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ALESSANDRO MANZONI grande intellettuale europeo e romanziere cattolico della provincia italiana



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ALESSANDRO MANZONI grande intellettuale europeo e romanziere cattolico della provincia italiana


Il processo di rinnovamento della forma e di progressivo riavvicinamento alla realtà (percepibile già in Goldoni e in Parini) conosce con Manzoni una svolta. Il divario della lingua della letteratura dalla lingua viva viene colmato di colpo. Partendo da Manzoni la prosa narrativa italiana si adegua al movimento del pensiero, i Promessi Sposi segnano la nascita del romanzo nel nostro paese. La cultura di Manzoni subisce l'influenza dell'illuminismo lombardo di Parini, Beccaria, Verri che con il Caffè e i loro saggi avevano tentato di avvicinare l'intellettuale alla realtà; del Romanticismo con la sua attenzione per la storia nazionale, il sentimento popolare e i suoi ideali religiosi cristiani; della cultura francese molto più legata di quella italiana alla società civile, al dibattito di idee e alla storia nazionale.

Il carattere europeo della cultura manzoniana è costituito dai punti di vista degli ideologi francesi, ultimi eredi dell'illuminismo, inclini a soluzioni politiche liberali e dallo spirito religioso pascaliano e giansenista che viveva il contrasto tra bene e male in modo elevato ed era perciò contrario ai facili accomodamenti della linea cattolica diffusa in Italia. Da questa rielaborazione di linea lombarda e linea francese-europea Manzoni riesce a costruire una nuova linea nazionale italiana che porterà il segno della sua personalità per oltre cinquant'anni. Senza Manzoni non ci sarebbe stata la storia del romanzo in Italia. Il messaggio più nuovo e moderno dell'autore lombardo, il suo insegnamento problematico e tutt'altro che dogmatico o autoritario, sta nel porre il lettore di fronte all'ignoto e al segreto della vita senza rinunciare all'arma della ragione (indicandone però la debolezza).




Alessandro nasce a Milano il 7 marzo 1785. Il legame di Manzoni con l'illuminismo lombardo non è solo culturale ma di sangue: infatti era nipote di Cesare Beccaria (Dei delitti e delle pene) da parte di madre e il padre naturale era Giovanni Verri, fratello del fondatore del Caffè. Il padre legittimo era comunque il conte Pietro Manzoni ma il matrimonio tra lui e Giulia Beccaria (madre di Alessandro) durò pochi anni. Dopo la separazione la madre andò a risiedere a Londra e poi a Parigi, convivendo con Carlo Imbonati. Dopo un'infanzia e un'adolescenza che trascorse nei collegi dei Padri Somaschi e dei Barnabiti, Alessandro visse nella casa paterna dove si avvicinò alle posizioni giacobine in politica e neoclassiche in letteratura.

Periodo parigino: dal 1805 al 1810 Manzoni va a Parigi presso la madre, per la morte di Carlo Imbonati. Scrive allora il componimento poetico più importante della sua giovinezza, In morte di Carlo Imbonati, in cui mostra chiaramente di voler riprendere e continuare la lezione di Parini e dell'Illuminismo lombardo. Avviene in questi anni la sua formazione culturale: frequenta gli ultimi illuministi come Claude Fauriel, di idee illuministiche ma aperto anche alle nuove idee romantiche, che fu per Manzoni il prezioso tramite che agevolò il passaggio nella sua formazione dall'?illuminismo al Romanticismo. Nell'anno 1810 avviene una svolta significativa nella vita dell'autore lombardo: la conversione religiosa e il ritorno a Milano. In occasione della celebrazione del matrimonio di Napoleone con Maria Luigia d'Austria, Manzoni perse la moglie (Enrichetta Blondel) che ritrovò nella chiesa di S. Rocco in cui Alessandro di era rifugiato disperato. Dopo il ritorno a Milano si hanno i primi sintomi di una prima svolta poetica con gli Inni sacri, scritti tra il 1812 e il 1815. Dal 1815 ebbe inizio un periodo di intensa produzione letteraria che durò un decennio. Continuando a scrivere sul Conciliatore, Manzoni poteva dedicare tutti i propri sforzi all'attività letteraria perché le eredità lasciategli da Imbonati e dal padre gli permettevano di condurre una vita agiata (amministrata da madre e moglie). In questo clima di tranquillità nascono le tragedie Conte di Carmagnola (finito nel 1820) e Adelchi (1822), le odi Marzo 1821 e il 5 Maggio (entrambe del '21), il Discorso sopra la presenza longobardica in Italia (1822), i fondamentali scritti di poetica in Lettre à Monsieur Chauvet (del '20 pubblicata nel '23) e la lettera a Cesare d'Azeglio sul Romanticismo ('23), le Osservazioni sulla morale cattolica ('19), varie stesure di un nuovo inno sacro la Pentecoste (ultima nel '22). Tra il '21 e il '23 scrive la prima redazione dei Promessi Sposi, che si è soliti intitolare Fermo e Lucia,e l?Appendice storica su la colonna infame. Dal 1824 al 1827 lavora alla seconda redazione del romanzo che esce col titolo di I promessi sposi, è la cosiddetta edizione ventisettana). Proprio dal '27 la sua attenzione per i problemi letterari diminuisce, i suoi interessi tendono a diventare di tipo linguistico e filosofico. Progetta un trattato, Della lingua italiana, mai terminato e si dedica alla terza revisione dei Promessi sposi. Infatti nel '27 compie un viaggio a Firenze per impossessarsi del toscano vivo, unica lingua comprensibile in tutta Italia quindi unica lingua che potesse essere base unitaria per una lingua letteraria non più separata dalla lingua comune. A estinguere l'entusiasmo creativo sono i lutti: muoiono in successione e a breve distanza l'amatissima moglie, stremata dai parti, la primogenita Giulia, altri dei dieci li (solo due sopravvivranno alla morte del padre), la madre e l'amico Fauriel.

Un breve segno di ripresa si ha dopo il secondo matrimonio, con Teresa Borri. Lavorerà per altri tre anni alla revisione linguistica del romanzo che uscirà nel '40, la cosiddetta edizione quarantana. Poche date significative dopo quest'ultima: 1844-45 pubblica Opere varie; nel 1850 due scritti di poetica, Del romanzo storico e Dell'invenzione;nel 1860 è nominato senatore; 1868 come presidente della commissione parlamentare sull'unità linguistica, pubblica Dell'unità della lingua e dei mezzi di diffonderla. Muore a Milano il 22 maggio 1873, l'anno seguente Verdi comporrà la Messa di requiem nell'anniversario della sua morte.


