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IL ROMANTICISMO IN EUROPA, LA POLEMICA DEL ROMANTICISMO IN ITALIA, TEMI E FORME DEL ROMANTICISMO ITALIANO



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IL ROMANTICISMO IN EUROPA.


La nascita del Romanticismo.

In Germania. Il Romanticismo è un movimento che prende in considerazione molteplici aspetti (dalla filosofia alla letteratura, dall'arte alla musica), è nato negli ultimi anni del 700 ed ebbe la sua massima fioritura e diffusione in tutta Europa nei primi decenni dell'800. Si tratta di un movimento letterario polemico nei confronti della cultura precedente e nacque in Germania grazie all'attività di un gruppo di intellettuali e di scrittori, che si riunirono attorno alla rivista "Athenaeum".

- I due fratelli Schlegel (Friedrich e Wihelm) diffusero in Europa le idee del Romanticismo tedesco, Friedrich von Hardenberg (noto come Novalis) fu il più significativo poeta del movimento e scrisse importanti testi teorici e Ludwig Tieck si dedicò al rifacimento degli antiche narrazioni destinate ad un pubblico popolare. Le attività di questa scuola furono svolte nella città di Jena e aveva stretto una relazione d'amicizia e di confronto intellettuale con i filosofi Fichte e Schelling. Infatti questa scuola è indicata come " gruppo di Jena".



- In Germania però si creò un altro circolo romantico legato alle ure di Achim von Armin e di Bretano nella città di Heidelberg. Questa scuola è detta "gruppo di Heidelberg".


Negli altri Paesi europei.

- In Inghilterra l'inizio del movimento fu nel 1798 e i massimi esponenti furono Coleridge e Wordsworth;

- In Italia, l'inizio del Romanticismo è collocato nel 1816, in cui si sviluppa la polemica tra sostenitori del classicismo e delle idee romantiche;

- In Francia, il Romanticismo si affermò nel 1820, anche se è bisogna attendere il 1827 grazie a Victor Hugo.


Il Termine "romantico".

a) La parola "romantic" si presenta in Inghilterra intorno al 1650 per indicare un'opera d'immaginazione, bizzarra e irreale.

b) Gli antenati di questa parola devono essere individuati nell'aggettivo (nel significato di "volgare" contrapposto nel Medioevo al "latino") e nel sostantivo "romanzo" che era servito ad indicare prima la narrazione di una argomento cavalleresco fatto in versi e poi il racconto d'avventure scritto in prosa. In questa prima fase il termine "romantic" ha il significato d'inverosimile ed innaturale, quindi usato in senso dispregiativo per indicare opere assurde, incredibili e prive di logica.

c) Alla fine del 600, la parola "romantic" cominciò ad essere utilizzata positivamente e ciò si rafforzerà nel corso del 700 con l'affermarsi di una tendenza che riconosce l'importanza della fantasia nelle opere d'arte a differenza degli ideali illuministi che pongono in primo piano la razionalità.

d) "Romantic" continuò a significare qualcosa di assurdo, ma assume la sfumatura di attraente, capace di dilettare l'immaginazione: quindi accanto al senso dispregiativo è utilizzato per paesaggi suggestivi, non comuni, che stimolano la fantasia e che suscitano emozioni.

e) L'utilizzo di "romantico" è legato alla descrizione della natura e del paesaggio che i francesi rendono romantic in pittoresque. Nel 1776 il traduttore di Shakespeare e il marchese de Girardin incominciarono ad usare in Francia la parola romantique perché:

- romantic significa qualcosa di diverso rispetto a romanesque (strano, esagerato, favoloso) e a pittoresque (utilizzato per descrivere una scena che colpisce l'occhio suscitando ammirazione) che non descrive la scena ma l'emozione che suscita in chi l'ammira.

- romatique è utilizzato da Rousseau per indicare sentimenti indefiniti e malinconici suscitati da paesaggi pittoreschi.

- romantic è ultizzato per mettere in risalto l'emozione che la vista di questo paesaggio suscita  e in questo caso assume un carattere soggettivo, poiché si descrivono le emozioni dell'uomo di fronte a questo paesaggio.

f) In Germania nella seconda metà del 700, romantisch è utilizzato positivamente per definire le opere d'arti spontanee ed ispirate, che si sottraggono ai canoni del classicismo. Tra la fine del 700 e gli inizi dell'800, il Romanticismo diventò una concezione estetica. Friedrich von Schlegel utilizzò per primo questo termine per indicare un nuovo modo di intendere l'arte, che suo fratello August Wilhelm contrappose al classicismo.


Il Preromanticismo.

Il filone settecentesco non nazionalista. La nascita del Romanticismo era preceduta nel corso del 700 razionalista dallo sviluppo di correnti e filoni che si contrapponevano al dominio della ragione e che puntavano l'attenzione sui sentimenti umani. Questo periodo definito Preromanticismo indicava le molteplici e multiformi tendenze del gusto che preparano il Romanticismo e che vanno dalla poesia sepolcrale al romanzo epistolare (il protagonista mette a nudo la propria interiorità) e al romanzo gotico (con note cupe, tenebrose d elementi misteriosi sfuggono a una comprensione razionale).


Jean - Jaques Rousseau. In Rousseau troviamo una serie di elementi che caratterizzarono il Romanticismo a partire dal bisogno di esprimere i propri sentimenti, le proprie passioni in opere estremamente soggettive. Anche l'idea dell'amore come passione che sconvolge è espressa da Rousseau nella Nouvelle Héloise (romanzo epistolare preso in considerazione da Goethe e Foscolo). Rousseau pone l'attenzione non sulla ragione, ma sul sentimento e l'io umano non è un intelletto ma un concentrato si sensibilità. La scienza non è più il bene ma il più grande male e l'uomo può raggiungere la felicità non rafforzando la ragione, ma attraverso gli impulsi istintivi. L'uomo può ritrovare la felicità solo se torna alla natura ed è necessario che si abbandoni alla fantasia e al sentimento.


Giambattista Vico. Nella prima metà del 700 il filosofo napoletano Vico aveva una concezione dell'arte e un gusto antirazionalista, infatti la poesia non è frutto della ragione ma della fantasia. I poeti da considerare non sono glia artisti fini e raffinati come Virgilio e Orazio (latini) e Petrarca (italiano), ma coloro che conservano qualche cosa di barbarico, selvaggio, istintivo e impetuoso come Omero e Dante.


Johan Gottfried Helder. Nella prima metà del 700 in Germania Herder distinse i Kunstpoesie ("poesia d'arte", raffinata ma fredda) e Naturpoesie (poesia di natura, spontanea e immediata).


Il movimento della Sturm un Drang. Dall'esempio di Rousseau e dalle teorie di Herder, s'ispira la prima reazione nei confronti dell'Illuminismo con il movimento dello Sturm und Drang, un dramma di Klinger (tempesta e impeto). Questo movimento nacque in Germania nel 1770 e vi aderiscono Gothe e Schiller: alla ragione è contrapposto l'irrompere delle passioni e dei sentimenti.


Le caratteristiche di fondo del Romanticismo.

I presupposti dello Sturm und Drang. Tra il 1770 e 1785 il movimento dello Sturm und Drang (Gothe, Schiller, Herder e Klinger) aveva esaltato le forti individualità, passioni e personalità. Alcuni anni dopo un gruppo d'intellettuali e poeti (fratelli Schlegel, Schelling, Fichte, Novalis e Tieck), che facevano parte della rivista "Athenaeum", stabilirono le linee fondamentali del Romanticismo.


Linee fondamentali del Romanticismo. Il Romanticismo espresse alcune linee fondamentali, molte delle quali erano in contrapposizione con l'Illuminismo:

- in campo filosofico l'affermazione della creatività prese il posto della ricerca razionale; la scienza divenne considerata uno strumento impotente di fronte ai problemi spirituali dell'uomo e inadeguato a soddisfare la sua ansia d'assoluto;

- in campo religioso si verificò il ritorno alla trascendenza e ai tradizionali valori confessionali;

- furono esaltate le ure eroiche, le individualità estreme, ispirate da forti passioni e da un atteggiamento ribelle nei confronti delle convenzioni;

- in campo letterario, l'imitazione dei classici e l'applicazione dei canoni formali furono rifiutati e l'originalità e la creatività furono ammessi;

- l'importanza del passato e della storia fu rivalutato e il Medioevo non era più considerato un periodo oscuro;

- l'idea di patria e il concetto di nazione furono esaltati, cioè un territorio abitato da un popolo accomunato da storia, lingua, costumi e principi; ciò porto nell'800 a far coincidere gli ideali romantici con quelli di libertà e democrazia dei patrioti nel Paesi europei oppressi dalle potenze straniere.


Le due tendenze principali. All'interno del Romanticismo si svilupparono due filoni:

- il primo volto all'analisi interiore dell'individuo, alle sue passioni e ai suoi sentimenti, che si affermò in Germania e Inghilterra; (Leopardi = soggettività)

- il secondo fu molto più attento a osservare e ritrarre il reale nei suoi aspetti storici e sociali (Manzoni = oggettività). Infatti questa tendenza si manifestò in Italia, i cui esponenti erano distanti dai caratteri più irrazionali del Romanticismo nordico e svilupparono maggiore interesse per la storia e la realtà, soprattutto la vita del popolo e delle classi più povere (Manzoni). Questa attitudine del Romanticismo costituì, in campo letterario, un primo momento della corrente del Realismo che, assumendo carattere materialista e scientifico, fu la base del Naturalismo e del Verismo, sviluppatisi nella seconda metà dell'800.




LA POLEMICA DEL ROMANTICISMO IN ITALIA


Il dibattito tra classicisti e romantici.

L'articolo di Madame de Staël In Italia s'incomincia a parlare di Romanticismo nel 1816, quando sul primo numero della "Biblioteca italiana", pubblicato nel gennaio del 1816, apparve l'articolo scritto da Madame de Staël Ciò sottolineava la necessità di tradurre in Italia le opere degli scrittori contemporanei per rinnovare una letteratura troppo legata all'imitazione dei classici e dominata dal ricorso alla mitologia. L'articolo fece sorgere un intenso dibattito tra i romantici, che occorrevano il rinnovo della cultura e la letteratura italiana, e i classici, contrari all'ipotesi della scrittrice francese.


La posizione di Pietro Giordani. Lui scrisse una risposta all'articolo della Staël pubblicato sulla "Biblioteca italiana". Se lei aveva individuato nella tradizione di autori stranieri l'unico rimedio per svecchiare la letteratura, Giordani, che condivideva il suo giudizio sulla necessità di rinnovare la nostra cultura, invitava gli italiani a tornare a studiare né proprio i classici, e né latini e né greci.


La posizione di Giacomo Leopardi. Per quanto riguarda la polemica, Leopardi inserì 2 scritti, che non furono pubblicati e rimasero a lungo inediti. Nel luglio 1816 inviò una lettera, nella quale invitava gli italiani a studiare gli autori greci e latini e quelli italiani. Due anni dopo stese un discorso in cui contrapponeva la poesia moderna (nata nell'epoca della scienza e della ragione che distrugge la fantasia e le illusioni) a quell'antica (vicina alla natura e capace di ingannare la fantasia umana).


La complessità del movimento romantico. La presa di posizione di Leopardi contro il Romanticismo permette di sottolineare la complessità di un movimento non privo di incoerenze de di pulsi contraddittori, (Leopardi e Foscolo) chi si dichiara antiromantico finisce per rivelare, nella sua personalità e nella sua opera, elementi romantici molto più profondi, e al contrario che è considerato capofila teorico del Romanticismo italiano rivela la propria estraneità ad alcune tendenze del movimento (Manzoni) che si afferma in Europa nei primi dell'800.


I primi "manifesti" del Romanticismo italiano. La lettura di Madame de Staël (1813) e la traduzione francese di Schlegel (1814) attirarono l'attenzione di intellettuali milanesi che si schierarono a sostengo delle teoria della de Staël intervenendo nel dibattito con alcuni scritti considerati come manifesti del Romanticismo italiano. Nel 1816 fu pubblicato il primo opuscolo di Ludovico Di Breme, che si ricollegava all'intervento della de Staël e polemizzava con coloro che difendevano la letteratura italiana rifilandosi nel culto delle glorie passate. Pietro di Borsieri presentava, attraverso gli occhi di un galantuomo a passeggio a Milano, i temi che erano discussi tra sostenitori del classicismo e del Romanticismo. Infine fu stampato l'intervento di Giovanni Berchet.


