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LE DUE TRADIZIONI DEL PENSIERO SOCIOLOGICO - Approcci olistici

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LE DUE TRADIZIONI DEL PENSIERO SOCIOLOGICO


I termini del dilemma

Lo studio dei fenomeni sociali, oggetto della sociologia, è affrontato in diversi modi dai sociologi. Questi possono essere divisi in due gruppi principali: il primo composto da coloro per i quali i fenomeni sociali si verificano secondo modalità proprie in base a una propria natura e a proprie leggi scientifiche e in cui gli individui sono relegati al ruolo di semplici esecutori; il secondo è costituito da coloro che considerano i fenomeni sociali come effetti, peraltro complessi e non sempre evidenziabili direttamente, dell'agire degli esseri umani.

Si tratta dunque di due approcci fondamentali: nel primo i fenomeni sociali possiedono una natura qualitativamente diversa rispetto alla somma delle componenti individuali delle loro interazioni così che ha l'attenzione viene riservata al sociale nella sua globalità, il gruppo, il sistema, la struttura vengono concepiti come realtà fondamentali mentre l'individuo come realtà da questi derivata. Nel secondo approccio i fenomeni sociali sono interpretati sempre come conseguenze di azioni individuali, l'individuo è dunque l'unità essenziale di riferimento.



Questo modo alternativo di concepire lo studio dei fenomeni sociali riflette la contrapposizione storica tra olismo e individualismo. Queste due prospettive consentono di prendere posizione per il primato della struttura sociale sull'attore o viceversa dell'attore sulla struttura. Olismo e individualismo danno specifiche precise risposte al dilemma le quali non sono però conciliabili tra loro e si presentano anzi in termini di aut-aut. La questione non è solamente metodologica, essa pone il quesito drammatico di quanto l'uomo sia libero nell'agire e di quanto invece questo suo agire sia condizionato da entità a lui esterne. Durkheim e Weber sono considerati rispettivamente ispiratori dell'olismo e dell'individualismo.


I fondamenti delle due sociologie a confronto

Affinché la sociologia sia una disciplina scientifica, secondo Durkheim, essa deve privilegiare l'analisi delle strutture sociali e lo studio delle determinanti strutturali della natura umana.

Concetto essenziale della sociologia durkheimiana è il fatto sociale definito come 'ogni modo di fare, più o meno fissato, capace di esercitare sull'individuo una costrizione esterna'. Questi modi di fare esterne all'individuo sono ad esempio le regole, le pratiche, il linguaggio, l'educazione. Essi non sono innati ma vengono appresi e praticati dai singoli individui, si ritrovano dunque nelle coscienze individuali pur esistendo autonomamente all'esterno di esse. Il fatto sociale deve essere, secondo Durkheim, esaminato come una cosa, cioè nelle sue manifestazioni esterne. I tratti distintivi del fatto sociale presentano le caratteristiche di esteriorità, coercizione e generalità. Sono esterni all'individuo che nasce in una società che lo precede e che condiziona la sua personalità, possiedono il potere di coercizione esterna che si riconosce per l'esistenza di sanzioni, sono generali perché valgono per i membri di una determinata società ( ma non presentano nessuna pretesa di universalità ).

Weber è individuabile quale ispiratore sostenitore dell'approccio individualistico. Egli pone al centro della ricerca l'individuo in quanto capace di pensare, sentire, partecipare, mentre le collettività non sono in grado di fare ciò. Le differenti strutture sociali costituiscono solamente il risultato di processi di connessione dell'agire di singoli individui. La sociologia non può procedere che dalle azioni di un individuo, di qualche individuo e di numerosi individui separati; essa deve adottare dei metodi strettamente individualistici. Il punto di partenza della sociologia weberiana è l'azione sociale: quell'azione dotata di senso diretta verso altri soggetti individuali.

La sociologia weberiana si fonda quindi sulla comprensione del senso dell'attività umana, la quale presenta la peculiarità di poter essere interpretata in modo comprensibile con un certo grado di evidenza ( anche se mai sufficienti in quanto deve essere controllata tramite altri metodi propri dell'interpretazione causale ). Per Durkheim la dimensione sociale minima da esaminare non è invece da ricercare nell'azione sociale quanto nel fatto sociale con i suoi caratteri di esteriorità e di obbligatorietà, motivo per cui essi non sono prodotti dalla volontà individuale. Se il metodo di Weber può essere definito comprendente, Durkheim afferma invece la necessità di studiare il fatto sociale secondo il metodo positivista.


Approcci olistici

Col termine olismo si denominano le teorie secondo le quali il tutto è sempre e comunque più grande delle singole parti che lo costituiscono. Si rifanno a questo orientamento gli approcci strutturalistici, quelli funzionalistici e quelli sistemici.

Olismo strutturalistico. Tra gli approcci che sottolineano la centralità della struttura ura autorevolmente quello di Marx per la particolare rilevanza che attribuisce alla struttura economica di una società. Essa, pur inizialmente creata dagli individui, si impone a questi ultimi dall'esterno assumendo i connotati di una struttura dotata di forza impersonale. La struttura della società si identifica con quella economica che va assunta come variabile esplicativa di tutti i fenomeni sociali. E' solo analizzando l'insieme delle forze e dei rapporti di produzione che sarà possibile comprendere anche lo stesso modo di pensare degli uomini i quali sono condizionati dalla rispettiva condizione socio-economica o, più precisamente, dalla propria collocazione di classe.

