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LE CENTRALI NUCLEARI - Produzione dell'energia elettrica, Funzionamento delle macchine elettriche rotanti, Reattori nucleari, Reattori ad acqua legger



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LE CENTRALI NUCLEARI



Produzione dell'energia elettrica

La produzione dell'energia elettrica, elemento essenziale nella vita di tutti i giorni, avviene presso le centrali elettriche. In esse, l'energia meccanica, prodotta in vari modi, viene trasformata in energia elettrica per mezzo di  macchine convertitrici. Un esempio di ciò sono le macchine elettriche rotanti.

Funzionamento delle macchine elettriche rotanti

Il funzionamento delle macchine elettriche rotanti si basa su due fenomeni fisici correlati. Il primo è il fenomeno dell'induzione elettromagnetica, scoperto nel 1831 dal fisico britannico Michael Faraday: se un conduttore si sposta in un campo magnetico, o più precisamente, se varia il flusso concatenato con il conduttore, viene indotta in quest'ultimo una corrente elettrica. Il secondo fenomeno fu invece osservato per la prima volta nel 1820 dal fisico francese André-Marie Ampère: un conduttore percorso da corrente e immerso in un campo magnetico è sottoposto a una forza che dipende dalla geometria del sistema.



Per ricavare l'energia meccanica necessaria per innescare le reazioni che fanno funzionare le macchine convertitrici esistono moltissimi modi, alcuni più o meno produttivi di altri, altri meno pericolosi, altri meno inquinanti. Si può ricavare energia da qualsiasi fonte che metta in movimento direttamente o indirettamente, le turbine del generatore. Ma negli ultimi anni si sta venendo sempre più delineando l'utilizzo, per quanto contestato, dell'energia nucleare, per la produzione di elettricità.

Reattori nucleari

I primi reattori su larga scala, costruiti per la produzione di armi nucleari, usavano come combustibile uranio metallico naturale e come moderatore grafite.

Reattori ad acqua leggera o pesante

Ai nostri giorni esiste in tutto il mondo una gran varietà di reattori per la produzione di energia nucleare, che differiscono l'uno dall'altro per il tipo di combustibile, il moderatore o il sistema di raffreddamento. Nei reattori moderati e refrigerati ad acqua, viene generalmente usata acqua naturale (non pesante) e questo richiede l'impiego, come combustibile, di uranio arricchito.

Nel reattore ad acqua pressurizzata (Pressurized Water Reactor, PWR), l'acqua viene portata a una pressione di circa 150 atm, pompata nel nocciolo del reattore, quindi immessa in un generatore di vapore per mezzo di un circuito secondario. Il vapore così prodotto aziona uno o più generatori a turbina e poi viene pompato nuovamente nel generatore di vapore. Il circuito secondario è isolato dal nucleo del reattore, perciò non è radioattivo. Un terzo circuito di acqua, proveniente da un fiume, un lago o una torre di raffreddamento, serve per condensare il vapore.

Nel reattore ad acqua bollente (Boiling Water Reactor, BWR), l'acqua refrigerante è mantenuta a una pressione inferiore, e portata all'ebollizione nel nocciolo. Il vapore prodotto viene mandato direttamente nel generatore a turbina, condensato, e quindi ripompato nel reattore. Sebbene il vapore sia radioattivo, non c'è bisogno di alcuno scambiatore di calore intermedio tra reattore e turbina, con il conseguente guadagno in efficienza. Come nel PWR, l'acqua di raffreddamento del condensatore proviene da un'altra fonte, come un fiume o un lago.

Il livello di potenza di un reattore in funzione viene costantemente controllato da una serie di strumenti di vario genere. La potenza in uscita viene regolata mediante l'inserimento o la rimozione dal nocciolo del reattore di barre di controllo, cioè di elementi costituiti da un materiale capace di assorbire neutroni molto efficientemente. La posizione delle barre viene determinata in modo che la reazione a catena proceda a ritmo costante.

Durante il funzionamento, e anche dopo l'interruzione, un grosso reattore da 1000 Mw ha una radioattività di miliardi di curie. Le radiazioni emesse dal materiale radioattivo vengono assorbite da opportune schermature poste intorno al reattore e al circuito di raffreddamento primario. Altre strutture di sicurezza sono il sistema di raffreddamento del nucleo, che evita che quest'ultimo raggiunga temperature pericolosamente elevate in caso di avaria dei sistemi di raffreddamento principali, e, nella maggior parte dei casi, ed una struttura di contenimento di tutto il materiale radioattivo che eviti qualunque fuga radioattiva in caso di rottura.

