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La lesione secondaria, principali meccanismi molecolari e cellulari

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La lesione secondaria, principali meccanismi molecolari e cellulari


In seguito alla lesione primaria il midollo diviene tumefatto e gonfio, secondo un complesso procedimento di risposta "secondaria" al trauma, comprendente - tra le altre - reazioni di tipo dolorifico ed infiammatorio, che attivano vari processi biochimici e liberano numerosi mediatori: serotonina, catecolamine, ed endorfine (delle quali tratteremo tra breve). Inoltre alcuni studi sembrano confermare che gli astrociti emettano in queste condizioni delle molecole capaci di prevenire la rigenerazione degli assoni. La lesione secondaria non è quindi immediata ma dura diverse ore, e questo in un certo senso è un bene in quanto durante questo periodo si ha la possibilità di intervenire per limitare i danni. Inoltre, come vedremo, numerosi meccanismi prendono parte alla lesione secondaria, e anche questo può essere - paradossalmente - un vantaggio, in quanto questo sistema offre la possibilità di diversi interventi terapeutici.




Trattando della lesione secondaria da un punto di vista generale, vale la pena di sottolineare due aspetti particolari: il primo è che si sta scoprendo che processi cellulari alquanto simili contribuiscono al danno cellulare in patologie del sistema nervoso centrale anche molto diverse tra loro, il secondo è che si sta prestando sempre più attenzione ai meccanismi con i quali le cellule vanno incontro a necrosi o apoptosi. In particolare le relazioni tra questi due eventi, ed i loro effetti sul midollo spinale, i segnali chimici che li modificano e le possibilità di bloccare l'apoptosi sono tra gli argomenti tuttora al vaglio dei neurobiologi per tentare di minimizzare il danno secondario.


Non esiste un punto di partenza preciso per descrivere la lesione secondaria, nella quale numerosi eventi complessi si accavallano contemporaneamente. Si può incominciare trattando il comportamento degli ioni, che sono i protagonisti di uno dei processi più immediati, in pratica "a metà strada" tra le lesioni primaria e secondaria.


I cambiamenti a cui sono sottoposti calcio e potassio nel midollo durante e dopo la lesione spinale


L'attività degli ioni potassio (K+, scriveremo K per semplicità) all'interno della cellula - indicata con la scrittura (K)i - è circa venti volte maggiore dell'attività che questo ione ha all'esterno della cellula (K)e. Questa condizione è necessaria, tra le altre, per il corretto trasporto degli ioni sodio, e per la creazione dei potenziali di membrana e d'azione. Il valore di Ke è di circa 3,5 mmol/l (7).


L'attività del calcio intracellulare (Ca)i è invece molto minore di quella extracellulare (Ca)e: i valori fisiologici sono minori di 100 nM e maggiori di 1mM rispettivamente (9). Il calcio quindi entra velocemente nella cellula quando si verificano degli aumenti nella permeabilità della membrana cellulare (7). Ciò risulta letale per i neuroni spinali e anche per altri tipi di cellule (8)


Per attività intendiamo quel valore che si ottiene moltiplicando la molarità dello ione in soluzione (soluto) per il coefficiente di attività del soluto medesimo (10). Ciò permette di effettuare i calcoli in maniera più accurata, essendo il sistema nel quale operiamo non ideale, e quindi essendo il coefficiente di attività diverso da 1.


I dati che verranno riportati in questo paragrafo hanno concettualmente validità generale, ma sono stati - per la precisioni - ottenuti studiando (11) cellule lese di midollo spinale di gatto. La lesione è stata causata - su T9 - tramite un peso di 20g lasciato cadere da un'altezza di 20 cm.

Il potassio extracellulare - dopo la lesione - aumenta velocemente fino a raggiungere valori di attività pari a dieci volte quelli iniziali; successivamente diminuisce esponenzialmente (tempo di emivita pari a 40 minuti circa ma variabile in funzione del flusso sanguigno). Il calcio extracellulare - entro pochi secondi dalla lesione - penetra nelle cellule danneggiate, in questo modo (Ca)e diminuisce di circa 100 volte (12). Ciò causa ulteriori danni alle cellule nervose (13). Esistono però delle particolarità, nell'andamento delle attività di questi due ioni: (K)e non aumenta, 2-3 ore dopo la lesione, mentre la sostanza bianca è sofferente di ischemia (14). Si crea un gradiente di attività del calcio, crescente man mano che ci si allontana dal sito della lesione, nel quale (Ca)e rimane a livelli piuttosto contenuti (anche dopo 6 ore), mentre già a 15 mm dal sito di lesione - dopo 6 ore - il valore di (Ca)e risulta tornato a valori fisiologici.