Olismo funzionalistico. Anche il funzionalismo risulta sostanzialmente solistico poichè sostiene il primato del tutto ( sistema) rispetto alle sue parti costitutive. Se all'olismo strutturalistico è stata spesso associata una lettura conflittuale della vita sociale, la versione funzionalistica, soprattutto di natura organicistica, ha alimentato invece letture prevalentemente consensuali dei fenomeni sociali. Le premesse di questo approccio si ritrovano nell'opera di un antropologo britannico di origine polacca: Malinowski. Il presupposto del funzionalismo malinowskiano è che "in ogni tipo di civiltà, ogni costume, ogni oggetto materiale, idea e opinione adempiono una qualche funzione vitale". Per funzione vitale si deve intendere il contributo che ogni singolo tratto culturale dà al mantenimento dell'intera cultura, cioè all'integrazione. Per scoprire e comprendere la specificità di una funzione è necessario che ogni elemento venga connesso alla totalità alla quale esso appartiene ( primato della totalità ). Successivamente un altro antropologo, Radcliffe Brown, agganciò il concetto di funzione a quello di struttura affermando che ' la funzione di ogni attività ricorrente consiste nella parte che tale attività svolge nella vita sociale considerata come un tutto, e pertanto nel contributo che essa dà al mantenimento della continuità strutturale'.

Sotto il profilo sociologico, il principale e più autorevole esponente del funzionalismo è senza dubbio lo studioso statunitense Talcott Parsons. Secondo lo studioso gli individui agiscono in base a una serie di regole che vengono apprese e interiorizzate tramite processi di socializzazione primaria e secondaria. Nella misura in cui l'attore viene a integrarsi nel sistema tramite questi processi, egli contribuisce al mantenimento del sistema stesso, il suo agire risulta cioè funzionalmente positivo; in caso contrario il suo agire sarà invece funzionalmente negativo o ' disfunzionale '.

La società è dunque considerata da Parsons come un sistema, ogni sistema sociale poggia su quattro prerequisiti funzionali di base che possono essere considerati come problemi che la società deve risolvere per poter sopravvivere. Le  quattro classi di problemi funzionali sono richiamate dalle quattro lettere dell'acronimo AGIL:

  • A = Adaptive (funzione adattiva). Per far fronte ai propri bisogni di sopravvivenza, il sistema deve poter disporre di un certo controllo sull'ambiente.
  • G = Goal attainment (raggiungimento dei fini). Tutte le società hanno la necessità di stabilire delle mete verso cui l'attività sociale deve essere orientata.
  • I = Integrative (funzione integrativa). Ogni sistema deve disporre di strumenti per assicurare la propria coerenza e solidarietà interna.
  • L = Latent pattern maintenance (mantenimento del modello latente). Esso consiste nel sistema attraverso cui si trasmettono i valori nella società, garantendo che essi siano interiorizzati dai membri della società.

Nell'ambito dello stesso schema AGIL vengono distinti i requisiti funzionali esterni che concernono i rapporti del sistema con l'ambiente circostante (A e G) da quelli interni che riguardano invece aspetti organizzativi del sistema stesso (I e L).

Parsons individua quattro sottosistemi che trovano riferimento nei quattro requisiti funzionali: sottosistema economico ( allattamento ), sottosistema politico ( conseguimento dello scopo ), sottosistema integrativo ( integrazione ), sottosistema culturale motivazionale ( latenza ).

La funzione di ciascuna parte del sistema sociale si spiega in funzione del contributo che da al raggiungimento dei prerequisiti funzionali.

Qualunque sistema sociale, secondo Parsons, può essere analizzato secondo i prerequisiti funzionali da egli individuati.


Approcci individualistici

La sociologia individualistica assume come oggetto iniziale di studio l'agire degli individui le loro interazioni. Per coloro che seguono l'approccio individualistico i fenomeni sociali sono sempre il risultato di azioni e interazioni umane. Esistono tuttavia all'interno di questa stessa sociologia almeno due orientamenti fondamentali che partendo da identici presupposti proseguono però lungo percorsi diversi: il primo è rappresentato dall'interazionismo simbolico, il secondo dell'individualismo metodologico.

Interazionismo simbolico. Tale teoria si sviluppa a partire dagli anni trenta negli Stati Uniti. Esso viene elaborato alll'interno della seconda scuola di Chicago che a sua volta risente dell'influenza della prima scuola di Chicago e soprattutto di George Herbert Mead, suo principale ispiratore.

Si tratta di una prospettiva sociologica che esamina le interazioni fra individui e gruppi di individui assumendo che il comportamento umano non nasca da una serie di risposte a stimoli ma dall'interpretazione dei significati simbolici attributi agli stimoli stessi. L'azione umana non viene quindi considerata come una risposta alle sollecitazioni del sistema ma come una realtà che nasce all'interno dell'interazione, cioè dalle azioni reciproche di più individui.

