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Il razzismo

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TEMA: il razzismo


Il razzismo si basa sulla teoria della disuguaglianza basati su una supposta divisione dell'umanità in razze 'superiori' e razze 'inferiori'. Secondo le teorie razziste il patrimonio biologico determinerebbe, oltre ai comportamenti individuali, gli sviluppi (culturali, politici, economici ecc.) dei gruppi e delle società. Stabilendo questa connessione fra tratti razziali ed evoluzione sociale, le concezioni razzistiche ritengono superiori le razze in grado di costruire società più 'evolute'.

un atteggiamento di tipo razzistico è costantemente presente nella storia dell'umanità, come testimonia la pratica antica della schiavitù. Gli antichi greci, e in seguito i romani, chiamavano 'barbari' (stranieri) quelli che non parlavano la loro lingua, avevano costumi, religioni, istituzioni diverse e vivevano al 'limite' del loro mondo.



Tuttavia, il razzismo per come noi lo intendiamo si sviluppò a partire dal XVII secolo, in seguito alle scoperte geografiche e al colonialismo. In questo periodo si affermò la convinzione che il progresso - intellettuale, scientifico, economico, politico - fosse un'esclusiva prerogativa dei bianchi e che gli altri popoli non potessero conseguire gli stessi risultati proprio a causa di una differenza biologica. Se fino a quel punto l'interpretazione prevalente del determinarsi delle varie razze era stata quella 'climatica' - secondo la quale a un'origine comune erano seguiti sviluppi dovuti soprattutto alle condizioni ambientali - dal XVIII secolo si affermò la teoria 'poligenetica', che fa risalire le popolazioni del mondo a progenitori diversi.

L'affermarsi di questa convinzione portò a ritenere inalterabili le differenze tra individui e popoli e a stabilire un principio di gerarchia secondo il quale la razza bianca era una razza superiore, predominante sulle altre; in questo modo veniva giustificato il dominio sugli altri popoli da parte dei bianchi e l'attribuzione a questi di una missione di civilizzazione. Nel XIX secolo si consumò il passaggio dalla teoria razziale al razzismo, soprattutto con l'opera di Joseph-Arthur Gobineau Saggio sull'ineguaglianza delle razze (1853-l855). Gobineau affermò che la razza è alla base della civiltà e che quindi la degenerazione della razza comporta un decadimento della civiltà. Egli sostenne che per arrestare il decadimento della razza 'ariana', iniziato agli inizi dell'era cristiana, non si potesse che perseguire un disegno di discriminazione delle razze 'inferiori'.

La pubblicazione del libro di Charles Darwin L'origine della specie (1859) ispirò in seguito una nuova forma di razzismo, il cosiddetto 'razzismo scientifico', basato sull'idea che il pregiudizio razziale svolgesse addirittura una funzione evolutiva. Durante tutto il XIX secolo il razzismo ebbe un'ampia diffusione in Europa, alimentato anche dall'insorgere del nazionalismo, e negli Stati Uniti, dove era alla base del sistema schiavistico. Ma fu dopo la prima guerra mondiale, nel quadro di crisi economica e sociale ereditato dal conflitto, che le teorie basate sulla discriminazione razziale presero corpo in un disegno politico; infatti, la Germania nazionalsocialista, a partire proprio dalla diffusione del mito della superiorità della razza ariana, riuscì a mobilitare grandi masse e a raccoglierle attorno al progetto che aspirava a imporre la supremazia germanica nel mondo.

Il mito della razza e lo stigma nazista nei confronti degli ebrei, che furono considerati Untermenschen (sottouomini), legittimò e rese possibile il genocidio di sei milioni di ebrei e di altri cinque milioni di persone considerate marginali, inferiori o devianti (accanto agli ebrei, zingari, comunisti, omosessuali, disabili); non è un caso che il progetto di sterminio perseguito lucidamente dai nazisti fosse stato chiamato 'soluzione finale'.

È bene ricordare che la Germania nazista non fu l'unico paese a essere segnato dal razzismo; in Italia, nel 1938 vennero emanate le 'leggi per la difesa della razza', che determinarono la discriminazione degli ebrei e ne favorirono successivamente la deportazione nei campi di sterminio. Nella battaglia contro il razzismo un ruolo fondamentale è stato attribuito all'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), fondata nel 1945 anche per 'salvaguardare le generazioni future dalla sciagura della guerra e dal razzismo'.

Nel 1965 l'Assemblea generale delle Nazioni Unite votò una Convenzione internazionale che definì discriminazione razziale 'ogni differenza, esclusione e restrizione basata sulla razza, il colore della pelle, la discendenza e le origini nazionali o etniche, che abbia lo scopo o l'effetto di annullare o rendere impari il riconoscimento, il godimento o l'esercizio su uno stesso piano dei diritti umani e delle libertà fondamentali nella sfera politica, economica, sociale, culturale o in ogni altra sfera della vita pubblica'.

Negli anni Sessanta negli Stati Uniti si sviluppò un ampio movimento contrario alla discriminazione della popolazione nera, alla quale, dopo un secolo dall'abolizione della schiavitù, non veniva ancora riconosciuta un'effettiva parità con i bianchi. Il dibattito sul razzismo sorto in quegli anni permise inoltre di svelare e denunciare le ingiustizie che i neri americani avevano a lungo sofferto a causa dei bianchi.

Nonostante sia ormai chiaro quali possano essere le conseguenze della diffusione del pregiudizio razzista, questo continua a esistere e a riesplodere ogni qualvolta ci sia una 'responsabilità' da attribuire a qualcuno. Nel mondo contemporaneo, travagliato da conflitti e problemi, purtroppo queste occasioni non mancano e infatti stiamo assistendo, accanto al riemergere di un nazionalismo aggressivo, alla risa del fenomeno del razzismo, sempre alla ricerca dei 'capri espiatori' ai quali attribuire responsabilità: ieri della degenerazione della razza, oggi della disoccupazione, della violenza e degli altri innumerevoli problemi che affliggono le società contemporanee.





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