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Il sogno di Alessandro



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1. Il sogno di Alessandro

Alessandro, quando Tolomeo, suo generale, era stato ferito in battaglia da una freccia velenosa e per questo ferita morendo con sommo dolore, mentre sedeva al capezzale si addormentò per il sonno. E allora durante il sonno si dice che gli sembrò che un drago che la madre Olimpia allevava, portasse in bocca una piccola radice e contemporaneamente dicesse dove nascesse in quel luogo( e ne egli non era lontano da quel luogo) e quella aveva tanta forza che guariva facilmente Tolomeo. Quando Alessandro, dopo essersi svegliato, aveva raccontato agli amici il sogno, furono mandati per cercare la piccola radice.


2. Servio Tullio diventa re

Dopo Tarquinio Prisco si tramanda che Servio Tullio abbia regnato per primo senza l'autorizzazione del popolo, raccontano che fosse nato da madre nobile ma schiava. Essendo educato nella casa di Tarquinio e partecipando ai banchetti del re non venne meno la fiamma d'ingegno che già splendeva nel fanciullo. E perciò Tarquinio che aveva dei li alquanto piccoli sembrò prediligere Servio così che apertamente egli veniva considerato come un suo lio. Curò che si dovesse erudire infatti in tutte quelle arti che egli stesso aveva appreso. Avendo i li di Anco ucciso Tarquinio Servio cominciò a governare non per ordine ma per volontà dei cittadini. Mentre frattanto si crede che Tarquinio fosse ammalato per la ferita e che falsamente viva, quello stabilì di amministrare la giustizia con uso regale e usando molta generosità e benevolenza liberò i debitori col suo denaro. Poiché i due li di Anco sopportavano a stento di essere fraudati del regno paterno e avendo cominciato a chiedere ai patrizi che Servio venisse privato del potere egli volle affidarsi alla volontà del popolo e fu comandato di regnare.




3. Timoteo I

Questo essendo in età tarda ed avendo finito di esercitare cariche pubbliche, gli Ateniesi iniziarono ad essere incalzati da ogni parte a causa della guerra. Samo aveva disertato, l'Ellesponto si era ribellato, Filippo già allora valoroso macedone, tramava molte cose, al quale essendosi opposto Careste, si stimava non ci fosse abbastanza difesa. Diviene stratega Menestole, lio di Ficerate, genero di Timoteo e scelto affinché parta per la guerra. A questo sono affidati due parenti per pratica e per esperienza, il padre e il suocero. Essendo questi partiti per Samo Careste nel medesimo, conoscendo il loro arrivo, partendo con le sue truppe, accadde che avvicinandosi all'isola, scoppiasse una grande tempesta e i due vecchi comandanti ritenevano utile evitarla, fecero fermare la loro flotta.


4. Timoteo II

Inoltre la maggior parte che possiamo portare per testimoniare sulla moderata e sapiente vita di Timoteo, saremo hi di uno, perciò potrà essere impiegato facilmente, di quanto egli sarà stato propizio. Quando l'adolescente (dovette) difendersi in tribunale da un'accusa ad Atene, non solo gli amici e ospiti privati si ritrovarono per difenderlo ma anche lo stesso Giasone, tirano della Tessaglia, che a quel tempo era il più potente di tutti. ( . )


5. Il triste imbarco

Io vi scrivo le lettere meno spesso di quanto possa, poiché per me sono miseri tutti i tempi, allora ?, o scrivo a voi o leggo le vostre, sono così provato dal dolore, che io non possa sopportare, magari ? fossimo stati meno attaccati alla vita! Perché sicuramente avremmo vista nessun male o non molto. ( . )


6. Un abile stratagemma

Tullio Ostilio essendosi avvicinato a Fidele con tutte le truppe militari, Metrio Furfentio comandante degli Abbani svelò la dubbiosa e sempre sospetta fiducia della sua alleanza improvvisamente nello steso campo di battaglia. Infatti abbandonato l'esercito dei Romani che era nascosto si accampò nel colle più vicino, spia futura della guerra, che o insultava i dominanti o accusava i vincitori affaticati. Non era un dubbio anzi che questa strategia stesse per indebolire gli animi dei nostri vedendo nello stesso tempo e i nemici combattere e gli aiuti perdersi di anima. E affinché non accadesse quello che Tullio prevedette: velocemente percorse tutte le truppe dei militari a cavallo proclamando con il suo ordine.


7. Il mondo creato per l'uomo

Bisogna riconoscere che tutte le cose che vediamo sono state procurate per gli uomini, manca soltanto che queste cose siano state preparate anche per le bestie sono state create per gli uomini che cos'altro portano le pecore se non che lavorate e tessute le loro pelli gli uomini si vestano, le quali pecore. In verità ne avrebbero potuto alimentarsi né sostenersi né produrre da sé alcun frutto senza l'allevamento degli uomini. In verità tanta fedele guardia dei cani, ( . ) tanta alacrità nel cacciare se non che i cani sono stati creati per la comodità degli uomini. Che cosa dire sui buoi? Le stesse schiene dei quali manifestano di non essere state create ad accogliere i pesi al contrario i colli sono fatti per i giochi, e allora la forza e la larghezza delle stalle a trascinare l'aratro. Sarebbe troppo lungo annoverare l'utilità dei muli e degli asini che sono stati creati per l'utilità egli uomini.


8. Morte di Annibale

Accadde per caso che gli ambasciatori di Prusia cenassero presso Quinzio Flaminio a Roma, e là fatta menzione di Annibale, uno di quelli dicesse che quello si trovava nel regno di Prusia. Il giorno seguente Flaminio riferì ciò al senato. I senatori ( . ) inviarono gli ambasciatori in Bitinia, affinché chiedessero al re affinché non avesse con se il più grande nemico del popolo romano e lo consegnasse loro. Intanto Prusia no osò dire di no a questi, una sola cosa rifiutò: che non pretendessero da lui che si facesse ciò che fosse contrario al diritto dell'ospitalità, essi stessi se avessero potuto lo prendessero, infatti Annibale si nascondeva in un fortezza, che gli era stato dato in dono dal re, e lo aveva costruito così che in ogni parte dell'edificio avesse per sé un'uscita temendo sempre che accadesse ciò che accadde. ( . ) Essendo giunti in quel luogo gli ambasciatori dei romani e avendo occupato tutte le porte dell'edificio, quello sentì che non doveva conservare a lungo la sua vita, ragion per cui bevette la pozione, che era abituato ad avere sempre con sé.


9. Ultimatum di Cesare e risposta di Ariovisto

Ariovisto rispose a queste cose: che il diritto di guerra che coloro che avessero vinto e chi avessero vinto. Così il popolo romano era solito comandare i vinti non secondo l'ordine altrui ma secondo il proprio ordine in qualsiasi modo volessero: ( . ) se egli stesso non avesse ordinato al popolo romano in quale modo si servisse del suo diritto non era opportuno al popolo romano essere ostacolato nel suo ordinamento. ( . )

10. Due sogni veritieri

Così è stato tramandato un altro sogno molto famoso: quando due tali familiari Arcadi insieme fecero un viaggio e essendo arrivati a Megara, l'uno aveva alloggiato da un oste, l'altro da un ospite. I quali mentre riposavano dopo aver cenato, nel suo sogno a notte inoltrata sembrò che quello tra i due che era nell'alloggio(dall'ospite) pregare che venisse l'altro quanto prima, poiché gli apparse la sua morte a causa dell'oste. Che il primo, spaventato dal sogno, si fosse svegliato. In seguito, se quando avesse compreso e ciò che avendo considerato aveva visto fosse poca cosa, si fosse riaddormentato. Allora a lui che dormiva chiese se gli sembrò di averlo visto pregare, poiché se non fosse sopravvissuto vivo (sibi), la sua morte non invendicata ma essere chiara. Se per uccidere fosse stato gettato nel carro dell'oste e coperto sopra di sterco. Chiedere, i quale porta fosse andato al mattino, prima che il carro uscisse dalla città.