Secondo Mead la personalità dell'individuo si forma attraverso l'interazione sociale mediata da un universo di simboli, di cui il linguaggio è il più importante, condivisi dagli appartenenti ad una cultura. I simboli forniscono i mezzi mediante cui l'uomo può interagire significativamente con il suo ambiente naturale e sociale, sono costruiti dall'uomo e non si riferiscono soltanto alla natura intrinseca degli oggetti e degli eventi, ma i vari modi secondo cui gli uomini li percepiscono. Secondo la concezione di Mead è fondamentale cogliere il carattere simbolico degli scambi interindividuali poiché non esiste scambio sociale se lo stimolo non viene anche interpretato soggettivamente. La teoria di Mead dà luogo al superamento del distico stimolo-risposta in quanto questo viene sostituito dal nesso stimolo-interpretazione-risposta.

Mead afferma anche che l'individuo sviluppa il concetto di sé mediante il processo chiamato assunzione di ruolo degli altri. L'individuo diventa cioè cosciente di sé stesso imparando a guardarsi con gli occhi degli altri individui e imparando ad assumere i ruoli altrui. Quando l'individuo è capace contemporaneamente di calarsi nei ruoli di una molteplicità di altri soggetti, egli è in grado di guardare se stesso dalla prospettiva dell'altro generalizzato.

All'interazionismo è stato riconosciuto il merito di aver superato il determinismo sociale (proprio degli approcci funzionalistici ed anche del marxismo) e il behaviorismo watsoniano.

Blumer, allievo di Mead, ha sviluppato in maniera sistematica le idee del maestro. Secondo Blumer l'interazionismo simbolico riposa su tre premesse fondamentali:

  1. Gli esseri umani agiscono sulla base di significati che essi stessi danno agli oggetti e agli eventi e non reagiscono semplicemente a stimoli esterni quali le forze sociali, o a stimoli interni quali gli impulsi fisiologici. L'Interazionismo simbolico quindi rifiuta tanto il determinismo sociale quanto quello biologico.
  2. I significati nascono dal processo di integrazione piuttosto che essere presenti ab origine.
  3. I significati sono il risultato di procedimenti interpretativi impiegati dai soggetti all'interno delle varie interazioni.

Blumer afferma che la prospettiva interazionistica si pone in netto contrasto con la visione dell'azione sociale offerta dalla sociologia corrente. Invece di essere considerato il creatore del proprio mondo sociale, l'uomo è descritto come una creatura che risponde passivamente alle coercizioni esterne, le cui azioni sono modellate dai bisogni del sistema sociale e dai valori, dai ruoli e dalle norme che lo costituiscono. Pur criticando coloro che descrivono l'azione umana come una risposta prevedibile e determinata da coercizioni esterne, Blumer ammette che le strutture sociali possano incidere nelle diverse conurazioni di ruoli, che possono quindi fornire degli orientamenti generali per la condotta; all'interno di tali orientamenti esiste però un grande spazio di manovra.

Individualismo metodologico Si propone non tanto quale teoria, quanto piuttosto quale metodo da adottare nello studio dei fenomeni sociali, sotto il profilo storico, economico ed anche sociologico. L'individualismo metodologico nasce da una molteplicità di influenze teoriche che possono essere riportate a tre nuclei fondamentali.

a)       La sociologia dell'azione elaborata da Weber.

b)       L'utilitarismo dell'economia classica e in particolare le teorie di Ferguson, Dilthey e Menger.

Adam Ferguson aveva esplicitamente sostenuto che le istituzioni sociali sono il risultato sì dell'azione umana, ma non di un progetto coscientemente voluto e riconosciuto. Un secolo dopo, Dilthey affermava che ogni conurazione storica ha una sua unicità, una sua individualità, il che rende falso ogni tentativo di costruire una filosofia della storia, uno schema esplicativo dello sviluppo storico-sociale valido universalmente. Nello stesso anno in cui Dilthey sosteneva questa tesi, Menger approfondiva la questione della genesi delle istituzioni sociali, arrivando a concludere che sono gli individui sociali a creare inintenzionalmente le istituzioni, tramite l'interazione e spinti da motivazioni di utilità personale.

c)       Le prospettive epistemologiche di Von Hayek e di Popper.

Von Hayek sostiene la necessità, per lo studioso dei fenomeni sociali, di tenere ben separate le idee elaborate dalla gente intorno ad astratte entità collettive, quali lo Stato, la società, il sistema economico, dai fatti consistenti nelle concezioni che guidano l'azione dei singoli individui, motivandoli. Le scienze sociali devono occuparsi solamente dei fatti e non delle teorizzazioni intorno ai risultati dell'azione.

Popper sostiene che è necessario cercare di comprendere ogni fenomeno collettivo come qualcosa che deriva da azioni, intenzioni, attese e speranze di singoli individui, nonché dalle tradizioni create e conservate da costoro. Egli sostiene inoltre la necessità che le scienze sociali si impegnino ad analizzare le conseguenze sociali inintenzionali provocate dalle azioni umane intenzionali.

