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Presentazione - IL POSIZIONAMENTO DEI PRODOTTI ALIMENTARI DI LARGO CONSUMO: ALCUNE EVIDENZE EMPIRICHE

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Presentazione - IL POSIZIONAMENTO DEI PRODOTTI ALIMENTARI DI LARGO CONSUMO: ALCUNE EVIDENZE EMPIRICHE



Se il mondo dei beni di largo consumo è stato a suo tempo l'humus culturale e sperimentale su cui il marketing management, nel corso degli anni Cinquanta e Sessanta, ha attecchito e si è sviluppato per merito, soprattutto, dei contributi teorici della scuola nordamericana, oggi si presenta come terreno fertile per riconcettualizzazioni e nuovi avanzamenti. È principalmente nei settori maturi, infatti, che si avverte maggiormente e più frequentemente la necessità di procedere ad azioni di riposizionamento in grado di proporre per la marca una nuova identità competitiva, inserendola nella giusta direzione e visione prospettica tra i flussi concorrenziali che attraversano il mercato di riferimento.



I beni di largo consumo rientrano infatti, generalmente, in una situazione di maturità e saturazione del mercato, scontrandosi, in primo luogo, con il rischio di perdita d'interesse da parte del consumatore che, assieme all'affollamento concorrenziale, rende ancor più necessaria l'adozione di una opportuna strategia di posizionamento[1]. Tra i fattori che spingono in tal senso, sembra avere il rilievo maggiore quello costituito dall'eccesso di familiarità con il prodotto e, più in particolare, con la marca che ne è espressione. La ricerca in psicologia ha dimostrato come l'aumento della familiarità con un oggetto possa alfine condurre alla noia, cosa che si verifica puntualmente anche nel rapporto che la persona intrattiene con la marca: mantenere l'interesse dei consumatori diviene allora la maggiore sfida per chi si occupa della gestione di una marca matura. Possiamo definire brand interest il livello di accessibilità, curiosità, apertura che un individua presenta nei confronti di una marca (accanto ai condizionamenti legati al brand interest troviamo quelli legati al coinvolgimento con la classe di prodotto i quali pongono ulteriori limitazioni agli spazi di manovra dell'impresa). L'interesse per una marca presenta una duplice connotazione: da una parte, per le marche per le quali l'acquisto è ritenuto a basso rischio dal consumatore (solitamente per prodotti acquistati frequentemente), si rende necessario fornire al consumatore stimoli sempre diversi e rinnovati continuamente, al fine di soddisfare l'emergente bisogno di varietà che scaturisce dalla natura stessa della categoria di prodotti cui si fa riferimento, agendo preventivamente rispetto alla noia; dall'altra, anche i prodotti che presentano un acquisto ad elevato rischio percepito necessitano di un adeguata azione stimolante dell'interesse, divenendo quest'ultimo determinante nello stabilire, da parte del potenziale acquirente, con quali marche entrare in contatto per poi procedere alla scelta.

L'atteggiamento, la valutazione relativamente perdurante di un oggetto (nel nostro caso verso una marca matura), presenta una certa stabilità, a differenza dell'interesse, il quale risulterà perciò maggiormente influenzabile dalla strategia comunicativa seguita dall'impresa. Perciò, l'intervento a livello di posizionamento, ed in particolare per quanto riguarda la comunicazione pubblicitaria, avrà di per sé una portata limitata rispetto agli atteggiamenti degli individui dal maggiore bagaglio esperenziale dal momento che tali atteggiamenti sembrano meglio resistere alla persuasione, a meno che vengano portati nuovi importanti argomenti a sostegno del messaggio trasmesso.