11. Preoccupazioni per i familiari

Tullio S.O. sua Terenzia e Tullia e Cicerone

Ricevetti da Aristocrito tre lettere, che io con le lacrime quasi cancellai. Sono consumato infatti dal dolore, mia Terenzia, le mie sfortune non mi tormentano quanto le tue e le vostre. Io per questo d'altra parte sono afflitto più di te, che sei miserissima, ma la mia colpa è personale(propria). Per con questo sventurato, turpe, indegno fu senza valore per noi. Perché mi struggo con calore e poi ancora con (nel) disonore. Mi vergogno infatti di non aver garantito alla mia ottima moglie la virtù e la cura dei soavissimi li. Infatti ho dinanzi ai miei occhi giorno e notte il vostro dolore e tristezza e la debolezza di salute, e d'altra parte la speranza di salvezza mi è apparsa assai tenue. I nemici sono molti, guardo con sospetto pressoché tutti. Fu cosa grande esiliare noi, è facile non lasciarci entrare. Ma tuttavia, per tutto il tempo che sarete nella speranza, non vi abbandonerò affinché non sembri che tutte le cose siano accadute per colpa mia.


12. L'eroica impresa della costruzione di un ponte

Entrambe queste assi erano tenute ferme da entrambi le parti dall'estremità da due arpioni all'estremità essendo state poste sopra travi dallo spessore di due piedi per quanto distante il collegamento di quelle assi. Due assi che separate e legate strettamente alle parti opposte tanta era la solidità della costruzione e questa una caratteristica del legname che sarebbero state tenute più strettamente con questo legame. Quanto più incalzante fosse diventata la furia delle acque. Questi erano uniti con travi disposte orizzontalmente ed erano ricoperti con lunghi pali e graticcio. E ciò nonostante erano conficcati dei pali di traverso(obliquamente) nella parte più bassa del fiume, che posti sotto per sostegno e affinché resistessero alla violenza della corrente tutte le costruzioni legate e gli altri erano conficcati spinti nello stesso modo in uno piccolo spazio sopra il ponte, affinché se i tronchi degli alberi o piuttosto le navi (da rimuovere) a causa dell'opera dei barbari fossero missute. Con questi mezzi di difesa affinché l'urto di questi oggetti fosse attenuato e non danneggiassero il ponte.


13. La situazione è ormai precipitata

Fosse in pericolo la mia libertà e di tutti i benpensanti e tutto costato e gli tu puoi sapere la nostra casa e la stessa patria che abbandonammo sia depredata quanto bruciata. In questo luogo la cosa fu condotta come, se non che Dio avrà soccorso al caso di qualcuno noi non potremmo essere salvati. Certamente, quando arrivai alla città, non rinuncia tutto e sentire e dire e fare tutto ai quali concernessero la concordia. Ma mirabile furore aveva colto non solo gli imbrobi ma anche i benpensanti che sono portati a combattere lo desiderassero, me gridante che nulla essere più misero di una guerra civile. Così, fino a quando Cesare sarà preso da mancanza di senno e dimenticato le sue origini e dignità avesse occupato Rimini, Pesaro, Ancona, Arezzo, le città che noi lasciammo, quanto sapientemente o fortemente non importa parlarne.


14. Il contadino sognatore

Un tempo un povero contadino, uomo stolto e rustico, viveva in una piccola casa. Il contadino aveva alcune galline e gli procuravano uova quotidianamente. Il contadino frequentava la piazza della città vicina, infatti nella piazza vendeva le uova. Una volta procedeva attraverso la strada e sulla testa portava il paniere, pieno di uova. Tra sé e sé pensava: ' Nella piazza venderò le uova e comprerò pecore. Le pecore genereranno molti agnelli dalla carne tenera e saporita. Io venderò a grande prezzo gli agnelli, e le loro madri mi daranno la lana. La lana sarà trattata dalla mia moglie operosa. Venderò anche la lana; allora comprerò mucche e tori. Il mio gregge crescerà e molti servi pascoleranno le mie greggi nei miei poderi, e non verrò in città a piedi ma sarò trasportato con un carro e con i miei servi andrò nel foro. I contadinelli mi saluteranno ma io avanzerò in silenzio. Gli uomini di grande autorità verranno a casa mia come ospiti e lieto davanti agli ospiti così io piegherò la testa'. Mentre pensava, piegò la testa e il paniere con le uova cadde. Al povero agricoltore non rimase nessun uovo integro.


15. Confronto fra Cesare e Catone

Orbene a loro la stirpe, le età, l'eloquenza furono vicini all'uguale, la grandezza dell'animo pari, stessa gloria, ma differente l'una da quella dell'altro. Cesare per i suoi benefici e per e la liberalità era ritenuto grande, Catone per la rettitudine della vita. Cesare con la mitezza e la pietà fu reso famoso, a questo la severità aveva dato prestigio. Cesare col dare, col soccorrere, col perdonare, Catone col nulla concedere ha ottenuto la gloria. Nell'altro è il ricovero della miseria, l'altro è infaticabile per (nei confronti dei) malfattori. Di uno è lodata la facilità, di questo la costanza. Per ultimo Cesare si era proposto in animo di operare senza sosta, di vegliare, sollecito agli affari degli amici, trascurava i suoi, nessuno negava che fosse degno di essere donato; a se un grande comando, l'esercito, bramava la guerra nuova, dove potesse brillare la sua virtù. In Catone, al contrario, c'era desiderio di moderazione, di dignità, ma soprattutto di austerità. Non in ricchezze gareggiava col ricco, ne in intrighi col settario, ma in energia con l'operoso, in ritegno con il morigerato, in disinteresse con l'onesto; voleva piuttosto essere che sembrare buono; così, quanto meno egli cercava gloria, tantopiù essa gli teneva dietro.


16. Descrizione di Catilina

'L. Catilina nato da nobile stirpe, ebbe grande vigore intellettuale e fisico, ma un'indole malvagia e perversa. Di questo dalla adolescenza fu compiacente (si compiaque) di rapine, guerre civili, uccisioni, discordie civili, tra le quali visse la sua giovinezza. Il corpo era tollerante del digiuno, del freddo e della veglia al di là di ogni credere. L'animo era audace, scaltro, mutevole, delle cui cose si compiaceva (di essere) simulatore e dissimulatore; bramoso dell'altrui, prodigo del suo; ardente in cupidigia; abbastanza loquace, poco assennato. Il suo grande spirito, incredibilmente, desiderava sempre altro. Dopo la tirannide di L. Silla, lo aveva invaso una brama immensa di impadronirsi dello stato; ne si dava alcun pensiero del modo con cui conseguire questo scopo, purché si assicurasse un potere assoluto. Il suo animo fiero era ogni giorno di più, agitato dalla scarsità del patrimonio, e dalla coscienza dei suoi crimini che, l'una e l'altra, egli aveva accresciuto con la pratica dei vizi sopra ricordati. lo incoraggiavano inoltre i costumi corrotti della città, che ospitavano due mali pessimi e opposti fra loro: il lusso e la cupidigia. Poiché l'occasione mi ha richiamato a mente i costumi della città, l'argomento stesso perché mi inciti a risalire indietro ai pochi ordinamenti degli uomini e degli antenati in pace ed in guerra, come essi abbiano governato lo Stato e quanto grande l'abbiano lasciato e come, a poco, a poco cambiatosi, da nobilissimo e virtuosissimo sia divenuto pessimo e viziosissimo (pieno di vizi).'


17. Didone

Belo, re di Tiro, morì e lasciò come eredi il lio Pigmalione e la lia Ellissa, vergine dalla forma nobile. Ma il popolo consegnò il regno a Pigmalione; ma Ellissa si sposò Sicheo, suo zio, sacerdote di Ercole. Sicheo aveva un grande potere ma, per paura dei ladri lo nascose sotto terra. Tuttavia la fama delle ricchezze di Siche fu divulgata. Allora Pigmalione, per l'ardente desiderio di oro tese un'insidia a Sicheo e lo uccise. Ellissa odiò suo fratello a lungo per il delitto, infine preparò una fuga di nascosto: prese in società i principi di Tiro che avevano uguale odio verso il re e uguale desiderio di fuga. E così Ellissa con gli alleati si imbracò e con una lunga navigazione giunse in Africa. Lì strinse amicizia con gli abitanti del luogo, poi comprò il luogo, lì Cartagine fu fondata. Nelle prime fondamenta fu trovata una testa di bue, il quale fu interpretato come un auspicio di città fruttuosa, ma laboriosa e sempre schiava. Allora il luogo della città fu mutato e lì fu trovata una testa di cavallo, che poi fu interpretato come un auspicio di città bellicosa e potente.