La posizione di Giovanni Berchet. Berchet affrontava la questione del pubblico al quale i romantici dovevano rivolgersi. L'autore suddivise la società in 3 classi:

- Ottentori, la plebe incolta e rozza;

- Parigini, raffinati esteti;

- Popolo, famiglie che pensano, leggono, scrivono, piangono, fremono e sentono le tutte le passioni. Infatti, soltanto all'insieme del popolo doveva rivolgersi il poeta romantico.


Gli interventi di Manzoni e Monti.

- Manzoni scrisse nel 1823 la lettera al marchese Cesare D'Azeglio, che fu pubblicata nel 1846 e non ebbe peso nel dibattito;

- Monti compose il sermone nel 1825 con il quale tentava di difendere la presenza degli antichi dei nella letteratura accusando di aver riempito la poesia di fantasmi e di streghe.


Dal "Conciliatore" all'"Antologia".

La convergenza d'istanze culturali e ideali politici: "il Conciliatore". Il giornale "il Conciliatore", il cui primo numero fu stampato a Milano nel settembre 1818, fu di grande importanza nel dibattito sul Romanticismo e i principali sostenitori furono Di Breme, Berchet, Silvio Pellico, Romagnoli, Pecchio, Gonfalonieri, Visconti e Corsieri, intellettuali e studiosi che desideravano un rinnovamento culturale e politico che si battevano per una patria libera dai dominatori stranieri. Silvio Pellico fu imprigionato dagli austriaci per motivi politici dopo aver affermato che romantico fu riconosciuto per sinonimo di liberale e definì "il Conciliatore" un'impresa patriottica. Il giornale fu costretto dalla cesura austriaca a cessare le sue pubblicazioni nell'autunno 1819.


Progetto e finalità della rivista. Ricollegandosi ai principi che avevano portato il gruppo degli illuministi milanesi a fondare "il Caffé", i giovani del "Conciliatore" esprimevano di voler occuparsi di svariati argomenti dando la precedenza a quelli ritenuti d'"utilità generale" (agricoltura, commerci, innovazioni tecnologiche e scientifiche) senza dimenticare la letteratura, l'arte, il teatro utili per il progresso culturale della società. I 3 concetti fondamentali furono:

- il criterio dell'utilità sarebbe stato posto al centro d'ogni iniziativa culturale (ciò si ricollegava alle idee illuministe);

- il "Conciliatore" avrebbe concesso spazio ad una letteratura e ad un'arte che non si allentassero dalla realtà e dalla natura, ma che rimanessero legate al vero (principio centrale della poetica di Manzoni);

- la rivista non si sarebbe rivolta ad un gruppo ristretto di intellettuali, ma sarebbe divenuto uno strumento rivolto alle classi medie e all'educazione popolare (esempio inglese The Spectator);

Si trattava dello stesso pubblico a cui si rivolgeva Berchet e al quale accennerà Manzoni nella lettera al marchese Cesare D'Azeglio nel 1823.


La soppressione delle pubblicazioni. Nel 1819, "Il Conciliatore" fu censurato dagli austriaci, poiché molti sostenitori furono costretti alla fuga o all'esilio oppure furono arrestati e imprigionati, a causa dell'attività della Carboneria e dei tentativi insurrezionali contro gli austriaci. Con la soppressione del giornale si può considerare conclusa la prima importante fase del dibattimento sul Romanticismo, che si era sviluppato a Milano.


"L'antologia" di Vieusseux. Le idee dei romantici milanesi furono riprese dagli intellettuali fiorentini con la fondazione dell'"Antologia", una rivista creata da Vieusseux e pubblicata tra 1821 - 1833. La rivista era basata su ideali patriottici ed aveva lo scopo di sprovincializzare la cultura italiana tramite la presentazione di testi stranieri e tradotti. Prima di stabilirsi a Firenze, Vieusseux aveva fondato un gabinetto di lettura, che divenne punto di riferimento e d'incontro per intellettuali e scrittori ed inoltre viaggiò in Europa e in Oriente.


Gli animatori della rivista fiorentina. Tra i collaboratori dell'Antologia, che metteva in risalto le questioni economiche, politiche, scientifiche ma destinava un ruolo secondario a quelle letterarie, si ricordano: Capponi (politico, economista, filologo, pedagogista, storico e attivo animatore culturale), Montani (critico letterario), Lambruschini (pedagogista) e Tommaseo (inviato a Firenze da Vieusseux come collaboratore fisso alla rivista).



TEMI E FORME DEL ROMANTICISMO ITALIANO.


La poetica e i contenuti.

L'ampiezza e l'eterogeneità del fenomeno romantico. Il Romanticismo è un fenomeno culturale complesso e variato ed assume diverse forme e caratteristiche in vari Paesi europei.


La centralità del sentimento e della fantasia. Il Settecento era denominato dagli ideali dell'Illuminismo risaltando la ragione rispetto al sentimento e alla fantasia. Il Romanticismo privilegia la fantasia e il sentimento, se la loro centralità appare un aspetto caratteristico del movimento, è anche vero che assume forme diverse da nazione a nazione da auto ad autore. Per l'importanza dei sentimenti, le passioni, i moti interiori hanno rispetto al controllo e al dominio della ragione, si può ricordare le Ultime lettere di Jacopo Ortis di Foscolo  o la contrapposizione tra natura (che risponde alle illusioni e alle belle favole antiche) e ragione del primo periodo di Leopardi. La centralità della fantasia è del Romanticismo tedesco (poesia distaccata dalla realtà e il genere letterario è appunto la fiaba). Più legato alla descrizione della realtà è il Romanticismo italiano, che sembra svilupparsi senza rotture nei confronti dell'Illuminismo: i giovani fondano "Il Conciliatore", ricollegandosi all'idea di una cultura utile e capace di educare il popolo. Manzoni resterà legato al vero storico e assumerà atteggiamenti tipici di chi riesce a dominar i propri sentimenti con la ragione. In Italia il Romanticismo è profondamente radicata la tradizione classica.


La lacerazione delle coscienze. Ritorna nel Romanticismo italiano la contrapposizione tra ciò che è e ciò che dovrebbe essere, tra reale e ideale. Questo contrasto è presente in Manzoni (Adelchi è diviso tra senso del dovere nei confronti del padre prepotente e desiderio di seguire il proprio cuore, che lo porterebbe a non ubbidire agli ordini), Foscolo (Ortis si trova costretto ad affrontare una realtà diversa rispetto al mondo desiderato: l'Italia non è libera dallo straniero come dovrebbe essere, Teresa non può contraccambiare il suo amore) e Leopardi (la sua poesia è caratterizzata dalla contrapposizione tra arido vero e illusioni).


L'attenzione alla storia e il rifiuto della mitologia. L'illuminismo considerava il p0assato come un intreccio di pregiudizi, di errori, di superstizioni, di tenebre fra le quali raramente riusciva a rilevare il raggio di luce della ragione che avrebbe trionfato nel Settecento. Il Romanticismo da importanza alla storia del passato cercando di comprendere e spiegare. Le epoche primitive, oscure dominate dalle passioni e non dalla ragione, sono rivalutate come momenti fondamentali nello sviluppo dell'umanità. L'illuminismo disprezzava il Medioevo (epoca buia), mentre i romantici studiano e dedicano grande attenzione a questa età (nel Medioevo emergono le le nazioni europee). Con il Romanticismo fioriscono le opere letterarie legate a precisi momenti storici, Manzoni indica la fedeltà al vero e rimane legato alla storia nelle sue liriche, nelle tragedie e nei Promessi Sposi. L'opera letteraria secondo i romantici deve rimanere legata al vero storico: i sostenitori del Romanticismo rifiutano la mitologia classica. La mitologia appartiene alla sfera del non vero, del fantastico e del non storico e contro questo Manzoni polemizzava nella lettera Sul Romanticismo.


La nostalgia del passato. L'attenzione alla storia e alle epoche passate è legata anche all'insoddisfazione nei confronti del presente. L'uomo romantico avverte la frattura che lo divide dalle età passate e prova nostalgia. Se la poesia classica è poesia del possesso e del presente, quella romantica è poesia del ricordo. Il passato che si rimpiango assume diversi aspetti: può essere quello dell'individuo (Leopardi dedica gran parte al rimpianto dei suoi anni giovanili dominati dalle illusioni e da sogni che si sono dimostrati irrealizzabili e vani durante la maturità), quello classico (ripercorso con nostalgia da Foscolo) e quello del Medioevo (Carducci avrebbe rimpianto come epoca del valore e della libertà, dell'eroismo dei comuni che lottano per mantenere la propria autonomia).


L'amore. L'amore romantico assume i contorni di un'esperienza mistica, coinvolge l'uomo innamorato, non  accetta di essere subordinato rispetto ad altri interessi e occupazioni (l'amore di Jacopo per Teresa, nonostante il materialismo foscoliano, la donna amata è definiti divina fanciulla).


L'individualità irripetibile dell'artista. Ogni uomo, secondo di romantici, possiede una sua individualità (o genio) e deve percorrere il propri cammino. L'opera d'arte è il frutto di una personalità unica e irripetibile. Lo Sturm und Drang aveva proclamato l'assoluta autonomia dell'individualità geniale da ogni legame che potesse ostacolarne la libertà e la spontaneità espressiva.

- Soggettivismo. L'attenzione è concentrata sull'individuo, i suoi drammi e le sue passioni.

- Rifiuto dell'imitazione e delle regole della tradizione. Se l'opera d'arte è il prodotto di una personalità unica, non è possibile per i romantici considerare fondamento della letteratura e delle altre forme espressione l'imitazione degli autori del passato. Ciò porta al Il rifiuto delle regole fisse da rispettare nei vari generi letterari (a partire dalle unità di luogo e di tempo).

- Stile personale. Se le opere sono frutto dell'individualità, anche nello stile e nella lingua deve essere impressa la personalità dell'artista. Lo scrittore romantico utilizza una lingua orinale, soggettiva contrapposta a un linguaggio dominato da frasi e da ure rotoriche comuni a tutti.


Le implicazioni politico - sociali.

Il nazionalismo e il patriottismo. L'affermazione dell'individualità corrisponde all'idea romantica secondo la quale ogni popolo ha una propria fisionomia, una storia, una cultura, delle tradizioni che lo distinguono dagli altri popoli. L'illuminismo era stato il periodo del cosmopolitismo: l'uomo si sentiva cittadino del mondo e non riconosceva il valore dei vincoli che lo legavano a una popolazione o ad una nazione. Secondo i romantici ogni individuo nasce cittadino di una patria e non del mondo. Il nazionalismo appare legato al Romanticismo e in Italia Romanticismo e patriottismo, Romanticismo e liberalismo, Romanticismo e aspirazione a una patria libera dallo straniero diventano sinonimi.


La riscoperta della poesia popolare. L'attenzione alla storia nazionale porta ad una riscoperta delle tradizioni e della poesia popolare.


Il romanzo storico.

Il romanzo in Italia. Con il Romanticismo si afferma anche in Italia il romanzo, ma nel 1820, in ritardo rispetto agli altri Paesi per:

- la mancanza di un ceto borghese ampio e dinamico che potesse divenire protagonista della narrazione romanzesca (come avvenne in Inghilterra e Francia);

- la lingua letteraria italiana, ancora accademica e lontana dai parlati regionali, risultava ripida per corrispondenze le esigenze comunicative del romanzo, destinato a un pubblico allargato;

- il perdurante pregiudizio classicistico vero un genere nuovo, estraneo alla tradizione classica e per questo avvertito come inferiore, se non mostruoso.


La forma del romanzo storico. L'affermazione del genere è legata alla forma del romanzo storico, che ha la funzione di educazione del sentimento patriottico - nazionale e di intrattenimento. Esso prende posto della narrazione in versi e del poema cavalleresco. Alla metà dell'800 il romanzo storico abbandona le ambientazione passate e si rivolge alla storia recente e contemporanea.