Per le marche che giungono in una fase di avanzata maturità, spesso diventa prioritario cercare di incrementare la frequenza d'uso mutando parzialmente la prospettiva del proprio orientamento al mercato dal "come i consumatori scelgono tra le marche" al "come essi le usano". Si tratta, in genere, dell'ultima possibilità che le imprese danno alla marca per svilupparsi prima di procedere ad una sua profonda ridefinizione assieme a quella del particolare posizionamento seguito, o, più frequentemente, ad un ampliamento di linea. In sostanza, per incrementare l'uso di marche con elevata notorietà e penetrazione. si rende necessario operare sugli attuali loro consumatori e lo strumento operativo maggiormente utilizzato è quello pubblicitario[3]. Tra le forme di pubblicità adottate per espandere l'uso troviamo quelle nelle quali la marca-obiettivo viene indicata come una ragionevole scelta con riferimento alla situazione-obiettivo, altre invece in cui l'associazione tra la marca-obiettivo e la situazione-obiettivo avviene attraverso il confronto della prima con un altro prodotto già favorevolmente associato con quella situazione, altre ancora che associano l'uso della marca target nella situazione target con una diversa situazione nella quale la marca risulta già favorevolmente posizionata.

Il settore alimentare, in particolare, è oggi sottoposto a forti tensioni innovative sul fronte del prodotto, della tecnologia di processo e del mercato. Nei primi anni Novanta pareva essersi esaurita la forte e continuativa spinta alla crescita dei consumi che aveva caratterizzato buona parte dei decenni precedenti, a causa della generale situazione recessiva e dei nuovi elementi valoriali che andavano affermandosi tra i consumatori, più riflessivi e ponderati negli acquisti, esprimendo una rinnovata capacità selettiva delle offerte di prodotto e di prezzo. In Italia, inoltre, lo scenario competitivo si è mosso seguendo le principali indicazioni di un sistema distributivo in forte evoluzione, con la forte espansione degli hard discount, delle private labels e dei prodotti generici, accrescendo ulteriormente la pressione sui prodotti di marca, per i quali, ad una nuova esigenza di vitalità nella difesa dei capisaldi su cui si basa il loro vantaggio competitivo - differenziazione, posizionamento, immagine di marca, brand loyalty - si aggiunge l'impellente necessità di mettere in pratica un rinnovato e continuativo sforzo di riadattamento strategico che ci apprestiamo ad esaminare con riferimento ad alcuni specifici mercati e ad alcune tra le marche che maggiormente li animano[4]. L'intento è quello di offrire un quadro utile alla comprensione della situazione in divenire e, allo stesso, tempo, uno schema interpretativo adeguato alla complessità ed alla variabilità dell'ambiente-mercato odierno.


Nel fare questo, pare utile riferirsi ad una generale distinzione per quanto riguarda i profili dei consumatori e lo stile di cui essi sono portatori relativamente ai prodotti alimentari. Tale suddivisione è realizzata attraverso una segmentazione di tipo psicografico[5], in base alle cui risultanze possiamo distinguere i seguenti gruppi:


Tradizionalisti. Rappresentano circa un quarto della popolazione e si caratterizzano per uno spiccato rispetto delle tradizioni alimentari nazionali. Per questo gruppo di individui, l'organizzazione, la composizione e la cadenza dei pasti è rimasta pressoché quella di una volta. La gratificazione nel cibo viene, inoltre, spesso ricercata più nella quantità che nella qualità, anche perché la cultura alimentare appare piuttosto bassa. Sul medio-lungo periodo, tuttavia, l'importanza di questo gruppo verrà con tutta probabilità a ridursi.

Gastronomi. Questo segmento, comprendente circa il 20% della popolazione, appare in leggera crescita. Per gli individui i cui atteggiamenti alimentari possono ad esso essere ricondotti, l'alimentazione è molto importante e ad essa dedicano volentieri tempo e denaro (anche se il piacere dello stare a tavola non è condizionato dalla regolarità che contraddistingue i tradizionalisti). Per i gastronomi il piacere palatiale si coniuga facilmente con la ricerca della novità, dei cibi sconosciuti e/o stranieri, raffinati, che esprimono, a volte, una moda o uno status symbol. Per le caratteristiche che lo contraddistinguono, è molto bassa, in questo stile, l'accettazione dei prodotti dietetici, considerati alimenti molto poveri e punitivi.

Salutisti. Oltre il 15% della popolazione è riconducibile a questo profilo, ed è in crescita. I consumatori salutisti pongono un'attenzione prioritaria al rapporto cibo-salute nelle proprie scelte di consumo. Ai cibi si richiede, principalmente, leggerezza, digeribilità, assenza di grassi e di qualunque ingrediente che possa nuocere alla salute, anche a costo di dover rinunciare al sapore.