IN MORTE DI CARLO IMBONATI

Componimento in endecasillabi sciolti dedicato a Carlo Imbonati e scritto subito dopo la sua morte (1805). Dato che Imbonati viveva con la madre il componimento vuole esser anche una consolazione nei confronti di lei. Il carme è una sorta di dialogo morale con Imbonati, che aveva avuto come precettore Parini e professava di volerne continuare l'impegno morale. Diventa così per il poeta un maestro di vita e di letteratura non molto diverso da Parini stesso. La spinta alla scrittura deve nascere da un intento morale di risposta alla corruzione dei tempi, l'autore pone in bocca all'Imbonati il proprio credo poetico: la poesia deve nascere dall'unione di meditazione e sentimento (" . vogli la via segnarmi" " . Sentir e meditar . ")


La poetica del Manzoni viene espressa anche nella Lettera à Monsiuer Chauvet sur l'unitè de temps et lieu dans la tragedie e nella prefazione al Conte di Carmagnola: rifiuto dell'unità di tempo e luogo perché non hanno nessuna giustificazione, neppure nell'esigenza di verosimiglianza, la quale deriva solo dalla coerenza scenica; il dramma deve essere suscettibile del più alto grado di interesse (bello) e conducente allo scopo morale (morale); occorre ripristinare il coro, il cantuccio in cui l'autore può parlare in persona propria senza avere più la tentazione di introdursi nella vicenda e di prestare ai personaggi i propri sentimenti. La lettera al signor Chauvet vuole essere anche la risposta dell'autore alla critica di non avere rispettato l'unità di tempo e luogo fattagli dallo scrittore francese. Secondo Manzoni infatti, l'unità d'azione (unica da seguire) è slegata dalle altre due che infrange l'unità di luogo e tempo quando l'azione narrata supera l'arco delle 24 ore o si svolge in luoghi differenti. Manzoni inoltre ritiene che lo scrittore debba attenersi a fatti realmente accaduti e non inventare, per poter ricostruire tutti gli aspetti che rimangono al di fuori del lavoro storiografico come i sentimenti, le impressioni, le passioni e le sofferenze che accomnano i fatti. L'arte deve avere per scopo l'utilità morale e pratica degli uomini; deve fondarsi sul vero storico e sulla realtà; deve servirsi di una materia e di argomenti che interessino il maggior numero di persone possibili (" l'utile per iscopo, il vero per soggetto e l'interessante per mezzo").


LETTERA A CHAUVET: RAPPORTO TRA POESIA E STORIA


Manzoni indica quale sia lo spazio autonomo della poesia (letteratura) rispetto alla storia: ricostruire i sentimenti le passioni ignorati dagli storici di professione), ma nello stesso tempo mette in guardia contro il rischio di invenzione.


LETTERA A D'AZEGLIO: SUL ROMANTICISMO "l'utile per iscopo, vero per soggetto e l'interesse per mezzo"


Manzoni si schiera apertamente nel dibattito tra classici e romantici riportando le proposte positive avanzate dai romantici. La poesia per i romantici deve avere l'utile per scopo, il vero per soggetto e l'interessante per mezzo; esprimere oltre al vero storico un vero morale cioè riportare sentimenti, passioni e sofferenze realmente legate alle azioni narrate, non inventate per raggiungere il bello; incuriosire i lettori con argomenti interessanti.


IL CINQUE MAGGIO


Manzoni appena appresa la notizia della morte di Napoleone su un giornale del 17 luglio, compose di getto l'ode e la presentò alla censura austriaca che ne vietò la pubblicazione. Il componimento cominciò comunque a circolare manoscritto e fu pubblicato senza autorizzazione dell'autore al di fuori del Lombardo-Veneto diventando subito popolarissimo.

Fu conosciuto anche all'estero grazie alla traduzione fatta da Goethe. Manzoni aveva tenuto un atteggiamento di riserbo nei confronti di Napoleone non scrivendo né una riga a favore né una riga contro tale condottiero. Certamente egli, liberale, non nutriva simpatie per l'uomo simbolo del potere personale ma la notizia della morte in esilio e della conversione prima di morire indussero Manzoni a tracciare un nuovo bilancio della vita di Napoleone e a rileggerlo in una chiave più religiosa che politica. Dopo aver rappresentato l'emozione propria e di tutta l'Europa dinnanzi alla notizia della morte di Napoleone, l'autore descrive nella parte centrale i momenti salienti della vita dell'imperatore francese, dalle vittorie sul campo di battaglia al primo esilio fino all'esilio definitivo e alla conversione cristiana, la pace cristiana degli ultimi momenti. Manzoni racconta anche che Napoleone stava scrivendo un libro con le proprie memorie e sottolinea nella parte finale l'esemplare significato morale e religioso della sua morte cristiana. Celebre la domanda "fu vera gloria?" che conclude la narrazione delle gesta oppure la similitudine con il naufrago che vede le onde, che prima scrutava dalla nave, dal basso cioè da dentro il mare,che non vede approdo possibile che simboleggia la fine definitiva delle ambizioni di Napoleone; la vera risposta alla domanda sopra citata non è "ai posteri l'ardua sentenza" bensì "dov'è silenzio e tenebre la gloria che passò" che significa che il cielo gli porse una mano per sottrarlo a ricordi tanto strazianti (gloria passata) per guidarlo verso il premio superiore a tutto quel che lui ha avuto già, per condurlo dove non sono niente le glorie terrene.  


ADELCHI


Alla fine del '700 e all'inizio del '800 sia in Francia che in Italia il genere drammatico si ispirava ai principi classici mentre la situazione era già cambiata in Germania dapprima con lo Sturm und Drang e il romanticismo poi. In questo paese si prendeva a modello l'inglese Shakespeare che non rispetta le tre unità aristoteliche e Schlegel che teorizzava un nuovo tipo di dramma nel suo Corso di letteratura drammatica che Manzoni lesse e al quale si rifece per legittimare il mancato rispetto dell'unità di tempo e luogo e l'introduzione del coro. Manzoni tuttavia doveva risolvere anche un problema linguistico: la tragedia italiana aveva un linguaggio letterario e aulico lontanissimo da quello in uso, ciò contrastava con la poetica realistica del vero storico. Manzoni adottò l'endecasillabo sciolto cercando di piegarlo a uno stile realistico e prosastico, ricorrendo spesso a termini d'uso comune.

