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Il problema della tolleranza

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Il problema della tolleranza



Per la nostra cultura è ovvio considerare l'intolleranza come un disvalore e un pregiudizio negativo da superare. E' un valore universale riconosciuto soprattutto nei Paesi occidentali come base imprescindibile in una civile convivenza tra gli uomini.

Di fatti, nel diritto italiano la garanzia della libertà religiosa offerta alle persone fisiche, enti, formazioni sociali e confessioni religiose è tutelata dall'art. 19 della Costituzione; poiché esso, riconosce l'uguaglianza formale e sostanziale dei cittadini indipendentemente dal credo professato.


Tuttavia non è sempre stato così. Le idee hanno infatti una storia e nascono da visioni del mondo e da credenze collettive che, nel loro contesto, hanno una loro coerenza.



Nel Cinquecento, ad esempio, la tolleranza era considerata generalmente una debolezza, perché tollerare l'eresia significava abbandonare chi stava sbagliando e stava condannando la sua anima alla dannazione eterna.

La repressione dell"eresia" non conosceva soste e sotto il pontificato di Giulio III e di Paolo IV, essa venne sempre più intensificando i suoi tempi e la sua asprezza, mentre i poteri del Sant'Uffizio e il campo d'azione della nuova e potentissima Comnia di Gesù venivano estendendosi ogni giorno di più. Si giunse al punto che persino dei membri del Sacro Collegio,dei quali erano note le opinioni temperate e conciliatrici, furono inquietati dal Sant'Uffizio.

Nell'anno successivo, il 1558, venne pubblicato il primo Indice dei libri proibiti; e quale colpo dovette essere per i superstiti della generazione del secolo di Leone X scoprire che tra le opere la cui lettura era vietata a un buon cattolico vi erano, a prescindere dal famigerato Macchiavelli, il Decamerone e perfino il De Monarchia del padre Dante!

Il successore di Paolo IV, Pio IV, era un moderato. Ma  ormai l'opera di repressione e di intimidazione era stata portata tanto avanti che egli potè riaprire il concilio e, nel 1563, chiuderlo definitivamente con la solenne approvazione della Professio fidei tridentinae inaugurando così, anche ufficialmente, l'età della Controriforma.

Di fronte alla tempesta che si battè su di esso, l'evangelismo italiano non resse: si operò ben presto una scissione tra coloro che optarono decisamente per la rottura con la Chiesa e quelli che si sottomisero all'ortodossia tridentina e le fughe si succedettero con un ritmo alternato frequente delle abiure.

Alcuni di questi emigrarono e divennero membri autorevoli e rispettati delle Chiese di Ginevra e di Zurigo, ma altri, probabilmente la maggioranza, proseguirono le loro peregrinazioni verso terre più lontane e verso idee più radicali.


Intorno all'anno 1555, la pace di Augusta apre la strada verso il riconoscimento del principio della tolleranza religiosa e della libertà di coscienza, che poi la pace di Westfalia ribadisce. (Principio che oggi sembra assolutamente pacifico, visto e considerato come una delle forme in cui si realizza la libertà di espressione.) Impedisce così, ogni forma di discriminazione basata sul credo religioso; l'intolleranza religiosa non è però del tutto ssa. Infatti, appare con modalità ancora violente all'interno di determinati contesti geografici o in precise contingenze.

Giordano Bruno ne è la prova. Nato a Napoli nel 1548 da una famiglia modesta, egli divenne domenicano nel 1565 e subito apparve evidente il contrasto tra la sua personalità inquieta, dall'intelligenza vivace e dalla forte sete di conoscenza, e le rigide regole dell'ordine religioso. Percorse in fretta la sua carriera ecclesiastica e divenne dottore in teologia nel 1575. Riuscì a leggere gli scritti proibiti di Erasmo da Rotterdam, e per questo venne processato con accuse gravissime. Così abbandonò l'abito ecclesiastico e fuggì da Napoli. Iniziò la sua peregrinazione nelle città italiane durante la quale si mantenne impartendo lezioni di astronomia, geometria, mnemotecnica e filosofia. In alcune città europee tra cui Lione e Ginevra, aderì al calvinismo e divenne docente di filosofia. A Parigi, la fama delle sue lezioni presso l'Università della Sorbona giunse alle orecchie del Re Enrico III, che lo nominò "lettore straordinario". A Londra frequentò la Corte della Regina Elisabetta; poi giunse a Wittemberg, in Germania, a Praga ed a Helmestedt, dove aderì al luteranesimo per poi insegnare. Venne però colpito da scomunica e fuggì a Francoforte dove nel 1591 lo raggiunse l'invito dal nobile veneziano Giovanni Mocenigo ad andare a Venezia come suo insegnante. Mocenigo, insoddisfatto per il carattere troppo indipendente del suo insegnante, rinchiuse Bruno nella propria dimora e lo denunciò all'inquisizione locale, sostenendo di averlo sentito pronunciare frasi eretiche. Il processo che ne seguì sembrava evolvere in modo favorevole all'accusato, quando improvvisamente giunse da Roma la richiesta del trasferimento del processo al Tribunale centrale del Sant'Uffizio. Durò sei anni, Bruno li trascorse nel carcere del Sant'Uffizio. In cambio della libertà gli fu chiesto di rinnegare le sue idee, ma egli rifiutò. Nel 1600 Papa Clemente VIII, considerando comprovate le accuse a suo carico, ordinò che fosse condannato al rogo come "eretico impenitente". Il 17 febbraio dello stesso anno fu condotto a Campo dei Fiori con la bocca bloccata da una morsa di legno per impedirgli di parlare, fu spogliato, legato ad un palo e bruciato vivo.