Funzionali. Questo gruppo di consumatori (cui appartiene il 10% della popolazione) è costituito da quanti, per esigenze di tempo, o anche solo per predisposizione, valutano prioritariamente la funzionalità del prodotto, misurata in termini di praticità d'uso, facilità/versatilità di preparazione, conservabilità e stockabilità, minima richiesta di impegno. I funzionali, quindi, cercano di ridurre al minimo il tempo e l'impegno dedicato alla cucina e per loro l'attrazione per un prodotto deriva essenzialmente dalla praticità e dalla comodità dei prodotti, più che dalla rassicurazione e dalla garanzia che questi comunicano ad altri segmenti di consumatori.

Sregolati. Questo segmento rappresenta circa il 10% della popolazione ed è in forte crescita. I consumatori sregolati sono quelli per i quali è più evidente la tendenza verso la destrutturazione e la "snackizzazione" del pasto, l'incremento dei consumi extra domestici e delle occasioni secondarie di consumo durante la giornata, il consumo di prodotti estremamente flessibili e pratici nell'uso, quasi senza alcun criterio guida sul rapporto cibo/salute o piacere del mangiare. Il mangiare viene considerato una necessità, quasi una scocciatura da parte degli sregolati, per i quali è altissima l'accettazione dei prodotti industriali (in particolare surgelati e merendine).

Poveri. Rappresentano il 15-20% circa della popolazione e sono particolarmente presenti nelle regioni meridionali. Si tratta, tipicamente, di persone di età avanzata, con basso livello di istruzione e basso reddito. Nell'acquisto di prodotti industriali, i consumatori poveri privilegiano quelli maggiormente tradizionali (per esempio, la pasta) e quelli garantiti da una grande marca. Sono, inoltre, particolarmente attenti e rigorosi nella azione dei prezzi e non seguono alcuna tendenza moderna nell'alimentazione.


I mercati sui quali riporremo la nostra attenzione si riferiscono ad importanti realtà del panorama del grande consumo italiano nelle quali sono inseriti alcuni prodotti appartenenti alla multinazionale Philip Morris attraverso diversi marchi. Al fine di una migliore comprensione delle specifiche evidenze empiriche riscontrate, pare conveniente esaminare preventivamente natura e peculiarità del contesto competitivo in cui le singole marche sono inserite e si trovano ad operare. Un primo criterio - puramente descrittivo - di classificazione di tali realtà le riconduce all'eterogeneo mercato dei pasti destrutturati (Jocca, Philadelphia, Simmenthal), a quello dei prodotti a supporto del pasto e della sua preparazione (Mayonnaise, Sottilette), a quello del cioccolato e, in particolare, delle tavolette (Milka, Toblerone), a quello del caffè (Splendid, Hag).

Una volta chiarito il quadro contestuale di riferimento, ci avvarremo, nel paragrafo 5.2, di uno strumento concettuale in grado di esprimere sinteticamente le posizioni occupate dalle marche in considerazione insieme al contributo della loro capacità di market-creation nella costruzione di un posizionamento efficace.


5.1.1 - Il mercato dei pasti destrutturati

I moderni stili di vita frammentati e caotici influenzano decisamente gli atteggiamenti alimentari dei consumatori, i quali vengono a disporre di tempi e motivazioni minori per la preparazione dei pasti principali. Ad essere condizionata maggiormente è la seconda portata, mentre alla prima, dedicata in genere alla pasta, difficilmente si rinuncia in favore di qualcos'altro. L'atteggiamento delle perone diventa perciò favorevole nei confronti di tutti quei prodotti che, nell'ottica di un pasto ormai desturtturato, offrono il maggior contributo in termini di versatilità e facilità d'uso, garantendo, nel contempo, un buon livello qualitativo.

Viene così a delinearsi un macro-mercato costituito da una pluralità di altri mercati accomunati tra loro da una medesima occasione d'uso. Rientrano, tra gli altri, in questo contesto competitivo il mercato dei formaggi freschi, quello del tonno in scatola, della carne in scatola e dei salumi (soprattutto quelli in vaschetta o in busta, pronti all'uso).