L'Adelchi è una tragedia ambientata in cinque atti che comprende anche due cori. Narra le vicende del popolo Longobardo da prima dello scontro coi Franchi fino alla sconfitta totale. Un pessimismo circola nell'Adelchi, nel coro dell'atto terzo, dal vigoroso appello agli italiani a non fidarsi dell'aiuto straniero e a prendere in mano il proprio destino. A indurre al pessimismo è l'angustia della situazione storica rispetto alle esigenze di gloria, di affermazione personale sommata alla malvagità del mondo (la quale comporta per chi agisce la colpa qualunque sia l'azione scelta).

Adelchi è un personaggio moderno, vive una contraddizione tragica: quella che oppone il suo desiderio di gloria e magnanimità alle possibilità reali e quella dovuta al suo ruolo pubblico, essere lio di un re oppressore ma coltivare sogni di fratellanza e giustizia. Adelchi infatti è lio di Desiderio, re dei Longobardi e oppressore del popolo dei Latini (italici) i quali sperano aiuto dall'intervento di Carlo Magno, re dei Franchi. La vicenda ha molte analogie con la situazione italiana dell'epoca in quanto si possono leggere nei Longobardi gli Austriaci, nei Franchi i Francesi di Napoleone e nei Latini gli Italiani. Manzoni ha cominciato la stesura dell'Adelchi di ritorno da un viaggio a Parigi dove ha incontrato insieme a Fauriel anche Thierry, autore di Lettere sulla storia di Francia in cui individuava i contrasti etnici tra Franchi, Longobardi e Latini. L'autore lombardo utilizzò queste nozioni per difendere Chiesa dall'accusa di Sismondi (che vedeva nell'intervento della sede papale la causa della mancata fusione tra il popolo Latino e quello Longobardo) potendo ribattere che la Chiesa ha avuto il merito di interessarsi di masse di Latini oppressi da un popolo mai fuso con loro, bensì sovrapposto e oppressore.

La vicenda è ambientata tra 772 e 774, i personaggi sono quasi tutti storici ma con qualche piccola infrazione della verità: Adelchi scappare a Costantinopoli e non morire a causa di una ferita mortale.

ATTO I: Giuntagli la notizia che Carlo Magno ha ripudiato Ermengarda Desiderio vuole vendicarsi del re dei Franchi compiendo un'azione di forza nei confronti del papato per indurlo a riammettere nella successione al i nipoti esclusi. Il ritorno della lia e l'ammonimento di Carlo ad abbandonare le terre sottratte al Papa inducono Desiderio a dichiarare guerra ai Franchi, nonostante il parere contrario di Adelchi. Svarto e altri duchi longobardi si preparano a tradire Desiderio.

ATTO II: La guerra è iniziata ma le truppe di Carlo sono bloccate alle Chiuse di val Susa, difese da Adelchi. L'arrivo del diacono Martino da Ravenna al campo franco permette ai Franchi di venire a conoscenza di un nuovo percorso che gli permette di eludere il blocco.

ATTO III: Adelchi confessa ad Anfrido, suo amico, la propria insoddisfazione e amarezza: i suoi desideri di gloria e di nobiltà si scontrano con la concreta situazione storica in cui deve agire. Intanto i Franchi vincono grazie anche a Svarto. Desiderio è assediato a Pavia, Adelchi a Verona. Alla fine dell'atto e il primo coro della tragedia: Dagli atrii muscosi, dai fori cadenti.

CONFESSIONE DI ADELCHI AD ANFRIDO: Adelchi confessa al fedele Anfrido il suo sogno insoddisfatto di gloria e di magnanimità, esso è costretto a misurarsi con le angustie storiche in cui egli vive e con la logica del potere rappresentata dal padre. Adelchi era contrario al conflitto, vorrebbe essere magnanimo col popolo e non dedicarsi alla guerra, deve far scontrare i propri ideali-sentimenti con il dovere, la volontà del re-padre ("Oh! Mi parea, pur mi parea che ad altro io fossi nato, che ad esser capo di ladron"). Anfrido risponde "soffri e sii grande". Adelchi deve accettare la volontà del padre in cui è a lui sottomesso e deve quindi seguire e assecondare i suoi voleri nel bene e nel male, solo soffrendo Adelchi potrà essere grande, solo soffrendo potrà espiare la colpa di essere nato oppressore. Dovrà soffrire e morire da vinto.

I CORO: L'autore si rivolge ai Latini e li esorta a non farsi illusioni e a prendere in mano il proprio destino senza contare sull'aiuto straniero. Il coro si divide in due parti: nella prima, viene descritto il conflitto tra Franchi e Longobardi e il comportamento imbelle dei Latini che non sono un popolo ma un volgo disperso; nella seconda, si invitano gli Italici (Latini) a non aspettarsi la liberazione dai Franchi (che non sarebbe gratuita ma a scopo di dominazione) e implicitamente agli Italiani attuali ad affidarsi alle proprie forze e a realizzare l'unità d'Italia. Gli Italici osservano impauriti la battaglia senza prendere parte attiva, i Franchi vincitori hanno lasciato mogli, famiglie, amore e giochi, hanno visto amici morire vicino a loro solo per liberare un popolo vicino? Il vincitore si mescolerà al vinto e sarà come prima oppure si sostituirà e potrà essere peggio. Invece di vivere dei ricordi di glorie passate gli Italiani devono riscattarsi dalla presente condizione di miseria politica, adesso non sarebbero degni di essere chiamati né popolo né nazione.

ATTO IV: Ermengarda raggiunge la sorella Ansberga al convento di San Salvatore a Brescia, qui apprende che Carlo si è risposato. Cade in delirio e muore. Si apre il secondo coro, dedicato ad Ermengarda.

II CORO: Mentre lei era in preda alla passione per l'amore verso Carlo intorno a lei c'è pace (contrasto), Ermengarda sarebbe fra oppressori ma essendo ripudiata da Carlo, avendo sofferto (Provvida sventura) passa tra gli oppressi. Nel coro si compiange la sorte terrena della sventurata divisa tra abbandono religioso alla pace cristiana e l'empia passione terrena per re Carlo; qui si annuncia la sua salvezza eterna: il sacrificio, che la fa morire vinta ed oppressa, è anche un mezzo attraverso cui la provvida sventura la riscatta dal destino che spetta al popolo degli oppressori a cui ella apparterrebbe. Dopo le due strofe iniziali che rappresentano la morte del personaggio attraverso una descrizione oggettiva, l'autore si rivolge alla donna invitandola ad abbandonare le preoccupazioni terrene, a sgombrare la mente dai terrestri ardori dell'amore e ad abbandonarsi a Dio. Nella prima parte prevalgono i ricordi ("i giorni irrevocati") mentre nella seconda prevale il motivo religioso della provvida sventura.