18. Il Dio Mercurio e il contadino onesto

Un misero contadino taglia la legna sulle rive del fiume. Tuttavia l'ascia cade nell'acqua discende sotto le onde. Il contadino triste si siede sulla riva e piange. In cielo Mercurio vede la scena, scende dal cielo, si immerge nel fiume. Balza fuori dall'acqua con un'ascia aurea e dice al contadino:' L'ascia è tua: tieni!' 'Ti ringrazio, o padre ma non è mia'. Per la seconda volta il dio si immerge nel fiume e tira fuori una d'argento e il contadino di nuovo rispose: 'Questa ascia è bella ma non è mia'. Per la terza volta il dio si immerge ed estrae un'ascia ferrea e la offre al contadino.' Questa è veramente mia!' esclama il contadino. Il dio, lieto per l'onesta risposta, restituisce l'ascia ferrea, dona anche l'argentea e l'ascia d'oro.


19. Discorso di Catilina prima della battaglia

So bene, oh soldati, che le parole non aggiungono virtù, ne portano l'esercito da ignavo a strenuo, ne da timido a forte per un discorso del generale. Quanto ardimento alberga nell'animo di ciascuno per natura o per educazione, tanto suole manifestarsi in guerra. Esorteresti invano chi né la gloria né i pericoli riescono a spronare: la paura che invade l'animo tappa gli orecchi:



'Ma io vi ho convocato per ricordare poche cose e al tempo stesso per spiegarvi la causa della mia decisione. Sapete certamente, soldati, che la stoltezza e l'indolenza di Lentulo apportò a se stesso e a noi tanta grande perdita e in che modo, mentre attendevo i rinforzi da Roma, io non sia potuto partire per la Gallia. Adesso in verità, a che punto siano le nostre cose le comprendete tutti al pari di me. Due eserciti nemici mi ostacolano uno dalla Città (Roma) e uno dalla Gallia. E quand'anche l'animo vi ci spingesse con grandissimo desiderio, la mancanza di frumento e di tutte le altre cose mi proibisce di restare più a lungo in questi luoghi. Dovunque decida di andare, il cammino deve essere aperto con il ferro. Perciò vi ammonisco affinché siate forti e con l'animo preparato e, quando si accende la battaglia, ricordate la ricchezza, l'onore, la gloria e inoltre (che) portate nella vostra destra la libertà e la patria: Se vinciamo, col bottino abbondante ?, libereremo i municipi e le colonie, se per paura cedessimo, le stesse saranno stimate contro, e nessuno, ne luogo, ne amico, proteggerà colui che le armi non avranno protetto. E inoltre, soldati, non la stessa necessità preme noi e quelli; noi combattiamo per la patria, per la libertà, per la vita, a loro è superfluo per la potenza combattere con pochi. Perciò con maggiore ardimento andate all'attacco, memori della primitiva virtù. ½ sarebbe stato possibile con somma infamia passare la vita in esilio, avreste potuto alcuni di Roma, mandati via i buoni, espulse dal petto le altre forze; perché sembra agli uomini che questi deformi e insopportabili (esseri) vadano diminuendo. Se questo volete respingere c'è bisogno di audacia; nessuno se non vincitore mutò mai la guerra in pace. Infatti sperare salvezza nella fuga dopo aver distolto dai nemici le armi di cui il corpo è protetto, questa è una follia. In battaglia il maggior pericolo lo corrono sempre quelli che più temono, l'ardimento è come un muro. 'Con voi osservo, e valuto le vostre azioni, maggiore speranza di vittoria mantiene da me l'animo, l'età, la virtù vostra mi incoraggiano, inoltre la necessitudine, che anche da timido rende forte.


20. La lode ad Epicuro

L'umanità conduceva in terra, davanti agli occhi i tutti, un'esistenza brutta, oppressa com'era sotto il grave peso della superstizione, che mostrava il capo dalle ragioni del cielo, incombendo con orribile aspetto sui mortali. Fu un uomo greco (Epicuro) che per la prima volta osò levarle contro i suoi occhi mortali, e il primo a ergersi contro. Non lo arrestarono né la fama degli dei, né il cielo con il suo minaccioso rumore; anzi eccitarono ancor più la fiera virtù del suo animo, fino al punto da desiderare di infrangere per primo le porta strettamente chiuse della natura. La vigorosa forza del suo animo ottenne completa vittoria: egli andò oltre le fiammanti barriere dell'universo; con lo spirito ed il pensiero percorse tutta l'immensità, da cui tornò vittorioso per riferirci cosa può nascere e cosa non può, per insegnarci le leggi che delimitano il potere di ciascuna cosa e mostrarci il termine profondamente infisso in ciascuna. Sicché la superstizione è stata buttata a terra e calpestata, e la vittoria ci eleva fino al cielo.


21. La morte di Eurialo e Niso

Intanto trecento cavalieri mandati avanti dalla città Latina, mentre l'altra legione indugia schierata e distesa sul campo, portavano la risposta a Turno, guidati da Volcente. Avanzavano nella agli accampamenti e sotto le mura, quando vedono quelli da lontano girando (che girano) verso la sinistra, e l'elmo tradisce l'incauto Eurialo nell'ombra rischiarata dalla notte, e rifulge posto di fronte ai raggi. Non invano fu visto dalla schiera. Grida Volcente: "Fermatevi, oh uomini; qual è la causa della vostra strada? Chi siete voi armati? Verso dove tenete la strada (state andano)"?

Ma quelli non andarono incontro, ma accelerarono la fuga nella selva e confidavano nella notte. Si slanciano i cavalieri ai passaggi conosciuti da ogni parte e coronano (circondano) di un custode ogni passaggio. La selva era irta di cespugli e di nero leccio (neri lecci), che folti rovi avevano riempito da ogni parte; per la nascosta pista riluceva qualche sentiero (nel senso che in alcuni sentieri oscuri, a tratti riluceva il riflesso dell'elmo di Eurialo)

L'oscurità del bosco e la preda abbondante e il timore gli fa sbagliare strada. Niso va via, dimenticandosi dell'amico aveva evitato i nemici e i luoghi; che dopo dal nome di Alba, furono detti Albani (allora il re latino aveva alti pascoli) quando si fermò e invano cercò di guardare (trovare) l'amico mancante: "Oh, infelice Eurialo, per quale ragione ti ho lasciato? Per dove ti cercherò? Ripercorre tutta l'intricata strada della ingannatrice selva e nello stesso tempo rifà le orme attentamente scrutate e vaga tra i cespugli silenziosi. Sente i cavalli, sente le grida, e i segnali degli inseguitori; non passo molto tempo quando un clamore arriva alle orecchie ?, che ormai tutto lo schieramento nemico lo rapisce (In questo momento Virgilio descrive Eurialo circondato dai nemici) sopraffatto per l'inganno dei luoghi e della notte, e che tenta invano molte uscite (molte vie) essendoci l'improvviso assalto impetuoso. Cosa dovrebbe fare? Con quale forza, con quale armi, dovrebbe osare salvare il giovane? Forse dovrebbe gettarsi pronto a morire in mezzo alle spade per cercare una bella morte per vi delle ferite.

Rapidamente ritratto il braccio e vibrando l'asta guardando l'alta luna prega così con la voce: "Tu, dea, tu Latonia, custode dei boschi, decoro degli astri soccorri la nostra fatica. Se il Irtago ha offerto alcuni doni a mio favore sui tuoi altari, se io stesso ho aggiunto alcuni doni a te, con le mie cagioni, ho infissi al sacro frontone, permetti che io possa turbare questa schiera e guida i miei dardi per l'aria.

(Così) aveva detto, e appogiandosi su tutto il corpo lanciò il ferro: l'asta volando nella notte fende le ombre della notte e viene contro il petto di Sulmone e lì si ruppe, e con il legno spezzato trage il cuore. Vomitando dal petto un fiume di sangue caldo e con lunghissimi sussulti, ormai cadavere, agita i fianchi.