La distribuzione spaziale di calcio e potassio è stata studiata in questo caso tramite il procedimento di spettroscopia di assorbimento atomico. Questo metodo non distingue tra attività intra ed extracellulare, ma permette solo di valutare le variazioni assolute di attività di questi ioni in un dato segmento del midollo spinale.


Ciò (7) ha messo in evidenza:


una forte deplezione di K (65% del K cellulare si perde nelle prime tre ore). Ciò spiega perché un'eventuale ulteriore peggioramento (aumento) della permeabilità della membrana cellulare (causato dall'ischemia, 2-3 ore dopo la lesione), non porti ad un aumento di (K)e: infatti (K)i è troppo basso per causare un incremento di (K)e

un forte accumulo di calcio (proveniente anche dalle zone prossime alla lesione), che viene in gran parte sequestrato dal tessuto danneggiato, con conseguente bassa attività (bassa concentrazione risultante di calcio libero in forma ionica).


Si può quindi affermare che:


[K]t è un parametro coerente per valutare la gravità della lesione spinale (nel senso di % di cellule danneggiate)

ulteriori danni alle membrane cellulari (dovuti all'ischemia) non alzano il valore di [K]e poiché ci troviamo già a livelli piuttosto bassi di potassio (vedasi prima)

gli ioni K diffondono al sangue, al liquido cerebrospinale e alla porzione di midollo adiacente alla lesione

[Ca]t è un parametro coerente per valutare il rapporto tra calcio legato e calcio libero nel midollo spinale sia sano che lesionato

è dimostrato l'imponente sequestro di calcio presso il sito di lesione, sotto forma di molecole non rilevate dai metodi di analisi usati

è dimostrato che il calcio migri dal tessuto circostante verso il sito di lesione


I mutamenti della concentrazione di potassio e il danno cellulare


Nel midollo spinale sano, la maggior parte del potassio risiede nel timento intracellulare, che rappresenta circa l'80% del volume totale del midollo. Conoscendo i volumi dei timenti, così come le concentrazioni (o attività) di potassio in essi, e tenendo conto dell'incremento dello spazio extracellulare che segue alla distruzione delle cellule (lesione midollare) è possibile usare il valore di [K]t come indicatore, sebbene non perfetto, dell'estensione del danno cellulare conseguente la lesione. Questo metodo di valutazione dell'estensione della lesione porta a risultati simili a quelli ottenuti per via morfometrica (metodo Blight) (15). Dopo numerosi mesi dalla lesione, il tessuto 'cicatriziale' (cisti) riempie quasi completamente (84% circa) lo spazio prima occupato dalle fibre e dai nuclei cellulari.



Le conseguenze della perdita di potassio


Si è visto come il potassio fuoriuscito dalle cellule non si equilibri semplicemente tra i due timenti intra ed extracellulare, ma viene allontanato dal sito di lesione (anche le cellule intatte perdono potassio intracellulare per via dell'incrementata permeabilità dovuta alle condizioni patologiche dell'ambiente circostante). Le cellule che resistono meglio alla lesione sono quelle dello strato più esterno del midollo, che sono quelle situate nella zona meno colpita dall'ischemia (16). [Inoltre sono quelle meno stressate meccanicamente dalla lesione - se essa è di tipo a compressione - secondo la teoria reologica]


Gli ioni potassio rilasciati (in seguito alla lesione) dalle cellule verso l'ambiente extracellulare, vengono 'allontanati' dal sito della lesione tramite il trasporto gliale e la diffusione, così che il livello di potassio extracellulare tornerà entro livelli fisiologici, mentre all'interno delle cellule la sua concentrazione sarà ancora minore del normale. Ciò spiega come talvolta si abbiano dei blocchi di conduzione nervosa in presenza di normali livelli di K extracellulare.