ATTO V: a Verona Adelchi tenta una difesa estrema ma è ferito a morte, la tragedia si chiude con una scena in cui compaiono Carlo, Desiderio e Adelchi morente che esorta il padre a non dolersi della propria sorte poiché ritirandosi dalla vita pubblica potrà evitare di incorrere negli errori inevitabili di chi opera in una realtà storica in cui non resta "che far torto, o patirlo". Emerge il tema della provvida sventura e della Grazia che permettono ad Ermengarda ed Adelchi di espiare una colpa, essere oppressori, attraverso la sofferenza e morendo come vinti, riscattandosi in prospettiva ultraterrena. I due fratelli sono i protagonisti, sono personaggi romantici divisi tra sentimento e dovere: Ermengarda tra la passione che ancora la lega al marito e l'attesa di una morte cristiana mentre Adelchi fra le aspirazioni di gloria e giustizia e le necessità impostegli dal re. Si tratta di una coppia speculare come lo è quella dei due re, molto simili anche se contrapposti perché parlano il linguaggio del potere e dell'autorità regale. Un'altra coppia però in contrapposizione è quella del traditore Svarto e dell'amico fedele che morirà in battaglia Anfrido.


BOLLATI: ADELCHI COME COMMIATO DALLA STORIA




Secondo Bollati Adelchi era già consapevole dell'inconciliabilità tra morale ed azione, tra ideali e storia. Adelchi qualsiasi cosa faccia sbaglia, egli è un eroe, uomo d'animo elevato aspirante a grandi imprese che vede cadere tutto quello in cui crede dovendo obbedire al padre sempre e comunque. Nell'atto V, avviene il ripudio dell'azione, il suo commiato dalla politica come affare che gli impedirebbe di vivere secondo i propri ideali e i propri sentimenti, che lo portano ad affermare: "Godi che re non sei".


I PROMESSI SPOSI


Dopo aver letto l'Ivanoe di Walter Scott e averne parlato con Fauriel per lettera, Manzoni dà inizio alla stesura del romanzo tenendo sotto mano i due testi che hanno collaborato molto probabilmente alla scelta del secolo e della vicenda: la Historia patria di Ripamonti e l'Economia e Statistica di Gioia. La prima redazione del romanzo fu chiusa nel 1823, l'autore l'aveva denominata provvisoriamente Fermo e Lucia. Dunque la prima fase di elaborazione va dalla primavera del 1821 al settembre del 1823. La seconda fase comincia intorno a marzo del 1824, Manzoni procede a una profonda revisione del romanzo, ne modifica la struttura e la lingua: sono abolite lunghe digressioni e soppressi gli episodi più romantici, tenta di uniformare la lingua al toscano vivo. Questa revisione porta nel 1827 alla stampa l'edizione detta ventisettana con il titolo di I promessi sposi. Insoddisfatto della revisione linguistica del romanzo Manzoni attraversa una terza fase rielaborativa che tocca solo la lingua in modo da uniformarla meglio al fiorentino. Esce così l'edizione definitiva, la seconda de I promessi sposi, quella del 1840 chiamata quarantana. L'autore le aggiunge un'appendice, già presente in Fermo e Lucia, dedicata al processo agli untori durante la peste del 1630. Questo materiale sarà pubblicato in appendice all'edizione definitiva con il titolo Storia della colonna infame.

L'argomento del romanzo trae spunto da vicende storiche svoltesi tra il 1628 e il 1630 a Milano: la carestia, i tumulti di San Martino, la discesa dei lanzichenecchi, la peste. L'ambientazione lombarda non è questione casuale o affettiva: la situazione lombarda del seicento è rapportabile a quella attuale in quanto la Lombardia era sotto la dominazione snola come all'epoca dell'autore si trovava soggiogata dagli austriaci.

Accanto a personaggi storici provenienti dalle classi più elevate, come il cardinale Borromeo, ne compaiono altri, come Renzo e Lucia, inventati dall'autore che rappresentano il mondo popolare umile, le masse anonime che Manzoni voleva elevare a protagoniste della storia. Per accrescere l'impressione di veridicità, l'autore finge proprio che la storia sia vera in quanto testimoniata da un anonimo manoscritto da lui ritrovato e trascritto in lingua moderna.

Gli otto personaggi principali del racconto si distribuiscono in quattro coppie, innanzitutto per similarità: Renzo e Lucia sono le vittime; padre Cristoforo e il Cardinale sono i protettori; don Abbondio e Geltrude sono gli strumenti degli oppressori; don Rodrigo e l'Innominato (almeno agli inizi, quest'ultimo) sono gli oppressori. Si possono creare anche coppie per opposizione: Renzo/don Rodrigo, Lucia/Innominato, padre Cristoforo/don Rodrigo, Cardinale/don Abbondio. I personaggi rappresentano esattamente per metà il mondo laico e per l'altra metà il mondo ecclesiastico; inoltre quattro di essi provengono dal mondo popolare borghese e quattro da quello nobiliare. Si può capire da queste schematizzazioni come sia equilibrato il romanzo, tutto costruito su un sistema binario di forze e controforze che comunica un messaggio ideologico centrato sul contrasto tra bene e male. Il programma manzoniano di un romanzo realistico e popolare, destinato a un vasto pubblico borghese, implica anche delle scelte linguistiche coerenti. La capacità del narratore di mimare il tono e il linguaggio dei personaggi, senza mai confondersi con essi, si collega direttamente sia alla dimensione realistica del romanzo sia alla struttura fortemente ironica del discorso manzoniano. L'ironia manzoniana si appunta soprattutto sulla cultura, sul comportamento e sul linguaggio del Seicento,che si riflettono particolarmente nei personaggi che esprimono la prepotenza del potere. La critica del potere è in effetti uno dei grandi temi del romanzo e la storia (anche il parallelo con la sua epoca contemporanea) non è solo cornice ma uno dei grandi protagonisti del romanzo. Il romanzo è diviso in sei nuclei narrativi principali, in essi i protagonisti, Renzo e Lucia, agiscono insieme o separatamente. Il primo e l'ultimo nucleo li vedono entrambi in azione: si tratta dei moduli I-VIII e dei moduli XXXVI-XXXVIII alla fine. Nel primo nucleo si narrano gli ostacoli frapposti al matrimonio da don Rodrigo e don Abbondio che ne subisce le intimidazioni, il tentativo di matrimonio a sorpresa ideato da Agnese (e fallito); la fuga dal paese. Nell'ultimo il ritrovamento di Lucia nel lazzaretto da parte di Renzo, lo scioglimento del voto, il suo ritorno al paese, il matrimonio, il trasferimento nel Bergamasco e la fortuna economica di Renzo diventato imprenditore. Nella parte centrale del racconto i due fidanzati sono invece divisi e agiscono ognuno per proprio conto , in modo alternato: prima Lucia a Monza (moduli IX e X), poi Renzo a Milano (XI e XII), poi Lucia al castello dell'Innominato e a Milano presso donna Prassede (moduli XX-XXVIII), infine ancora Renzo a Milano alla ricerca di Lucia (moduli XXXIII-XXXV). A questi nuclei narrativi si aggiungono poi i moduli esclusi, nei quali i due protagonisti non appaiono i azione: XVIII-XIX si narrano dell'intrigo preparato da Attilio ai danni di padre Cristoforo, il colloquio fra il Conte zio e il padre provinciale, il ricorso di don Rodrigo all'Innominato e la vita di quest'ultimo. Nei moduli XXVIII-XXXII si trova una lunga digressione sulla carestia, sulla guerra e sulla peste. Questi moduli servono anche da snodo e raccordo perché permettono di collegare le vicende dei due fidanzati e facilitano il passaggio dall'una all'altra, dato che nella parte centrale procedono parallelamente. Anche il modulo X (monaca di Monza) ha una funzione di snodo poiché serve da trapasso dalla vicenda di Lucia a quella di Renzo, che compie il suo primo viaggio a Milano. I quattro nuclei della parte centrale sono raccordati e intramezzati da tre digressioni che occupano rispettivamente il modulo X (digressione sulla monaca di Monza già iniziata nel modulo IX), i moduli XVIII-XIX (digressione sull'Innominato) e i moduli XXVIII-XXXII (digressione sulla carestia, sulla guerra e sulla peste) in modo da assumere questo aspetto: VICENDA DI LUCIA (IX-X) - DIGRESSIONE (X) - VICENDA DI RENZO (XI-XVII) - DIGRESSIONE (XIII-XIX) - VICENDA DI LUCIA (XX-XXVII) - DIGRESSIONE (XXVIII-XXXII) - VICENDA DI RENZO (XXXIII-XXXV).