All'interno del mercato dei formaggi freschi[6], comprensivo di prodotti tradizionali e di altri più innovativi, il segmento nettamente più ampio è quello riconducibile ai primi, con la mozzarella, che da sola rappresenta più della metà dei consumi. Altri formaggi freschi molto diffusi sono la crescenza (stracchino), la ricotta (che non è un vero formaggio, ma come tale viene percepito), il mascarpone ed i formaggi "artigianali". Non mancano in questo mercato interessanti spunti di crescita (come quello della mozzarella) accomnati da rilevanti investimenti in comunicazione ed in innovazione, con la proliferazione delle versioni "light", a conferma della generale tendenza a porre una maggiore attenzione al contributo dell'alimentazione nel mantenimento della forma fisica.

Il segmento dei formaggi freschi moderni comprende formaggi di tipo cremoso, spalmabili (o "quarq") ed altri in fiocchi ("cottage cheese"), evidenziando una crescita importante in termini di vendite e di attenzione da parte dei consumatori soprattutto riguardo ai primi. L'offerta, in questo segmento, risulta notevolmente concentrata in mano a poche imprese (le prime quattro detengono oltre il 90% del mercato) di dimensione multinazionale e controllate da grandi gruppi alimentari (ad eccezione di Belgioioso di Ditia Yomo).

I fattori rilevanti d'acquisto che maggiormente inducono i consumatori a scegliere i formaggi freschi moderni sono costituiti, essenzialmente, dal livello di servizio in termini di conservabilità e comodità d'uso (con particolare riferimento al packaging), dalla novità generata dall'innovazione del prodotto, dall'affidabilità che viene garantita dall'immagine di marca. Data la recente introduzione nel mercato, manca, per questa categoria, una tradizione alimentare e di consumo consolidata come può essere quella, per esempio, del grana o della mozzarella. Di conseguenza, le modalità e le occasioni d'uso più frequenti sono quelle suggerite dalla pubblicità (così, i prodotti spalmabili vengono usati sul pane o sui crackers e quelli a fiocchi fungono, senza la benché minima elaborazione, da contorno o alternativa ai secondi piatti[7]).

I formaggi moderni freschi risultano maggiormente consumati nei centri abitati più grandi, soprattutto tra i giovani e le donne (le più attente al basso contenuto di grassi ed alla praticità e funzionalità del packaging). La domanda di questo genere di prodotti non si differenzia sostanzialmente a livello geografico riscontrando essi, comunque, un maggiore gradimento al Sud.

Gli stili alimentari più interessati a questi formaggi sono definibili come "accurati" e "conflittuali"[8]. Il primo, al quale appartiene il 14% della popolazione, è diffuso prevalentemente tra le donne di status elevato ed è tipico di chi sceglie e prepara il cibo attribuendo particolare attenzione agli aspetti qualitativi. L'alimentazione degli "accurati" è tradizionale, ma corretta da principi dietetico/salutistici e dalla curiosità per nuovi prodotti e cucine diverse. Il gruppo dei "conflittuali" (12% della popolazione) è costituito da persone (al 70% donne) che, attratte dalla cucina e dalla tavola, alternano periodi nei quali si concedono ai cibi più saporiti, a periodi in cui osservano rigidamente un'alimentazione caratterizzata dall'impiego di molti prodotti leggeri o dietetici.


Tra gli altri mercati riconducibili all'arena competitiva incentrata sui pasti destrutturati, quello della carne in scatola risente fortemente della concorrenza da parte del suo omologo relativo al tonno che, a parità di praticità, presenta un gusto diverso e preferito dai consumatori (anche se inferiore a quello di un altro importante concorrente indiretto quale è quello costituito dai salumi) godendo, a corollario, di una relativa migliore percezione riguardo alla genuinità.


5.1.2 - Il mercato dei prodotti a supporto del pasto

Nella preparazione del cibo, spesso intervengono elementi che costituiscono un supporto ed un completamento dell'ingredientistica, conferendo un surplus percettivo che va ad arricchire il contenuto del risultato finale di tale preparazione. Non è possibile, tuttavia, addivenire al riconoscimento di una categoria di prodotti dai contorni definibili con esattezza, trattandosi, perlopiù, di frammentati raggruppamenti di ordine merceologico. I principali tra essi sono riconducibili a salse[9] e prodotti di origine casearia.