La conservazione del potassio


Il potassio fuoriuscito dalle cellule danneggiate può diffondere sia nel midollo spinale adiacente, sia nel liquido cerebrospinale e nel sangue. In effetti, come detto prima, si è rilevato - a 3 ore dalla lesione - un aumento della [K]t nelle porzioni di midollo adiacenti al sito di lesione pari al 70% del potassio perduto dal sito di lesione stesso. Ciò ben si accorda con la bassa clearance del potassio effettuata dal liquido cerebrospinale e dal sangue durante il periodo di ischemia (che si attua proprio nel periodo corrispondente a 2-3 ore dopo la lesione) (17).


Se si analizza in modo più approfondito questo aspetto, si rende necessaria una precisazione. Dopo un'ora dall'impatto la [K]t presso il sito di lesione appare dimezzata in confronto a quella patologica, mentre non appare aumentata significativamente la [K]t presso le zone adiacenti. Ciò significa che il potassio perso nella prima ora non diffonde direttamente nel midollo spinale adiacente, ma piuttosto si riversa nel liquido cerebrospinale e nel sangue. Ciò significa anche che il potassio che si ritroverà - in alte concentrazioni - nelle zone adiacenti il sito d'impatto dopo 3 ore, non sarà giunto lì direttamente dal sito di lesione.


I mutamenti della concentrazione di calcio e il danno cellulare


In assoluto le variazioni della [Ca]t nel sito di lesione (+ 1 µmol /g circa) sono minori delle variazioni alle quali è sottoposto il potassio (- 45 µmol/g circa), ma bisogna considerare che il calcio extracellulare libero è solo una piccola percentuale di quello presente. Il calcio extracellulare libero presente in condizioni fisiologiche nel midollo spinale raggiunge una concentrazione pari a circa 1.2 mM (18), in confronto alla quale la quantità di calcio intracellulare è trascurabile (è minore di 100 nM) (19). La maggior parte del calcio nel midollo si trova in forma legata (88% del totale).


Dopo la lesione ( nel sito di lesione) la percentuale di calcio legato sale dall'88 al 99% del totale presente dopo la lesione (si consideri che 3 ore dopo la lesione il calcio totale presente - per unità di volume, nel sito di lesione - è più di 4 volte quello presente prima!)


Il sequestro del calcio


La semplice diluizione del calcio libero extracellulare - [Ca]e - (dovuta all'aumento dello spazio extracellulare in seguito alla lesione) non riesce a spiegare le basse concentrazioni che questo ione raggiunge: nemmeno se tutte le cellule venissero distrutte non si riuscirebbe a raggiungere questi livelli (ossia concentrazioni minori di 0.01 mM).


Nemmeno un trasporto attivo del calcio nel sangue e/o nel liquido cerebrospinale potrebbe spiegare concentrazioni così basse (l'abbassamento della concentrazione è troppo veloce per essere spiegato in questo modo, e poi il trasporto attivo dovrebbe vincere un gradiente di concentrazione troppo alto). La spiegazione più logica di questo repentino abbassamento della concentrazione di calcio libero extracellulare è quindi la precipitazione o il sequestro. Ma quali caratteristiche dovrebbe avere il sequestro, in pratica, per essere in accordo con i dati sperimentali? La costante di equilibrio della reazione di associazione del calcio Ca con un agente sequestrante X (ossia K = CaX / [Ca]e * [X]) dovrebbe avere un valore di pK almeno di -4 per portare la concentrazione del calcio a livelli dell'ordine di grandezza di 0.01 mM. Il prodotto di reazione dovrebbe essere alquanto stabile in ambiente acido (per acido lattico (20)) di pH circa 6.5, ed il reagente X dovrebbe essere presente in quantità sufficiente per sequestrare circa 1-2 mM di calcio libero, e la reazione dovrebbe poter procedere in un ambiente biologico alterato qual è quello di una cellula lesa .


Non rientra tra queste caratteristiche l'uptake mitocondriale del calcio (i mitocondri nelle cellule danneggiate non sono capaci di legare il calcio (21). Infatti per questa operazione essi hanno bisogno di energia, e nelle cellule danneggiate la catena respiratoria viene disaccoppiata e quindi la sintesi dell'ATP risulta inibita; sebbene il trasporto degli elettroni non venga interrotto).