In sociologia quest'indirizzo metodologico è sostenuto da Raymond Boudon. Egli sostiene il carattere intenzionale delle azioni individuali nonché la loro intrinseca razionalità. Gli attori che sono impegnati in una situazione, le cui caratteristiche sono in qualche misura condizionanti, perseguono dei fini per raggiungere i quali, manipolando le risorse, danno luogo ad azioni significative. L'individuo è sempre un essere che agisce consapevolmente e che fornisce al proprio agire delle precise finalità da raggiungere: egli è cioè un essere che agisce intenzionalmente. Proprio perché l'azione è sempre opera di un essere pensante ed è sempre finalizzata, essa possiede, normalmente, anche una qualche razionalità. Partendo dall'azione individuale Boudon riesce anche a spiegare come elementi individuali riescono a diventare unità collettiva tramite quello che egli definisce ' effetto di aggregazione '. I fenomeni sociali vanno cioè analizzati come effetto di aggregazione di un insieme di azioni individuali, azioni che possono anche avere conseguenze ed effetti non previsti, non prevedibili e non desiderati dai soggetti agenti.



OLTRE IL DILEMMA OLISMO-INDIVIDUALISMO

Nella prospettiva di superamento della contrapposizione olismo-individualismo si collocano:

a)       La soluzione "volontaristica" elaborata da Parsons e ripresa da Alexander;

b)       La soluzione dialogica di Habermas;

c)       La soluzione della strutturazione proposta da Giddens.


a)      Parsons cerca di ricondurre ad un disegno interpretativo unitario i due fondamentali contributi teorici che hanno ispirato olismo e individualismo. Da Durkheim Parsons recepisce la centralità dei valori comuni quale fondamento della società. Da Weber riprende invece il concetto di intenzionalità dell'azione sociale concepita come l'orientamento di un soggetto nei confronti di una situazione. Ciò posto, Parsons definisce il sistema sociale in termini di interazione. Tale interazione è una relazione reciproca tra soggetti agenti specificata in termini di status e ruoli. Un sistema sociale è dunque un insieme di rapporti considerato non in relazione ai singoli individui, ma in relazione a diverse posizioni sociali (status) e alle attività del soggetto agente collegate a tali sue posizioni (ruoli).

Il sistema sociale costituisce solamente uno dei tre sistemi fondamentali che devono essere tenuti presente dal sociologo. Gli altri due consistono nel sistema della personalità dei singoli agenti e nel sistema culturale. Il punto di interconnessione tra il polo individualistico dell'azione e il polo olistico della struttura viene individuato da Parsons nei rapporti di interpenetrazione fra i tre sistemi. I modelli di comportamento propri del sistema culturale devono essere interiorizzati e diventare dunque parte del sistema della personalità assumendo in tal modo la conurazione di ' atteggiamenti di valore '; soltanto per effetto dell'interiorizazione dei valori istituzionalizzati ha luogo un'effettiva struttura sociale e gli strati più profondi della motivazione vengono impegnati nell'adempimento delle aspettative di ruolo. Per Parsons dunque il fattore effettivamente unificante su cui si fonda l'integrazione di tre sistemi di azione è individuabile del sistema culturale: esso funge da connettore tra individuo e sistema sociale.

A questa primazia del sistema culturale sugli altri si accomna la primazia di uno dei quattro elementi fondamentali dell'azione sociale individuati dallo stesso Parsons. Essi consistono nel soggetto agente, nello scopo, nella situazione, che comprende elementi controllabili e elementi non controllabili da parte dell'attore, e infine nell'orientamento normativo che, inducendo a scegliere determinati mezzi piuttosto che altri, garantisce la connessione tra i tre precedenti elementi e si pone come sovraordinato rispetto ad essi. In questo schema interpretativo il volontarismo rimane comunque centrale in quanto sono pur sempre gli uomini a dare vita ai valori che, diventati elementi della cultura, tendono a conurarsi come dati preesistenti rispetto ai singoli individui. La volontà è quindi sempre e comunque orientata.


Il lavoro di approfondimento teorico condotto da Alexander è proteso a superare le interpretazioni "unidimensionali" dei fenomeni sociali, comprese quelle volontaristiche, per approdare ad un approccio che egli definisce "multidimensionale".

Il tentativo di Alexander di risolvere il dilemma azione-struttura si può sintetizzare nel modo seguente. Innanzitutto egli mette a fuoco il rapporto tra struttura sociale, che per lui coincide sostanzialmente con l'ordine sociale, e attore sociale distinguendone due tipi.

Nel primo la struttura permane esterna all'attore, è vissuta da costui come costrittiva e l'applicazione della norma viene garantita da una sanzione esterna.

Nel secondo caso la struttura è interiorizzata dall'attore e assume il carattere di "norma ideale".

Alexander definisce l'azione come composta da quattro elementi: norme ideali e scopi, che costituiscono i fini dell'azione; mezzi e condizioni che costituiscono la situazione dell'azione. Ciò premesso, il legame tra azione e struttura si precisa nei termini seguenti:

  • le norme ideali costituiscono contemporaneamente sia un elemento della struttura sociale, in quanto interiorizzata, sia un elemento dell'azione, in quanto urano tra i fini dell'azione;
  • la struttura, intesa come entità esteriore all'attore, cioè come ordine sociale, costituisce a sua volta una condizione dell'azione.

