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Declino e caduta dell'impero (193-476)

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Declino e caduta dell'impero (193-476)

I Severi (193-235)


I brevi regni di Pertinace e di Didio Giuliano (193 d.C.) furono seguiti da quello di Lucio Settimio Severo (193-211 d.C.) - capostipite della dinastia dei Severi - che dovette però contrastare nei primi anni di regno ben due usurpatori del potere imperiale: Pescennio Nigro in Oriente e Clodio Albino in Britannia. Questo fatto dava la misura della difficoltà nel governare un impero tanto militarizzato, ove le legioni di stanza nelle diverse province tentavano sempre più spesso di acclamare imperatore il proprio comandante, sperando in future agevolazioni e vantaggi.

Alla dinastia severiana, di breve durata, appartennero gli imperatori Caracalla, Eliogabalo e Alessandro Severo. Di Settimio Severo si debbono ricordare le numerose vittorie militari in Oriente, che salvaguardarono i confini dell'impero e contribuirono da un lato ad accentuare ancora di più l'importanza dell'esercito nella società romana e dall'altro a dissanguare le finanze pubbliche. Il lio Caracalla (211-217) fu ricordato dalla tradizione senatoria per la sua brutalità, giacché iniziò il suo principato facendo uccidere il fratello Geta; motivi d'ordine politico, dovuti alla necessità di accrescere il proprio consenso, ma anche d'ordine economico, al fine di 'creare' nuovi cittadini da sottoporre a pesante pressione fiscale, lo spinsero nel 212 a concedere la cittadinanza romana a tutti gli uomini liberi dell'impero attraverso la Constitutio antoniniana.



Alla sua morte ci fu l'acclamazione imperiale del prefetto del pretorio Marco Opellio Macrino (217-218), che venne però l'anno successivo spodestato a vantaggio di Eliogabalo (218-222), giovanissimo nipote di Settimio Severo e sacerdote del dio solare Elagabal (da cui il suo soprannome, poiché il suo nome originario era Vario Avito). Avveniva così un fatto che testimoniava più di ogni altro la crisi dei valori della religione tradizionale, e cioè la creazione di un principe quattordicenne, sacerdote di un culto orientale tradizionalmente estraneo alla religiosità romana. A Eliogabalo successe Alessandro Severo (222-235), che dovette far fronte a numerose situazioni critiche dal punto di vista militare, specialmente nell'area mesopotamica e sul limes renano, ove venne ucciso da un'insurrezione di truppe romane; fu quindi imposto sul trono il rozzo generale Massimino, di origine tracia, e venne così messo fine alla dinastia dei Severi.


Dall'anarchia militare all'avvento di Diocleziano (235-284) 


Il periodo successivo alla morte di Alessandro Severo corrispose a una fase estremamente confusa nella storia dell'impero. Quasi tutti gli imperatori che regnarono negli anni seguenti morirono di morte violenta, spesso per mano degli stessi soldati che li avevano posti sul trono. Essi furono, dopo Massimino, gli africani Gordiano I e Gordiano II (238); gli anziani senatori Pupieno e Balbino (238); il giovanissimo Gordiano III (238-244); l'ex prefetto del pretorio Filippo l'Arabo (244-249); il generale Decio (249-251), feroce persecutore dei cristiani; Treboniano Gallo (251-253); Emiliano (253); Valeriano (253-260), che regnò col lio Gallieno (253-268), che gli sopravvisse e fu fautore di una politica di stampo orientalizzante, in una fase in cui gravissimi problemi militari ed economici angustiavano l'impero. Tutto ciò senza contare i numerosi usurpatori (tra i quali Postumo, Ingenuo, Regaliano, Macriano, Quieto, Aureolo, Vittorino), che periodicamente venivano acclamati principi in varie località dell'impero.

Con gli imperatori illirici, originari dell'area oggi conosciuta come Dalmazia, vi fu una fase di ripresa del prestigio di Roma: Claudio II, soprannominato il Gotico (268-270), ricacciò i goti oltre i confini, mentre Aureliano, che regnò tra il 270 e il 275 (dopo il regno di Quintillo, durato solo pochi giorni) sconfisse i goti, i germani e Zenobia, regina di Palmira, che aveva occupato parte dell'Egitto e dell'Asia Minore costituendovi un regno autonomo. Aureliano promosse anche numerose riforme in ambito economico (con una pesante svalutazione della moneta), sociale (riorganizzando le associazioni professionali) e religioso (trasformando il culto solare nel culto supremo ufficiale dello stato).