Non rientrano tra queste caratteristiche i fosfolipidi di membrana, che legano il calcio con un pK troppo alto (fino a -l), inoltre il sequestro del calcio tramite i fosfolipidi viene rallentato molto da pH < 6.5 Non rientrano tra queste caratteristiche numerosi enzimi (fosfoproteine quali la fosfolipasi A, protrombina, calmodulina) che sono presenti in concentrazioni troppo basse sebbene il pK sarebbe sufficientemente basso (giunge fino a -8).


Il calcio e i gruppi fosfato


Una molecola che soddisfa tutte le condizioni sopra elencate è il gruppo fosfato inorganico, il quale lega fortemente il calcio a formare complessi di tipo idrossiapatite (Ca (PO (OH)). La costante di associazione del calcio con lo ione (H PO )- ha un pK di -7.2 (22), e la concentrazione di questo ione è più che sufficiente per questa reazione. Inoltre il calcio fosfato è piuttosto insolubile (l'idrossiapatite ha un prodotto di solubilità di pKs = 58.6) e non risente in maniera importante delle variazioni di pH (23). E' quindi verosimile che il calcio nel sito di lesione precipiti come idrossiapatite o come composto amorfo (24).


Tra le motivazioni che rendono 'elegante' questa spiegazione - oltre a tutte quelle già elencate - c'è anche quella che spiega il rapido decremento della concentrazione di ATP nelle cellule danneggiate del midollo spinale (l'ATP degradandosi fornisce gruppi fosfato)


Diffusione del calcio dalle zone adiacenti del midollo spinale al sito di lesione


I dati sperimentali permettono di affermare che gran parte del calcio accumulatosi nel sito di lesione dopo l'impatto proviene dalle zone adiacenti del midollo spinale (7).


Conseguenze patologiche dell'afflusso di calcio


Dopo pochi minuti dalla lesione si notano solo emorragia, alterazione di organuli cellulari e dell'endotelio. Dopo un'ora è visibile la necrosi della sostanza grigia colpita, mentre per un'ulteriore ora la sostanza bianca può non manifestare importanti segni. In questo periodo il flusso sanguigno può rimanere inalterato o addirittura aumentare. Il fatto che l'accumulo del calcio preceda i segni evidenti del danno cellulare fa supporre che il calcio abbia un ruolo non secondario nel danneggiamento delle cellule in questione.


La distribuzione dei danni cellulari nel midollo potrebbe quindi essere spiegata in funzione della differente vulnerabilità che sostanza bianca e grigia hanno verso il calcio. Infatti i nuclei della sostanza grigia sono più sensibili alle alte concentrazioni di calcio, in quanto essi (piuttosto che gli assoni della sostanza bianca, di volume intracellulare trascurabile) contengono la maggior parte dei gruppi fosfato deputati a far precipitare il calcio.


Conclusione


Riassumendo, quindi, il calcio, in seguito alla lesione, tende ad entrare nelle cellule lesionate (25) alterando fortemente l'omeostasi e il movimento degli altri ioni, e ciò porta all'inibizione o all'attivazione di numerosi enzimi, tra cui fosfolipasi, proteasi e mielinasi (26) responsabili di numerosi danni alla cellula e alla mielina. Alcuni danni sono diretti, altri sono indiretti e sono causati dai radicali liberi (dei quali parleremo tra breve) la sintesi dei quali è favorita dall'attività di tali enzimi e dal blocco della catena di trasporto degli elettroni causato dal calcio. In conclusione, l'azione del calcio, presente in quantità eccessiva, porta al blocco totale dell'attività cellulare.


Azione dei radicali liberi


Oltre a quanto detto prima, i radicali liberi si formano anche in seguito alla riperfusione sanguigna (riossigenazione) che segue lo shock spinale. Tra queste molecole quella forse più nota è l'ossigeno superossido O che è convertito a perossido di idrogeno H O dall'enzima superossido dismutasi (SOD), peraltro presente in alta concentrazione nel sistema nervoso centrale. Il perossido d'idrogeno viene eliminato dall'enzima catalasi: ma alte dosi di perossido d'idrogeno e/o basse dosi di catalasi causano la produzione del radicale idrossile OH°, che è estremamente reattivo e va - insieme agli altri radicali liberi - a danneggiare gli enzimi e le strutture cellulari, principalmente tramite reazioni di perossidazione dei lipidi. Questo danneggiamento molecolare dei lipidi facilita una maggiore penetrazione di acqua dal liquido cefalorachidiano e dal sangue verso le cellule, e ciò causa un ulteriore aggravamento dell'omeostasi spinale nel sito di lesione.