Per Alexander il principio unificatore dei diversi elementi dell'azione viene individuato nella volontà, concepita come sforzo e impegno, la quale realizza la sintesi tra i fini dell'azione e la situazione dell'azione. L'elemento qualificante di quest'ultima e quindi costituito dalla volontà.

Lo sforzo di Alexander è diretto a costruire una teoria multidimensionale che, cioè, tenga conto contemporaneamente della dimensione razionale ( strumentale ) e di quella non razionale ( valoriale ), della dimensione volontaristica interna alla soggettività e dei condizionamenti esterni, della libertà ma anche della coercizione. La sua, però, alla fine, si conura ancora come una teoria sostanzialmente volontaristica in cui il rapporto azione-struttura resta ancora abbastanza elusivo e ambiguo.


b)      Influenzato dalla distinzione di Popper dei tre mondi, anche Habermas distingue tre diversi mondi: 1) il mondo oggettivo degli eventi; 2) il mondo sociale delle norme; 3) il mondo soggettivo dei dialoganti. A ciascuno di questi tre mondi corrisponderebbe una specifica modalità d'azione: al mondo oggettivo corrisponde l'"agire teleologico" (che mira cioè a raggiungere certi scopi prefissati di cui l'agire strumentale è una sottospecie). Al mondo sociale delle norme corrisponde l'agire regolato da norme. Si ha poi l'agire drammaturgico quando si ha un attore che si autorappresenta dinanzi agli altri come se fosse sulla scena teatrale.

Ognuno dei tre tipi di agire classificati tematizza solo una delle funzioni del linguaggio. Habermas concepisce a questo punto un quarto tipo di agire che sfrutta contemporaneamente tutte e tre le funzioni del linguaggio e si riferisce pertanto a tutti e tre i tipi di mondo. Si tratta dell'agire comunicativo, un agire in cui entra in gioco la dimensione linguistica, rientrante tra le caratteristiche che distinguono l'uomo dalle bestie: "si riferisce all'interazione di almeno due soggetti capaci di linguaggio e di azione che (con mezzi verbali o extraverbali) stabiliscono una relazione interpersonale". Nell'agire comunicativo i soggetti interagenti maturano un'intesa linguistica nella quale ammettono che la validità delle loro espressioni linguistiche venga in primo luogo contestata dagli altri attori e che, successivamente, si arrivi ad un accordo sulla validità delle stesse espressioni. Secondo Habermas, l'agire strumentale e l'agire comunicativo definiscono due sfere diverse ma tra loro complementari della società in cui ci troviamo a vivere: la società come "sistema" e la società come "mondo della vita". Il sistema, come suggerisce il suo nome, è qualcosa di rigidamente disciplinato dall'agire tecnico, strumentale e strategico: esso trova i suoi elementi caratterizzanti nel denaro (sfera economica) e nel potere (sfera politica, burocratica, statale). Contrapposto al "sistema" è quello che Habermas definisce "mondo della vita". il "mondo della vita" è caratterizzato dall'agire comunicativo, da valori condivisi, da spontaneità, da tradizioni; esso fa, per così dire, da sfondo e da orizzonte dell'agire comunicativo, rendendolo possibile. Per usare le parole di Habermas, il mondo della vita è "il luogo trascendentale nel quale parlante ed ascoltatore si incontrano, nel quale possono avanzare reciprocamente la pretesa che le loro espressioni si armonizzino con il mondo (quello oggettivo, sociale e soggettivo) e nel quale essi possono criticare e confermare queste pretese di validità, esternare il proprio dissenso e raggiungere l'intesa". Tra il "sistema" e il "mondo della vita" vige un rapporto conflittuale. Habermas è convinto che il "sistema", in particolare lo Stato coi suoi apparati di potere e il suo ordinamento economico, si sia reso autonomo rispetto al mondo della vita, entrando poi in conflitto con esso: cercando di intromettersi nel mondo della vita, il sistema ne minaccia l'esistenza. Infatti, il potere e il denaro (che caratterizzano il sistema) sono per loro natura non solo un qualcosa che non comunica, ma anche un qualcosa che tende ad azzerare la comunicazione, creando sudditanza e passività. Alla luce di questa considerazione, occorre combattere strenuamente per difendere il mondo della vita dai reiterati tentativi di colonizzazione violentemente esercitati dal sistema.


c)      Anche la teoria di Giddens costituisce uno sforzo di conciliare i termini di azione e struttura. L'azione è per Giddens la risultante del concorso di inconscio, conseguenze impreviste e soggettività dell'attore. I primi due elementi operano al di fuori della capacità di controllo dell'attore, mentre il terzo, e più importante, la soggettività dell'attore, consiste nella capacità del soggetto di svolgere un'attività competente e cosciente nella vita sociale.

A sua volta la soggettività dell'attore si articola in tre componenti:

Il controllo riflessivo, che si riferisce al carattere intenzionale dell'agire. Pur essendo intenzionale esso è fondamentalmente radicato nella coscienza pratica ed è quindi relativo ad abitudini e azioni abitudinarie: si agisce in un certo modo senza interrogarsi ogni volta sul perché dell'agire stesso (routine).

