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SISTEMI DI ORGANIZZAZIONE DEI POPOLI SOTTOMESSI

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SISTEMI DI ORGANIZZAZIONE DEI POPOLI SOTTOMESSI



- Premessa: inquadramento storico -

Dopo il ritiro etrusco, Roma controlla un territorio estremamente ridotto (poco più dei sette colli) ed è circondata da popolazioni ostili: la forte Veio a Nord del Tevere mentre, muovendo verso est e verso sud, Latini Ernici Volsci ed Equi. In questa prima fase, che si prolunga non casualmente fino alle leges Liciniae-Sextiae del 367 a.C., la città si deve difendere circoscrivendo il proprio 'lebensraum' (lo spazio vitale): riesce gradualmente ad imporsi sui popoli confinanti e, risolti i problemi interni, procede pragmaticamente ad affrontare uno per volta i nemici con i quali entra territorialmente in contatto.



A) A sud-est Roma confinava con i bellicosi Sanniti, una confederazione di popoli diversi che si riunivano periodicamente per celebrare feste religiose a Boviano: stanziati in 15.000 kmq tra i fiumi Sangro e Ofanto, vennero vinti non senza fatica in tre guerre i Sanniti dichiarano guerra a Roma e in due o tre guerre vengono sottomessi, non senza fatica (343-290 a.C.). Alla fine della seconda guerra sannitica Roma aveva subìto anche l'onta delle 'forche caudine' dopo la grave sconfitta di Caudio (i soldati erano passati sotto un arco fatto con le lance) ma alla fine i Romani, avendo riorganizzato l'esercito e sperimentato la compattezza dell'alleanza patrizio-plebea, avevano vinto a Sentino (295 a.C.)

Nel frattempo i Latini, alleati a Roma nel Foedus, avevano parteggiato per i Sanniti cosicchè Roma sciolse il patto e stipulò trattati bilaterali applicando il principio del 'divide et impera' (338 a.C.)

B) Si verifica a questo punto il contatto con un'altra civiltà, quella magno-greca di Taranto, che controllava anche la Calabria e manteneva stretti rapporti con le città-stato della costa campana. I tarantini, abili commercianti ma modesti combattenti, essa chiamarono allora il Re dell'Epiro Pirro (discendente di Alessandro Magno) il quale, servendosi degli elefanti in precedenza sconosciuti ai Romani, vinse diverse battaglie ando però un altissimo prezzo di sangue. Tuttavia i Romani trovano il modo per evitare la massa d'urto degli elefanti che, analogamente ai carri armati contro la fanteria, facevano strage della falange oplitica, per definizione ferma e compatta: studiata la situazione, si decise di aprire la formazione, di circondarli e di sterminarli come avvenne a Maleventum nel 272 a.C. (città ribattezzata 'Beneventum'). A questo punto Roma è padrona di tutta Italia dall'Etruria allo Ionio.

C) Dopo il contatto con i magno-greci, Roma entra in collisione con Cartagine (che occupava Sicilia, Sardegna e Corsica): sino a quel momento, vi era stata una sostanziale spartizione delle zone di influenza per cui Cartagine stessa avrebbe controllato il Mediterraneo e Roma l'Italia (terraferma), sancita da trattati di allenza sempre rinnovati. Nel 264 i Mamertini, soldati mercenari conosciuti per la loro asprezza, avevano occupato Messina perché non erano stati ati dal tiranno di Siracusa: assediati da Siracusani e Cartaginesi, avevano chiesto aiuto a Roma. Incapaci di combattere per mare, i Romani adattano tecniche terrestri alla battaglia navale ricostituendo la gerarchia e l'ordine dello scontro campale (vengono inventati i 'corvi' ossia dei ponti levatoi che erano legati da una parte alla nave romana e dall'altra alla nave nemica con una punta di ferro alta più di un metro e mezzo calata nella tolda avversaria e così incastrata, in modo da creare una passerella su cui passavano le coorti romane ed alla fine Roma vince nel 241). Nel 238-37 i Romani occupano anche la Sardegna e la Corsica, istituendo nel 227 le prime provincie: sono ormai padroni del Tirreno e si avviano a diventarlo nel Mediterraneo.

Nel 218 e Annibale che porta la guerra in Italia, facendo passare gli elefanti dalle Alpi in inverno ad oltre i 1800 metri d'altezza, e che per dieci anni vince sempre: dopo la battaglia di Canne nel 216 Roma è allo stremo delle forze ma Annibale (per una pluralità di ragioni) decide di non assediarla, pur rimanendo in Italia. Roma, dopo avere 'preso tempo' con l'anziano dittatore Quinto Fabio Massino, si affida al giovanissimo Publio Cornelio Scipione: questi, che ammirava moltissimo Annibale e ne studiava le tecniche, portò la guerra in Sna (206) e poi in Africa (202) battendo i cartaginesi con i loro stessi metodi a Zama: Roma è padrona del mondo (salvo qualche lembo estremo di territorio).