Sebbene il radicale idrossile sia il più reattivo dei radicali liberi, in vivo probabilmente risulta più dannoso l'ossido di azoto (ossido di azoto, NO, sotto forma di dimero stabile O=N-N=O), il quale di per sé non è dannoso - viene usato normalmente dal nostro organismo come trasmettitore - ma combinandosi con l'ossigeno superossido (O ) genera il perossinitrito (NO , di formula O=N-O=O, con carica negativa formalmente sull'ossigeno compreso tra l'atomo di azoto e quello di ossigeno, base coniugata dell'acido perossonitroso, HOONO), con una reazione almeno un milione di volte più veloce di quella che porta alla formazione di radicali idrossile OH°, ed inoltre il perossinitrito ha un raggio d'azione almeno diecimila volte maggiore di quello del radicale idrossile; infine, considerando che il perossinitrito è in grado di inattivare l'enzima SOD, il suo potenziale effetto dannoso risulta ancora più rilevante.


Il perossinitrito inoltre può modificare il comportamento delle cellule in relazione ai fattori di crescita: i neuroni, in presenza di NGF (nerve growth factor) sono protetti nei confronti dell'apoptosi (27), mentre se nell'ambiente oltre al NGF si aggiunge il perossinitrito, si ottiene la trasformazione del NGF in agente favorente l'apoptosi. Questi meccanismi di danno - come anche gli elementi bersaglio di queste molecole - sono ancora in fase di studio: nel caso del perossinitrito i neurobiologi hanno un'arma in più: un'impronta lasciata dal perossinitrito su tutte le molecole vittime dei suoi effetti: ciò permette di sapere su quali target esso agisca, e facilita il difficile compito di studiare dei rimedi.


Il danno da radicali liberi non è immediato ma porta ad una lenta degenerazione delle cellule nervose che - a prescindere dalla lesione traumatica - può prendere parte sia a lente patologie degenerative quali la Sclerosi Laterale Amiotrofica (o malattia di Lou Gehrig) o il morbo di Parkinson, sia ad eventi acuti come l'ictus.


Il sistema nervoso possiede numerosi agenti antiossidanti, tra i quali acido ascorbico (vitamina C) e glutatione ridotto, alfa-tocoferolo (vitamina E). E' interessante notare come queste molecole siano presenti in concentrazione addirittura millimolare nel sistema nervoso centrale, ossia in concentrazione più elevata che non negli altri tessuti dell'organismo.


Azioni del sistema immunitario


Contemporaneamente all'attività dei radicali liberi nel midollo spinale leso vengono attivati numerosi enzimi (proteasi, fosfolipasi, lipoossigenasi) che degradano proteine e lipidi. Ricordiamo quelli derivati dalla degradazione dell'acido arachidonico, tramite le vie della lipoossigenasi e della cicloossigenasi: prostaglandine e leucotrieni, che sono tra le più potenti citochine conosciute (alcune citochine sono anche fattori di crescita). Le prostaglandine - ma anche altre citochine - hanno attività vasocostrittrice e chemiotattica verso globuli bianchi del tipo neutrofili e macrofagi che vengono quindi attirati nella zona della lesione. I neutrofili sono le prime cellule immunitarie ad entrare nel midollo (dopo circa dodici ore dalla lesione, e rimangono in loco circa 24 ore). Successivamente, circa tre giorni dopo la lesione, il midollo viene infiltrato da linfociti-T, ma non si conosce la loro funzione specifica nel sistema nervoso centrale danneggiato, funzione che potrebbe essere diversa da quella che essi svolgono normalmente nell'organismo. Ancora più lentamente entrano nel sistema nervoso centrale i macrofagi ed i monociti, che hanno il compito di eliminare i frammenti cellulari derivanti dalla lesione. Si ritiene però che queste cellule spazzine siano anche responsabili, in qualche misura, del danneggiamento della guaina mielinica (28). Le citochine attivano anche le cellule della microglia che divengono macrofagi.