Le prime sono guidate dalla maionese, l'ornamento per piatti freddi preferito dai consumatori italiani e utilizzabile come farcitura di panini, direttamente spalmabile su pane o crackers o usata per arricchire altri piatti quali, ad esempio, le insalate di riso. Questo prodotto presenta un notevole vantaggio sugli altri tipi di salse (ad esempio ketchup e senape) in quanto offre senza dubbio una maggiore elasticità e versatilità di utilizzo, con un gusto che si coniuga più facilmente agli altri alimenti senza peraltro coprirli.

Tra i formaggi che possiamo ricondurre a questa categoria, sia per quanto riguarda i cibi freddi che per quelli che richiedono una preparazione "a caldo", troviamo la mozzarella industriale, la fontina, l'Emmental, le paste filate e il formaggio a fette. Proprio quest'ultimo tipo di prodotto riveste, per il consumatore, il ruolo più importante, in forza della sua grande versatilità e della facilità ed immediatezza d'uso. Il successo costruito negli anni da parte di un brand come Sottilette Kraft, resosi protagonista della crescita dell'intera categoria da esso stesso creata, ed il vantaggio conseguito nei confronti degli altri possibili elementi caseari utilizzabili in queste situazioni d'uso sono esplicabili proprio in termini del contributo del prodotto alla semplificazione della preparazione dei cibi, alla flessibilità da esso offerta e, ovviamente, alle sue qualità attinenti al gusto. Il formaggio a fette si pone, così, in evidente sintonia con i moderni stili di vita - particolarmente, con quelli alimentari sempre più tendenti alla destrutturazione dei pasti - offrendo implicitamente alla mente del consumatore una immediata conferma dei propri comportamenti e un supporto del trend in corso.


5.1.3 - Il mercato del cioccolato

Il mercato italiano del cioccolato presenta delle caratteristiche che lo pongono su una prospettiva diversa dagli altri mercati europei (specialmente di quelli non mediterranei). In particolare, il consumo medio pro capite risulta piuttosto limitato tendendo ad essere stagionale e, soprattutto, risentendo dell'assenza di un vera e radicata "cultura del cioccolato". Spesso, anzi, esistono dei veri e propri pregiudizi nei confronti degli alimenti a base di cacao. Inoltre, è riscontrabile una nutrita presenza di marchi locali molto forti.

Le ragioni che sono portate a sostegno del cioccolato dai suoi estimatori e che lo fanno apprezzare dai consumatori sono di natura sia razionale che emozionale: dal primo punto di vista, si tratta di un prodotto nutriente ed altamente energetico, mentre dal secondo costituisce una forma di autogratificazione ed è un prodotto adatto al "consumo sociale", nonché costituisce da sempre un "premio" per i bambini.

Pur presentando al suo interno andamenti molto differenti, il to del cioccolato, quindi, si è dimostrato negli anni particolarmente dinamico, con alcuni prodotti che risultano entrati in una fase di maturità avanzata (tavolette, scatole di cioccolatini classiche) ed altri che, invece, sono riusciti a riposizionarsi con successo nel mondo dei "fuori pasto" (snack e merendine) puntando su formato, packaging, distribuzione e, soprattutto, comunicazione. Il mercato italiano sembra quindi premiare quelle imprese che, sforzandosi sul piano dell'innovazione di prodotto e della comunicazione puntano a soddisfare le nuove esigenze di una domanda sempre più mutevole, caratterizzata da una maggiore propensione al consumo di beni voluttuari, nonché influenzata da tipologie di comunicazione in continua evoluzione.

