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SENECA

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SENECA


Nacque a Cordova in Sna intorno al 4 a.C. (suo padre è Seneca il Vecchio). Fu educato nelle scuole retoriche e filosofiche a Roma. Ebbe molto successo nella carriera politica (tanto che Caligola ne volle la morte). Riuscì a sfuggirgli, ma non si salvò invece dall'accusa fatta da parte dell'imperatore Claudio di coinvolgimento nell'adulterio della sorella di Caligola. Fu Agrippina che, nel 49 d.C., riuscì ad ottenere il suo ritorno dall'esilio e lo scelse come tutore del lio, il futuro imperatore Nerone. Accomnando l'ascesa al trono del giovanissimo Nerone, Seneca entrò di fatto alla guida dello Stato: è il periodo del buon governo di Nerone ispirato a principi di equilibrio e concordia fra i poteri del principe e del senato. Ben presto questo periodo finì, e Seneca fu costretto a gravi compromessi, finchè non si ritirò alla vita privata. Nerone, però farà in modo che venga coinvolto nella "congiura di Pisone" e quindi condannato a morte. Seneca si suicidò nello stesso anno, il 65




d.C.

Le sue opere sono specialmente di carattere filosofico, per lo più raccolti nei Dialogi (non è un errore: è proprio Dialogi), di carattere etico e psicologico. Scrisse alcune opere filosofiche indirizzate a Nerone, alcune opere di carattere scientifico, alcune tragedie di argomento greco dal carattere fosco e cupo.

Sicuramente è inventata la leggenda della corrispondenza tra Seneca e San Paolo, che ne alimentò la fortuna nel Medioevo.


I Dialogi e la saggezza stoica


Seneca scrive, fra le altre cose, delle consolatio. Questo genere si costituisce attorno a vari temi morali (fugacità del tempo, precarietà della vita, . ) su cui Seneca rifletterà spesso. Due delle consolationes di Seneca sono databili attorno al periodo dell'esilio e da entrambe si nota il forte desiderio di ritornare in patria: in una infatti Seneca consola una madre preoccupata per il lio esule, nell'altra adula indirettamente un imperatore per cercare di ottenere il permesso di ritorno a Roma.

I Dialogi costituiscono trattazioni autonome di aspetti dell'etica stoica (lo stoicismo è la filosofia del saggio, che dice che l'essenza della felicità non è nei piaceri ma nella virtù). Ne fanno parte il De ira, una sorta di analisi delle passioni umane (da dove provengono e modi per dominarle), e il De vita beata, che affronta il problema della felicità e del ruolo che in essa svolgono i piaceri terreni, entrambe dedicate al fratello. Tutte queste opere servivano in realtà a Seneca per fronteggiare le accuse di incoerenza fra i princìpi professati e la sua vita concreta, in cui aveva accumulato un immenso patrimonio (anche grazie all'usura). Seneca si giustifica soprattutto dicendo che le ricchezze sono giuste se servono per arrivare alla virtù: l'importante non è non possedere ricchezze, ma non farsi possedere da esse. Il distacco dello stoico dai beni terreni è anche il tema che unisce la trilogia di dialoghi dedicati a Sereno, un amico: il primo dialogo esalta l'imperturbabilità del saggio stoico di fronte alle ingiurie e alle avversità; il secondo affronta il problema della partecipazione del saggio alla vita politica: la soluzione è una mediazione tra l'agire troppo e il troppo poco; il terzo parla della scelta di una vita appartata: il saggio vi è obbligato dalla situazione politica che gli impedisce di giovare agli altri.

In altre opere sono affrontati il problema della fugacità della vita, che tale ci sembra perché non ne sappiamo afferrare l'essenza, e quello della contraddizione fra il progetto provvidenziale e la sorte che spesso sembra premiare i malvagi e punire gli onesti: Seneca spiega dicendo che la volontà divina vuole solo mettere alla prova i buoni per esercitarne la virtù.


Filosofia e potere


Alcuni anni dopo il ritiro dalla vita pubblica, Seneca scrive il De beneficiis, in cui si tratta della natura e degli atti di beneficenza, della relazione tra benefattore e beneficiato, dei doveri di gratitudine, della vergogna che colpisce gli ingrati (si riferisce forse a come Nerone si è comportato nei suoi confronti?) e del fatto che la beneficenza è l'elemento coesivo dello Stato sociale, per cui ogni cittadino è responsabile dell'equilibrio dello Stato.