La maggior parte delle cellule del sistema immunitario penetrano nel sistema nervoso centrale solo quando esso si trova in condizioni patologiche. Non è ancora chiaro quanto le cellule immunitarie migliorino o peggiorino la situazione e modifichino le possibilità di recupero; tuttavia esse sono sicuramente responsabili di alcuni danni propri della lesione secondaria. Non è nemmeno chiaro esattamente quali segnali molecolari controllino l'entrata delle cellule immunitarie nel sistema nervoso centrale, ma probabilmente un ruolo fondamentale è giocato dalle molecole di adesione, poste sulla superficie delle stesse cellule immunitarie. Queste molecole di adesione si modificano quando vengono in contatto con tessuti danneggiati o anormali o quando 'sentono' la presenza di appropriate citochine.


Infine, non è ben noto cosa le cellule immunitarie facciano una volta entrate nel sistema nervoso centrale. Alcune circondano ed eliminano i frammenti cellulari e altre sostanze di scarto, così come avviene normalmente nel resto dell'organismo. Macrofagi, monociti e cellule della microglia attivata liberano, nel midollo spinale danneggiato, una serie di potenti mediatori che possono sia aiutare sia contrastare il recupero post traumatico del midollo. Tra le molecole che apportano dei benefici possiamo includere i fattori di crescita TGF-beta e GM-CSF (fattore stimolante le colonie di granulociti-macrofagi). Tra le molecole (per lo meno apparentemente) dannose possiamo iscrivere il TNF-alfa (fattore di necrosi tumorale - alfa, responsabile anche di danni alla guaina mielinica, (133)) e IL1-beta (interleukina 1 - beta).


Apoptosi e necrosi


Fino a poco tempo si riteneva che le cellule nervose, dopo la lesione spinale, morissero in maniera incontrollata (necrosi), ma diversi studi effettuati in questi ultimi anni sottolineano invece come l'apoptosi - o morte programmata - accomni 'in parallelo' la necrosi (27). Le cellule che muoiono per necrosi, a causa dell'omeostasi degenerata, si rigonfiano e ciò causa la rottura della membrana cellulare, così che il contenuto cellulare viene riversato all'esterno causando una risposta infiammatoria. Durante l'apoptosi invece le cellule vanno incontro a modificazioni strutturali caratteristiche e controllate. Per esempio è noto che dalla cellula si staccano delle vescicole contenenti citoplasma ed organuli cellulari, mentre il nucleo si frammenta e le catene di ribosomi si rompono. Inoltre il DNA viene scisso in frammenti diseguali: questo processo potrebbe spiegarsi come una difesa verso la possibilità che dei virus s'insedino in queste cellule. La cellula che subisce apoptosi libera degli agenti chemiotattici che richiamano in loco cellule deputate ad eliminare i frammenti della cellula morta. Tutto il procedimento dell'apoptosi si conclude senza liberazione di sostanze glutammato o proteasi o altre molecole che potrebbero arrecare danno alla cellule vicine (233)


Ad ogni modo è tutto da dimostrare che il blocco dell'apoptosi sia un bene: le cellule salvate potrebbero poi, invece che riprendersi, morire per necrosi con tutte le conseguenze dannose che ciò comporta. Piuttosto - poiché necrosi ed apoptosi accadono in contemporanea (anche se poi l'apoptosi può continuare per più lungo tempo) - forse sarebbe più utile spingere all'apoptosi le cellule che stanno morendo per necrosi. Ciò si può ottenere per esempio somministrando antagonisti dei glutammato, che riducono la quantità delle cellule che muoiono per necrosi da glutammato ed aumentano quindi la percentuale di quelle che moriranno per apoptosi (166).