GIACOMO LEOPARDI (Recanati 29 giugno 1798 -  Napoli 14 giugno 1837).


Vita e Opere.

L'ambiente familiare. Giacomo Leopardi nacque il 29 giugno 1798 a Recanati, in provincia di Macerata, nelle Marche (allora appartenenti allo Stato pontificio), primogenito di otto li. Il padre, il conte Monaldo, lio del conte Giacomo e della marchesa Virginia Mosca di Pesaro, uomo bigotto amante della letteratura e della storia (nel 1805 fondò un'Accademia poetica che si riuniva nel suo palazzo e dal 1812 aprì al pubblico la ricca biblioteca di famiglia) e d'idee reazionarie; la madre, la marchesa Adelaide Antici, una fredda e autoritaria, che non riuscì a trasmettere il calore affettivo al fanciullo e questo fu il motivo di sofferenza per il giovane Giacomo, ma si preoccupava dell'amministrazione del pericolante patrimonio familiare, riuscendo a rimetterlo in sesto grazie ad una rigida economia domestica. Era molto legato ai due fratelli minori Carlo(1799) e Paolina (1800) che erano più vicini a lui d'età. Giacomo trascorse gran parte della sua fanciullezza in questa biblioteca accrescendolo acquistando i patrimoni librari ecclesiastici durante le occupazioni napoleoniche; dopo aver ricevuto un'iniziale istruzione dal gesuita don Sebastiano Sanchini fino al 1812, Giacomo si dedicò a studi e letture febbrili, imparando il greco e l'ebraico dimostrano grande precocità. Tra il 1811 - 12 compose due tragedie ("Virtù indiana" e "Pompeo in Egitto"). Suo fratello Carlo dice che nessuno come lui lo può conoscere, poiché durante l'infanzia ha dormito con Giacomo, che rimaneva sveglio tutta la notte davanti il tavolino per scrivere fino a quando il lume non si spegneva.


Lo studio "matto e disperatissimo". Durante l'adolescenza si dedicò ad intense ricerche di carattere erudito e filologico e a importanti traduzioni soprattutto dal greco:

- "Storia dell'astronomia dalla sua origine fino all'anno 1811' nel 1813;



- "Commentarius" nel 1814;

- 'Saggio sopra gli errori popolari degli antichi' e delle traduzioni degli Idilli di Mosco della Batracomiomachia nel 1815;

- traduzioni delle opere del latino Frontone, del primo libro dell'Odissea, del poemetto pseudovirgigliano Moretum e della Titanomachia di Esido nel 1816;

- gli ultimi anni (7 anni) rappresentano quelli dello studio matto e disperatissimo, che avrebbero danneggiato la saluta di Leopardi te sarebbero ricordati da Giordani nel 2 Marzo 1818.


La polemica con i romantici italiani. Dall'isolamento della sua provincia, Leopardi tentò d'inserirsi nel dibattito culturale iniziato nel 1816 tra i sostenitori delle idee romantiche e classiciste: scrisse una risposta non pubblicata all'articola di Madame de Stael, che sosteneva l'utilità delle traduzioni da autori contemporanei stranieri di rinnovare la cultura italiana. Leopardi si schierò dalla parte delle idee dei classicisti e appare significativa l'inizio dell'amicizia con Giordani, avverso dalle teorie romantiche. Nel 1818 del polemico Discorso di un Italiano intorno alla poesia romantica, in cui si rivendicava al poeta il diritto di affidarsi alla fantasia tramite i sogni e le illusioni, uccise dalla ragione, dominante nei tempi pesanti, e dalla predilezione per il vero, celebrata dai romantici.


La "conversione" filosofica e letteraria. Nel 1817, Gertrude Cassi Lazzari, cugina di Monaldo,  passo da Recanati, la giovane di 27 anni s'intrattenne in paese per alcuni giorni e suscitò in leopardi una segreta emozione e scrisse le "Memorie del primo amore". Appare significativa la visita a Recanati di Giordani, nel settembre del 1818, che sancisce l'apertura di Leopardi verso una cultura più ampia e il distacco dall'angusto familiare e recanatese, spingendolo a quella svolta del 1819 da Leopardi definita "conversione". Si trattò di una conversione filosofica: dalla cultura clericale e reazionaria alla quale era stato educato da Monaldo a una concezione atea e materialistica. La conversione fu anche letteraria, segnando il passaggio dagli studi eruditi e filologici dell'adolescenza ad un'autentica vocazione poetica, che aveva già dato i suoi frutti nel 1818, con la composizione di due canzoni civili.


I primi idilli e il deludente soggiorno a Roma. Nel 1819 Leopardi fu scoperto in un tentativo di fuga da Recanati e non lasciò il paese fino al 1822. In questi anni compose altre canzoni e i primi idilli, detti convenzionalmente "piccoli idilli". Nel novembre 1822 i genitori gli permisero di visitare Roma, ospite dello zio Carlo Antici, ma il soggiorno si rivelò deludente: le meraviglie della città non lo appassionarono e frequentò solo studiosi stranieri (archeologo prussiano Christian von Bunsen e storico tedesco Barthold Gerorge Niebuhr) unico momento importante fu a marzo del 1823 quando visitò la tomba di Torquato tasso. Il ritorno a Recanati segnò il reclinare delle sue speranze. Nel 1824 iniziò a scrivere le Operette Morali, pubblicate a Milano nel 1827 (3 anni dopo) e apparvero a Bologna nel 1827 le 10 Canzoni.


A Milano, Bologna, Firenze, Pisa. Tra il 1825 - 27 visse a Milano (dove lavorò presso l'editore Stella per il quale curò prima un'antologia di prosatori italiani dal '300 al '700 questa Crestomazia pubblicata nel 1828 e poi una raccolta di testi poetici nel 1829) e a Bologna (cononobbe e amò senza essere corrisposto dalla contessa Teresa Carniani Malvezzi). Nel 1827 invitato da Vieusseux si fermò a Firenze dove incontrò Manzoni, Capponi, Piccolini e Tommaseo. Dopo un soggiorno a Pisa nel 1828 rientrò a Recanati in un esilio di rabbia e noia a causa delle finanze, e con ciò iniziò a scrivere i grandi idilli (Le ricordanze, La quiete dopo la tempesta, Il sabato del villaggio, Il canto notturno di un pastore errante dell'Asia) tra il 1828 e 1830, sono gli anni pisano-recanatesi.


La pubblicazione dei Canti e il periodo napoletano. Tornato a Firenze nel 1830, pubblico la prima edizione dei Canti (1831) dedicata agli amici suoi di Toscana. Qui s'innamorò semza essere ricambiato da Fanny Targioni Tozzetti (ispiratrice dei 5 canti del ciclo di Aspasia: Consalvo, Il pensiero Dominante, Amore e Morte, A se stesso, Aspasia) e incontrò anche Antonio Ranieri, giovane avvocato liberale di bell'aspetto e versatile, è un esule napoletano che ospitò nella sua villa a Napoli dal 1833. Leopardi pubblico una nuova edizione dei Canti e delle Operette Morali (1835 - 36), compose, in polemica con gli intellettuali fiorentini, la Palinodia al marchese Gino Capponi (1835) e scrisse i due ultimi canti Il tramonto della Luna e La Ginestra (1836). Assistito da Ranieri, Leopardi morì a Napoli il 27/05/1837 mori per colera. Ranieri è l'erede di Leopardi che scrisse malvagi sul Leopardi.

















Temi fondamentali del pensiero leopardiano.

Lo stretto vincolo tra poesia e filosofia. Se nei Canti la poesia diventa strumento fondamentale per esprimere un preciso pensiero, in prese filosofiche come le operette morali alla riflessione si intrecciano la fantasia e il pensiero, si parla quindi di poesia pensante e di pensiero poetante.


PESSIMISMO STORICO.

Contro l'arido vero dell'età presente. L'età presente è dominata dalla noia e dalla ragione che rivelano vane le illusioni che allietavano gli uomini antichi. Leopardi contrappone l'età presente alla antica: la seconda era età dei sogni che promettevano felicità con la natura, la prima è dominata dall'arido vero, dalla ragione che ha ucciso i sogni e toglie la serenità. La natura è una madre benevola che ha dato la possibilità di illudersi ma le responsabilità dell'infelicità umana vengono fatte ricadere sulla ragione.


La malattia e la riflessione sul dolore. La nascita del pessimismo è legata alle condizioni fisiche del poeta. La costante riflessione sul dolore dell'esistenza deve esser messa in relazione alle sofferenze del suo corpo deforme. La sofferenza che sperimenta favorisce una riflessione sul dolore dell'esistenza.


PESSIMISMO COSMICO.

Il nichilismo leopardiano. Dal 1822 la visione negativa si allarga. Se l'età antica era caratterizzata dalle illusioni, a ciò si indica che gli antiche erano in realtà infelici e che per vivere si costruivano sogni. Il mondo classico diventa ora lontano da un regno di serenità e gioia.


La natura matrigna. La natura è ora matrigna perché ha tradito gli uomini dando promesse senza mantenerle.


La teoria del piacere. Elabora la teoria del piacere: l'uomo ricerca il piacere per sua natura ma non riesce mai a raggiungerlo, la felicità non esiste allo stato positivo esiste solo in negativo come assenza di dolore, come pausa tra un dolore e un altro.


Le illusioni della giovinezza e il loro tramonto. L'età della giovinezza è l'età in cui si nutrono grandi aspettative ma tramonta presto e svaniscono sogni e speranze.


La rimembranza. La vita diventa un continuo appassire verso la morte. Ma attraverso il ricordo, Leopardi, recupera momenti della sua vita terminati e fa rivivere i personaggi.


STAGIONE EROICA.

Contro il "secol superbo e sciocco": La ginestra. L'ultimo suo periodo è quello dell'eroismo. Sono gli anni della polemica nei confronti degli ambienti neocattolici di Firenze e Napoli che hanno accusato il poeta di ateismo e scarso patriottismo e sfiducia nell'umanità. Il poeta attacca l'ottimismo spirituale che si basa su atteggiamenti superstiziosi e sulla sfiducia nel progresso e invita a guardare in faccia la realtà e accettare il proprio destino doloroso, e allearsi in una guerra comune contro la natura.


4. I testi.

- Zibaldone di Pensieri.

L'11 luglio 1827, leopardi iniziò la stesura di un indice analitico e chiamò gli appunti "Zibaldone di pensieri". Scritto su vari quaderni (4526 Facciate). Questo diario del pensiero leopardiano è stato pubblicato tra io 1898 - 1900. Nell'impossibilità di dialogare con gli altri, Leopardi dialoga con se stesso e nelle ine dello Zibaldone sono affrontati numerosi argomenti (glia appunti infatti si sono accumulati negli anni trascorsi a Recanati, mentre quando il poeta si trova lontano dal natio borgo selvaggio e ha la possibilità di confondersi tra gli altri le annotazioni sono più rare) e l'intera opera può essere ripercorsa seguendo vari filoni di pensiero: il rapporto tra la natura e la ragione, le illusioni, la lingua degli antichi e quella dei moderni, la civiltà presente contrapposta a quella del passato, il linguaggio poetico, la letteratura, ma non mancano tratti da libri letti e brani trascritti da opere italiane, latine e greche. Lo Zibaldone può essere letto come un'opera che consente di fare chiarezza sulle composizioni leopardiane, dai Canti alle Operette morali,ma può essere considerato anche un testo autonomo, che condensa la filosofia di Leopardi, la sua visione della vita. Da questo punto di vista lo Zibaldone permette di ripercorrere il pensiero di Leopardi nelle varie fasi, dal pessimismo storico al quello cosmico.


- Operette morali.

Il primo gruppo è composto nel 1824 e pubblicato nel 1827 dall'editorie Stella. All'edizione di Milano si aggiunge quella fiorentina del 1834 in cui compaiono altre due operette. L'edizione definitiva avrebbe dovuto essere pubblicata a Napoli da Starita, ma fu censurata e solo il primo di due volume vide la luce. Aggiunse anche 21 operette all'edizione fiorentina e tre pezzi inclusi nella edizione completa del 1845 a cura di Ranieri.