La struttura complessiva del romanzo può essere sintetizzata secondo il seguente schema:

primo nucleo narrativo (I-VIII): i protagonisti insieme nel paese;

secondo nucleo narrativo (IX-X): vicenda di Lucia a Monza;

prima digressione (fine IX-X) : storia di Geltrude, monaca di Monza

terzo nucleo narrativo (XI-XVII) : vicenda di Renzo nei tumulti di Milano e fuga nel Bergamasco;

seconda digressione (XVIII-XIX) : incontro tra Conte zio e Padre provinciale, storia dell'Innominato;

quarto nucleo narrativo (XX-XXVII) : vicenda di Lucia nel castello dell'Innominato e presso donna Prassede;

terza digressione (XXVIII-XXXII) : carestie, guerra, peste;

quinto nucleo narrativo (XXXIII-XXXV) : viaggio di Renzo dal Bergamasco al paese e dal paese a Milano;

sesto nucleo narrativo (XXXVI-XXXVIII) : i protagonisti insieme prima al paese e poi nel bergamasco.










INTRODUZIONE 7 novembre 1628

L'autore afferma di aver ritrovato un finto manoscritto e dà qualche anticipazione sull'argomento ("si parla si genti meccaniche, aggirarsi tra labirinti dei politici maneggi"). Riflette sulla bellezza della storia in sé anche se la sua forma è scadente ("declamazioni ampollose,composte a forza di solecitismi pedestri, goffaggine ambiziosa") e decide di trascrivere il racconto in linguaggio corrente ("una storia così bella, non si potrebbe prender la serie dei fatti e rifarne la dicitura? Il partito fu subito abbracciato. Ecco l'origine del presente libro).

CAPITOLO I

Descrizione dei luoghi nei quali è ambientata la vicenda narrata (i dintorni di Lecco); Due bravi al servizio di un potente signorotto del paese (don Rodrigo) minacciano don Abbondio, il curato di un piccolo paese della zona, imponendogli di non celebrare il matrimonio tra Lorenzo Tramaglino e Lucia Mondella, i promessi sposi; tornato a casa in preda all'angoscia, il curato si confida incautamente con Perpetua. 

GRIDA CONTRO I BRAVI

PRESENTAZIONE DON ABBONDIO

CAPITOLO II

Risveglio del curato dopo una notte insonne; visita di Renzo al curato: è il giorno del matrimonio e bisogna fissar la data; don Abbondio inventa degli impedimenti (utilizza il latino, incomprensibile allo sposo); rinvio della data delle nozze; Renzo si congeda ma sospetta che non siano impedimenti burocratici bensì scuse per nascondere qualcos'altro; conferma, da parte di Perpetua, dei sospetti di Renzo: don Abbondio nasconde qualcosa; Renzo scopre il segreto del parroco dopo averlo minacciato a sua volta; Renzo si reca da Lucia; Agnese (madre di Lucia) consiglia di andar dal dott. Azzeccagarbugli.

RENZO

LUCIA

CAPITOLO III

Rivelazioni di Lucia a proposito di don Rodrigo e delle sue molestie mai confidate; il dott. Azzeccagarbugli congeda Renzo in malo modo dopo aver scoperto che non è un bravo al servizio dei potenti; si chiede l'aiuto di Fra Cristoforo, confessore di Lucia; Renzo torna a casa.

STUDIO DELL'AZZECCAGARBUGLI

DESCRIZIONE PADRE CRISTOFORO

CAPITOLO IV

Entra in scena fra Cristoforo, sullo sfondo di un paesaggio autunnale segnato dalla carestia, preludio della peste; ampio flash-back sulla vita del frate: origini, educazione, duello, conversione; il frate giunge da Lucia.

DESCRIZIONE PADRE CRISTOFORO

VITA DI LUDOVICO E SUA DECISIONE DI PRENDERE I VOTI => FRA CRISTOFORO (EXCURSUS SULLA SUA VITA)

CAPITOLO V

Informato delle tristi novità il frate decide di salire al palazzotto di don Rodrigo, per distoglierlo dai suoi cattivi propositi; è ricevuto dal padrone di casa, che era a pranzo con i suoi ospiti (il cugino Attilio, Podestà, Azzeccagarbugli) che discutevano su questioni cavalleresche degenerando quasi in rissa; fra Cristoforo e don Rodrigo si appartano per parlare più liberamente.