L'apoptosi (6) è responsabile di buona parte della lesione secondaria, specialmente nei traumi meno gravi: nelle lesioni più imponenti la maggior parte delle cellule morte lo sono a causa della necrosi, nelle lesioni più leggere lo sono a causa dell'apoptosi (questi dati si riferiscono a recenti studi eseguiti su topi). Studiando la localizzazione delle cellule morte per apoptosi si è visto che esse sono situate molto vicino alla zona della lesione; l'apoptosi dei neuroni si conclude circa otto ore dopo la lesione, mentre le cellule gliali subiscono un'apoptosi che richiede più tempo, e anche nella sostanza bianca non tutto avviene velocemente: una seconda ondata di apoptosi colpisce questo tessuto circa sette giorni dopo la lesione meccanica principale (probabilmente si tratta dell'apoptosi degli oligodendrociti). Quest'apoptosi ritardata probabilmente è la causa per la quale, in seguito a lesioni lievi, non si nota immediatamente un grosso danno strutturale presso gli assoni mielinati, ma il danno - una demielinizzazione piuttosto evidente - viene però alla luce circa tre settimane dopo la lesione, ed è causata indirettamente ai neuroni dall'apoptosi degli oligodendrociti. Si renderebbe quindi necessaria una differenziazione delle terapie necessarie a salvare i neuroni da quelle necessarie a salvare gli oligodendrociti.


Molte tra le cose che si sanno sull'apoptosi derivano dagli studi compiuti sul nematode C. elegans, organismo che ha solo trecento cellule nervose, tutte riconoscibili singolarmente. Inoltre esso è geneticamente modificabile con relativa facilità. Osservando vermi mutanti per quanto riguarda il corredo genetico riguardante l'apoptosi, si è iniziato a capire la dinamica di questo processo, che fa uso di numerose famiglie di geni, tra i quali citiamo i geni morte-soppressori, i geni killer e i geni che regolano la degradazione del DNA e della cellula. La scoperta di geni simili in organismi superiori è stata la chiave per capire l'apoptosi nei mammiferi (4).


Per quanto riguarda l'apoptosi nelle cellule di mammiferi, i meccanismi meglio studiati riguardano cellule del sistema nervoso periferico non esposte a quantità sufficienti di NGF. Il programma che porta alla morte cellulare, iniziato dall'eliminazione del NGF dal terreno di coltura, si divide in 5 stadi che sono vengono caratterizzati dall'attivazione di enzimi e geni nei diversi stadi:


attivazione

proazione

esecuzione #1 (commitment)

esecuzione #2 (execution)

morte


Fino al terzo passaggio l'apoptosi è reversibile, bloccando la sintesi delle proteine necessarie a continuare. Anche superato questo step si riesce a bloccare l'apoptosi, ma in tal caso bisogna intervenire su particolari enzimi (specialmente quelli della classe ICE, interleukin converting enzymes, come le proteasi). Ad ogni modo differenti cellule presentano differenti tipi di apoptosi (talvolta l'apoptosi non necessita di proteine sintetizzate ad hoc) e anche una cellula di un certo tipo può sviluppare diversi tipi di apoptosi a seconda degli stimoli che riceve.


Utilizzando cellule di sistema nervoso periferico in vitro, i neurobiologi stanno valutando due approcci per interrompere l'apoptosi. Un metodo prevede il blocco degli enzimi ICE (234), l'altro prevede l'uso di cellule sottoposte ad intervento sul loro genoma, in modo da mancare del gene regolatore bcl-2, gene necessario al programma di apoptosi per essere portato a termine. Strategie simili sono state usate anche in studi su animali con midollo spinale lesionato (i topi sono stati trattati per un mese con un inibitore della sintesi di alcune proteine necessarie all'apoptosi): si sono ottenuti alcuni risultati positivi. Queste terapie non sono però applicabili all'uomo, sia perché la via genetica non è in pratica percorribile sia perché i farmaci che bloccano la sintesi di proteine necessarie all'apoptosi sarebbero troppo tossici.



Molto dev'essere ancora studiato, prima che terapie basate su questo principio possano essere applicate agli esseri umani, infatti si sa ancora troppo poco su questioni importanti come per esempio quali sono i fattori precisi che innescano l'apoptosi, in cosa differiscono l'apoptosi che si ha nello sviluppo (per esempio del sistema nervoso) da quella che segue una lesione, come e perché cellule diverse riescono ad ottenere programmi di apoptosi 'su misura', che ruolo gioca l'apoptosi nella lesione al midollo spinale, a livello di perdita di funzionalità motoria e sensitiva.





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