La razionalizzazione, che opera da supporto al controllo riflessivo ed è radicata nella coscienza discorsiva che consente all'attore di spiegare verbalmente le ragioni del suo agire.

La motivazione, che interviene eccezionalmente, in quanto non è coinvolta in modo diretto nella continuità dell'agire. Essa si manifesta solo quando si spezza la routine della vita quotidiana per una qualsiasi causa.

Le azioni sociali si collocano e si organizzano, secondo Giddens, sempre in un preciso ambito spazio-temporale. Secondo Giddens la struttura è virtuale e quindi non può essere pensata in termini concreti se non quando prende forma nei momenti della creazione del sistema, con riferimento a uno specifico ambito spazio-temporale. Giddens precisa il suo concetto di struttura definendola come un insieme organizzato di regole e risorse continuamente impiegate nella riproduzione dei sistemi sociali. Apprendere una regola significa sapere cosa si debba fare in tutte le situazioni in cui questa può essere applicata; mettere in pratica una regola significa generare una forma di utilità. Con il termine risorse Giddens si riferisce invece a qualunque tipo di vantaggio o capacità che gli agenti mettono in gioco al fine di influenzare la natura o il risultato di un processo di interazione. Tali risorse sono strumenti di potere.

Da qui il profilarsi di una dualità della struttura in quanto le regole e le risorse, cioè le proprietà strutturali, costituiscono da una parte il mezzo tramite il quale la vita sociale è prodotta e riprodotta nel corso di un'attività prevalentemente ripetitiva, dall'altra il risultato, prodotto e riprodotto, dell'agire gli esseri umani.



AZIONE E STRUTTURA

Alla luce delle varie analisi sociologiche e possibile dare una definizione di azione e di struttura cercando di considerare la loro relazione senza pretendere di conciliare olismo e individualismo.


Azione sociale. Per azione sociale intendiamo un agire, dotato di senso, intenzionale, teleologico, orientato da norme, riferito ad una situazione, che offre opportunità e pone vincoli.

Assumiamo pertanto che l'azione abbia un senso, cioè un significato per il soggetto agente, significato che ha comunque una rilevanza nell'orientare l'azione verso una determinata meta.

Un'azione è anche intenzionale poiché il soggetto agente ha sempre una consapevolezza riflessiva di propri stati e attività mentali. Indubbiamente l'intenzionalità può variare di grado a seconda del tipo di azione considerata. Per esempio un agire abitudinario rappresenta a pieno titolo un agire sociale, anche se intenzionalmente meno ricco rispetto quell'orientato ai valori: guidare l'automobile può conurarsi come agire abitudinario, ma è pur sempre intenzionale.

La teleologicità rappresenta invece un predicato dell'azione in quanto si ritiene che quest'ultima tenda sempre a uno scopo. L'intenzionalità e la teleologicità costituiscono due caratteri che non possono mai essere disgiunti da una presenza di elementi normativi, intrinseci a loro volta ad ogni forma di vivere sociale. Infatti l'azione totalmente libera da norme è una mera astrazione, in quanto ogni attore colloca il proprio agire in un contesto concreto che presenta, al proprio interno, elementi che favoriscono ed elementi che contrastano l'agire stesso.

Un'azione può dirsi sociale quando presenta almeno una delle tre seguenti condizioni:

  1. l'attore ha come riferimento una situazione che include altri soggetti dei quali egli tiene conto in vista dell'azione e nel corso di essa;
  2. l'attore è in rapporto con altri attori che dispongono di risorse caratteristiche in grado di influenzare la sua azione;
  3. l'attore condivide con altri una serie di valori, di modelli di comportamento, di simboli, cioè una cultura, antropologicamente intesa.

Nel caso in cui tutte tre le condizioni siano contemporaneamente presenti l'azione sociale assume un carattere particolare cioè si conura come azione strutturata che, in quanto tale, presenta sempre un certo grado di standardizzazione e quindi l'imprevedibilità, superiore a quello delle azioni non strutturate.


Struttura. La struttura consiste in un insieme relativamente stabile di elementi. Va però precisato che la struttura è qualcosa di più della semplice somma delle parti che costituiscono un determinato oggetto. In termini generali il concetto di struttura implica quindi un insieme di comportamenti ma anche il particolare modo in cui essi sono collegati tra loro.

Con riferimento alla struttura la qualificazione di sociale dell'individuo è decisamente connessa alla posizione sociale, che a sua volta costituisce un forte dato strutturale, in quanto non è altro che il posto che un soggetto occupa all'interno di una struttura sociale. Di conseguenza, quest'ultima si può definire come un insieme relativamente stabile di posizioni sociali differenziate e interdipendenti.

Nella differenziazione e nell'interdipendenza individuiamo i due caratteri essenziali di ogni struttura sociale. La struttura sociale è quindi nel contempo:

  • struttura di posizioni sociali differenti in cui è distribuita una determinata popolazione;
  • struttura di relazioni che collegano tra loro le varie posizioni.