PALAZZOTTO DI DON RODRIGO

MENSA DI DON RODRIGO E COMMENSALI

DISPUTA SU QUESTIONI CAVALLERESCHE

CAPITOLO VI

Colloquio tra frate e signorotto, l'arroganza e la prepotenza di don Rodrigo spingono il frate a maledirlo; un vecchio servitore promette a fra Cristoforo notizie importanti per l'indomani; Agnese propone i matrimonio a sorpresa, bisogna trovare dei testimoni; ritorno del frate da Lucia.

MALEDIZIONE A DON RODRIGO

MATRIMONIO A SORPRESA (RICERCA TESTIMONI)



TONIO E GERVASIO

CAPITOLO VII

Lucia contraria al matrimonio a sorpresa cede solo per far calmare Renzo, pronto a farsi giustizia da solo; don Rodrigo trama di far rapire Lucia, il vecchio servitore ne informa fra Cristoforo; è sera, Agnese e i promessi si recano a casa del curato

CAPITOLO VIII - LA NOTTE DEGLI IMBROGLI

Agnese trattiene Perpetua con una scusa, i promessi irrompono da don Abbondio, le grida del prete inducono il sacrestano a suonare le campane, tentativo fallisce; intanto i bravi vanno a casa di Lucia ma il suono delle campane li mette in fuga; Menico va a chiamare fra Cristoforo e torna con lui; Renzo andrà a Milano, Lucia a Monza.

IRONIA SULL'IGNORANZA DI DON ABBONDIO ("CARNEADE?")

ADDIO MONTI

CAPITOLO IX

Separazione di Renzo dalle donne; arrivo delle donne al convento; incontro e colloquio con la 'signora' che sgrida Agnese perché risponde al posto della lia; inizio storia di Geltrude: infanzia, adolescenza, ritorno a casa, episodio del gio.

- STORIA DI GELTRUDE (INIZIO)

CAPITOLO X

Storia di Geltrude: ritorno al convento, decisione di prendere i voti, seduzione da parte di Egidio, complicità nel delitto; Agnese e Lucia ospitate nel convento; il narratore decide di spostarsi su don Rodrigo.

STORIA DI GELTRUDE

CONDANNA DEL PADRE DI GELTRUDE DA PARTE DI MANZONI

CAPITOLO XI  

Don Rodrigo scopre che Lucia è fuggita a Monza, presso la 'signora'; Renzo arriva a Milano, dove la folla è in fermento per il rincaro del pane dovuto alla carestia, e non riuscendo ad entrare in convento decide di andare a vedere cosa sta succedendo (trascurando raccomandazioni di fra Cristoforo).

- MILANO IN FERMENTO


CAPITOLO XII

Popolo milanese assalta i forni; i rivoltosi assaltano la casa del vicario, il magistrato incaricato degli approvvigionamenti alimentari della città

CAPITOLO XIII

Assalto alla casa del vicario; intervento del cancelliere Ferrer che salva il vicario dal linciaggio; Renzo ingannato dalla doppia faccia di Ferrer è convinto che questi sia venuto per portare in prigione il vicario e cerca quindi di aiutarlo.

FERRER POLITICO DALLA DOPPIA FACCIA, DEMAGOGO

PARLA IN ITALIANO COL POPOLO , IN SPAGNOLO FINISCE LE FRASI

CAPITOLO XIV

Renzo tiene un discorso pubblico, convinto che il popolo debba aiutare i governanti a fare giustizia e viene identificato come capo della rivolta da Ambrogio Fusella, falso spadaio, poliziotto 'in borghese'; condotto in un'osteria per cenare e trascorrere la notte il giovane si ubriaca, sventola il pane rubato come una bandiera e dà le sue generalità (con l'inganno) al suo interlocutore.

URA DELL'OSTE (TRUFFALDINO, APPROFITTATORE)

INGENUITà DI RENZO

CAPITOLO XV

Renzo arrestato dopo aver trascorso la notte all'osteria; Renzo scappa con l'aiuto della folla

EVOLUZIONE DI RENZO (+ FURBO) CHE SI SALVA DALL'ARRESTO

CAPITOLO XVI

Fuga di Renzo verso Bergamo, appartenente alla repubblica di Venezia, dove abita suo cugino Bortolo; sosta all'osteria di Gorgonzola dove il giovane apprende che la rivolta è stata sedata e c'è un bando di cattura nei suoi confronti, quasi fosse un pericolosissimo criminale.

CAPITOLO XVII - LA NOTTE DELL'ADDA

Renzo giunge all'Adda e passa la notte in una capanna, meditando sull'esperienza milanese e pentendosi del suo comportamento, ripensando anche all'intera vicenda e a Lucia; all'alba attraversa il confine ed entra nel territorio bergamasco; il cugino Bortolo gli offre un lavoro come filatore di seta.

RENZO PASSA DALLA DISPERAZIONE ALLA GIOIA

LA NATURA PASSA DA INOSPITALE A OSPITALE (E CARICA DI SPERANZA, L'ADDA)

CAPITOLO XVIII

Don Rodrigo e Lucia vengono a conoscenza del bando contro Renzo, ricercato dalla giustizia come pericoloso criminale; il conte Attilio (cugino don R.) chiede aiuto al Conte zio per far allontanare fra Cristoforo.

TUTTI GLI OSTACOLI SONO FUORI GIOCO MA DON RODRIGO NON Può FARE NULLA

DON RODRIGO DECIDE DI COINVOLGERE L'INNOMINATO

ZIO DIFFIDENTE A RAGIONE CON ATTILIO, CHE RIESCE A CONVINCERLO

CAPITOLO XIX

Conte zio a colloquio con il padre provinciale dei cappuccini, fra Cristoforo deve lasciare Pescarenico; Don Rodrigo, deciso ad avere Lucia nelle sue mani a tutti i costi, si rivolge ad un potentissimo fuorilegge di cui l'autore non rivela il nome (l'Innominato).

L'INNOMINATO

CAPITOLO XX

L'Innominato accetta di rapire Lucia e lo farà fare con l'aiuto di Egidio e, indirettamente, della monaca di Monza; la giovane viene fatta uscire dal convento con un pretesto e rapita dai bravi dell'Innominato.

CASTELLO DELL'INNOMINATO

MONACA DI MONZA INGANNA LUCIA E VORREBBE SALVARLA (LA FERMA UN SECONDO)

INIZIO CONVERSIONE DELL'INNOMINATO

CAPITOLO XXI

Turbamento dell'Innominato alla vista di Lucia; maturazione della crisi già da tempo in atto dentro di lui (" Dio perdona tante cose per un'opera di misericordia"); voto di Lucia alla Madonna per ottenere la salvezza.