Il settore dei prodotti alimentari a base di cacao può essere suddiviso in segmenti ben definiti: tavolette e barrette, cioccolatini, merendine e snack, creme spalmabili, cacao solubile, uova e ovetti. Qui prendiamo in diretta considerazione il segmento delle tavolette, forse quello che vive con maggiore problematicità la fase di maturità in cui si trova inserito. Viceversa, gli snack al cioccolato presentano un tasso di sviluppo molto interessante e sembrano sottrarre parte del mercato agli altri segmenti. Mentre le tavolette di cioccolato si pongono come una scelta maggiormente ponderata e destinata al contesto familiare, gli snack vengono consumati più di impulso e costituiscono una manifestazione di quella diffusa tendenza al consumo edonistico che si sta facendo nello stile di consumo largo a partire dalle nuove generazioni fino a coinvolgere quelle ad esse contigue[10].

Pur rappresentando il 40% delle vendite del to cioccolato, le tavolette risentono più degli altri prodotti della modesta penetrazione di questo alimento nelle abitudini di consumo degli italiani. Le tavolette al latte sono quelle che rappresentano la quota più rilevante con il 43% delle vendite, contro il 28% del fondente ed il 24% di quelle ripiene. Per contrastare l'espansione degli snack, e stimolare il consumo d'impulso, sono state introdotte, col tempo, grammature più piccole. I fattori critici di successo per questa categoria di prodotto, sono la qualità e l'immagine di prodotto "sano" dal punto di vista nutrizionale. Gli investimenti in comunicazione, pressoché irrilevanti fino a pochi anni fa, hanno subito un incremento a partire da quando Milka si è proposta con una importante strategia in tal senso.

I cioccolatini sfusi e le miniconfezioni, distribuiti principalmente attraverso i bar, hanno denotato, seguendo la tendenza generale che vede crescere il consumo d'impulso ed i nuovi atteggiamenti alimentari degli italiani, un ottimo sviluppo, con una domanda che è stata notevolmente stimolata da un'offerta in continua evoluzione che fa sempre più perno sulla leva comunicativa (si pensi, per esempio, al fenomeno Rocher di Ferrero, o a Baci di Perugina, o a Pocket Coffee). Tra le confezioni in scatola (più del 30% del to), vengono preferite quelle "monotipo" rispetto alle confezioni assortite, con packaging particolari e a tema in occasione delle più importanti ricorrenze. Le marche minori di rinomata tradizione (tra cui Lindt, Caffarel . ) puntano più su confezioni "d'élite" commercializzate attraverso i canali tradizionali (bar, pasticcerie, coloniali) puntando sulla fedeltà al prodotto, mentre le marche più giovani e di minori dimensioni (per esempio Aura, Zaini . ) si avvalgono prevalentemente della grande distribuzione.

Gli snack si sono imposti negli ultimi anni come prodotti sostituivi della classica merenda e stanno vivendo una crescita intensa, sostenuti da sforzi comunicativi di natura pervasiva e considerevoli quanto a dimensioni di investimento. Tipico del fenomeno snack è il consumo giovane, slegato dalle tradizioni ed orientato all'impulso ed alla voluttà, per il quale è fondamentale il riferimento pubblicitario. Peculiare di questi prodotti è l'approccio multimarca alla strategia competitiva, adottato nelle sue forme più spinte, con il nome del produttore che resta sempre in secondo piano, nell'intento di evitare confusione rispetto ai concetti che le singole marche esprimono. Si tratta, pertanto, di determinare un posizionamento ad hoc, chiaro e differenziato per ogni singola marca immessa sul mercato.

Dal lato dell'offerta, una caratteristica tipica del mercato italiano dei prodotti alimentari a base di cacao è la frammentazione e la presenza di un notevole numero di aziende artigianali. La tendenza delle marche principali (Nestlè-Perugina, Ferrero, Jacobs Suchard), è quella di ricercare un posizionamento chiaro e differenziato per i propri prodotti puntando su alcuni specifici brand ombrello (come Kinder, Baci e Milka) poi sviluppati come brand per la commercializzazione di ulteriori prodotti. I maggiori produttori, infatti, pur presentando gamme molto ampie e diversificate (nella grammatura, nel packaging, nel canali di distribuzione . ), tendono a presidiare alcune specifiche nicchie nell'ambito delle quali detengono la leadership.