Per quanto riguarda quest'ultimo, l'opera in cui Seneca ha meglio descritto la sua idea politica è il De clementia, dedicato a Nerone, in cui l'autore traccia un ideale programma politico ispirato all'equità e alla moderazione. La monarchia illuminata è il tipo di governo che più si addice agli ideali di uno stoico, secondo il principio dell'universo governato dalla ragione universale. Il problema è trovare un buon sovrano, che avrà come unico freno la sua coscienza. Egli dovrà essere clemente con i suoi sudditi, e attraverso questa clemenza egli dovrà ottenere il consenso e la dedizione che sono alla base di uno Stato stabile. In questo quadro l'educazione del princeps assume un'importanza fondamentale, come la filosofia che diventa garante e ispiratrice della direzione politica dello Stato.

Seneca si impegnò al lungo per realizzare questo progetto, ma Nerone lo tradì.


La pratica quotidiana della filosofia: le Epistole a Lucilio


Ritiratosi dalla scena pubblica dopo la delusione arrecatagli da Nerone, Seneca orienta tutta la produzione successiva alla coltivazione della coscienza individuale. Le Epistulae ad Lucilium sono una raccolta di lettere filosofiche, che si ispirano al modello epistolare di Platone e di Epicuro: le lettere infatti istituiscono un colloquium con l'amico creando un'intimità quotidiana che, fornendo esempi tratti direttamente dalla vita, si rivela più efficace dell'insegnamento comune. Attraverso lettere scritte giorno per giorno vengono scandite le tappe del processo di perfezione interiore. Dopo che il destinatario ha acquisito alcuni princìpi fondamentali, le lettere cominciano ad assomigliare sempre più ad un trattato filosofico.

Il tema epistolare, inoltre, si adduce perfettamente alla filosofia senecana priva di sistematicità e incline alla trattazione di parti autonome.

La considerazione della condizione umana che accomuna tutti, spinge Seneca ad un'aspra critica verso la schiavitù.

Il distacco dal mondo eleva l'otium a valore supremo: otium non come inerzia, ma come ricerca del bene, nella convinzione che le conquiste dello spirito possano giovare a tutti, posteri compresi.

Il fine ultimo dello stoico è la libertà interiore, a cui si accomna la meditazione quotidiana sulla morte, simbolo della propria indipendenza dal mondo.


Stile di Seneca


Cercando di riprodurre la lingua parlata, Seneca frantuma l'impianto del pensiero e preferisce un susseguirsi di frasi aguzze e sentenze, in antitesi con il periodo armonioso di Cicerone. Questa tecnica produce l'effetto di sfaccettare l'idea secondo tutte le angolazioni possibili.


Le tragedie


Sono nove, tutte di argomento mitologico greco tratte dai grandi tragici Eschilo, Sofocle e Euripide.

Sono le sole tragedie scritte da un latino rimasteci e sono un documento importante che testimonia la rinascita del teatro tragico latino: attreverso il teatro era possibile esprimere la propria opposizione al regime giulio-claudio.

Si pensa che le tragedie di Seneca fossero dedicate più alla lettura che alla rappresentazione.

Tutte le storie narrate nelle tragedie si delineano come un conflitto fra ragione e passione, e spesso vengono ripresi i temi filosofici. Il conflitto riguarda tutto il mondo. Frequentissima è la ura del tiranno sanguinario tormentato dalla paura e dall'angoscia.


L'Apokolokyntosis


In latino, il titolo sarebbe Ludus de morte Claudii, un titolo abbastanza strano! Il titolo in greco si riferisce alla zucca, forse presa come emblema di stupidità del divinizzato Claudio: la traduzione del titolo è infatti "deificazione di una zucca".

Strano il fatto che Seneca abbia scritto precedentemente un'elogio funebre per Claudio. Forse si è voluto sfogare esprimendo così i suoi veri sentimenti verso il defunto imperatore.

Si parla della morte di Claudio e della sua ascesa all'olimpo, dove questi pretendeva di essere divinizzato. Naturalmente viene gettato negli inferi dove finisce per essere schiavo di un liberto.

Il genere è quello della satira menippea, che alterna prosa e versi.



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