LA VECCHIA

NOTTE DELL'INNOMINATO

NOTTE DI LUCIA

CAPITOLO XXII

L'Innominato vede festa in paese e viene a conoscenza dell'arrivo del cardinal Borromeo, in visita in quei luoghi, e decide di incontrarlo; digressione della vita dell'illustre uomo di fede.

IL CARDINAL BORROMEO

CAPITOLO XXIII

Colloquio Innominato-Cardinale e soluzione alla crisi di quest'ultimo; ritorno in scena di don Abbondio costretto dal cardinale a salire al castello dell'Innominato per liberare Lucia.

CARDINALE COMMUOVE INNOMINATO CHE PIANGE

SALITA DI DON ABBONDIO AL CASTELLO DELL'INNOMINATO

CAPITOLO XXIV

Lucia ormai libera è ospite del sarto del paese ed è raggiunta dalla madre; Federigo Borromeo (il cardinale) prende le due donne sotto la sua protezione; l'Innominato comunica ai suoi il proposito di cambiar vita.

CAPITOLO XXV

Lucia torna al paese e don Rodrigo impaurito dalla presenza dell'Innominato e del cardinale fugge; la giovane viene sistemata in casa di donna Prassede a Milano; Federigo invita don Abbondio a fornire spiegazioni circa il suo operato; don Abbondio si giustifica dicendo che era stato minacciato di morte mentre il cardinale non vuole sentir ragioni, anche in pericolo di vita bisogna agire, il curato ammette l'errore ma tenta ancora di giustificarsi dicendo che il coraggio se uno non ce l'ha non se lo può dare, cardinale risponde che deve venirgli da Cristo come i martiri (non avevano coraggio da soli ma da Cristo).


CAPITOLO XVI

Cardinale vuole sapere che ha fatto don Abondio per proteggere i due promessi da don Rodrigo, (niente, non risponde) prosegue elencando i valori della fede cristiana e del ministero mentre don Abbondio non capisce nulla, a lui non pare di aver fatto qualcosa di male e pensa a don Rodrigo ancora vivo ed arrabbiato pronto alla vendetta, per don Abbondio il salvare la pelle è una motivazione sufficiente a giustificare qualsiasi azione quindi non capisce perché il Cardinale si arrabbi tanto; Agnese viene a sapere del voto di Lucia; Renzo sfugge alla giustizia che lo cerca attivamente aiutato da Bortolo che continua a nasconderlo.

CONVERSIONE DI DON ABBONDIO: IL DISCORSO DEL CARDINALE SCALFISCE IL SUO EGOISMO (UNICO MOMENTO DEL ROMANZO IN CUI NON PENSA SOLO PER Sé)

INNOMINATO DONA SOLDI A LUCIA ED AGNESE

ESEMPIO DELLA FEDE INCROLLABILE DI LUCIA CHE AMA ANCORA RENZO MA NON Può MANCARE AD UN VOTO FATTO ALLA MADONNA



CAPITOLO XXVII

Notizie sulla guerra di successione al ducato di Mantova; contatti (fallaci in quanto entrambi sono analfabeti) epistolari tra Agnese e Renzo, che viene sommariamente a conoscenza del voto; tentativi di Lucia di dimenticare Renzo; presentazione di don Ferrante, tipico erudito pedante seicentesco, e descrizione della sua biblioteca;

CONDIZIONE DEGLI ANALFABETI CHE DEVONO FARSI LEGGERE E SCRIVERE LE LETTERE CON RISCHI DI FRAINTENDIENTO

DON FERRANTE E LA SUA BIBLIOTECA

CAPITOLO XXVIII

Descrizione della carestia di Milano; discesa dei lanzichenecchi a Milano che seminano panico e distruzione

CAPITOLO XXIX

Don Abbondio, Perpetua e Agnese cercano rifugio dai lanzichenecchi presso l'Innominato che, dopo la conversione, è considerato da tutti un santo e offre la sua protezione a tutti i profughi.

CAPITOLO XXX

Don Abbondio è ospite dell'Innominato nel suo castello; tornati a casa lui e Perpetua trovano la loro dimora saccheggiata dai lanzichenecchi

CAPITOLO XXXI

La peste portata dai Lanzichenecchi si diffonde nel Milanese; l'opinione pubblica è ostile verso i provvedimenti del tribunale della società, molti hanno sottovalutato il pericolo mentre altri non ne hanno ben calcolato la portata distruttrice; finalmente convinta della realtà del contagio la gente ne attribuisce la diffusione a misteriosi e diabolici individui: gli untori.

CAPITOLO XXXII

Il Cardinale organizza una processione a Milano per chiedere a Dio la fine del contagio ma questa misura servirà solo per diffondere ulteriormente il morbo; si scatena la follia collettiva della gente nella caccia agli untori.

EPISODI RIGUARDANTI LA CATTURA DEI PRESUNTI UNTORI (es. il vecchietto in chiesa)

MORTI AUMENTANO

FEDERIGO FA DEL BENE AI MALATI PER LE STRADE RISCHIANDO IL CONTAGIO DIRETTO

MONATTI DIVENTANO DELINQUENTI

ANCHE I MAGISTRATI DANNO LA CACCIA AGLI UNTORI

CAPITOLO XXXIII

Don Rodrigo colpito dalla peste è abbandonato dai suoi scagnozzi e viene condotto al lazzaretto; Renzo invece guarito dal contagio ritorna al paese ma se ne allontana nuovamente per cercare Lucia

IL GRISO TRADISCE DO RODRIGO AMMALATO DI PESTE PORTANDOGLI A CASA I MONATTI E SPARTENDOSI CON LORO IL BOTTINO

RENZO DIVENTA ANTONIO RIVOLTA (SIGNIFICATO SIMBOLICO DEL COGNOME, RENZO CAMBIATO DALL'ESPERIENZA DIVENTA MENO CREDULONE)

VIGNA DI RENZO (DOMINIO DELLA NATURA, RIFLETTE LA PESTE E LA CONDIZIONE DELLA ZONA SCONVOLTA DALLA PESTE E DALLA CARESTIA)

CAPITOLO XXXIV

Renzo tornato a Milano per cercare Lucia conosce gli orrori della peste; aiuta una donna chiusa i casa perché appestata; apprende a casa di don Ferrante che Lucia è al lazzaretto; scambiato per un untore è salvato dai monatti; arriva vicino al lazzaretto

CAPITOLO XXXV

Al lazzaretto Renzo ritrova padre Cristoforo, impegnato nella cura dei malati; il frate dà consigli a Renzo per cercare Lucia; il giovane viene condotto di fronte a don Rodrigo morente e gli concede il suo perdono