Le medie aziende dolciarie (come, ad esempio, Pernigotti, Sperlari, Sapori . ) offrono anch'esse un'ampia gamma di prodotti che cercano di posizionare puntando prevalentemente sul rinomato marchio di cui dispongono e sull'associazione con la tradizione. Mantengono generalmente una buona penetrazione a livello locale, ma trovano i propri punti di debolezza nello scarso peso degli investimenti in comunicazione e nella scarsa innovatività dei prodotti.

Le medio-piccole aziende dolciarie-cioccolatiere (come Caffarel e Bulgheroni, produttore, su licenza, del marchio Lindt) sono accomunate da una filosofia product-oriented che le tiene abbastanza legate ai segmenti più tradizionali del settore.


5.1.4 - Il mercato del caffè

Il mercato italiano del caffè è uno dei più importanti e particolari a livello mondiale (l'Italia è al quarto posto tra i paesi importatori). Quello che in particolare lo differenzia, è il gusto forte del prodotto rispetto a quanto troviamo in altri paesi dove prevalgono miscele molto più "lunghe" dall'aroma non troppo evidenziato e vicino ad altre bevande quale, ad esempio, il caffè d'orzo. La qualità della miscela utilizzata dipende, in prevalenza, dalla famiglia di appartenenza della materia prima. La qualità più pregiata (e più costosa), quella arabica, si caratterizza per un chicco dalla forma allungata e piatta e per un gusto particolarmente aromatico. La qualità robusta, invece, è di livello inferiore (ha un minor costo) e presenta un chicco più piccolo e conferisce al caffè un sapore molto forte e amaro. La distinzione tra le diverse qualità di caffè rileva sia in quanto determina l'aroma finale della miscela[11], sia perché il costo della materia prima incide fino all'85-90% del costo di produzione (riversandosi sul prezzo al consumo dopo circa sei mesi), divenendo una variabile fondamentale da tenere sotto osservazione. I mercati più importanti per il caffè sono la borsa di New York e quella di Londra, dove vengono trattate rispettivamente le qualità Arabica e quella Robusta. Il prezzo del caffè varia in funzione della domanda e dell'offerta ed e influenzato, oltre che dalle qualità e dalle quantità prodotte, anche dall'andamento dei clima e dai cambiamenti di ordine politico.

Praticamente la totalità della popolazione adulta italiana (95%) consuma regolarmente caffè. Il prodotto è prevalentemente venduto nei negozi per essere consumato in casa dal 67% delle persone preparato nel 90% dei casi con la macchinetta tipo moka. Il 23% dei consumatori lo beve, invece al bar ed il rimanente 10% in ristoranti o in hotel. Nonostante costituisca un vero e proprio simbolo nazionale, il consumo medio pro capite è inferiore alla media dei paesi europei. La ragione risiede, come accennato, nella diversa concezione che si ha del caffè alle diverse latitudini. In Italia, se i momenti di consumo sono numerosissimi nell'arco della giornata, i volumi, tuttavia, sono particolarmente bassi, dato che lo si beve sempre in piccolissime dosi. Il caffè si allontana dal concetto di bevanda per divenire una sorta di nettare concentrato assumendo quasi la valenza di un rito simbolico che accomna momenti conviviali e pause di lavoro. Viceversa, all'estero viene assimilato alle altre bevande ed assunto in dosi molto più grandi rendendo per questo necessaria una bassa concentrazione della miscela.

Tra i consumatori prevale una valutazione soggettiva e l'acquisto è fortemente influenzato dall'immagine e dalla familiarità della marca nell'ambito della specifica sottocategoria di appartenenza. A riguardo è possibile distinguere nell'ambito dei caffè "normali", i più diffusi, quello "tradizionale" (la versione base), e quello "oro" o "premium" (di qualità e prezzo più elevati). Altra caratterizzazione assunta dall'offerta è quella riferita al caffè "espresso", destinato ad essere preparato con l'apposito elettrodomestico e con un prezzo superiore alle versioni tradizionali. Infine c'è il caffè "decaffeinato" che, allontanandosi dal concetto di nettare attribuito universalmente al prodotto, rappresenta solamente il 3% delle vendite complessive. Per quanto riguarda le preferenze dei consumatori, mentre al Nord si predilige un caffè dal gusto più delicato, nelle regioni meridionali prevalgono prodotti dal gusto forte e ben tostati.