22. La morte di Didone

Ma la trepida e feroce Didone, volgendo gli occhi rossi di sangue con le guance frementi cosparse di rabbia e pallida per la morte vicina, irrompe sulla soglia interna della casa e furibonda monta sull'alto rogo ed estrae la spada di Dardano dono non chiesto per questo uso. Allora, dopo che le vesti greche ed il letto nuziale attirarono l'attenzione (volse la sua attenzione al letto nuziale), indugiò piangendo e ricordando e si sdraiò sul letto e disse (dicendo) estreme parole:

"Dolci spoglie finche il fato e il dio (gli dei) lo permetteva(no), accettate questa anima e me, e slegate questo senato. Ho vissuto e ho percosso la vita che mi aveva assegnato la Fortuna, e fra poco la mia grande immagine andrà all'Averno. Fondai la città famosa (Cartagine), vidi le mie mura, vendicai il marito e feci are il fratello nemico: felice, davvero molto felice (sarei stata), se soltanto le navi troiane non avessero mai toccato le nostre spiagge. Disse (così), e premendo la bocca sul letto:»Moriremo invendicate, ma moriremo" esclamò "così, così andrò sotto terra. Il crudele Dardano veda l'alto rogo e a se la nostra morte porti presagio".

Aveva detto, e dopo le ancelle appoggiarono quella riversa sulla spada mentre stava ancora parlando e (le mani erano già sporche di sangue). Così il clamore per la stanza alta (si sparse): la Fama imperversa per la città sconvolta. Le case fremono di lamenti, di gemiti, di femminili ululati. E risuonano enormi i colpi sul petto nell'aria, non diversamente che se (l'intera Cartagine) rovini per l'irruzione dei nemici tutta intera o l'antica Tiro, e fiamme furiose si prohino per le case degli uomini e per i templi degli dei.'


23. I ritorni degli eroi dalla guerra di Troia

Presa Troia, i re dei Greci ritornarono verso la patria con gli eserciti, poiché avevano offeso Minerva, nessun comandante giunse in patria velocemente e senza danno. Troia non lasciò Aiace Telamonio, poiché si procurò la morte presso il litorale Frigio. Aiace Oileo fu colpito da un fulmine di Giove. Infatti, mentre navigava verso la Grecia, Nettuno suscitò una grande tempesta e affondò la nave di Aiace. Il re nuotò attivamente con grande sforzo fino ad uno scoglio, così salvo, poiché era sfuggito dalla morte senza aiuto degli dei, con grande voce e illustri parole oltraggiò gli dei. Agamennone- povero!- giunse in patria. Ma la moglie uccise il re, per vendicare la lia Ienia. Idomeneo navigò verso Creta ma, essendo stato sballottato da una grande tempesta, dopo che le onde così ebbero immerso la sua nave, chiese la salvezza da Nettuno, promettendo il primo uomo che avesse visto sulla terra come vittima. Dopo che Nettuno ebbe calmato la tempesta, Idomeneo accostò la nave alla costa. Subito il liolo venne incontro al re e il re immolò suo lio. Diomede, poiché aveva oltraggiato Venere sotto le mura di Troia durante la battaglia in battaglia, si imbatté nell'odio della dea. Per conseguenza Venere allontanò la moglie di Diomede.Il re, che amava molto la moglie, fu vinto dalla sua perfidia. Allora decise di abbandonare sia la moglie sia il regno e con pochi comni si diresse verso l'Italia con una vela. Dopo l'esule visse in Puglia. Per molti anni Menelao errò con Elena attraverso il mare, finché arrivò in Egitto. Infine arrivò a Sparta. Ulisse ritornò in patria per ultimo, dopo che ebbe attraversato molte terre.


24. Il seguito di Catilina

In questa grande e corrotta civiltà Catilina, cosa che era facilissima a farsi, aveva attorno a se le schiere di tutte le scelleratezze dei delitti, come guardie del corpo. Infatti chiunque era impudico, adultero, crapulone, aveva dilapidato al gioco, nei banchetti, nelle lussurie, le fortune paterne, e chi aveva contratto un grande debito, per riscattarsi con esso da un'infamia o da un delitto e anche tutti gli assassini di ogni paese, i sacrileghi, rei convinti nei processi o timorosi di un giudizio processuale per le loro malefatte, oltre a ciò, quelli che vivevano della loro mano e della loro lingua con lo spergiuro o con il sangue dei cittadini, tutti quelli che dei flagellati, coloro che erano agitati dal rimorso, di loro Catilina era intimo e familiari. Questa se ancora senza colpa cadeva nella sua amicizia, per il contatto quotidiano e per gli adescamenti, facilmente era reso simile ai restanti. Ma maggiormente cercava di ottenere le amicizie dei giovani. I loro animi ancora e mutevoli erano catturati non difficilmente con favori, infatti a seconda dei gusti giovani di ciascuno, ad alcuni procurava le donne, ad altri cani e comprava cavalli, non risparmiava ne il suo denaro ne il suo amore, pur di farseli amici. So che ci fu qualcuno che riteneva che la gioventù che frequentava la casa di Catilina contaminasse i proprio pudore, ma questa dicerie (ebbe) credito più a seguito delle altre cose che perché ciò fosse conosciuto con certezza da qualcuno.'


25. Timoteo

Timoteo Ateniese, lio di Conone, fu un uomo accorto, impigro, laborioso, esperto nell'arte militare. Sono molte le gesta famose di Timoteo: sottomise Olinto con un'aspra battaglia, prese Samo, liberò Cizico da un assedio. Ma dopo gli Ateniesi condannarono Timoteo, perché non aveva condotto favorevolmente una sola guerra, quando i Samii si staccarono dagli Ateniesi. E così Timoteo, per l'odio della sua ingrata cittadinanza, si allontanò da Atene e arrivò a Calcide, dove condusse la vita rimanente. D'altra parte sono molte le testimonianza della vita moderata e sapiente di Timoteo. Ebbe come ospiti moltissimi amici, tra i quali ci fu anche Giasone, tiranno di Tessaglia. Tuttavia dopo Timoteo, per ordine del popolo ateniese, condusse una guerra contro Giasone, perché stimava sacre le leggi della patria e le anteponeva all'amicizia. dopo la sua morte non ci fu nessun (altro) famoso comandante di Atene.


26. Annibale

Annibale aveva una grandissima capacità di giudizio tra gli stessi pericoli, una grandissima audacia nell'affrontare i pericoli. Il capo non poteva essere provato da  nessuna fatica e l'animo non poteva essere vinto. Pari la sopportazione del caldo e del freddo. La misura di cibo e di bevande era limitata dal desiderio naturale, non dal piacere. Il tempo delle veglie e del sonno non era distinto né di giorno né di notte: ciò che rimaneva nelle cose da farsi era dato al riposo. Questo non era cercato nel morbido letto né nel silenzio, molti spesso lo videro giacere per terra coperto da un mantello militare tra le guardie e le stazioni militari. Nel vestire per niente si elevava al di sopra dei coetanei; erano notati le armi e i cavalli. Era di gran lunga il primo dei cavalieri e dei fanti; andava per primo in battaglia e per ultimo se ne allontanava una volta terminata. Ingenti vizi eguagliano queste così numerose virtù dell'uomo: una crudeltà immane, una perfidia più che punica, niente di vero, niente di santo, nessuna paura degli dei, nessun giuramento, nessuna religione.


27. La fortuna avversa

Dioniso, avendo ricevuto dal padre in eredità la tirannide di Siracusa e quasi tutta la Sicilia signore di grandi ricchezze, comandante degli eserciti, capo della flotta e della cavalleria. Insegnò a causa della povertà lettere ai giovani di Corinto e nominato maestro di gioco dal tiranno ammonì affinché gli uomini non credessero eccessivamente nella fortuna. Dopo Dioniso il re Siface conobbe similmente la fortuna avversa. Fu amico infatti dei romani per Scipione e dei Cartaginesi per Asdrubale. Infatti arrivò a tanta fama così da essere l'arbitro della vittoria di tantissimi popoli. Ma dopo poco tempo Siface fu portato in catene supplice dall'ambasciatore Laelio e condotto da Scipione e si inginocchiò sulle ginocchia di Scipione, del quale una volta con mano arrogante aveva astretto la mano destra quando sedeva sul trono reale.