La critica mossa da diversi pensatori contro ogni forma di intolleranza, di superstizione, di fanatismo e di autoritarismo religiosi, non mancava nella società del tempo. E' particolarmente importante il contributo del filosofo olandese Baruch Spinoza, il quale svaluta la funzione conoscitiva della "verità" religiosa sulla scorta del razzismo sectiunesiano. Egli ritiene che la religione non possa spiegare il senso vero delle cose, che a suo parere può essere indagato solo dalla filosofia, pur riconoscendo ai dogmi della fede il valore di sostegno all'agire morale. In fine, per Baruch, l'aspetto formale della religione non può essere anteposto ai valori fondamentali della vita.

Il problema della tolleranza, è profondamente sentito in Olanda, paese in cui il filosofo vive nel XVII secolo. Nella pratica della tolleranza si segnalano nel corso del Seicento la Repubblica di Venezia e la Svizzera, ma soprattutto l'Inghilterra, luogo in cui si sviluppa una vasta corrente di pensiero. Essa trova la sua migliore espressione nelle famose Lettere sulla tolleranza di John Locke. Egli sostenne la separazione tra lo Stato, cui spetta il compito di ordinare e disciplinare la convivenza civile in base al bene comune, e la Chiesa, cui invece tocca la direzione delle coscienze in vista della salvezza dell'anima. Scrisse: "La tolleranza nei confronti di coloro che hanno opinioni diverse in materia di religione è a tal punto in accordo con il vangelo e la ragione che sembra uno spettacolo straordinario che degli uomini possano comportarsi come cechi in una luce tanto chiara. ( . ) In primo luogo, nessuna chiesa è tenuta in suo nome a conservare nel suo seno colui che insiste a trasgredire le leggi stabilite in quella società. Non bisogna però, aggiungere al decreto di scomunica un'ingiuria o una violenza che danneggi in qualche modo l'espulso nel corpo o nei beni ( . ) In secondo luogo, nessun privato deve in qualsiasi modo sottrarre ad un altro beni civili perché si professa estraneo alla sua religione ed ai suoi riti. Devono essere religiosamente rispettati tutti i diritti che gli spettano come uomo e come cittadino. ( . ) La pace, l'equità e l'amicizia fra chiese diverse, come fra privati, sono sempre ed equamente da coltivare senza prerogativa di alcun diritto . ( . ) Perciò né le persone né le chiese né infine gli stati possono aver alcun diritto di togliersi a vicenda i beni civili e le cose mondane col pretesto della religione."


A rendere impellente e improrogabile un serio dibattito sulla tolleranza religiosa contribuiscono gli esiti disastrosi delle guerre di religione. Ecco perché la problematica sulla tolleranza porta in primo piano la delicata questione dell'essenza e del significato della religione, che sfocia nella più radicale innovazione realizzata dall'Imperatore Costantino: la fede cristiana non viene più considerata il centro della vita ed il pensiero dell'uomo moderno. L'esito del pensiero laico e nazionalista del Seicento può così essere sinteticamente espresso: solo una religione e una pratica morale fondate sulla pura ragione, possono fare conoscere un Dio accettabile dall'uomo, capace di realizzare le esigenze della vita umana come una serena convivenza civile. In Inghilterra tale pensiero fu sostenuto dai "deisti", in Francia dai "libertini", uomini decisi a lottare contro le religioni rivelate, se non addirittura pronti a una professione di aperto ateismo.


Personalmente ritengo che la tesi di Locke sia interessante e la condivido, pur riconoscendo che, essendo influenzata dalla società moderna occidentale nella quale vivo, non ho problemi a "convive" con persone aventi credo religiosi differenti dal mio. Di conseguenza mi attengo al diritto italiano riconoscendo l'uguaglianza formale e sostanziale dei cittadini indipendentemente dalla religione che professano.

Nonostante la libertà religiosa concessa al giorno d'oggi, appare comunque qualche forma di intolleranza, ad esempio in relazione agli impotenti flussi migratori attuali. Le società contemporanee, infatti, sono composte da persone di etnie e religioni diverse. Solo che questa convivenza spesso genera difficoltà di integrazione che possono sfociare in veri e propri atti di discriminazione e rifiuto.









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