Uno studio interessante sulla relazione intercorrente tra l'interesse che i consumatori hanno verso una marca matura e l'impatto che in essi produce la pubblicità è dato da: K. A. Machleit, C. T. Allen, T. J. Madden, The mature brand and brand interest: an alternative consequence of ad-evoked affect, Journal of marketing, ottobre 1999, pp. 72-82.

La relazione tra rischio percepito e grado di coinvolgimento nell'acquisto è stata analizzata nel par. 2.2.1.

Per uno studio sull'argomento si veda: B Wansink, M. L. Ray, Advertising strategies to increase usage frequency, Journal of marketing, gennaio 1996, pp. 31-46.

I casi analizzati si riconducono ad alcune marche facenti parti del business alimentare italiano ed europeo della multiforme galassia Philip Morris cui appartengono aziende di fama e rilevanza assolute come Kraft, Jacobs Suchard, Tobler, Miller.

In seguito, troveremo altre classificazioni in parte diverse e particolari, comunque riconducibili a questa generale impostazione concettuale.

I formaggi, classificati in base alle caratteristiche fisiche del prodotto, vengono distinti in duri, semiduri, molli, fusi e freschi.

In altri paesi, dove questi prodotti sono presenti da più tempo, i consumatori hanno adottato modalità di consumo maggiormente autonome e variegate. Negli Stati Uniti, per esempio, vengono utilizzati come parte integrante di moltissime ricette (come, ad esempio, la "cheese cake").

Gli altri stili alimentari, nella classificazione data da un'indagine Eurisko, sono quelli:

Funzionale. È lo stile dei giovami maschi adulti dei grandi centri, di status elevato, con interessi culturali e professionali molto vivi ai quali fa riscontro, invece, una sostanziale indifferenza verso l'alimentazione - che è discontinua ora ricca, ora essenziale - ed il rifiuto della preparazione dei cibi. ½ appartiene il 19% della popolazione ed è in crescita.

Robusto. È lo stile di chi svolge una vita molto attiva, anche fisicamente e chiede a un'alimentazione ricca, abbondante e senza remore dietetiche la reintegrazione delle energie e della carica aggressiva. Rappresenta il 6% della popolazione ed è in marcata flessione.

Giovanile (19%) in buona crescita. È lo stile dei giovani e giovanissimi, per i quali l'alimentazione è un ambito largamente dominato dalla pulsionalità e in cui si generano comportamenti disordinati, occasionali, esplorativi sulla base della suggestione pubblicitaria del momento e del gruppo dei coetanei. Questo gruppo assume una rilevanza del tutto particolare, dal momento che pare operare "per contagio" anche sugli altri e che, con il procedere del tempo, resterà come un portato delle generazioni che lo hanno sviluppato in grado di persistere a livello comportamentale.

Trascurato (6%, in diminuzione). È uno stile alimentare non povero, ma irregolare e discontinuo, praticato principalmente da donne che non investono la cucina e la tavola di significati culturali, né hanno un ruolo domestico consistente.

Povero (24% della popolazione, in diminuzione). È lo stile alimentare che più si approssima alla tradizione contadina, fatta di semplicità e di molti limiti, e che oggi sopravvive anche per obiettiva ristrettezza economica in alcune fasce anziane e periferiche della popolazione.

Omettiamo, in questo ambito, la considerazione delle spezie, in quanto non costituiscono un vero alimento che goda di una propria autonomia.

Rilevante è la considerazione che il modello di consumo di cioccolato si forma nelle persone a partire dalla prima infanzia per poi persistere, più o meno invariato, nel corso degli anni (di qui, la necessità per le imprese di conquistare, in primo luogo, l'interesse delle generazioni più giovani).

Singolare è il fatto che, mentre gli italiani si ritengono esperti conoscitori del caffè, solo il 20% delle persone conosce le diverse qualità che se ne trovano in natura ed in realtà solo pochissime tra esse ne sanno dare una valutazione oggettiva in termini di sapore (combinazione di gusto - la sensazione palatiale - e  aroma - la sensazione olfattiva -), tostatura e miscela.


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