Sebbene all'inizio degli anni Ottanta fossero già operanti negli Stati Uniti più di 100 impianti per la produzione di energia nucleare, in seguito all'incidente di Three Miles Island le preoccupazioni per la sicurezza e vari fattori di tipo economico hanno bloccato ogni ulteriore sviluppo nel campo dell'energia nucleare. Dal 1978 in poi non sono stati messi in cantiere altri impianti nucleari, e alcuni di quelli completati dopo quella data non sono stati resi operativi. Nel 1990 circa un quinto dell'energia elettrica prodotta negli Stati Uniti e ben i tre quarti di quella prodotta in Francia veniva da impianti nucleari.



Nei primi anni Cinquanta, quando iniziò lo sfruttamento dell'energia nucleare, l'uranio arricchito era disponibile solo negli Stati Uniti e nell'allora Unione Sovietica; di conseguenza i primi programmi di produzione di energia nucleare di Canada, Francia e Gran Bretagna prevedevano l'impiego di uranio naturale. Questo tipo di combustibile, meno efficace dell'uranio arricchito, richiede l'uso di ossido di deuterio (D O), o acqua pesante; l'acqua naturale, infatti, ha la caratteristica di catturare un numero eccessivo di neutroni che d'altra parte sono necessari in elevate quantità a causa del basso rendimento del combustibile.

I primi reattori, alimentati con barre di uranio naturale, moderati a grafite e refrigerati con ossido di deuterio, furono in seguito soppiantati da reattori a uranio arricchito, e dai più avanzati AGR (Advanced Gas-cooled Reactor, Reattore avanzato raffreddato a gas). In Francia, in seguito alla costruzione di impianti per l'arricchimento di uranio, sono stati costruiti reattori del tipo PWR. La Russia e gli altri stati dell'ex Unione Sovietica hanno un programma molto ampio di sfruttamento dell'energia nucleare, che prevede sia il sistema PWR sia quello moderato a grafite. All'inizio degli anni Novanta erano in costruzione in tutto il mondo più di 120 nuovi impianti per la produzione di energia nucleare.

Purtroppo all'uso dell'energia nucleare sono legati gravissimi rischi. Tra i quali urano quelli legati alla radioattività delle scorie prodotte e delle località limitrofe. Basti pensare che dopo la chiusura di una centrale e il suo smantellamento per circa 200 anni dall'allontanamento del materiale, l'aria occupata è ancora radioattiva.

La radioattività

La Radioattività consiste nella disintegrazione spontanea di nuclei atomici con emissione di particelle subatomiche e di onde elettromagnetiche. Il fenomeno fu scoperto nel 1896 dal fisico francese Antoine-Henri Becquerel, il quale osservò che l'uranio emetteva delle radiazioni capaci di impressionare una lastra fotografica protetta da uno schermo opaco ai raggi luminosi.

Le ricerche iniziate da Becquerel vennero riprese dagli scienziati francesi Marie e Pierre Curie i quali nel 1898 scoprirono che la proprietà di emettere radiazioni penetranti era comune all'uranio e a molti dei suoi composti e diedero al fenomeno il nome di radioattività. Analizzando l'intensità della radiazione emessa per mezzo di una camera di ionizzazione, essi riconobbero che i minerali dell'uranio, in modo particolare la pechblenda, avevano un'attività radioattiva maggiore rispetto ai sali usati da Becquerel. Poiché non esistevano elementi noti sufficientemente radioattivi da giustificare le radiazioni osservate, essi dedussero che i minerali analizzati fossero composti da sostanze ignote estremamente instabili. Dopo una serie di esperimenti chimici sulla pechblenda scoprirono due nuovi elementi radioattivi: il polonio e il radio. La radioattività del torio, dell'attinio e del rado venne osservata in un secondo tempo. Le radiazioni, con i loro decadimenti e i loro raggi emessi, sono rischiose per la salute, per la loro capacita di penetrare le cellule e danneggiare il codice genetico. In questo modo esse possono provocare tumori e gravissime malattie.

Altri rischi legati all'uso di centrali riguardano anche la possibilità, di un evento catastrofico, come nel caso di Cernobil.

I rischi legati all'instabilità delle centrali

La sola cosa che differenzia le centrali nucleari dalle devastanti e pericolosissime bombe, che col solo nome riescono e rievocare ricordi tenebrosi, è la presenza di controllo da parte dell'uomo. Difatti, con sofisticate apparecchiature, riesce a controllare la reazione a catena che da sola tenderebbe a provocare un esplosione nucleare. Questa possibilità, per quanto scarsa, deve essere presa in considerazione. Lo stesso Cernobyl ci mise in allarme, quando in pochi secondi, da un reattore si è sprigionata una energia tale da sfuggire al controllo dell'uomo e devastare la città perennemente. Gli effetti provocati dall'esplosione prendono il nome di Fallout.