28. Cesare è assalito dai Morini

Gli ambasciatori furono inviati dai nemici e vennero per parlare della pace con Cesare. Cesare duplicò il numero di ostaggi che prima aveva ordinato e nel continente comandò che fossero condotti (di portarli), poiché credeva che in inverno vicino al giorno dell'equinozio le fragili navi non potevano navigare. Lui stesso decise il tempo adatto e poco dopo la mezzanotte rilasciò le navi. Le quali arrivarono tutte incolumi al continente. Ma le due grandi navi non poterono entrare in porto. Poiché i soldati sarebbero stati (furono) esposti si diressero nelle fortezze. I Morini, che Cesare aveva lasciato pacifici partendo (partente) per la Britannia, furono attirati dalla speranza di un bottino. Quellli si misero in cerchio, si difesero.


29. Marco Valerio Corvino

Alla guerra Gallica, il 405 anno dalla fondazione di Roma, i romani perdono tempo durante le soste. Un gallo con forza e armi potenti, avanzò e battendo lo scudo alla lancia, avendo fatto silenzio, provocò per mediatore uno dei romani; affinché si scontrasse a duello con lui. Marco Valerio, giovane tribuno dell'esercito, avendo aspirato alla carica di console, avanzò ornato al centro. Allora accadde una cosa sorprendente infatti un corvo si posò sull'elmo del giovane romano, quando fu iniziato a duello con il gallo. Ciò fu giudicato come un'augurio mandato dal cielo e parlò agli ei affinché gli fossero favorevoli e ai romani. L'uccello rimase non solo sull'elmo ma quando i romani e i galli iniziarono la guerra, librandosi sulle ali.


30. Antigone

Il re Creonte, lio di Meceneo, ordinò che non fosse sepolta la salma di Polinice. Sua sorella Antigone e sua moglie Argia seppellirono segretamente di notte il corpo di Polinice nella stessa pira dove fu sepolto Esteocle. Quando furono scoperte dai guardiani, Argia fuggì, Antigone fu condotta dal re. Questi ordinò al lio Emone di ucciderla. Ma Emone, rapito dall'amore, ignorò l'ordine del padre e affidò Antigone ai pastori e affermò di averla uccisa. Quando questa ebbe un lio e egli arrivò all'età della pubertà, venne ai giochi di Tebe. Il re Creonte lo conobbe. Quando Ercole supplicò il re con parole di scusa a favore di Emone affinché gli concedesse il perdono, non avendo ottenuto nulla, Emone uccise sé e sua moglie Antigone. Tempo dopo Creonte diede in matrimonio ad Ercole sua lia Megara.




31. Talvolta la scena è la vita

Un attore in terra greca fu di celebre fama, che superava gli altri nel portamento e nella voce ? e nell'eleganza, dicono che il nome fosse Polo, ( . ). Questo Polo conobbe la morte del caro lio ( . ).


32. Alcmena

Mentre Anfitrione era lontano per espugnare Elalia, Alcmena credendo che Giove fosse il suo coniuge lo accolse nel suo letto. Quando egli venne nella camera e disse a essa che ritornava da Elalia, essa credendolo il coniuge lo accolse nel suo letto. Lui dormì tanto piacevolmente con lei che da un giorno, raddoppiò per due notti così che Alcmena fu meravigliata di tanta lunga notte. Poi quando gli fu annunciato che il coniuge ritornava vincitore, non se ne curò per niente, per il fatto che già credeva di avere con lei il coniuge. ( . )


33. La Campania terra fortunata

La regione della Campania è la più bella non solo di tutte le terre d'Italia ma di tutto il mondo. Niente più mite del clima, poiché il tempo di tutto l'anno è mitissimo. Niente di più fertile del terreno, infatti la terra produce abbondantemente molti generi di frutti. Niente di più ospitale del mare poiché sono famosissimi i porti di Gaeta, Miseno e Baiae dalle sorgenti tiepide ?. Qui ci sono, coperti dalle viti, i monti Gauro, Falerno, Massico e il più famoso di tutti il Vesuvio. Vicino al mare le città sono più antiche e famose: Formia, Cuma, Pozzuoli, Napoli, Pompei e la stessa capitale delle città Capua, una volta tra le migliori considerata. Davanti alla baia di Cuma ci sono le bellissime isole: Ischia, Procida e fra tutte Capri la più famosa.


34. Annibale riceve da Filippo l'offerta di alleanza

Tre anni dopo che Annibale arrivò in Italia, il console M. Claudio Marcelllo fu mandato dal senato a combattere contro Annibale presso Nola, città della Campania. Infatti Annibale ormai aveva occupato molte città romane in Puglia, Calabria, dei Bruzi e molte altre stavano per essere occupate. Intanto anche Filippo, re dei macedoni, alleato di Annibale, promise il suo aiuto contro i Romani, se Annibale dist5rutta Roma avesse portano aiuto a Filippo contro i greci che infatti avevano intrapreso la guerra contro Filippo per recuperare la libertà. Dopo che gli alleati di Filippo furono catturati e la cosa fu scoperta dai romani, il senato mandò da Filippo in Macedonia M. Valerio Lavinio che agì con i re della lega. Poi quando anche la Sardegna, insidiata da Annibale che i romani abbandonarono, fu mandato nell'isola T. Manlio Torquato, che compose le controversie, e nuovamente esercitò la potestà romana sulla Sardegna.


35. Furio Camillo

Il dittatore fu mandato dal senato contro i Veiani, che si erano ribellati. Vinse i Veiani in battaglia, quindi prese anche la loro città. Vinti i Veiani, prese anche i Falisci la cui città non meno nobile. Ma contro Camillo sorse una forte invidia, poiché aveva maldiviso il bottino e per tale motivo condannato, fu espulso dalla città. Dopo i Galli Senoni arrivarono alla città e l'esercito romano sconfitto al fiume Alia, occuparono Roma oltre al campidoglio. Ma Camillo, che era esule in una vicina città, portò l'aiuto dei suoi concittadini e essendo stati vinti i Galli liberò Roma e ritornò vincitore in patria.


36. Appio Claudio

La plebe si ritira sull'Aventino contro il sopruso dell'uccisione di Virginia.

In quell'anno Roma fu presa dai Galli. Appio Claudio quando cadde nell'amore della vergine Virginia, rapito, poiché vi era uno che la chiedeva in schiavitù, impose il suop volere al padre virginio. Prso un coltello dalla taverna più vicina uccise la lia, affinché non cadesse nel potere di coloro i quali stavano per denunciare lo sturpro. A questa così grande offesa la plebe occupò adirata il monte Aventino e spinse i quindicemviri a rinunciare alla magistratura. Il quale Appio, che aveva ottenuto una particolare pena,  nel carcere fu rinchiuso, di solito atta nell'esilio. La cosa oltre alle grandi gesta contro Sabini e Volsciil libro di Livio riunisce e denuncia l'onestà del popolo romano che giudice tra gli abitanti di ardea e gli Argini, prese posseso dei campi, per il quale aveva deciso, di se scrisse.


37. Adamo ed Eva sono cacciati dal paradiso terrestre

Dio disse al serpente: "Poiché ingannasti la donna sarai odiato e maledetto tra tutti gli esseri viventi, striscerari sul petto e mangerai la terra. Cia sarà l'inamicizia tra te e la donna: più di una volta batterai il tuo capo" disse ancora alla donna "ti procurerò molti mali: partorirai i li nel dolore e sarai nel dominio dell'uomo". Dopo disse ad Adamo: "Poiché facesti come tua moglie coltiverai la terra ostile: produrrà spine e cardi: per questo avrai il pane con molto lavoro". Allora cacciò Adamo ed Eva dal giardino e collocò un angelo con la spada di fuoco custode delle porte del paradiso.