Le operette sono dialoghi tra due personaggi fantastici o storici con prose molto eleganti. I drammi delle esistenza umana sono affrontati con ironia e con un sorriso amaro. Attraverso storie finte, presenta la sua visione della vita: l'infelicità umana, l'impossibilità di raggiungere il piacere e l'affannarsi alla ricerca della gloria, il desiderio di morte che è la fuga dal male, la concezione dell'universo come perpetuo succedersi di creazione e di costruzione, di nascita e morte.

Non tutte le operette corrispondono a una stessa fare del pensiero leopardiano.


- I Canti.

I Canti furono composti in un arco di tempo che va dal 1817 al 1836 e risultato legati alle fasi del pensiero leopardiano. È possibile distinguere 5 nuclei, che corrispondono a diversi momenti di un'unica esperienza biografica e di un'unica opera poetica.


° Canzoni Civili (1818 - 21).

Componimenti di carattere civile ed eroico, che ha lo scopo di scuotere i contemporanei dal torpore nel quale sono caduti, in cui Leopardi prende una ferma posizione nei confronti della società a lui contemporanea. Leopardi le definirà come "poesia mista".

La razionalità e il ragionamento filosofico predominano sull'immaginazione e sulla riflessione soggettiva.

Il tema che domina è quello della contrapposizione tra il passato e il presente, tra un'età eroica e un'età dominata dalla servitù, dalla passività, dalla noia.

La presa di posizione polemica nei confronti della realtà contemporanea s'intreccia all'amara consapevolezza del dolore che domina la vita dell'uomo.







° Gli Idilli (1819 - 21). Sono detti anche "piccoli idilli".

La composizione s'intreccia con quella delle canzoni, ma si distinguo dalla "poesia mista", che doveva assumere un carattere civile e aveva come oggetto tematiche legate alla storia e alla patria, mentre la "poesia d'immaginazione"  appare legata alle vicende intime del poeta e si presentano come una confessione personale.

La struttura razionale lascia il posto allo scorrere libero dell'immaginazione, all'associazione fantastica di immagini, che richiede anche un linguaggio appropriato: a termini precisi e dal significato subentrano parole capaci di suscitare sensazioni e pensieri in grado di sfumature i contorni delle cose, di dare l'idea di un'esperienza sentimentale e immaginativa.

L'attenzione si concentra sull'interiorità del poeta. A fare da sfondo a questa poesia si trova il paese di Recanati, con la siepe del monte Tabor o la luna che illumina serena il paesaggio, con i canti e i suoi di un giorno di festa, con la solitudine del poeta che non riesce a partecipare alle gioie della giovinezza. Da un dato oggettivo scaturisce la confessione dei sentimenti individuali; il poeta ferma così sulla carta pensieri e riflessioni personali che riguardano il rapporto tra sogno e realtà, la dolcezza e l'immaginazione, l'importanza del ricordo che rievoca momenti passati della propria vita, il tramonto della fanciullezza in cui era possibile illudersi e sognare.


° I Canti pisano - recanatesi (1828 - 30).  Sono detti anche "grandi idilli" e rappresentano il risultato più alto della poesia leopardiana.

Leopardi condensa il suo pensiero, la sua nuova filosofia. Il pessimismo allarga i propri confini e non riguarda solamente la condizione del poeta della sua età (Canto notturno), viene avanzata l'ipotesi di una sofferenza e di dolore che riguarda tutti gli esseri viventi di ogni luogo e di ogni epoca storica.

C'è un età in cui è possibile avere piacevoli aspettative per il futuro: è la giovinezza, l'età della spensieratezza, della fiducia nell'avvenire, delle illusioni. L'arrivo della maturità rivela la vanità di tutti i sogni giovanili.

(In A Silvia, la giovane che incarna la giovinezza muore ancor prima di raggiungere l'età adulta, mentre il poeta, che invece la sopravvive, è costretto ad assistere alla caduta di tutte le delusioni. È per questo che l'attesa della festa è preferibile alla festa stessa, il sabato alla domenica, nel Sabato del Villaggio, la prima parte della vita umana è rappresentata dal sabato, mentre l'età adulta corrisponde alla domenica, giorno in cui si pena al lavoro settimanale, così Leopardi si rivolge al garzoncello per invitarlo a non aver fretta di diventare grande).

Gli anni passati possono tornare presenti solamente nel ricordo. Il confronto tra il presente e la giovinezza permette di comprendere il tradimento della natura verso i suoi li: la natura non appare più come una madre benevola, ma come una matrigna indifferente, che promette tante cose nella giovinezza, ma non le mantiene nell'età adulta.

La maturità rivela l'impossibilità di essere felice. La felicità non esiste in senso positivo, ma solo come pausa tra un dolore e un altro, come momentaneo sollievo dopo uno stato di sofferenza. Leopardi utilizza un'espressione che condensa la sua teoria del piacere "Piacer lio d'affanno". Il piacere può esistere solo come lio del dolore, come sollievo dopo uno dei molteplici naufragi della vita.

Recanati fa da sfondo a gran parte dei canti di questo gruppo. È il paese odiato - amato, la prigione in cui non è possibile interrompere le riflessioni sul male che domina l'esistenza, ma anche il borgo dal quale la vena poetica sgorga limpida e dolente. Con l'ultimo canto "Canto notturno", i confini si dilatano: a Recanati si sostituisce il deserto asiatico, alla voce del poeta che parla in prima persona subentra quella dell'umile pescatore nomade che pone alla luna quelle domande sul senso della vita umana e universale che  resteranno per sempre senza risposta.


° Il "ciclo di Aspasia" (1830 - 35). Poesie ispirate dall'amore per Fanny Targioni Tozzetti, incontrata a Firenze nel 1830 e cantata con il nome di Aspasia. I testi sono 5 e corrispondono all'esperienza amorosa, dall'innamoramento alla disillusione finale.

L'amore ha cacciato dalla mente del poeta tutti gli altri pensieri e regna sovrano, fonte di gioia e di dolore. L'amore, che fa scaturire la più grande gioia che si possa provare durante l'esistenza, è stato generato insieme alla morte, che annulla ogni passione e dolore nella sua quiete assoluta. Il poeta augura a tutti gli uomini di essere presi o dall'amore o dalla morte: per sé invoca la morte signoreggiato da amore ma consapevole di non poterne godere le gioie.

L'amore sembra essere l'unica possibile felicità terrena.


° I canti napoletani (1835 - 36). Nel 1833 Leopardi si trasferisce a Napoli con l'amico Antonio Ranieri. Negli anni compresi tea l'arrivo e il 1836 il poeta scrive gli ultimi canti. Questa stagione è caratterizzata da un atteggiamento eroico e da un rapporto antagonistico con la realtà contemporanea che era già presente con le canzoni civili. Messi da parte sogni e illusioni, Leopardi pone l'uomo di fronte alla sua filosofia desolata, che rifiuta ogni facile consolazione e ogni fuga dalla realtà.

Dopo il dileguarsi della giovinezza, nessuna luce tornerà a rischiarare le tenebre dell'esistenza.

Nella ginestra, Leopardi ha scelto come epigrafe a quest'ultimo canto un passo tratto dal vangelo di Giovanni, ovvero: gli uomini hanno preferitole tenebre della menzogna alla luce della verità; così il poeta, pur sapendo quanto si duro il "vero", invita gli uomini a guardarlo in faccia, a non nasconderlo con vane fantasie, a riconoscere unica colpevole del proprio doloroso destino la natura, non più madre dolcissima ma matrigna. Contro la natura matrigna gli uomini devono unirsi in una guerra come che deve essere combattuta a testa alta nonostante al certezza della sconfitta.


APPUNTI.


= segna il passaggio dall'erudizione al bello.

Conversione letteraria = dalla filologia alla poesia.

Questo passaggio lo vede in una fase in cui parla di antitesi tra natura (madre benevole ed è grande) e ragione (che porta allontanamento della natura ed è piccola).


= passaggio dal bello al vero.

Conversione filosofica = da autori preromantici, passa alla letteratura di filosofi, convertendosi al materialismo.


Inizialmente si rifugiava nelle illusioni perché assume un impegno morale contro la natura = fase del titanismo.


Leopardi è romantico perché: Leopardi è classico perché:

filone del soggettivismo; - infelicità; - parole colte, raffinate;

lingua del pessimismo;   - paesaggi notturni; - equilibrio nel ritmo della composizione;

poesia dell'interiorità; - riferimenti alla morte; - effetto dell'indefinito, perché lascia immaginare.

rifugio nella mitologia (regole);

critica al canone dell'imitazione;:

maturazione filosofica che lo porta ad una poesia di sentimento;

autobiografismo;

noia;

ALESSANDRO MANZONI (7 Marzo 1785 - 22 Maggio 1873).


Vita e Opere.

L'infanzia. Nacque a Milano da Giulia Beccaria (lia di Cesare Beccaria, principale esponente della cultura illuministica longobarda, autore ben conosciuto poiché scrisse "Dei delitti e delle pene" posto nell'indice dei libri proibiti) e Alessandro fu probabilmente il frutto di una relazione adulterina della madre (spostata suo malgrado con Pietro Manzoni, che riconobbe il lio come legittimo ma divorziarono il 23 febbraio 1792) con Giovanni Verri (insieme ai fratelli Pietro e Alessandro fondò il Caffè nell0ambiente culturale milanese). A. M. trascorse un'infanzia priva del rapporto con i genitori e ciò segno lo segnò in profondità e lo rese schivo (riservato), riflessivo, tendenzialmente triste e pensoso.


Gli studi gionanili. Dalla solitudine familiare A. M. passò a quella del collegio. Nel 1791 entrò nel San Bartolomeo Apostolo (dei padri somaschi a Merate); nel 1796 fu ospite di quello di Sant' Antonio di Bartolomeo a Lugano, dove un frate stimolò in lui il gusto per la poesia; poi trascorse un periodo, definito oscuro, nel collegio dei Nobili di Milano (dai barnabiti) e vi entrò a settembre 1879 e ne uscì nel 1801, ricevette una buona educazione umanistica e latina, ma maturò spunti di ribellione e anche rivoluzionarie, dai cui scaturì il poemetto in 4 canti "Del trionfo della libertà" (ricco di idee laiche e anticlericali). Il 4 giugno 1800, alla Scala, M. vide Napoleone Bonaparte, ne rimase folgorato, e questa suggestione tornò viva dopo oltre 20 anni quando compose "Cinque maggio" (è un'ode basata sull'austera meditazione cristiana sulla ura di Napoleone, morto in esilio di Sant'Elena, e sull'agire di Dio nella storia umana).


Da Milano a Parigi. Uscito dal collegio dei barnabiti, A. stinse amicizie nuove e iniziò a frequentare personaggi noti per le idee rivoluzionarie e libertarie, ma frequentò anche l'ambiente universitario di Pavia (per le note lezioni di filosofi e storici giansenisti lombardi). Fino alla prima metà del 1805, M. visse nella casa paterna di Milano (tranne tra l'ottobre 1803 - maggio 1804 in cui lo troviamo a Venezia). All'inizio del 1805 morì Carlo Imbonati, convivente di sua madre. M. si trasferì verso la metà di luglio si Parigi, in un clima di spregiudicato laicismo, iniziò una seconda educazione morale e culturale. Il ritorno dalla madre (che dopo la rottura del matrimonio conviveva già da 10 anni con il conte Carlo Imbonati), oltre rappresentare un riavvicinamento tra i due, costituì anche un momento importante per la sua educazione sentimentale. Qui M. frequentò il salotto di Sophie de Groucy (vedova di Condercet, ma conviveva con Claude Fauriel) e incontrò ideologi, intellettuali amici e conoscenti di Madame de Stael. Grazie a Fauriel, M. conobbe le dottrine degli enciclopedisti ed acquisì i principi del sensismo e del razionalismo (contatti con gli ambienti illuminati della cultura francese). Nel 1806 furono pubblicati gli endecasillabi sciolti "In morte di Carlo Imbonati" per onorare il comno della madre e la madre stessa.


