trattamento di fine rapporto

Per ciascun anno di lavoro (importante l’anzianità di servizio) si isola una quota pari alla totale retribuzione (l’autonomia collettiva è libera di espungere alcune somme) divisa per 13,5, con rivalutazione annua e l’applicazione di un tasso fisso e uno in misura dell’aumento dei prezzi.

Anticipazione: non maggiore del 70 % può essere chiesta dal lavoratore con almeno 8 anni di servizio con precisi vincoli finalistici.


CONTRATTI A TERMINE, FLESSIBILI E FORMATIVI


Contratto a termine: l’apposizione de termine al contratto deve risultare per iscritto, altrimenti si intende a tempo indeterminato, e contenere le ragioni giustificatrici (anche molto generiche). Alla contrattazione collettiva spetta poi individuare le clausole di contingenza, ossia il limite quantitativo di assunzioni a termine rispetto al totale.

a)  Proroga: il termine può essere prorogato per ragioni oggettive e comunque non può durare più di tre anni, altrimenti si considera a tempo indeterminato. La continuazione oltre il termine e oltre l’eventuale proroga si considera a tempo indeterminato.


Contratti flessibili: flessibile nel regime d’orario e di organizzazione.

Lavoro a tempo parziale: l’orario di lavoro fissato dal contratto risulta minore dell’orario normale stabilito dai contratti collettivi. Per tale clausola è prevista la forma scritta contenente precise indicazioni circa la riduzione altrimenti si considera a tempo pieno

a)  Orizzontale: la riduzione è prevista in relazione all’orario normale giornaliero. Può variare in aumento su accordo tra le parti ed entro i limiti dell’orario pieno, secondo i limiti posti dalla contrattazione collettiva

b)  Verticale: orario giornaliero pieno e riduzione in relazione a periodi. Può variare in aumento se nel contratto vengono inserite le clausole flessibili (elastiche)

c)  Misto: combinazione di orizzontale e verticale.

d)  Trasformazione: da tempo pieno a parziale deve provenire da accordo tra datore e prestatore convalidato dalla direzione provinciale del lavoro.

Lavoro ripartito: definito anche lavoro a coppia perché vede coinvolti due lavoratori nell’assunzione dell’obbligazione lavorativa. Ognuno dei due è personalmente e direttamente responsabile per intero. Le parti al momento dell’accordo devono stabilire le modalità e quantità precise della ripartizione del lavoro e ciascuno dei due deve coprire l’altro in caso di assenza.

Lavoro intermittente: il lavoratore è a disposizione del datore che ne può utilizzare la prestazione. Spetta al datore decidere se e quando chiamarlo e al lavoratore decidere se andare (tranne se presente la clausola di obbligo di disponibilità)


Contratti formativi: coniugano lavoro e istruzione.

Apprendistato (tirocinio nel cc): per i giovani tra i 16 e i 24 anni, a seguito di visita medica e secondo le condizioni stabilite dai contratti collettivi. Il numero di apprendisti non può superare il numero di personale già specializzato.

a)  Formazione: consiste sia in addestramento pratico all’interno dell’azienda, sia nella partecipazione a corsi e iniziative esterni. Se al termine il datore non disdice, l’apprendista si considera assunto con la qualifica acquisita durante l’apprendistato.

Contratto di formazione lavoro (CFL): per giovani tra 16 e 32 nel pubblico impiego. Può essere forte o leggero a seconda della proporzione tra durata e attività formativa.

Contratto di inserimento: ha finalità più occupazionali che formative e va a sostituire il sovra citato CFL. Previsto per categorie di persone particolarmente deboli prevede la definizione (nel contratto) di un progetto individuale volto ad adeguare le competenze del soggetto al contesto lavorativo in cui andrà inserito e deve durare dai 9 ai 18 mesi.

Stage (tirocinio formativo e di orientamento): inserimento temporaneo di un soggetto all’interno del mondo produttivo per sperimentarne un contatto diretto. Solitamente gratuito a volte prevede l’erogazione di una borsa premio al termine.


GARANZIE DEI DIRITTI DEL LAVORATORE


L’ordinamento interviene precludendo che l’autonomia contrattuale eluda la disciplina legislativa protezione del lavoratore. Tali diritti sono perciò inderogabili e indisponibili.

Rinunzie transazioni di diritti del lavoratore (che siano comunque già entrati nella sua disponibilità): sono puniti con l’annullabilità, cui è legittimato il solo lavoratore, da far valere entro 6 mesi.

Prescrizione: per i crediti retributivi è di 5 anni. Si verifica poi una prescrizione presuntiva una volta trascorsi tre anni che può essere superata col giuramento o la confessione giudiziale. Per quei lavori carenti del requisito della stabilità la prescrizione comincia a decorrere dalla cessazione del rapporto di lavoro.

Decadenza: nella legge si riscontrano solo due ipotesi che sono l’impugnazione del licenziamento entro 60 giorni e delle transazioni e rinunzie entro 6 mesi. Altre decadenze sono invece previste dai contratti collettivi.

Privilegi: per i crediti derivanti da obbligazione retributiva, è concessa al lavoratore una causa legittima di prelazione (in particolare per il TFR).

Impignorabilità, insequestrabilità, incedibilità: i crediti di cui gode il lavoratore a titolo retributivo godono anche di particolare protezione verso i creditori del lavoratore stesso.

Tutela giurisdizionale

a)  Ricorso: la domanda al giudice va proposta con ricorso quanto più completo e analitico onde favorire una rapida trattazione della causa. E’ generalmente preclusa la possibilità di integrare successivamente il ricorso.

b)  Udienze: alla prima udienza si procede all’interrogatorio libero delle parti, e si dovrebbe anche procedere all’assunzione dei mezzi di prova, che in realtà vengono quasi sempre differiti ad altra udienza.

c)  Giudice: i poteri istruttori del giudice sono molto ampi in quanto può concedere in qualsiasi momento qualsiasi mezzo di prova.

d)  Sentenza: nell’udienza di discussione finale il giudice redige la sentenza dando lettura del dispositivo in udienza depositandola poi nei successivi 15 giorni. Nella condanna al amento di somme il datore di lavoro è altresì condannato a are gli interessi legali e il maggior danno in modo tale da disincentivare la lunga durata del processo.

Conciliazione: può avvenire sia in via giudiziale, che amministrativa che sindacale ed è obbligatoria prima di procedere alla controversia.

Arbitrato: deferire ad un terzo il potere di decidere della controversia.

a)  Rituale: conduca all’emanazione di un giudicato (lodo) che acquista valore di sentenza se e quando omologato dal giudice. E’ ammesso solo se previsto dalla legge o dalla contrattazione collettiva, deve essere facoltativo e l’arbitro deve decidere secondo diritto.






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