38. Le oche salvano il Campidoglio

I Galli discesero in Italia dalle alpi e devastarono tutta la regione col ferro e col fuoco. Il terrore della morte e della paura dei nemici colsero all'improvviso tutti gli abitanti delle città. Immediatamente un console fu mandato con due legioni dai romani contro le smisurate truppe dei barbari ma i Galli assalirono il console e le sue legioni e vinsero con una dura battaglia vicino al fiume Alia, in seguito marciarono contro Roma. Allora i romani presi dal terrore, lasciarono la città e con i vecchi, le mogli e i li si rifugiarono nelle foreste. I barbari arrivarono alla città senza pericolo e occuparono il Campidoglio, fortezza di Roma. Già i Galli scalavano le mura della fortezza. ( . )


39. Il topo di città e il topo di camna

Spesso gli animali, come gli uomini coltivano l'amicizia. Il topo di camna invitò un giorno il topo di città a pranzo. E servì all'ospite nella mensa uve secche e dure ghiande. Ma il topo di città assaggiava appena col dente il cibo di scarso valore e infine disse così: "Perché amico conduci una vita tanto misera nei campi? Perché la fame e la sete tanto spesso sopporti? Vieni con me nella città, dove c'è grande abbondanza di cibo!" Il consiglio piacque al topo di camna e si trasferì col comno nella magnifica villa. Qui, mentre mangiano, risuonano le voci dei cani, i servi irrompono. Il topo di città si nascose, ma il topo di camna, spaventato così disse: "Godi amico la tua condizione, a me piace di più la mia povertà". E immediatamente ritornò alle selve.


40. Le colombe e lo sparviero

Spesso le colombe fuggivano dallo sparviero rapace ed evitavano la morte con un veloce volo. Allora il furbo sparviero muta la risoluzione in inganno e induce le inermi colombe all'errore. "La vostra vita è dura ed agitata; io posso fare voi sicure d'ogni pericolo. Infatti ho potenti forze ? di corpo e d'animo. Perché non mi nominate vostro protettore?". Le candide colombe gli rispondono: "A te porgiamo ringraziamenti; tu sei veramente generosissimo!". E si consegnano allo sparviero. E così lo sparviero ottiene a se il dominio e subito uccide le colombe ad una ad una con crudeli inganni.


41. Il cavallo di Troia

Gli Achei non avendo potuto espugnare Troia per dieci anni, Epeo, con il progetto suggerito da Minerva e Ulisse, fece un cavallo di maestosa grandezza e là dentro furono riuniti Menelao, Ulisse, Diomede e molti altri forti eroi Greci. Nel cavallo i Greci scrissero: "I Danai danno in dono a Minerva" e trasferirono gli accampamenti nell'isola di Tenedo. I troiani videro ciò, valutarono la prova della partenza dei nemici. Allora Priamo, re dei troiani ordinò che il cavallo di Minerva fosse condotto nella fortezza e proclamò che i troiani trascorressero un giorno di festa. I troiani avendo collocato il cavallo nella follia del divertimento e stanchi della notte si addormentarono, gli Achei uscirono dal cavallo aperto da Simone, uccisero i custodi delle porte e lasciarono entrare i suoi nella città. E così occuparono Troia e la distrussero a ferro e fuoco.


42. Oreste in Tauride

Oreste giunse a Delfi, essendo perseguitato dalle Furie perché finalmente sapesse l'estensione delle miserie. Il responso è che entrasse nella terra Tauride e di là nel tempio di Diano portasse le statue ad Argo; allora ( . ).


43. Il cursus honorum di Caio Mario

Mario, sebbene non fosse nobile, per la virtù in guerra e la simpatia del popolo, trascorse una rapida carriera politica. Infatti fu indovino, questore, tribuno della plebe, pretore, censore e console per sette volte. Con il secondo consolato portò la guerra contro Giugurta, re dei Numidi, e dopo la vittoria celebrò con il trionfo. Condusse davanti al suo carro, il prigioniero Giugurta, fino al campidoglio. Console per la quarta volta sconfisse l'esercito dei Teutoni, che erano penetrati nel confine romano, ottenne l'onore del trionfo. Per la quinta volta console schiacciò i Limbri e nel sesto consolato ristabilì la pace a Roma sconvolta per le rivolte della plebe, ma odiato dalla plebe perché aveva represso le rivolte del popolo, è stato allontanato. Alla fine, richiamato in patria, fu eletto console per la settima volta.


44. Temistocle propone la costruzione del porto del Pireo e delle nuove mura di Atene, contro la volontà di Sparta

Temistocle fu grande a causa di questa guerra e non meno in pace importante. Infatti gli ateniesi possedendo il porto del Falero né importante, né prospero, di questo fu presa posizione al triplice consiglio sul porto del Pireo e quello sul 8circondato) circondare con le mura, affinché paragonasse la stessa città con il prestigio che oltrepassasse l'utilità. Lo stesso ricostruì le mure degli Ateniesi col suo individuale rischio. Infatti gli Spartani tentarono di allontanare gli Ateniesi che costruiscono dopo i validi motivi attenti vicino alle incursioni dei barbari che negassero il necessario eccetto il Peloponneso alcun muro alla città che avevano affinché non fossero fortificate le regioni che i nemici possedessero. Gli Ateniesi infatti con le due vittorie di Maratona e Salamina, erano stati seguiti presso tutte le genti una gloria tanto grande, affinché conoscessero il primato degli spartani con l'intenzione di esserci per questo lotta. Ma dopo che sentirono che le mura erano costruite, mandarono gli ambasciatori ad Atene che questi si opposero a diventare.


45. Cesare affida una missione a Galba

Cesare manda dall'Italia Galba per avanzare con la dodicesima legione e con parte della cavalleria contro i Nantuani, i Verogri e i Seduni. La causa per cui dovette essere mandato per scoprire un sentiero per la Alpi. Galba espugnando parecchie delle loro fortezze e compiute alcune favorevoli battaglie, ricevuto da ogni parte le garanzie date e fatta la pace collocò le truppe ausiliarie dei Nantuati e con le restanti truppe è chiamato nel villaggio dei Veragri. Avendo passato molti giorni all'improvviso fu informato dai suoi esploratori che i ? si sarebbero divisi nella notte. Ricevuta la notizia, Galba sebbene le fortificazioni non fossero complete, convocato rapidamente il consiglio difese gli accampamenti.


46. Le vittorie di Cesare

Le vittorie di Cesare sono tante e così grandi che è difficile contarle. Quando fu eletto console, dapprima combatté contro i Galli e in tutta la Gallia inserì l'autorità dei romani, in seguito condusse con grande difficoltà l'esercito in Birtannia dove combatté con i britanni allora barbari e d'aspetto orribile. Quando scoppiò la guerra civile a Roma, richiamato dalla Gallia in Italia; Cesare con le sue legioni superò il fiume Rubicone, che allora terminava nei confini dell'Italia, e andò verso Roma dove celebrò il trionfo. Poi con il potente esercito si diresse a Brindisi e in seguito in Grecia affinché scongesse Pompeo: quando Cesare vinse i Pompeiani nella violenta battaglia di Farsalo, Pompeo in fuga verso la salvezza da Tolomeo, re degli Egizi, si rifugiò. Ma Cesare inseguì ancora in Egitto ( . ).

47. Coriolano

Coriolano, giovane patrizio romano, poiché a Roma c'erano grandi discordie fra patrizi e plebei, venne in odio la plebe per la sua superbia. Per questo fu spinto in esilio e fuggì dai Volsci, ostile al popolo romano. Coriolano non solo fu benevolmente accolto dai Volsci, ma anche nominato comandante supremo del loro esercito. Allora il giovane spinto dall'odio, con i suoi cittadini guidò le truppe nei confini dei nemici romani e assediò Roma, la sua patria. Nella città spesso sono stati mandati a Coriolano degli ambasciatori di pace, ma egli rifiutò sempre il colloquio, poi negli accampamenti dei Volsci sono state mandate Vetruvia, madre di Coriolano, e Volumia sua moglie con i piccoli. Coriolano fu vinto dalle preghiere della madre e della moglie e l'odio calò contro la sua patria. Immediatamente tolse l'assedio dalla città e condusse fuori le truppe dei Volsci dai confini romani.