Il Matrimonio con Enrichetta Blondel. Verso la fine del 1807 A. fu a Milano, dove conobbe la calvinista Enrichetta Blondel. Di fronte all'intensa sensibilità religiosa della consorte e dopo la sua adesione al Cattolicesimo, M. visse una profonda e travagliata crisi di coscienza, conclusasi nel 1810 quando la sposò a Parigi. A 25 anni M. era sofferente di gravi turbe psichiche e viveva ogni evento con intensità ossessiva: lo smarrimento della moglie Enrichetta tra la folla che partecipava ai festeggiamenti per che nozze di Napoleone con Maria Luisa si trasformò in una crisi di panico e si concluse con la fuga dello scrittore nella chiesa di S. Rocco e fu i punto di non - ritorno verso la conversione.


Gli "Inni sacri" e le opere politiche. Gli "Inni sacri" inaugurarono una nuova fase, dopo un periodo silenzioso. Nei primi mesi del 1812 M. iniziò a scrivere "La Resurrezione"; poi la stesura di "Il nome Maria" che ultimò nel 1813 e intanto compose "Il Natale"; all'inizio del 1814 M. comunicò a Fauriel di aver accantonato il poemetto in ottave "Vaccina" (dedicato alla scoperta del vaccino contro il vaiolo), mentre si accingeva a scrivere il quarto inno sacro "La Passione" terminato verso la fine del 1815. Non dimenticò la passione politica, testimoniata da "Aprile 1814" e dal "Proclama di Rimini" nell'aprile 1815, mentre rimase scosso dall'annuncio della disfatta di Napoleone a Waterloo.


L'ultimo inno, le tragedie, gli scritti morali. Nel 1816 iniziò con la stesura della tragedia "Il conte di Carmagnola". La maturazione religiosa giunse a culmine dopo il 1817, quando si dispose dalla stesura della "Pentecoste" (ultimo degli inni sacri) interrotta e ripresa tra le alterne fasi della composizione del "Carmagnola" e l'inizio della tragedia "Adelchi", intervallata dalle riflessioni fissate nelle "Osservazioni sulla morale cattolica" e conclusa nel 1822, anno di stampa anche degli "Adelchi".




Il "Fermo e Lucia" e gli scritti di poetica. Il 24 aprile 1821 cominciò a scrivere il romanzo a cui assegnò provvisoriamente il nome dei due protagonisti "Fermo e Lucia" che terminò il 7 settembre 1823. Nel 1823 Fauriel tradusse e pubblico a Parigi sia il "Carmagnola" sia l'"Adelchi" con un giudizio critico di Goethe. L'amico francese vi aggiunse, ritoccata e integrata la "Lettre à Monsieur Chauvet sur l'unité de temps, de lieu et d'action dans la tragédie" scritta nell'estate del 1820 (scritta nel 1819ma pubblicata nel 1823). Dello stesso 1823, è la "Lettera sul Romanticismo al marchese Cesare d'Azeglio".


1827: la prima edizione dei promessi sposi. Concluso "Fermo e Lucia", M. si dedicò alla riscrittura: nel 1827 furono editi "I promessi sposi, Storia milanese del secolo XVII scoperta e rifatta da A. M.". Ma tra agosto e ottobre 1827 soggiornò a Firenze per dare all'opera un assetto linguistico più definito. Qui incontrò Vieusseux, Niccolini, Capponi, Leopardi, Giordani (L'Antologia).


L'edizione del romanzo e gli ultimi lavori. Il decennio 1830 fu il più triste e tormentoso dal lato umano. Durante le festività natalizie del 1833 assisté alla morte della moglie; poi la ssa dei li (compresa la primogenita che morì pochi mesi dopo la moglie). Nonostante ciò concluse la seconda revisione del romanzo che porterà all'edizione del 1840 - 42, accomnata anche dalla "Storia della colonna infame". Nel 1837 si era sposato in seconde nozze con Teresa Borri. Nel 1841 sve la madre. Da allora visse nella villa di Brusuglio, presso a Milano, appartato, anche dopo l'elezione a senatore. Dopo il 1842 M. si dedicò alla composizioni di scritti teorici: fondamentali nella storia della nostra lingua furono le sue teorie, al punto che da essere furono tratti i criteri uniformanti per l'insegnamento dell'Italiano nelle scuole pubbliche post dell'Italia post - unitaria. Morirono quasi tutti i li e nel 1861 anche la seconda moglie ed in questo stesso anno fu nominato senatore a vita e ricevette la cittadinanza onoraria di Roma capitale. Nel 1862 fu nominato presidente della Commissione per l'unificazione della lingua e nel 1868 presentò al ministro per l'Istruzione la relazione "Dell'unità della lingua e dei mezzi per diffonderla" di cui nel 1869 scrisse un' "Appendice". Morì di meningite celebrale il 22 maggio 1873. Nel primo anniversario della morte Giuseppe Verdi diresse una "Messa da requiem" composta in sua memoria.








Pensiero e Poetica.

Una produzione straordinariamente coerente. Nella sua produzione si possono distinguere varie fasi, anche se l'artista e l'uomo non subiscono sostanziali mutamenti nel corso dell'intera esistenza. La sua personalità appare come un blocco monolitico, straordinariamente coerente. Tutti i cambiamenti rilevabili sono considerati dei semplici sviluppi di un pensiero che tende a farsi sempre più logico e consequenziale, fino a superare posizioni assunte in precedenza, ma non secondo schemi antitetici e di irriducibile contrapposizione.


La formazione illuministica e cattolica. La prima formazione manzoniana (Illuministica, acquisita negli anni del collegio) e la seconda (Cristiana, perfezionata e approfondita fino al 1810 anno convenzionale della conversione) affondano parimenti le radici in un'unica matrice: la cultura illuministica, di cui erano impregnati anche gli stessi istruttori religiosi che avevano contribuito a plasmare il carattere e gli interessi del giovane studente. La conquista della fede non scalfisce per nulla questa robusta base culturale e intellettuale. I principi dell'illuminismo (dignità, valori di libertà e uguaglianza, senso attivo della vita e impegno civile), sui quali M. si formò, sono i punti fermi del suo pensiero; dopo la conversione continua a riconoscere con equilibrio e apertura intellettuale, i meriti dei philosophes, al di là delle loro esagerazioni, per le acquisizioni sul piano della teoria politica (Voltaire, Montesqueiu) e dell'educazione (Rosseau). L'impronta dell'Illuminismo su M. è profonda: la libertà d'indagine dei problemi, l'impotenza dell'analisi e della riflessione razionale, il rispetto per le idee altrui e il riconoscimento delle verità dimostrate con serietà e rigore costituiranno la base costante del suo atteggiamento culturale. M. ha una fondamentale e coerente razionalità: da essa il poeta e poi in secondo momento lo scrittore traggono gli spunti di riflessione e desumono le necessarie conseguenze; da essa muove per compiere le scelte creative che, fino al 1820, si indirizzeranno verso la poesia e poi vero la prosa.


Le due fasi della produzione letteraria. La sua produzione si distingue in 2 fasi: una comprende le opere scritte prima della conversione, l'altra va dal 1810 in poi; i due blocchi sono meno distanti e antitetici di quanto si pensa. Se l'impegno dello scrittore deve essere quello morale di educare il lettore, nella prima fase esso sarà laico, mentre in quella confessionale sarà religioso, ma non per questo missionario con tutte le implicazioni del caso. La produzione giovanile ("Sermioni" e "In morte di Carlo Imbonati") non si oppone al quella matura ("Inni sacri", Tragedie, "Promessi Sposi", più tardi le opere si carattere storico e linguistico).


La poetica del "vero". L'assorbimento lento e costante della cultura latina e la presenza d'intense e approfondite letture oraziane contribuiscono a corroborare e rendere sempre più saldo l'impianto razionalistico di ogni scelta dello scrittore. M. individua come fine dell'arte non il puro piacere estetico e la ricerca della bella forma, ma la funzione educativa; dimostra nel corso della sua carriera di scrittore, specialmente dopo la conversione, di non concepire l'arte indipendentemente dalla sfera morale: lo scopo dell'arte e della letteratura è di mettere in chiaro il "vero" ("vero poetico"), la realtà, con attenzione ai particolari ai problemi dell'uomo. L'adesione al vero e il controllo razionale di origine illuministica pongono lo scrittore lontano dai romantici abbandoni all'immaginazione e ai sentimenti. La formulazione competa e sintetica della poetica si trova nella "Lettera sul Romanticismo" del 1823, indirizzata al marchese Cesare d'Azeglio: M. sostiene che la poesia e la letteratura devono proporsi "l'utile per iscopo, il vero per soggetto e l'interessante per mezzo", quindi l'arte deve insegnare e non compiacere il lettore.

I temi della sua opera sono pochi, ma coerenti e costanti:

- il rispetto degli uomini;

- il proposito di educarli a una coscienza critica che rifugga l'inutile (il puro fine estetico) e tocchi l'inutile (la capacità di capire le cose di questo mondo).

La ricerca del vero passa attraverso la storia come fondamento della conoscenza umana (vero storico). Con il passaggio dal "vero poetico" al "vero storico", M. si appoggia al pensiero vichiano (Vico conserva una valenza letteraria, prende forma di opere caratterizzata dal tentativo di cogliere, isolare e illuminare l'idea dominate che riassume gli aspetti essenziali di un'epoca o di spiegare il senso complessivo degli eventi) e al metodo murotoriano (Muratori è attento alla ricostruzione dei particolari e alla ricerca erudita di materiali documentari e si traduce nella produzione di una considerevole mole di volumi di straordinaria importanza per il suo sviluppo successivo). I principi di poetica (rispetto al "vero storico" e alla ricerca del senso della storia) sono enunciati nella "Lettre à Monsieur Chauvet sur l'unité de temps, de lieu et d'action dans la tragédie" (scritta nel 1819, ma pubblicata nel 1823).


La storia delle moltitudini. L'invenzione poetica ha il compiti di penetrasse nell'animo dei personaggi, mentre la storia, che presenta i fatti nella loro oggettività, non è solo quella dei grandi personaggi, ma quella che riguarda l'intera popolazione vista come un unico organismo, la moltitudine di persone semplici, di condizioni modeste che non hanno voce nella Storia. La sua visione della storia si colora di un senso di cupezza per l'iniquità che domina i rapporti sociali e divide l'umanità in oppressi e oppressori, ma è illuminata cristianamente dalla fede nell'azione della "Provvidenza".


Poesia e storia. Se nella prima fase della produzione letterarie il "santo Vero" è concetto laico, il suo trasferimento su un piano confessionale dopo la conversione non potrà comportare nessuna distorsione, tranne il fatto che la ricerca della verità sarà perseguita entro margini religiosi, fino al punto di scegliere la prova e quella storica quale unico mezzo educativo, per evitare ogni orma di piacere estetico come fine a se stesso. Intorno al 1820, quando M è un poeta si approfondisce in lui la riflessione introno allo scopo dell'arte. Il poeta s'interroga su quale sua il rapporto tra verità e invenzione, tra storia e arte. È una riflessione analitica e tormentosa (tutto è tormentoso per il suo carattere sensibile), che si risolve con un compromesso: se la storia è il "santo Vero", l'invenzione diventa una sorte di "santo verosimile". I due aspetti possono convivere e integrarsi a vicenda. Da qui le riflessioni premesse al "Carmagnola", all' "Adelchi", al "Discorso sopra alcuni punti della storia longobardica in Italia" e la "Lettre à monsieur Chauvet". Non solo storia e invenzione possono, ma devono coesistere, perché l'invenzione è uno strumento di giustizia e di riparazione di un torto: essa può riportare alla coscienza collettiva quella massa muta e oscura di uomini ignoti di cui la storia non parla mai, ma che in realtà della storia sono i veri protagonisti, dato che spargono il loro sangue in quelle battaglie di cui gli storici parlano.