Ruolo. Il ruolo consiste in un genere di azione strutturata che si specifica inoltre per la presenza di altre tre ulteriori caratteristiche. Più precisamente esso:

  1. si riferisce sempre a una specifica posizione sociale;
  2. possiede sempre una dimensione normativa;
  3. presenta sempre il carattere della reciprocità.

Il ruolo consiste dunque nel modo in cui si comporta, o si deve comportare, l'attore che occupa una particolare posizione. In secondo luogo il ruolo assume sempre un qualche carattere di doverosità. In terzo luogo l'agire di ruolo si presenta sempre come reciproco, in quanto esso non può realizzarsi se non in presenza di un'interfaccia adesso collegata.

Nonostante il carattere strutturale e in qualche modo normativo del ruolo, l'agire di ruolo presenta sempre una discrezionalità, più meno elevata, da parte di chi lo svolge. Accanto a una discrezionalità dell'agire di ruolo occorre riconoscere anche una personalizzazione dello stesso. Come nelle rappresentazioni teatrali l'attore deve attenersi al copione ma è libero di dare un'interpretazione personale al personaggio che rappresenta, così nella vita reale ogni individuo è portato in qualche misura a personalizzare il ruoli che svolge.

Occorre infine ribadire il fatto che non tutto l'agire, ancorché sociale, consiste in un agire di ruolo.

L'agire umano contempla infatti quattro diverse espressioni: agire, agire sociale, agire strutturato, agire di ruolo.


La socializzazione: nesso azione-struttura. L'agire umano appare scarsamente programmato dal punto di vista biologico. Di conseguenza l'agire degli uomini si basa in larga misura sull'apprendimento e, solo in minima parte, sull'istintività, cioè su modelli complessi di comportamento determinati dai geni, elementi innati. Al contrario, negli animali il comportamento pare essenzialmente istintivo in quanto le conoscenze di cui dispongono sono soprattutto impresse nel patrimonio genetico. Proprio in conseguenza del fatto che il comportamento degli animali è fondamentalmente prescritto dalla programmazione genetica, coloro che appartengono ad una stessa specie danno vita a un medesimo tipo di società. Al contrario, nella specie umana, il patrimonio genetico è scarsamente rilevante e c'e ragione di ritenere che esso possa incidere solo nel condizionale le potenzialità dell'agire e non il contenuto effettivo dell'azione. Da ciò dipende il fatto che gli esseri umani, che pur appartengono ad una medesima specie, non solo costituiscono società tra loro molto diverse ma sono anche in grado di modificarle senza che si modifichi la loro costituzione biologica.

La cultura è una creazione umana, non acquisita biologicamente, prodotta, riprodotta, modificata e trasmessa da una generazione all'altra. Essa alla duplice funzione di fornire, a livello individuale, delle guide all'agire dell'essere umano, altrimenti incapace di orientarsi in quanto scarsamente programmato biologicamente, mentre a livello collettivo, ha quella di assicurare un insieme di prescrizioni, di regole e di istituzioni dirette a governare i membri di un gruppo sociale. Per poter disporre dei contenuti di conoscenza, cioè della cultura, l'uomo deve necessariamente apprenderli.

La capacità di apprendimento costituisce il prerequisito affinché si possa attuare il processo di socializzazione. Se la cultura è il contenuto della conoscenza, la socializzazione costituisce il mezzo tramite il quale essa viene fatta propria dell'individuo.

La socializzazione consiste infatti nel processo mediante il quale l'individuo, da essere esclusivamente biologico, diventa membro di un determinato gruppo sociale.

Generalmente si distingue tra una socializzazione primaria e una socializzazione secondaria. La primaria è tale non solo perché avviene nei primi anni di vita dell'essere umano, ma anche perché è ritenuta quella attraverso cui si ha soprattutto la formazione della personalità.

La socializzazione secondaria consiste invece nell'interiorizzazione di ' sottomondi 'istituzionali, cioè nell'acquisizione delle conoscenze relative ai diversi ruoli ed ambiti esistenziali ciascuno dei quali, a sua volta, rispecchia e assicura la divisione del lavoro esistente nella società.

L'apprendimento linguistico rappresenta una costrizione per l'uomo: è infatti qualcosa che viene imposto sin dalla più tenera età e che implica il dover apprendere determinate regole alle quali sia vincolati. Una volta acquisita, la lingua diventa però uno strumento necessario sia per conseguire una propria coscienza sia per esprimersi consapevolmente.


Rimodulando quindi il processo di socializzazione consente di approfondire il nesso esistente tra azione e struttura superandone la dicotomia. Infatti tramite la socializzazione gli esseri umani risultano condizionati da fattori strutturali ( famiglia, scuola, fabbrica, ufficio, associazioni, ecc. ) e sono indotti ad operare in modo tendenzialmente congruente con le esigenze della struttura. Essa però dipende, da parte sua, dall'agire di individui socializzati i quali non solo la creano, ma la ricreano e la modificano tramite la loro attività quotidiana.


L'ETERROGENEITA' DELLE AZIONI E DELLE TRUTTURE SOCIALI

Data la complessità dell'azione è impossibile ridurla a un unico tipo; appare opportuno quindi al fine di individuare precisi nessi fra i singoli tipi di azione e la struttura sociale, distinguere l'azione in storica, teleologico-normativa e adattiva.