48. I falsi testimoni

Un cane calunnioso disse che a lui era dovuto un pane da una pecora. La pecora affermava inoltre di non avere mai preso pane da lui. Poi quando venne il giudice il cane disse che egli aveva testimoni. Entrato il lupo disse: "Io so che il pane è stato affidato dal cane alla pecora". Entrato il nibbio: "Davanti a me" disse "la pecora accetto il pane". Il falco, come testimone, disse: " Perché pecora, negasti di accettare il pane?". La pecora, vinta dai falsi testimoni, fu costretta a vendere la sua lana anzitempo affinché rendesse ciò che non aveva ricevuto.


49. Antichi re del Lazio

Saturno negli antichi tempi venne in Italia e edificò nel Lazio una rocca non lontano dal colle Gianicolo: alla rocca fu dato il nome Saturnia. Poi la gente d'Italia viveva di agricoltura e di mestieri, infatti sotto il regno di Saturno ci fu in Italia una vita piacevole. Dopo la vita di Saturno il Latino regnò nel Lazio. I Greci distrussero con un incendio la città di Troia. Poi Enea emigrò profugo in Italia insieme al padre Anchise e al lio Ascanio. Qui ebbe una moglie Lavinia lio di un Latino e in onore della moglie costruì la città Lavinia. Dopo la morte di Enea toccò al regno di Ascanio lio di Enea. Ascanio collocò la sede del regno sul monte Albano il nome della nuova città fu Albalonga.



Sotto i regni di Alba fiorirono le città per abbondanza e per le ricchezze con affluenza di cittadini sino ad Numinatore, antenato di Romolo e Remo.


50. Arguzia di Nasica

Quando Nasica venne dal poeta Ennio e dalla porta chiese Ennio, e la serva gli rispose che in casa egli non c'era; ma Nasica capì che lei l'aveva detto per ordine del padrone. Nasica si allontanò fingendo di aver creduto alle parole delle ancelle. Ma dopo pochi giorni quando Ennio venne da Nasica e chiese di lui dalla porta, Nbasica esclamò a gran voce che lui non c'era. Allora Ennio: 'Come? Io non riconosco la voce', dice, 'la tua?'. Qui Nasica: 'L'uomo è senza vergogna; quando io ho chiesto di te, io ho creduto alla tua serva, che tu a casa non c'eri: tu non mi credi lo stesso?'.


51. Cerere

Le genti dell'Italia credevano Cerere madre dei frutti, degli alberi, delle erbe e padrona delle agricolture. Infatti una volta Cerere secondo il parere della gente comune istruì con l'agricoltura e donò il frumento agli uomini. Perciò negli antichi tempi c'erano molti templi per Cerere, c'erano statue fatte d'argilla o di marmo con la testa ornata con una corona fatta di spighe. Insieme poi celebravano riti religiosi per Cerere, dedicavano aratri e altri arnesi, i sacerdoti invocavano la dea con molte preghiere, e chiedevano molte grazie per i campi, per gli agricoltori e per gli animali. Allora gli agricoltori donavano ai buoi le corone, ornavano con i suoi fiori, percorrevano le misure e chiamavano la dea con buone parole, perché desideravano molta grazia, la grande abbondanza di biade, molta pioggia e frutteti abbondantemente, anche bora conservano molti degli antichi templi religiosi di Cerere.


52. Cicerone ad Attica

Sappi che, mentre erano consoli Giulio Cesare e Marcio ulo mi è noto un liolo con buona salute di Terenzia. Da parte tua tanto a lungo nessuna lettera! Io scrissi prima diligentemente circa le mie faccende a te. In questo periodo pensiamo di difendere Catilina, nostro rivale. Abbiamo i giudici con grandissima volontà di accusare. Spero, se sarà assolto, che quello sarà più legata a noi nella questione della candidatura; se invece accadrà diversamente, ci comporteremo diversamente. Noi abbiamo bisogno di un tuo rapido arrivo, infatti abbiamo assolutamente bisogno di uomini che i tuoi pensieri(sono) di uomini nobili, e che saranno avversari presso la nostra carica. Di questi per unire la mia intenzione ti vedrò utile. Perciò nel mese di Gennaio, come contasse, affinché abbi cura di Roma.


53. Fetonte

Fetonte, lio di Lole e di Chimene, salì di nascosto sul carro del padre, perciò volò dalla terra più alto di tutti gli uomini. Per colpa di una paura cadde giù nel fiume Euridiano, poi giove,il dio padre, lo colpì con un fulmine con una forza maggiore che in terra. Giove che desiderava togliere di mezzo tutto il genere umano con i vizi e la lussuria fingendo di estinguere l'incendio, condusse i fiumi da tutte le parti, provocò le tempeste più violente, distrusse tutto il genere umano eccetto Pirro e Deucalione. Ma affidò le sorelle di Fetonte al popolo, infatti ( . ).

54. Marco Aurelio

Dopo Antonino Pio, Marco Aurelio tenne da solo l'impero. Dal principio molto tranquillo di vita, a tal punto che anche in volto non immutava ne per gioia, ne per tristezza. Dedito alla filosofia storica non per le usanze di vita ma anche filosofo per studio fu avvicinato alla filosofia da Apollonio Calcedonio; alla letteratura dei greci da Sesto Ceronense, nipote di Plutarco; poi Frontone, oratore mobilissimo gli insegnò la letteratura latina. Si comportò a Roma con equo diritto con tutti, alzato a nessuna arroganza dalla ricchezza dell'impero: di grandissima liberalità trattò le province con grande benevolenza e moderazione. Contro i Germani compì imprese felicemente.

Mosse una sola guerra Marcomanna non tanto da essere paragonata ai Punici: infatti lì accadde che più gravemente tutti gli imperi Romani erano morti. Solo costui infatti ci fu un così grande caso di Pestilenza che a Roma, per l'Italia e per le province una grandissima parte di uomini quasi tutto di truppe di soldati vennero meno per fiochezza nell'allestimento dei festeggiamenti fu magnifico a tal punto che si tramanda che esibì 100 leoni contemporaneamente sebbene dunque ricreò uno stato prosperoso sua per virtù sua per la mansuetudine morì nel diciottesimo anno d'impero, nel sessantunesimo anno di vita e venne annoverato tra gli Dei.


55. Morte di Crasso

Poiché Cesare faceva straordinarie imprese in Gallia, da esprimere con molti volumi, non contento delle moltissime e felicissime vittorie avendo trasportato l'esercito in Britannia, cercando (di ottenere) il mondo sotto il suo e il nostro impero, la vecchia coppia di Consoli Pompeo e Crasso entrarono nel consolato. Le province a Cesare furono prorogate con una legge per un periodo di tempo, a Crasso fu attribuita la Siria; ma questo uomo, santissimo e immune dai piaceri e non aveva conosciuto limite nel denaro né nella gloria né in termine. Il re Orode circondato da molte truppe di cavalieri, uccise Crasso con la maggior parte dell'esercito Romano. Cassio conservò il resto delle regioni e mantenne la Siria sotto il potere del popolo Romano così che mise in fuga e sbaragliò i Parti.


56. Pausania

Pausania fu un grande uomo Spartano, ma volubile in ogni circostanza della vita; infatti come brillò per le virtù, così si fece conoscere con molti vizi. Di questi è famosissima la battaglia di Pausania presso Platea, dove vinse il generale Mardonio, satrapo legale, genero del re, cacciò e mise in fuga il suo esercito di 200.000 fanti non con una così grande schiera. Lo stesso Mardonio morì nella battaglia. Dopo la battagli gli Spartani mandarono a Pausania la flotta degli alleati a Cipro e nell'Elesponto, affinché cacciasse la difesa dei barbari dalle regioni. Ma dopo strinse un patto con Serse, re dei Persiani e tradì la sua patria. Infatti quando a Bisanzio catturò alcuni nobili della Persia e alcuni parenti del re, di nascosto li rispedì indietro a Serse, dicendo che lui desiderava fare sazietà con il re dei Persiani.  Allora gli Efori lo chiusero nel tempio di Minerva, dove morì per la fame, così Pausania marchiò la grande gloria delle battaglie con una brutta morte.