Il regno di Aureliano fu seguito da una rapida successione di imperatori di durata relativamente breve - Claudio Tacito (275-276), Floriano (276), Probo (276-282), Caro (282-283), Carino (283-285) e Numeriano (283-285) - che dovettero difendere i confini dell'impero da numerose incursioni nemiche e allo stesso tempo lottare contro gli ormai consueti usurpatori, particolarmente frequenti nella regione gallica (tra i quali Tetrico, Vaballato, Proculo, Bonoso): tutto ciò fino all'ascesa al trono nel 284 di Diocleziano, anch'egli di origine illirica e di estrazione militare.


Dalla tetrarchia alla morte di Teodosio (284-395) 


Diocleziano (284-305), dopo la proclamazione imperiale, introdusse numerose riforme che diedero all'impero un volto decisamente nuovo. Per realizzare un'amministrazione unitaria dell'impero, egli provvide a una sua divisione politico-amministrativa e associò anzitutto al principato Massimiano che ricevette il titolo di augusto, anche se l'epiteto 'Giovio' (connesso con Giove) di Diocleziano rispetto a quello di 'Erculeo' (connesso con Ercole) tributato a Massimiano poneva quest'ultimo in una posizione lievemente subordinata. I loro poteri furono rafforzati dalla nomina di due collaboratori (e futuri successori) cui fu concesso il titolo di cesare: Galerio e Costanzo Cloro. Alla coppia Diocleziano-Galerio, le cui corti risiedettero rispettivamente a Nicomedia (in Bitinia) e a Sirmio (nell'Illirico), venne affidata la gestione delle province orientali; Massimiano e Costanzo Cloro governarono invece l'Occidente e l'Africa, risiedendo rispettivamente a Milano (in Italia) e a Treviri (in Germania).

Tutto ciò fu fatto nel tentativo di razionalizzare la struttura stessa dell'impero - suddiviso allora in cento province, raggruppate in dodici diocesi dipendenti da vicari del prefetto del pretorio - e di esautorare così il senato da qualunque compito di controllo sui domini imperiali. Questo sistema, conosciuto come tetrarchia (cioè 'governo dei quattro'), se creò un apparato amministrativo più forte accrebbe però la già pesante burocrazia del governo imperiale, le cui quattro corti e i rispettivi funzionari esercitavano un peso finanziario insostenibile sulle risorse economiche dell'impero. A questo proposito, Diocleziano e i suoi coreggenti cercarono di frenare l'inflazione crescente controllando i prezzi dei generi alimentari e il salario massimo dei lavoratori (edictum de maximis pretiis rerum venalium, del 301), e inasprirono la pressione fiscale anche a danno dell'Italia, omologata ormai a una qualsiasi provincia; inoltre, nella convinzione che il cristianesimo minasse la struttura dell'impero, nel 303 scatenarono contro i cristiani una violenta persecuzione.

Diocleziano e Massimiano abdicarono nel 305, lasciando i nuovi augusti e i nuovi cesari alle prese con un conflitto di successione sfociato in una lunga guerra civile, che ebbe termine soltanto con l'ascesa al trono di Costantino (306-337). Dimostrazione, questa, che qualunque riforma era insufficiente a rianimare completamente un'istituzione, quella imperiale, che se si era retta per secoli sulle armate legionarie, trovava ora nella discordia tra queste un elemento costante di destabilizzazione (anche durante il regno dei tetrarchi non erano mancati due usurpatori: Carausio e Alletto). Riassumendo brevemente la contesa per la successione, si può ricordare che vi furono coinvolti i due ex cesari e nuovi augusti Galerio e Costanzo Cloro, i loro cesari Massimino Daia e Flavio Valerio Severo, nonché il lio di Massimiano (Massenzio), il lio di Costanzo Cloro (Costantino), e Licinio, già amico e comno d'armi di Galerio.