Verso la prosa storica. Il punto di ulteriore sviluppo si ha quando M.  si converte alla prosa come scelta di un unico strumento di educazione. Dal 1822 (in cui fu pubblicato "Discorso sopra alcuni punti della storia longobardica in Italia" che presenta documenti e materiali raccolti in preparazione dell' "Adelchi"), per un ventennio, il suo pensiero approfondirà in fasi successive lo stesso tema, ovvero la possibilità che si possa coniugare "vero storico" e "vero poetico". Sarà anche il problema della lingua a restringerne l'angolo visuale: come scrivere in prosa (comprensibile a tutti) e come dare un indirizzo di unità alla lingua per crearne una nazionale. Come la mitologia fu ripudiata poiché aberrante e non educativa ai fini morali, anche l'invenzione, basata sui sentimenti (aspetti soggettivi e fallici), doveva essere rifiutata ad esclusivo vantaggio di una verità certa, documentabile e indiscutibile, ovvero definitiva. La parabola è al suo culmine quando fu pubblicata l'edizione definitiva dei "Promessi sposi". Ne è riprova la contestuale pubblicazione della "Storia della colonna infame", indagine storico - sociologica che non ha più niente a che fare con la prosa narrativa. A questa data M. sembra essersi inaridito, sembrava aver perso qualsiasi forma d'ispirazione creativa e respinse qualsiasi tipi di creatività soggettiva e incerta. Nel 1840 circa, Illuminismo e fede si sono fusi e saldati. Storia e poetica di M. si arrestarono qui senza offendere né la laicità né la fede, ma integrando l'una all'atra in un pensiero unitario, straordinariamente granitico e compatto.


Il metodo di lavoro e la questione linguistica. La sua concezione è molto vicina all'idea romantica della letteratura, che doveva rispondere ai reali sentimenti degli uomini e agli interessi di un pubblico medio, non costituito da letterati di professione. Le uniche regole che M. seguì furono il rispetto della verità e la ricerca di uno stile, una lingua che fosse strumento vivo di comunicazione. La pazienza nell'elaborazione delle opere fu esemplare ed eccezionale (corresse e ricorresse gli "Inni sacri" prima di pubblicarli, nella "Pentecoste" cominciò in un modo e poi rifece in un altro; rivide parola per parola le "Osservazioni sulla morale cattolica" per l'edizione definitiva; quanto al romanzo spese 2 anni per la prima stesura, 4 per la trasformazione completa del testo e 13 per dagli la definitiva veste linguistica). M. impiegò energie e fatica nella cura dello stile e della lingua per eliminare concessioni alla retorica (difetto che secondo lui aveva caratterizzato parte della produzione letteraria), ripulendo i propri scritti dal "troppo" e dal "vano", e per raggiungere la massima chiarezza (per lui una condizione ed espressione della piena maturità del pensiero), ma senza sacrificare lo stile poetico (come gli Inni, Odi e cori delle tragedie) rifiutando qualsiasi convenzionalità inutile. Questi intenti furono evidenti nella prosa e nelle prime ine dei "Promessi sposi", perché il genere del romanzo (nonostante finge di scrivere per 25 lettori) avrebbe potuto diffondersi tra un vasto pubblico (proprio come avvenne). Ciò spiega gli interminabili studi di M. sulla lingua (lo scrittore lavorò per quasi 30 anni ad un trattato "Della lingua italiana" che rimase incompiuto) e la sua preferenza per il fiorentino parlato della persone colte. La scelta di una lingua viva e compresa ovunque in Italia favorì dopo il 1861 il processo di unificazione Italia: questo ruolo fu riconosciuto ufficialmente a M. con l'incarico a presiedere la Commissione per l'unificazione linguistica del nuovo regno.


TESTI.

- In morte di Carlo Imbonati.

C. I. era un nobile e austero milanese che visse per alcuni anni con la madre di M. (i due erano partiti da Milano per sfuggire alle maldicenze intorno alla loro relazione, divenuta stabile dopo la separazione di Giulia Beccaria dal marito Pietro Manzoni). Era un uomo colto e dedito a un elevato ideale di vita, aveva avuto in gioventù come educatore Giuseppe Parini, che gli dedicò un'ode.

Composto nel 1805, pubblicati per la prima volta a Parigi all'inizio del 1806 e dopo qualche mese a Milano, i versi "In morte di Carlo Imbonati" e "Urania", che furono ripudiati da M. come "errori di gioventù" nella lettera del 3 marzo 1826 indirizzata a Fauriel. L'anno precedente alla composizione del testo, Imbonati sollecitò una venuta a Parigi del giovane Alessandro, il quale però riuscì ad arrivare a Parigi solo il 12 luglio 1805, quasi quattro mesi dopo la morte d'Imbonati. Allora M. scrisse per lui un carme (242 versi endecasillabi sciolti, dedicati alla madre Giulia Beccaria), che nacque originariamente come opera in versi a consolazione della madre, addolorata per la ssa del comno, ma che poi si mutò in un'importante illustrazione dei principali morali del poeta e delle sue scelte poetico - artistiche.


- Inni Sacri.

Gli "Inni sacri" furono iniziati nel 1812 (aprile): momento nel quale M. pensò ad una serie di dodici componimenti religiosi che fossero legati al culto cristiano e alla pratica liturgica. Quasi una sorte di "catechismo" in poesia, da articolarsi in: "Il Natale", "L'Epifania", "La Passione", "Il Corpo del Signore", "La cattedra di San Pietro", "L'Assunzione", "Il nome di Maria", "Ognissanti" e "I morti". Di questo progetto, furono realizzati 5 testi in stesura completa. I primi 4 furono pubblicati nel 1815: "La Resurrezione" (composta nel 1812), "Il nome di Maria" e "Il Natale" (composta nel 1813), "La Passione" (composta nel 1815). Sul finire del 1822 si aggiunse a questi "La Pentecoste", composta negli anni precedenti con un lavoro lungo e difficile; "Ognissanti" fu iniziato e parte composto a più riprese negli anni seguenti, ma rimase incompiuto (ancora nel 1847 in una lettera M. lo dichiarava incompleto).

La poesia religiosa nasceva dal "Paradiso" dantesco e dalla composizione finale del "Canzoniere" di Petrarca ("Canzone della Vergine"). Sul finire del 500 (epoca Controriforma) il genere poetico delle rime o inni sacri ebbe una grande diffusione; nel 600 allo stresso modo in forme elaborate e ampollosamente retoriche; nel secolo successivo una più leggera struttura poetica e una lingua meno artificiosa consentirono prove più leggibili e meno pesantemente retoriche. In questo modo la lezione delle Odi di Parini consentiva la possibilità di una scrittura poetica elevata, socialmente aperta alla fruizione di lettori più numerosi e non solo specialisti o chierici. È a questa tradizione che si rivolge M., per il quale il non lontano esempio poetico del 700 era decisivo. Con il nome "Inni" si definivano alcuni componimenti poetici dell'Antico Testamento: M. riesce a costruire testi che sono contemporaneamente moderni quanto allo stile e austeri quale alla tematica; in più per la scelta degli argomenti dà i testi un tono liturgico fondamentale. I componimenti sono dedicati alle più importanti ricorrenze della Chiesa cattolica.

Non si deve trascurare l'idea di "socialità" che spiega la ragione della loro composizione all'indomani della conversione e la nuova ideologia manzoniana aperta all'idea di "coralità" degli uomini. L'inno per la sua natura è una poesia destinata alla declamazione pubblica e corale a parte dei fedeli riuniti in comunità; deve contenere un messaggio facilmente accessibile a tutti; e ha la funzione di spiegare o affrontare alcuni temi fondamentali per la fede cristiana. Uno degli aspetti più evidenti degli "Inni" fu proprio l'intenzione didascalica e la loro tonalità declamatoria.

Negli "Inni" la religiosità di M. è forte. La produzione manzoniana è coerente: legato alla concretezza che gli deriva dall'educazione illuministica, il sentimento cristiano dello scrittore è identificato nell'impegno nella società ed è visto come l'unica risposta possibile ai drammi della storia e della società civile.  Se c'è il centro comune agli "Inni", questo è costituito dalla volontà di calare la parola evangelica dentro la storia concreta dell'umanità: si possono affrontare i drammi che la storia ci pone davanti e che non si possono spiegare con la sola razionalità umana.

M. adopera per gli "Inni" talvolta versi parisillabi e che avevano non solo una loro musicalità "facile" e cantabile, quasi popolare, ma erano presenti alle abitudini di lettura del suo pubblico; in altri casi i settenari sdruccioli o tronchi. Si tratta di una scelta dettata dalla volontà di non comporre poesie nel solco della tradizione classicista o solo petrarchesca, quindi elitaria, ma vicina alle esigenze o alle disposizioni di lettori non solo letterati. Il dettato generale degli "Inni" è continuo: le strofe si concatenano tra loro sintatticamente, in modo da dare l'impressione di un canto ampio, senza soste e corale. Contemporaneamente, la sintassi è spesso elaborata e ricca di elementi retorici per unire la popolarità metrica ad un andamento alto e ispirato, come era nella tradizione innografia latina e cristiana.


- La poesia civile.

Ciò che si può definire poesia politica e civile era, per qualsiasi scrittore tra 700 e 800, quasi un banco di prova e un obbligo morale, prima che direttamente politico. Si trattava di un'eredità intellettuale dell'Illuminismo, periodo durante il quale l'impegno degli scrittori (o filosofi e in genere degli intellettuali) verso la società civile era primario. Anche i poeti europei considerarono quasi naturale occuparsi nelle loro composizioni dei principali eventi storici: politici o bellici, o che comunque avessero a che fare con il tempo presente, quello in cui essi stessi vivevano e operavano.

La dimensione sociale e civile della poesia era una specie d'imperativo morale per lo scrittore M. Per questo la sua poesia registrò da subito una serie di composizioni civili: si trattò di componimenti giovanili dedicati all'idea di libertà (ad ex. ""Del trionfo della libertà, composto nel 1801 e si tratta di 4 canti endecasillabi sciolti in cui si celebravano i nuovi ideali libertari dell'epoca pre - risorgimentale). Più impegnati su fatti concreti della politica del suo tempo furono i 4 componimenti poetici, di cui tra pubblicati durante la sua vita (dei quali uno non fu concluso):

- "Aprile 1914", che rimase inedito, composto il 22 aprile 1814 e dedicato alla notizia dell'esilio di Napoleone all'isola d'Elba e che fu liberato il 20 aprile;

- "Il proclama di Rimini", composto l'anno successivo e dedito alla proclama che Gioacchino Murat, a capo di un impotente esercito, aveva rivolto agli italiani appunto da Rimini il 30 marzo 1815, e che iniziava con le parole "La Provvidenza vi chiama ad essere una nazione indipendente". Murat, cognato di Napoleone e già re di Napoli, esercitò patrioti italiani una grande impressione, per quanto irrealistico fosse il suo proclama, e Manzoni raccolse quella suggestione in questa canzone, rimasta interrotta dal partecipare agli eventi (2 maggio l'esercito degli insorti fu disperso e 2 mesi dopo Napoleone fu sconfitto definitivamente a Waterloo);

- "Marzo 1821", composto nei giorni della data del titolo;

- "Il cinque maggio", del 1821, la più celebre delle poesie politiche.

Apparte il primo, i tre testi furono editi dopo il 1848, quando la situazione politica lo rese possibile, ma essi erano già noti e divulgati. "Marzo 1821" divenne famosa e apprezzata da costituire una sorta di modello per la poesia risorgimentale e patriottica di tipo romantico.

La poesia politica, che si coagula tutta intorno al 1814 - 21, non rappresenta per lo scrittore un impegno duraturo nel tempo. Dopo il 1821 altre prove attendono M., e impegni più importanti: il romanzo. In queste opere si manifesta la sua attenzione intellettuale: la riflessione sulla storia, intesa come diretta risposta ai fatti contemporanei, e meditazione, rielaborazione di tematiche sentite urgenti. Qui l'urgenza è data dal tema dell'unità italiana (in "Marzo 1821") e da quello della ura di Napoleone e della Rivoluzione francese (del "Cinque maggio"), ed è importante sottolineare la presenza, nel campo della riflessione e dell'impegno civile, di un uomo così chiuso come M.: in realtà, l'intellettuale e il letterato più presenta al problema del Risorgimento italiano.

Nella sua produzione la scarsità di prove poetiche direttamente impegnate in campo politico implica forse la conone di come sia difficile per la poesia entrare con forza nell'attività politica. Non si trascuri che in questi testi l'impegno è espresso a cose fatte (o presunte tali, come in "Marzo 1821"), quasi che la poesia in M. potesse avere in fondo solo un potere esortativo, e magari declamatorio, ma restasse poi fuori dal più diretto agone politico e bellico.


- Le tragedie.