57. Publio Decio

Publio Decio sotto il console Valerio fu un tribuno militare, poiché l'esercito Romano fu chiuso in luoghi angusti. Decio guardò l'alto colle in vicinanza degli accampamenti nemici. Occupò il vertice, spaventò i nemici e diede tempo al console di spostare la schiera nello stesso luogo. Durante la notte fonda fra alcune guardie dei nemici opresse di sonno evase incolume. Perciò gli fu donato dall'esercito la corona civica, poiché nell'assedio liberò i cittadini. Durante la guerra Latina fu console con Malio Torquato. Allora, quando il console venne a sapere che sarebbe stato vincitore il popolo, del quale comandante fosse deceduto in battaglia, si accordarono la cui ala soffrisse in battaglia, si offrisse agli Dei mali. L'armato balzò a cavallo e si lanciò nel mezzo dei nemici. Cadde coperto dalle frecce e dette ai suoi la vittoria.


58. I Persiani sbarcano nell'Attica

Dario poi, quando ritornò dall'Europa all'Asia, per riportare sotto il suo potere la Grecia, allestì una flotta di 500 navi e a questi mise a Capo Dati e Artaferne diede 200.000 fanti e 10.000 cavalieri, dicendo che egli era nemico degli Ateniesi, poiché con il loro aiuto gli Ioni avevano espugnato Sardi e avevano ucciso i loro presidi. I prefetti del re, approdate le flotte a Eubea, giunsero alla famosissima Eretria. Poi si avvicinarono nell'Attica, e in campo a Maratona fece scendere le sue truppe. Questo dista dalla città circa 10.000 passi. L'attacco così vicino tuttavia prendeva un gran pericolo, non chiedevano aiuto se non agli Spartani, e Filippo, corriere che compì un lungo viaggio in un giorno, per dire che gli Spartani dovevano mandare e per annunciare quanto ci fosse bisogno di un aiuto veloce. In casa, poi eleggono 10 pretori affinché stessero a capo, tra questi (c'era) Milziade. Ma la lotta fu grande, se si difendessero con le mura, o se combattessero con una schiera contro i nemici. Il solo Mitridate pensava di mettere gli accampamenti al più presto: infatti riteneva che si sarebbe accresciuto il coraggio ai cittadini per la battaglia perché vedevano che loro non si davano disperazione e a proposito della virtù e che i nemici sarebbero stati più lenti e in fine che sarebbero stati vinti.


59. La riforma dell'anno solare

Dividemmo l'anno solare in 12 mesi: Gennaio, Marzo, Maggio, Luglio, Agosto, Ottobre e Dicembre di 31 giorni; Aprile, Giugno, Settembre, Novembre di 30; Febbraio di 28. Giulio Cesare nel quarantesimo anno a.c. stabilì che ogni 4 anni il mese di Febbraio doveva avere 29 giorni; ormai Giulio Cesare pose la mutazione dell'anno in 365 giorni e 6 ore. Perciò Gregorio terzo pontefice massimo ( . ). Nell'anno 582 corresse i fasti, così non aggiungeremo nessun giorno nell'ultimo anno del secolo. L'anno, allora fu bisestile nel 1600, per nulla affatto nel 1700, ne il 1800, ne il 1999;ma sarà bisestile il 2000.


60. Il regno di Romolo

L'impero Romano, che la memoria umana ne può ricordare uno che dalle origini più piccole, e ne più ampio di sviluppo in tutto il mondo, ha origine da Romolo, il quale fu considerato lio di Rea Silvia, vergine Vestole e addirittura di Marte, fu generato col fratello Remo in un solo parto. Questi, quando aveva 18 anni, faceva scorrerie fra i pastori e fondò una piccola nuova città sul colle Palatino, il 20 Aprile, dopo l'uscita di Troia nel trentesimo anno delle seste olimpiadi, affinché mandassero la maggioranza e la minoranza, nel 393esimo anno. Fece all'incirca queste cose, dopo che aveva costruito la città, che chiamò Roma dal suo nome. Accolse una moltitudine di confinanti nelle città, scelse 100 fra i vecchi, con il consiglio dei quali faceva ogni cosa, i quali chiamò senatori per l'anzianità.


61. Sacrificio del re Codro

C'erano vecchie rivalità fra i Dori e gli Ateniesi, che saranno vendicate con la guerra, i Dori consultarono gli oracoli per l'avvenimento della guerra. La risposta fu che sarebbero stati superiori, se non avessero ucciso il re degli Ateniesi. Quando si giunse alla battaglia, prima di tutto viene ordinato ai soldati la sorveglianza del re. In quel tempo gli Ateniesi avevano come re Codro, il quale, sia per l'oracolo di Dio, sia per i comandi dei nemici senza l'abito del re, cencioso, indossando sul collo rami secchi, avanza negli accampamenti dei nemici. Qui nella confusione dei presenti da un soldato, che con una falce e con l'astuzia aveva ferito, e ucciso. Quando ebbero riconosciuto il corpo del re, i Dori allontanano senza battaglia. E così gli Ateniesi per il valore del comandante sono liberati dalla guerra, che per la salvezza della patria si offre alla morte.


62. Sacrificio di Ienia

Le navi dei Greci si riunirono nel porto di Aulide per espugnare Troia, ma i venti contrari impedivano la partenza.

I Greci avevano aspettato per lungo tempo e invano una tempesta favorevole, infine l'indovino Calcante annunziò che la partenza era impedita dall'ira di Diana, poiché una cerva sacra che era stata uccisa per la dea dal re Agamennone. Allora i Greci appresero che essi avrebbero ottenuto il perdono di Diana con i sacrifici, soprattutto di Ienia, la lia più grande del re Agamennone. Veramente prima il re negò che mai avrebbe eseguito il delitto, dopo obbedì alla minaccia degli altri. Quando invece, la fanciulla già era davanti all'altare, la dea placata, mise una cerva per immolarla invece di Ienia.


63. Sicilia

La Sicilia è la più grande e la più fertile delle moltissime isole del mar Mediterraneo. L'isola ha una forma triangolare, i laterali di essa sono pieni di bellissime ville, di abbondantissime case, di antichi templi. La cima dell'Etna fuma in mezzo alla candidissima neve ed è il più fertile degli altri colli della Sicilia. Dicono che l'isola Sicilia è la più ricca di vigneti, di olivi e di ogni genere di frutta. In Sicilia il cielo è il più sereno e il più mite che nelle restanti regioni d'Italia; infatti la primavera è eterna, crescono moltissimi fiori e il raccolto biondo sotto i raggi del sole è abbondante. Nell'isola i Greci, i Cartaginesi e i Romani combatterono ardentemente, perché la ricchezza delle regioni e la ricchezza delle città li attiravano molto. Le città di Siracusa, Catania, Palermo, Messina, Enna, Agrigento sono molto note a tutte: narrano che la Sicilia ha i più antichi monumenti quante le altre isole del mar Mediterraneo, distinte statue, celebri monumenti.


64. Tito lio di Vespasiano

A questo successe il lio Tito, e anch'egli fu detto Vespasiano, uomo mirabile in ogni genere di virtù, a tal punto che era chiamato amore e delizia del genere umano, molto eloquente, molto valoroso, molto equilibrato. Condusse cause in lingua Latina, compose poemi e tragedie in Greco. Nell'assedio di Gerusalemme, essendo militante sotto il padre, trafisse 12 combattenti con 12 colpi di frecce. Nel comando a Roma fu di tanta mitezza, che (non) punì nessun uomo, lasciò andare i rei convinti di congiura o li tenne in amicizia. Fu di tanta indulgenza e di generosità, che rispose che nessuno doveva allontanarsi triste dall'imperatore. Costruì l'anfiteatro a Roma e uccise nell'inaugurazione 5000 bestie feroci accolto con una straordinaria benevolenza morì nella villa con una malattia, 2 anni e 8 mesi, 20 giorni, da quando fu fatto imperatore, nel quarantunesimo anno di età. Tanto fu il lutto pubblico che tutti provarono dolore come in un proprio lutto. Il senato corsero di notte nella curia e portò insieme a lui morto quante non ne avevano portato mai ai vivi ne ai presenti. Fu riportato fra gli dei.















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