Costantino, acclamato augusto dall'esercito in Britannia, prevalse sui suoi rivali riuscendo a unificare l'impero d'Occidente sotto la sua guida nel 312, lasciando l'Oriente a Licinio; ma, dopo avere sconfitto anche quest'ultimo, nel 324 restò solo a governare l'impero. Con lui la monarchia completava quel carattere autocratico e sacrale che già Diocleziano aveva fortemente accentuato e che culminò nel 330 quando Costantino spostò la capitale a Bisanzio, che ribattezzò con il nome di Costantinopoli (l'odierna Istanbul), e cioè 'città di Costantino'. L'imperatore si ornò del diadema e introdusse un complesso cerimoniale di corte, luogo ove si convocava il consiglio dei suoi collaboratori detto concistoro (consistorium), divenuto ormai il massimo organo dello stato, essendo il senato ridotto da tempo a una funzione puramente decorativa.

Particolarmente importante fu il ruolo che Costantino ebbe in campo religioso. Non è chiaro se egli divenne davvero cristiano, come vuole una parte della tradizione; sappiamo però che nel 313 emanò a Milano un editto che consentiva libertà religiosa nell'impero, e che, proclamatosi in gioventù protetto dal dio Sole-Apollo-Mitra, giocò poi sulla possibile identificazione di questa entità con il dio cristiano, cercando di non dispiacere né ai ani né ai cristiani. E quando nel 325 convocò egli stesso il concilio di Nicea per dirimere complesse dispute teologiche in seno alla Chiesa cristiana, mostrò la nuova interpretazione data al ruolo, da lui ricoperto, di pontefice massimo: quella di supremo e attento controllore di tutti i culti praticati nell'impero, consapevole delle enormi conseguenze politiche che questi potevano avere.

La morte di Costantino, nel 337, segnò l'inizio della guerra per la successione tra i suoi li Costantino II, Costante e Costanzo II, finché quest'ultimo non riunì l'impero sotto di sé nel 353. Gli succedette nel 361 il dottissimo genero Giuliano l'Apostata (361-363), che ripudiò il trionfante cristianesimo per ripristinare gli antichi culti ani e che morì combattendo contro i parti; dopo di lui, Flavio Gioviano regnò dal 363 al 364. Fece seguito il regno di Valentiniano I (364-375), che associò al potere il fratello Valente (364-378), lasciandogli il governo dell'Oriente; terribile sorte toccò a quest'ultimo, sconfitto e ucciso dai goti nella battaglia di Adrianopoli, uno dei segnali più chiari delle difficoltà dei romani a difendere i confini dell'impero - già minato nel suo interno dalla presenza di nuovi usurpatori - dalle incursioni delle popolazioni germaniche.

Regnarono poi sull'Occidente i li di Valentiniano I, Flavio Graziano (375-383) e Valentiniano II (375-392), che dovettero contrastare gli usurpatori Magno Massimo e Flavio Eugenio, e sull'Oriente Teodosio I (379-395), già luogotenente di Graziano, che alla morte di Valentiniano II riunificò brevemente l'impero sotto la sua autorità. Con Teodosio, nel 380, il cristianesimo divenne l'unica religione dello stato e iniziarono quindi le persecuzioni antiane. Quando egli morì, l'impero fu stabilmente diviso in due parti, affidate allora ai suoi due li, Arcadio, imperatore d'Oriente (che regnò dal 395 al 408), e Onorio, imperatore d'Occidente, che governò dal 395 al 423 e che nel 404 trasferì la capitale a Ravenna.


Il declino finale e il crollo dell'impero d'Occidente (395-476) 


Nel corso del V secolo le province dell'impero d'Occidente vennero impoverite dalle tasse imposte per mantenere l'esercito e l'apparato burocratico, oltre che dai saccheggi dovuti a guerre interne e alle invasioni barbariche. Inizialmente, l'idea di conciliarsi gli invasori attribuendo loro cariche militari e amministrative nel quadro dell'esercito e del governo romano ebbe qualche successo. Ma, gradualmente, i popoli che premevano da Oriente cominciarono a mirare alla conquista dei territori d'Occidente e alla fine del IV secolo Alarico I, re dei visigoti, occupò l'Illiria e devastò la Grecia. Nel 410 egli conquistò e mise al sacco Roma, ma morì poco dopo.