"Il conte di Carmagnola" pubblicata nel 1820; 2 anni dopo apparve l'altra l' "Adelchi"; la terza ha uno sfondo storico "Spartaco", che M. stilò solo lo schema. "Carmagnola" e "Adelchi" nascono da un'attenta riflessione sulla funzione e il valore poetico del dramma, e si caratterizzano per essere entrambe basate su fatti storici: esigenza dello scrittore era d'ispirarsi alla realtà, per quanto remota nel tempo; e a questo scopo intraprese un attento studio delle fonti e delle testimonianze storiche.

Nella prefazione del "Carmagnola" si discute l'uso dell'unità aristoteliche del tempo e di luogo nella tragedia, rifiutandolo in nome delle esigenze espressive, e affronta il problema dell'utilità (morale) della poesia drammatica: egli fornisce al lettore le necessarie informazioni storiche sulla vicenda rappresentata.

"Il Conte di Carmagnola". L'azione della tragedia si svolge dal 1425 al 1432, nel quadro delle lotte tra Venezia e Milano. Pochi mesi dopo la pubblicazione del 1820, il critico francese Victor Chauvet le dedicò una recensione. Chauvet, parlando della tragedia, ne lodava i meriti poetici, ma si diceva poco entusiasta di quella che era la caratteristiche drammaturgica più evidente di quel testo, e cioè l'infrazione delle 3 regole aristoteliche dell'unità di tempo, luogo e azione. Secondo la codificazione del 500 della tragedia, la vicenda doveva svolgersi nello stesso luogo, avere una coerenza temporale senza salti cronologici e avere una continuità di azione senza sovrapposizioni di altre trame narrative (poetica di Aristotele). M. aveva già previsto queste obiezione nella prefazione al Carmagnola, ma precisò il problema dell'infrazione delle regole aristoteliche. Il testo della lettera, in francese, rimase nelle mani dell'amico Fauriel quando M. tornò in Italia il 25 luglio 1820: fu stampato in francese e in qualche rielaborazione dell'autore, insieme all'edizione francese delle tragedie curata proprio da Fauriel nel 1823. La lettera affronta il problema del rapporto tra storia e poesia, o in arte in generale (quello delle tre unità della tragedia p accennato, ma come si è detto è qui secondario poiché già trattato nella prefazione al Carmagnola). Per M. la questione fondamentale è che l'arte deve partire della realtà, dalla natura e dalla sua rappresentazione (già nel carme per Imbonati aveva del resto parlato del "vero" e della necessità morale dello scrittore di non tradirlo mai). Si poneva il problema dell'invenzione poetica: i limiti che lo scrittore deve porsi per essere non un puro scrittore di fantasia, ma un artista vicino anche eticamente alla realtà. Lo scrittore ha dei condizionamenti nello scrivere: gli unici a cui deve sottostare sono quelli della verità, dato che creare con la fantasia è operazione facile e priva d'interesse per la società. Le incastellature retoriche e i precetti letterari non devono frenare la libertà dello scrittore. La storia, per M., ha il compito e il dovere di presentare i fatti desumevoli da documenti certi, mentre la poesia illumina gli eventi che lo storico elenca in maniera fredda e distaccata, e lo fa indagando i sentimenti. La poesia viene a essere introspezione psicologica della realtà, a chiarire e illuminare tutto ciò che può trovarsi nella storia. "Vero storico" e "vero poetico" non solo entrano in collisione, ma s'integrano e si completano a vicenda.

È più lontana nel tempo rispetto al "Carmagnola" e risale agli ultimi anni della dominazione longobarda in Italia (772 - 774). M. iniziò a comporre la tragedia dopo la pubblicazione del "Carmagnola", portandola a compimento nel 1822; negli ultimi anni mise mani anche al romanzo, i futuri Promessi Sposi. Anche l' "Adelchi" è in 5 atti, in endecasillabi sciolti, ma il linguaggio è più sciolto e scorrevole, meno paludato alla tradizione aulica e classicista.

A prova dell'importanza della meditazione storica nella poetica manzoniana, la tragedia è preceduta da un vero e proprio saggio d'interpretazione storiografica, il "Discorso sopra alcuni punti della storia longobardica in Italia": fondamentale è la delimitazione di quanto nel dramma è inventato dall'autore (carattere di Adelchi) e quanto appartiene alla storia. L'invenzione non corroborata dai dati storici appartiene al "romanzesco" e deve essere riconoscibile dal lettore e distinta dal vero.










I PROMESSI SPOSI

Dal Fermo e Lucia ai Promessi Sposi

Preparazione e stesura del Fermo e Lucia

A spingere Manzoni a sperimentare il romanzo furono i colloqui con l'amico Claude Fauriel, la lettura dell'Ivanoe di Walter Scott e gli avvenimenti del 1821 (anno in cui furono arrestati Confalonieri e Pellico).


Manzoni scelse il tema dell'opera (un matrimonio contrastato) e la sua parte centrale (la peste) seguendo varie opere storiche. Negli storici, l'autore trovò le gride contro i bravi e quella relativa ai matrimoni impediti. Dallo storico Giuseppe Ripamonti, invece, trasse delle notizie sull'epidemia di peste.


Un'altra importante influenza è data dal gruppo Conciliatore, per quanto riguardava la convinzione che la letteratura moderna dovesse essere attenta a un impegno nella realtà contemporanea, vicina ai lettori moderni, incline a un impegno ideologico che potesse sollecitare riferimenti politici.


La stesura del Fermo e Lucia iniziò il 24 aprile 1821 e terminò il 17 settembre 1823. La data del 1821 ha molti significati: Manzoni ha appena terminato di scrivere Marzo 1821 e sta scrivendo Adelchi. L'urgenza di scrivere questo romanzo è tale da convincere l'autore a tralasciare la tragedia per due mesi (per scrivere l'Introduzione). Altre interruzioni sono date dalla stesura del Cinque maggio.


Il problema della lingua

Manzoni si trovò ad affrontare il problema della lingua da usare nella stesura del romanzo. L'autore intendeva rivolgersi a un lettore medio e doveva affrontare temi così ampi da avere bisogno di una lingua media di comunicazione.

L'autore sentiva infatti la necessità di un'opera che fosse aperta a tutti, nella quale il lettore potesse riconoscersi, nella quale una nazione potesse trovare un'identità comune.

Manzoni pensava che la lingua scritta tradizionale era inutilizzabile, perché legata alla poesia più che alla prosa e comprensibile da pochi letterati. La lingua letteraria italiana chiudeva quindi lo scrittore in un recinto di incomunicabilità.

Partendo dalla formazione romantica e illuminista, Manzoni stabilisce un nesso tra se stesso e il pubblico-nazione. Cerca di offrire il romanzo in cui tutta la popolazione possa riconoscersi.


Struttura e contenuti del Fermo e Lucia

Nella prima edizione (1823), il testo era diviso in quattro parti e in 37 moduli.

Il Fermo e Lucia si distanzia dalle redazioni successive per ragioni:

linguistiche. La lingua che Manzoni usa è caratterizzata dalla presenza di parole dialettali milanesi;

strutturali. Moltissime sono, infatti, le digressioni narrative (cioè la narrazione di eventi paralleli a quelli portanti del racconto), tra cui quelle della Monaca di Monza (romanzo nel romanzo) e quella dell'Innominato.


La prima revisione e la "ventisettana"

Già durante la stesura del Fermo e Lucia erano sparite:

l    digressioni sul processo agli untori (che daranno poi vita alla Storia della colonna infame);



l    riduzione della storia di Gertrude (che passò da 6 a 2 moduli);

l    riduzione della storia del Conte del Sagrato (l'Innominato dei Promessi Sposi);

l    ironia troppo cruda e aggressiva.

Le aggiunte furono:

l    la notte e l'alba di Renzo prima dell'attraversamento dell'Adda (XVII);

l    la descrizione della vigna di Renzo (XXXIII);

l    la pioggia conclusiva con cui sembra finire il contagio (XXXVII);

l    l'episodio di Cecilia, la bambina morta durante la peste (XXXIV).

La nuova struttura del romanzo fu composta da quattro blocchi, separati da tre cerniere rappresentate dalle storie di Gertrude e l'Innominato.


La seconda revisione e la "quarantana"

Manzoni s'impose, dopo un viaggio a Firenze, una revisione linguistica del romanzo. Il lavoro procedette a sbalzi, con l'aiuto di amici toscani e altri conoscenti. Si interruppe abbastanza a lungo, dopo la morte della moglie e della lia (1833-34), riprese dopo il secondo matrimonio (1837) e si concluse nel 1840, anno in cui l'edizione fu pubblicata in fascicoli settimanali.


I protagonisti e il romanzo storico

Focalizzare l'attenzione su personaggi umili ed elevarli a protagonisti del romanzo fu una rivoluzione. La scelta di gente che subisce la storia (senza farla) rovescia l'ottica che fino ad allora privilegiava i personaggi illustri come attori principali.


L'idea di approdare al romanzo storico nasce e matura in Manzoni molto lentamente. I modelli settecenteschi rappresentavano agli occhi dello scrittore qualcosa di antiquato e non comunicativo. Occorreva, dunque, che si diffondessero i romanzi di Scott, per convincere Manzoni a darsi alla prosa.


Per questo motivo, nel 1821 Manzoni iniziò ad accostarsi al problema del rapporto tra storia e invenzione. La conclusione fu: i due elementi devono essere nettamente separati, ma l'invenzione poetica doveva essere resa serva fedele della storia e la fantasia doveva avere una funzione di sussidiarietà con la storia (non di concorrenza).

Per fare ciò, Manzoni si diede a uno studio approfondito del secolo in cui si sarebbero svolte le vicende di Renzo e Lucia.

Quando l'autore fu certo di poter fondere "vero storico" e "vero poetico" anche nel romanzo, venne a cadere l'interesse per la tragedia (dopo il 1822).


Un romanzo senza idillio

La storia di Renzo e Lucia ha il famoso lieto fine e ciò può sembrare un vero e proprio romanzo idilliaco. In realtà, una lettura più attenta permette di intravedere una situazione ben diversa. Intorno ai protagonisti si muove e ruota un meccanismo perverso e soffocante, si muove un mondo di ingiustizia, caratterizzato dalla violenza gratuita (Don Rodrigo e i suoi servi), dall'ignoranza presuntuosa (scienziati e politici dell'epoca) e dal conformismo terribile delle autorità. C'è l'idillio della memoria: di una Lucia che sogna e rimpiange ciò che lascia e di un Renzo che idealizzo fino alla commozione più profonda la ura e la persona della sua promessa sposa. Si tratta di un grande romanzo di guerra e di peste, di fame, di sofferenza e di rivolta, di violenza e di sopraffazione. È una grandiosa tragedia, proprio come la vita. I due protagonisti, alla fine del romanzo, averanno raggiunto il loro sogno, che li ha tenuti insieme nonostante le difficoltà e le prove insuperabili a cui sono stati sottoposti, ma la loro vicenda non appartiene alla Storia, ma è diventata privata.


La Storia della colonna infame.

In fondo all'edizione 1840 - 42 dei Promessi Sposi, Manzoni pubblicò una ricostruzione storica dei processi ai cosiddetti "untori" (coloro che, nell'ignoranza e nella frenesia scomposta del tempo della peste, si riteneva spargessero il contagio ungendo con materiale infetto i muri delle strade, le porte di casa, gli angoli della città). Il testo doveva essere inizialmente una digressione storia da inserirsi nella narrazione del Fermo e Lucia, ma fu accantonato perché troppo lungo e la Storia fu rielaborata e uscì autonomamente alla fine dell'edizione definitiva nel 1842.


Medici e scienziati non riuscivano a capire l'origine del morbo esistenziale, la popolazione era disperata ed esigeva risposte e conforto, si ritenne che una delle case del proarsi della peste fosse un complotto di non specificati nemici, che ingaggiavano agenti segreti per spargere il contagio nelle città. La ricerca di un capro espiratorio era inevitabile. I governatori, incapaci, assecondarono il bisogno di trovare un responsabile, infatti, molti milanesi, innocenti e inconsapevoli, furono arrestati con l'accusa di aver unto la città, mentre la classe nobiliare o il ceto socialmente ragguardevole furono assolti. Contro questa idea di giustizia si muove Manzoni, ricostruendo vicende di un processo in cui giudici si trasformarono in ciechi di vendetta, nasce così un modulo di storia del diritto penale. Il processo si concluse con la condanna a morte degli inquisiti. Uno di essi, il barbiere Giangiacomo Mora ebbe anche la casa distrutta e al suo posto fu eretta una colonna perpetua ricordo della condanna con una lapide in latino. Si noti che l'aggettivo infame indicava la colta orrenda dell'untore, mentre nell'opera di Manzoni è attribuibile alla ragione giudiziaria dell'erezione della colonna, perché essa esponeva esecrazione degli innocenti. La colonna con la lapide fu abbattuta nel 1778.