CAPITOLO XXXVI

Renzo, entrato nel quartiere delle donne, ritrova Lucia ormai guarita; la giovane intende mantenere il voto fatto la notte al castello dell'Innominato; fra Cristoforo libera la giovane dal voto e benedice l'unione dei due giovani (Dio benedice la loro unione perché se li voleva separarti non li avrebbe fatti ricongiungere)

CAPITOLO XXXVII

Renzo torna al paese dopo aver camminato sotto una pioggia provvidenziale che porta via il contagio; anche Lucia può tornare al villaggio, finita la quarantena, per unirsi al suo promesso sposo

AGNESE STA BENE

BORTOLO STA BENE

GELTRUDE SOTTO ACCUSA A MILANO 8COLPEVOLE, PUNIZIONE: MURATA VIVA)

CAPITOLO XXXVIII

Nuovo rifiuto da parte del curato di celebrare il matrimonio, al quale acconsente solo dopo essersi assicurato della morte di don Rodrigo; celebrate le nozze si trasferiscono nel Bergamasco dove il giovane acquista un filatoio; la vita è tranquilla e felice

NUOVO SIGNORE RILEVA CASE AGLI SPOSI CHE RICEVONO ALTRO DENARO

TRASFERITOSI RENZO CONTRARIATO CHE LUCIA NON PIACCIA

RENZO HA MESSO LA TESTA APPOSTO (+ SAGGIO, "ho imparato . ho imparato..")

CONCLUDONO CHE I GUAI VENGONO SPESSO SE GLI VIENE DATA RAGIONE DI VENIRE  SUGO

MA ANCHE UNA CONDOTTA CAUTA NON EVITA I GUAI   STORIA

FIDUCIA IN DIO LI RADDOLCISCE (SOLO RADDOLCIRE) 


RENZO


Personaggio molto dinamico che si evolve nel corso della narrazione. Il romanzo può essere considerato anche il romanzo della sua formazione, del suo cambiamento da ragazzo della camna ingenuo, credulone e impulsivo a uomo di mondo.

Infatti dopo averci mostrato tutta la sua passionalità, impulsività quando stava al paese e discuteva con don Abbondio, Perpetua, Agnese o Lucia il giovane dimostra la sua ingenuità prima credendo che il dott. Azzeccagarbugli volesse aiutarlo sul serio e poi alzando troppo il gomito i tempo di rivolte con uno sconosciuto. Dopo aver passato molti guai a causa della sua ingenuità e della sua impulsività Renzo impara ad essere più malizioso e a ragionare (es. quando riesce a sfuggire grazie alla folla), riuscendo persino a nascondersi per giorni e giorni alla giustizia che lo perseguitava, anche grazie all'aiuto del cugino Bortolo che gli copriva le spalle. Renzo alla fine diventa un uomo completo, che sa utilizzare il cervello e controllare gli impulsi come testimoniano le considerazioni finali del romanzo.


LUCIA


Personaggio esemplare: rimane attaccata ai propri valori ed ideali per tutta la vicenda mantenendo anche nelle avversità una fede incrollabile in Dio che la porta a sacrificare il proprio matrimonio, la propria gioia pur di uscire dalla situazione di sofferenza che le si era creata attorno. Personaggio all'apparenza fragile è invece molto forte interiormente, nella fede in Dio, Lucia ha il merito di dare una spinta decisiva alla conversione dell'Innominato che porterà poi alla risoluzione di tutta la vicenda. Lucia è l'esemplificazione di come la fede in Dio possa riaccomodare tutto, basta affidarsi alla Provvidenza divina che non fa mai nulla a caso ma agisce secondo un disegno preciso, in cui sono incluse anche le sofferenze e la disperazione che porteranno comunque alla fine alla risoluzione del problema. Lucia, strumento della Provvidenza come fra Cristoforo o il Cardinal Borromeo, ha il merito di essere al posto giusto al m,omento giusto: questo è determinante nella conversione dell'Innominato ed è determinante ai fini del disegno divino, ella ha sofferto, si è fatta strumento divino e poi dopo aver sofferto senza mai abbandonare la fede è stata ricompensata.




LA STORIA DELLA COLONNA INFAME


L'attenzione di Manzoni verso gli untori non è casuale perché egli rivela sempre un vivissimo interesse per la malvagità umana, per varie ragioni di tipo culturale come ad esempio la sua formazione illuministica che lo portava a vedere nella storia una serie di sbagli e di storture dovute a false credenze e superstizioni, la sua religione cattolica lo portava ad interessarsi della problematica del male esistente nonostante la Provvidenza o della morte di innocenti non impedita da Dio.

Quest'opera è la storia di un'ingiustizia che si maschera dietro all'apparato istituzionale della giustizia (anche i magistrati hanno contribuito alla caccia agli untori), è anche una storia di interrogatori crudeli e aguzzini, di innocenti sottoposti a tortura che confessavano una propria colpevolezza pur di non essere più torturati in tale maniera. è dunque la denuncia di un sistema perverso di denuncie, supplizi, persecuzioni, distruzioni di famiglie che diventa una spirale micidiale in grado di travolgere un'intera società. Il titolo deriva da una colonna commemorativa che il tribunale fa erigere dove un tempo si trovava la casa di uno degli imputati demolita come esempio ed ammonimento dopo la distruzione dell'intera famiglia. L'aggettivo infame invece bolla secondo il tribunale il presunto untore mentre per Manzoni l'infamia del tribunale stesso, l'operetta vuole essere un trattatello storiografico volto a ricostruire il processo che dal 1630 portò alla morte di cinque innocenti. Vengono utilizzate fonti storiche (es. memoria - I processi di memorizzazione dall'acquisizione al richiamo - Studi comparati" class="text">la memoria difensiva di uno degli avvocati) anche se tuttavia rimangono analisi psicologiche degne del Manzoni romanziere. Secondo Manzoni i giudici di tali processi erano colpevoli due volte: primo giuridicamente perché avevano torturato gli imputati promettendo loro impunità in caso di falsa testimonianza e secondo moralmente in quanto non si erano fatti guidare dal senso della ricerca della verità ma dai pregiudizi dell'epoca e dalla volontà a tutti i costi di trovare un capro espiatorio su cui scaricare tutta la rabbia di un popolo e un governo impotenti di fronte a tale fenomeno distruttivo (la peste). Manzoni pone una questione: le responsabilità sono solo esclusivamente o prevalentemente dei singoli oppure sono collettive, sociali e storiche? Di solito le responsabilità sarebbero collettive, sociali e storiche ma solo i singoli possono essere realmente condannati e puniti.














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