Il suo successore, Ataulfo (410-415), guidò i visigoti in Gallia e nel 419 il re visigoto Vallia ricevette dall'imperatore Onorio la concessione formale di stabilirsi nella Gallia sudoccidentale dove fondò, a Tolosa, una dinastia visigota. Già a questa data tuttavia la Sna era di fatto sotto il controllo dei vandali, degli svevi e degli alani, tanto che Onorio fu costretto a riconoscere loro l'autorità su quella regione. Durante il regno del successore di Onorio, Valentiniano III (425-455), Cartagine fu conquistata dai vandali guidati dal re Genserico, mentre la Gallia e l'Italia furono invase da Attila, alla testa degli unni, una popolazione di stirpe mongolica.

Attila marciò dapprima sulla Gallia, ma i visigoti, convertitisi al cristianesimo e ormai pressoché romanizzati, gli si opposero, e nel 451 gli unni furono sconfitti ai Campi Catalaunici (presso l'odierna Chalons-sur-Marne) dal generale romano Flavio Ezio. Successivamente Attila invase la Pianura Padana, ma, secondo la tradizione, venne dissuaso a marciare verso Roma da papa Leone Magno; morì poi nel 453. Nel 455 Valentiniano III, ultimo rappresentante della dinastia teodosiana in Occidente, fu assassinato, lo stesso anno in cui fu effettuato un secondo gravissimo sacco di Roma, ad opera dei vandali di Genserico. Tra questa data e il 476 il governo d'Occidente fu affidato a numerosi imperatori 'fantoccio', in balia dei barbari invasori, nessuno dei quali seppe in alcun modo contrastare il disfacimento dell'istituzione imperiale. Essi furono: Petronio (455), Avito (455-456), Maggioriano (457-461), Libio Severo (461-465), Antemio Procopio (467-472), Olibrio (472), Glicerio (473-474), Giulio Nepote (474-475), Romolo Augustolo (475-476).

L'ultimo imperatore romano d'Occidente, Romolo Augustolo, fu deposto da Odoacre, capo dei mercenari eruli, che governò l'Italia col semplice titolo di 'patrizio' finché non venne sconfitto e ucciso nel 493 dagli ostrogoti di Teodorico, che assunsero il controllo della penisola. Nel resto dell'impero, le popolazioni germaniche andavano costituendo della nuove entità geopolitiche nei territori da loro invasi, che genericamente chiamiamo regni romano-barbarici. Il rifiuto da parte di Odoacre delle titolature ufficiali, che da Augusto in poi avevano rappresentato la composita natura del potere imperiale, era il segno del loro anacronistica vacuità; dal 476 in poi, infatti, l'unica istituzione legittimamente erede del nome romano fu l'impero romano d'Oriente, o impero bizantino, che durò fino al 1453, anno della caduta di Costantinopoli per mano dell'ottomano Maometto II il Conquistatore.

Alle cause del crollo dell'impero romano d'Occidente concorse senza dubbio la fine dei valori tradizionali della cultura, della civiltà, della religione romana, soppiantati da altri valori emergenti, primi fra tutti quelli del cristianesimo; a ciò si aggiunse un generale impoverimento di uno stato spossato dalla necessità ormai plurisecolare di difendere militarmente i propri estesi confini. L'Italia, già cuore pulsante dell'impero, aveva progressivamente perso gran parte del proprio patrimonio umano ed economico, complice la durissima politica fiscale del governo centrale, dovuta alle impellenti necessità belliche: le manifestazioni più evidenti di questa condizione furono la crisi demografica, la diffusione del latifondo, la disgregazione delle città. Un terzo importantissimo fattore furono le invasioni barbariche, cui già si è fatto riferimento, che trovarono sovente sul trono imperiale sovrani inadeguati alla gravità del momento. Infine, si può ben dire che il mondo antico, che per convenzione scolastica nel 476 cede il passo al Medioevo, ò allora il prezzo di aver voluto mantenere a tutti i costi l'intero mondo mediterraneo in un'unica organizzazione unitaria, a garanzia di un lungo periodo di pace, della prosperità economica, della vivacità culturale.





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