Meccanismi di formazione del fallout radiottivo

Un processo di fissione nucleare rilascia notevoli quantità di materiali e particelle radioattive che a loro volta rendono radioattive le molecole di suolo, aria e acqua direttamente investite dall'esplosione (Atomo).

Le singole particelle radioattive sono invisibili e talmente leggere che potrebbero fluttuare indefinitamente senza mai depositarsi al suolo. Tuttavia, se un ordigno nucleare viene fatto esplodere in prossimità della superficie, grandi quantità di materiali di varia natura vengono polverizzate, risucchiate nella nube a tipica forma di fungo e sollevate nell'atmosfera. All'interno della nube le particelle radioattive si aggregano ai materiali polverizzati, che fungono da zavorra e ne provocano successivamente la rideposizione al suolo.

I detriti più pesanti ricadono dopo appena qualche minuto e danno origine a una precipitazione localizzata, detta ricaduta diretta. I frammenti un po' più leggeri, ma comunque visibili a occhio nudo, vengono trasportati dal vento insieme alla nube atomica e ricadono nel giro di qualche ora o giorno, dando origine a una ricaduta detta pioggia radioattiva locale, la cui natura ed estensione dipendono dalla potenza e dalle caratteristiche dell'ordigno esploso, dalla distanza dal suolo dell'esplosione e dall'intensità e direzione dei venti.

Le particelle microscopiche rimangono, invece, sospese per tempi più lunghi. Se la bomba ha una potenza relativamente ridotta, la nube atomica rimane confinata al di sotto della tropopausa (il limite tra la troposfera e la stratosfera); in questo modo le polveri radioattive vengono trasportate intorno al globo (lungo una fascia che circonda il pianeta alla stessa latitudine a cui è avvenuta la detonazione) e dopo qualche tempo ricadono sulla terra, trasportate dalla pioggia o da altri tipi di precipitazioni e danno luogo a un tipo di ricaduta detto "fallout troposferico".

Se la bomba ha una potenza tale da riuscire a scagliare i frammenti dell'esplosione oltre la tropopausa, una parte consistente delle particelle radioattive si ferma nella stratosfera, dove rimane esposta all'azione dei venti stratosferici e dà successivamente origine a un tipo di fallout detto "stratosferico" o "globale". Poiché la stratosfera non è interessata da alcun tipo di precipitazione, le particelle contaminate possono permanere in questo strato atmosferico anche per mesi o anni. In genere vengono trasportate dai venti solo in senso orizzontale e si disperdono, quindi, per tutta la stratosfera, compiendo in alcuni casi più di una rivoluzione intorno al globo. Una volta raggiunte le regioni polari o le zone interessate da correnti discensionali vengono, tuttavia, trascinate nella troposfera, dove si uniscono alle particelle che ricadono sul pianeta per effetto del fallout troposferico.

La prolungata permanenza delle particelle radioattive nella stratosfera fa sì che gli isotopi radioattivi con un tempo di dimezzamento relativamente breve decadano prima di ricadere a terra. Lo stesso discorso vale per alcuni dei radioisotopi sollevati e trasportati fino nella troposfera. Tale processo contribuisce a diminuire in qualche misura la radioattività delle ricadute e, quindi, la dose di radiazioni assorbita dagli organismi esposti al fallout. I radioisotopi con un tempo di dimezzamento relativamente lungo, all'opposto, possono conservare intatta la propria radioattività fino al momento in cui ricadono sulla superficie del pianeta e continuano, quindi, a rappresentare una minaccia per la salute dell'uomo e dell'ambiente per parecchi anni, anche perché possono entrare, ancora attivi, nelle catene alimentari e contaminare i cibi.

Gli effetti a lungo termine prodotti dal fallout equivalgono, in pratica, a quelli prodotti dalle radiazioni ionizzanti. Le radiazioni possono provocare alterazioni genetiche e causare, quindi, la nascita di bambini malformati. Il danno genetico può essere trasmesso alle generazioni successive e manifestarsi anche dopo decenni. A Hiroshima e Nagasaki, fra i bambini nati dopo l'esplosione della bomba nucleare (vedi Seconda guerra mondiale), si registrano ancora casi di gravi malformazioni congenite. Anche tra le popolazioni più esposte al fallout dei test atomici atmosferici degli anni Cinquanta e Sessanta è stata registrata la nascita di bambini con malformazioni congenite.







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