Manzoni non era stato il primo a condannare quell'episodio di giustizia del 600. Nel 700, Pietro Verri riconobbe l'innocenza di queste persone, ma non aveva dato nessun giudizio morale sui giudici. Manzoni sottopone, invece, l'operato di quei giudici a un prosecco senza cedimenti: concludenti che fu il loro ceco operato a determinare la condanna di innocenti. La giustizia per Manzoni è tutta in mano agli uomini ed è lia di tempi corrotti: la responsabilità umana non può mai nascondersi dietro paraventi di comodo.



APPUNTI.


Motivi romantici dell'opera manzoniana:

ispirazione religiosa;

interesse per la storia passata, che è rivisitata per un'attenzione particolare sul piano etico - religioso;

abolizione delle mitologia;

ispirazione patriottica e risorgimentale;

abolizioni delle 3 unità aristoteliche;

visione pessimistica; il pessimismo deriva dal lutto tra bene e male, tra ideale e reale, deriva dal mondo in continua lotta, la quale è sempre presente; nasce dal dualismo reale e irreale. La giustizia in terra non si può raggiungere , perché c'è una divisone tra oppressi o pressori;

complessità psicologica, anche drammatica di alcuni personaggi (Gertrude, Innominato, Ermengarda, Adelchi);

orientamento d'arte fondata sul vero storico e morale (Carlo Imbonati) e lontana dalla mitologia, dal classicismo e da certe forme romantiche straniere);

amore del quotidiano (Inni Sacri), descrizione dell'antieroico;

linguaggio vivo e popolare, non aulico;

lingua = toscano parlato dai colti, diventa poi un problema per Manzoni poiché conosce il francese, milanese e latino, infatti deve raccostare lo scritto al parlato per pulire la retorica = svolta alla lingua.


Esiste frattura tra opere anteriori e posteriori?

Non esiste, perché è sempre coerente per la sensibilità morale e la ricerca di verità e di rigore, anche se dopo la conversione ci sarà un'accentuazione di questi elementi.


Unità Aristoteliche.

Tragedia = inizia bene si conclude male.

La tragedia greca si fondava sulle unità di tempo (breve lasso di tempo), di luogo (stesso luogo) e d'azione (le vicende avvengono in un rapporto di causa effetto). Con Manzoni, si salva l'unità d'azione, eliminando le altre due. La novità è il coro, che da possibilità al poeta di parlare in prima persona e dare un giudizio, mentre per i greci aveva un fine civile, religioso, educativo e nazionale.


Differenza tra vero storico e vero poetico.

Vero storico = ciò che da la conoscenza dei fatti secondo una cronologia rigorosa;

Vero poetico = ritrovare l'anima dell'uomo scandagliando l'animo senza stravolgere (conoscere il cuore umano).


Formula manzoniana per avere un prodotto finalizzato alla borghesia:

utile per scopo;

vero per oggetto;

interessate per strumento.

Arte educativa che ci rimanda all'illuminismo.


La lirica manzoniana ha delle affinità con quella di Petrarca?

No. Petrarca si basa sul colloquio interiore. Manzoni vuole cogliere delle situazioni oggettive finalizzate al vero (Inni Sacri).


In che cosa consiste il pessimismo cristiano nell'Adelchi e perché si può definire romantico?

Adelchi morente sa quello che è ideale e reale:

ideale = sa che può essere giusto = giustizia terrena;

reale = sa di essere principe ed oppressore;

Solo tramite la provvidenza può passare da oppressore ad oppresso e può sperare nella speranza eterna.

È romantico perché vive il dramma del dissidio tra reale ed ideale.

Pessimismo cristiano perché Adelchi è in una situazione di consapevolezza che da oppressore diventa oppresso e grazie alla Provvidenza può sperare nel raggiungimento dell'ideale = giustizia divina = dio = che è tutto.





SCHEMA RIASSUNTIVO DEI PROMESSI SPOSI.


1^ PARTE.

Formata dai primo 8 moduli, prende il periodo che va dal 7 al 10 novembre 1628. Tratta le avventure dei due sposi, costretti a fuggire dal loro paese.


Potere sociale    rappresentato da Don Rodrigo.

Cattiva Chiesa    Falso potere religioso rappresentato da Don Abbondio = oppressore.

Buona Chiese Vero potere spirituale rappresentato da Fra Cristoforo.


2^ PARTE.

Formata dai moduli 9 -27, prende il periodo che va dall'11 novembre 1628 all'autunno del 1629; è caratterizzata da narrazioni particolari:

San Martino (11 novembre 1628) = 4 moduli = vero storico (tumulti per il pane);

Storia della Monaca di Monza = vero storico;

Notte di Lucia al castello dell'Innominato = l'Innominato è un personaggio realmente esistito = vero storico


Potere sociale    rappresentato dall'Innominato (sceglie il male)

Cattiva Chiesa    Falso potere religioso rappresentato dalla Monaca di Monza.

Buona Chiese Vero potere spirituale rappresentato dal Cardinale Federico Borromeo.


3^ PARTE.

Formata dai moduli 28 - 32, prende il periodo che va dal novembre 1629 all'agosto 1630; è caratterizzata dalle 3 calamità che colpiscono Milano:

carestia = giustizia e punizione divina;

peste = giustizia e punizione divina;

guerra = natura abbandonata da Dio.


4^ PARTE.

Formata dai moduli 32 - 38, prende il periodo che va dall'agosto 1630 al novembre 1630. Ci si trova di fronte ai presonaggi con i ruoli invertiti:

Don Abbondio = fa il suo dovere;

Gertrude = viene punita;

Innominato = è santificato;

Carestia = è eliminata.



APPUNTI PROMESSI SPOSI.


- Ultime lettere di Jacopo Ortis, opera che a livello letterario presuppone una certa cultura; l'interlocutore di Foscolo è il popolo, ovvero il ceto medio che sa leggere e scrivere (la borghesia).

- M. comprese che occorreva inventare una lingua che non fosse letteraria, facendo attenzione anche ai contenuti;

Manzoni mosse una critica verso Scott autore di "Ivanhoe", poiché riteneva sbagliato far ragionare gli uomini medievali con l'intelletto degli uomini dell'800.


- Manzoni conosceva il francese e il milanese; scrisse l'opera munito di vocabolari e riteneva la lingua italiana povera rispetto al francese.

- M. volle aprire la lingua a tutti, al dialogo e alla relazione; per lui il pubblico è nazionale e popolare, significa che deve rivolgersi al borghese.


- Fonti:

° Ivanhoe;

° Giuseppe Ripamonti (storico cronista), che aveva parlato della peste (1643);

° Amici del Conciliatore (influenza dell'ambiente romantico italiano);


- 5 marzo; Marzo 1821 (fallimento primi moti d'indipendenza) -> opere storiche  di Manzoni.


- 12 aprile 1821 - 17 settembre 1823 -> Prima stesura del romanzo.

Iniziale titolo era "Fermo e Lucia".

37 moduli più 4 parti;

Digressioni su cui induge: ° Monaca di Monza (6 moduli);

° Innominato (Nel "Fermo e Luicia" detto il conte del sagrato);

° Peste.

I Promessi sposi: 38 moduli più 3 parti importanti; sono più moderati rispetto al "Fermo e Lucia"; è presente quella vena ironica che mitiga i momenti forti del romanzo.

Revisione -> nei Promessi Sposi, rispetto al "Fermo e Lucia", vi è un cambiamento sostanziale; nel "Fermo e Lucia", infatti, prevalgono le digressioni, gli elementi a effetto, toni forti e concitati.

Prima revisione -> 1827.


- Manzoni -> per lui, dietro la folla l'individuo si lascia trascinare, perde il controllo e la propria individualità;


- Rapporto tra "vero storico" e "vero poetico".

Lucia e Renzo sono personaggi inventati, ma l'invenzione è nel rispetto della storia.


- I Promessi sposi aprono la strada al romanzo moderno (≠ punti di vista rispetto al passato, perché le persone che non hanno la storia ora fanno la storia).


- Renzo è un borghese con spirito d'intraprendenza.

- Idea di Manzoni nel romanzo -> sua idea di realismo e l'incontro con Scott (quest'ultimo M. lo ritiene troppo romanzesco Ivanhoe, che corrisponde al vero storico).


- Base poetica Manzoniana -> L'UTILE PER SCOPO, IL VERO PER SOGGETTO E L'INTERESSANTE PER MEZZO;


- Vero storico e vero morale non solo come fine, ma anche come sorgente del bello;

Trarre ispirazione dai sentimenti comuni, come le memorie. I romantici non guardano più alla storia dei grandi, ma a quella di tutti i giorni, perché il pubblico è borghese. Rifiuto della casta e del gusto classico - aristocratico del sublime; è disprezzato tutto ciò che è manifestazione di snobismo intellettuale.


- Concetto della storia per M. -> visione tragica, perché la storia è fatta da oppressi e oppressori. Non resta che far torno o patirlo (Adelchi).


- Manzoni:

° idee illuministiche (dategli dalla famiglia);

° cattolicesimo liberale ottocentesco;

° occorre cercare il senso della storia -> fermarsi al vero quotidiano.

La storia è anche segnata da catastrofi (guerra e peste), che travolgono gli innocenti.


La storia è anche segnata da catastrofi (guerra, peste), che travolgono gli innocenti.


- Timore del dolore e caso della storia piombano sui due protagonisti e su di noi.


- Decalogo di Renzo: "Ho imparato".

Lucia mette in crisi il decalogo Renzo; le certezze di Renzo sono messe in crisi da Lucia, poiché esse sarebbero state la regressione della mentalità di Don Abbondio (rimanere immobile inattivi e dare ragione al più forte).

Il rifiuto dell'idillio c'è, perché Renzo e Lucia ipotizzano una vita che avrà come ombre ed ostacoli.

Manzoni, provato a livello personale, non può ignorare questa realtà così difficile.

Lucia non ha creato i guai, come invece ha fatto Renzo.

La storia è fatta anche da catastrofi, che coinvolgono gli innocenti.


- La conclusione del romanzo è aperta.

Renzo, come antieroe, porta con sé le contraddizioni, che del resto hanno tutti, del vivere, che a sua volta presuppone anche le contraddizioni della memoria, della giustizia e della storia. Solo la fiducia in Dio attenua queste contraddizioni e dolorose difficoltà, ma non è rassegnazione, è la ricerca di un nuovo ordine, ben lontano dal pessimismo di Adelchi (inattivo).


- Fra Cristoforo e Cardinale Borromeo = il cristianesimo è attivo, è un richiamo alle responsabilità individuale, il rispetto dei valori evangelici può mitigare le sofferenze.

Chi ha fede in Dio trova il conforto (non è passività o rassegnazione).

I due sposi arrivano a concludere che la fiducia in Dio raddolcisce l'amarezza delle sofferenze esistenziali. Non viene promessa una vita felice tutta rose e fiori, però Manzoni sottolinea come i guai vengono spesso, anche senza cercarli.

Il Sugo della storia rappresenta la fiducia in dio, che raddolcisce e mitiga questi guai (trionfo della fede).


- Politica dei Promessi Sposi:

ideale che s'incarna nel reale = vantaggio del popolo;

dominazione snola in Italia;

condanna la politica, che si esercita con la forza = appaiono personaggi scaltri e furbi = Ferrer.

Politica diretta = Antonio Ferrer ha due personalità:

° diplomazia, perché è un professionista della politica;

° satira ed ironia, perché l'ironia è uno strumento per condannare la politica. = ironia = padre Gertrude = non ha interesse per la lia, raggiunge il suo scopo = la manda in convento.







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