Azione storica

Per azione storica si intende un'azione inaspettata che presenta quindi sempre un carattere di novità e che comporta l'assunzione di un rischio da parte del soggetto che la compie, a causa dell'incertezza dell'esito e della rilevanza delle conseguenze, prevedibili e non prevedibili.

L'azione storica può essere colta in modo emblematico da quella che Goffman definisce 'azione fatale'. Per arrivare a mettere a fuoco quest'ultima occorre richiamare la distinzione tra azioni problematiche e azioni consequenziali. Le prime si qualificano per l'incertezza del loro esito positivo. La consequenzialità è invece intesa come 'la capacità di un risultato di andare oltre quelli che sono i confini dell'occasione in cui esso viene determinato e di esercitare un'influenza obiettiva sul resto della vita di colui che scommette '.

L'azione fatale è quella che presenta nel contempo i tratti della problematicità e della consequenzialità.

Inoltre l'azione fatale si caratterizza per due proprietà strettamente connesse tra loro:

  • una proprietà soggettiva, che consiste nel possesso di virtù morali, soprattutto il coraggio, che conura un attore come individuo che ' ha carattere ';
  • una proprietà oggettiva, che è il rischio, che dipende sia dell'incertezza dell'esito positivo sia dalla rilevanza delle conseguenze.

L'azione fatale di Goffman presenta, quindi, le seguenti caratteristiche:

  1. in primo luogo essa esercita un impatto, sul corso di accadimenti del mondo e sulla stessa biografia dell'attore che produce delle modifiche in entrambi.
  2. In secondo luogo l'azione fatale incide sulla personalità dell'attore nel senso che rivela inaspettatamente in qualche misura il carattere dell'attore.
  3. In terzo luogo essa si conura come esercizio di virtù morali, quali anzitutto il coraggio.
  4. Infine l'azione fatale assume il connotato di decisione.

Questa particolare scelta di azione, che ha il carattere di decisione, è caratterizzata dal fatto di produrre conseguenze irreversibili e illimitate.


Il nesso azione storica-struttura si qualifica per una relativa indipendenza dell'agire nei confronti delle strutture. Proprio a causa di tale indipendenza l'azione storica è in grado di intervenire attivamente sulla struttura, spesso in modo innovativo.


Azione teleologico-nomativa

Si tratta di un'azione conforme a norme e orientata al perseguimento di una meta e che, pertanto, comporta sempre una proiezione nel futuro.

Talcott Parsons nella sua teoria volontaristica dell'azione individua nei seguenti elementi lo schema di riferimento dell'azione:

  1. colui che compie l'atto, cioè l'attore;
  2. il fine dell'azione, che conferisce allo schema dell'azione un carattere teleologico, in quanto rappresenta la definizione di uno Stato futuro anticipato mentalmente dall'attore;
  3. la situazione, che è il luogo in cui l'azione si svolge e che comprende le condizioni, cioè gli elementi che l'attore non è in grado di controllare;
  4. l'orientamento normativo.

La norma e il fine chiamano in causa la volontà dell'attore e le conferiscono una rilevanza prioritaria rispetto alla facoltà conoscitiva. La volontà, infatti, si manifesta sia nello sforzo e dell'impegno necessari per conseguire il fine percepito dall'attore con un ideale a cui aspirare, sia nel conformare il corso dell'azione alle norme dell'azione stessa.


Questo tipo d'azione presenta sempre la natura di interpenetrazione nei confronti delle strutture sociali. L'individuo, all'inizio della sua biografia, si trova di fronte a strutture sociali che sono a lui esterne e a lui preesistenti. Queste ultime manifestano la loro connotazione normativa nella misura in cui il soggetto le fa proprie attraverso il processo di interiorizzazione delle norme, motivo per cui, quando ubbidisce ad esse egli è convinto di ubbidire alla propria coscienza, cioè a qualcosa che è a lui interno.

Questo duplice processo di interiorizzazione, a livello individuale, e di socializzazione, a livello strutturale, da luogo quindi ad una interpenetrazione, nel senso che l'individuo interiorizza la struttura e la struttura integra il soggetto.


Azione adattiva

L'azione adattiva si caratterizza per il fatto di rapportare un soggetto a una realtà situazionale a lui esterna in modo tale da eliminare lo squilibrio insorto in questo rapporto. Si tratta di un'azione caratterizzata da un elevato automatismo e fortemente condizionata dall'ambiente.


L'essenza dell'azione adattiva consiste nel tendere a ristabilire un equilibrio che si è alterato tra un attore e il suo ambiente. Quest'ultimo è composto anche da strutture sociali che presentano sempre una connotazione normativa, cioè un insieme di regole per l'azione. Le strutture sociali vengono percepite come espressione di norme definite ' tecniche ', la cui osservanza produce cioè automaticamente un risultato utile per chi agisce. L'individuo instaura quindi, in questo caso, un rapporto utilitaristico con le norme che si conura essenzialmente come mezzi per ottenere determinati vantaggi. Ci si conforma alla richiesta della struttura sostanzialmente per tre ragioni: per abitudine, per non rinunciare a un vantaggio, per non subire un danno.




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