D) Restavano la Grecia e l'Asia Minore: tre guerre macedoniche non particolarmente impegnative conducono alla occupazione della Grecia (culminata con la battaglia di Pidna del 168 a.C.) e al controllo della Siria e del Libano (che Annibale aveva cercato, una volta allontanato da Cartagine, di coalizzare contro Roma). Nel frattempo i Galli Cisalpini, sempre fuori tempo, si ribellano e sostengono l'inetto capitano cartaginese Magone ma vengono vinti in tre battaglie (Milano Como Brescia).

Seguono tre rifiniture ulteriori

- La terza guerra punica (146): l'ormai moribondo Catone sosteneva in Senato che Cartagine, libera ma imbelle, era comunque pericolosa perché era una comunque un polo di attrazione commerciale e catalizzava ideologicamente le simpatie di tutti i popoli sottomessi dai Romani. Egliu convince il Senato a distruggerla dalle fondamenta, spargendovi addirittura il sale e creando la Provincia d'Africa. Ciò significava che essa era consacrata agli Dei e dunque impraticabile per gli uomini, finchè Caio Gracco (in spregio a questo omen, presagio) non vi fonderà una colonia chiamata 'Iunonia', dando al Senato un pretesto per accusarlo di illegalità ed eliminarlo.

- La guerre giugurtina: un Re africano con velleità, Giugurta, aveva infastidito Roma e Mario lo liquidò nel 105 senza troppi problemi (poco prima era stata conquistata la Gallia Narbonense, ossia la attuale Provenza, importante corridoio per la Sna)

- La guerra sociale: solo nel 90 a.C. Roma è impegnata in Italia contro gli alleati (Socii), che si ribellarono non per avere l'indipendenza ma per godere degli stessi diritti dei Romani, attraverso la concessione della cittadinanza. Roma inizialmente perde sul campo di battaglia ma poi prevale col diritto, ossia introducendo tre leggi che divisero il fronte avversario sicché nell'88 tutta l'Italia è romana da Messina all'Appennino (restava la Gallia Cisalpina, presa poi nel 49 a.C. e onorata della cittadinanza da Cesare).



1. Principi fondamentali dell'espansionismo romano

Precisato che si deve parlare di 'espansionismo' e non di 'imperialismo' romano perché la conquista non venne mai dettata soltanto da motivi economici legati ai rapporti di produzione (come esattamente pensava Marx), i Romani governano l'impero ispirandosi ad alcuni criteri-guida:

- Empiria: hanno sempre senso pratico, duttilità nel senso che si adeguano alle situazioni sicchè dove governava un monarca accentratore come in Egitto si comportano lievemente meglio per non farlo rimpiangere, dove vigeva un sistema di libertà come in Grecia ne riafferma l'esistenza.

- Divide et impera: implica da un lato che si cerchi di dividere il fronte nemico per indebolirlo e scongerlo più facilmente ma anche, secondo una più evoluta interpretazione, si tenti di differenziare le posizioni dei sottoposti mettendoli in competizione per farli rendere al meglio (le comunità che, attraverso i rispettivi capi, collaboravano di più con Roma erano premiate e subivano limitate ingerenze nelle questioni interne)

- Rispetto vero dell'autonomia e del decentramento: a differenza di oggi, non è inteso come moltiplicazione del potere attraverso una proliferazione di uffici e strutture inutili ma come incremento della partecipazione di tutti alla gestione del proprio destino. Tutti collaborano alla gestione della comunità locale senza intromissioni del potere centrale: le tasse restano nei Municipia, la giurisdizione è esercitata all'interno, i 'mores' locali non sono modificati ma Roma controlla la difesa e la politica estera di tutte le comunità sottoposte (vedi il Commonwealth britannico).

1.2. Il diritto dell'espansione

Si parla impropriamente di 'diritto internazionale' sebbene vi fosse una sola natio, quella romana, perchè le altre sono assoggettate ad essa: si parla di "Ius belli ac pacis" ossia diritto della pace e della guerra, la cui gestione spetta al Senato, il quale istruisce tutte le pratiche della pace e della guerra: le relative decisioni vanno poi ratificate dai Comizi Centuriati ('Lex de bello indicendo').

.. I U S B E L L I

Affinchè il Bellum fosse 'iustum', cioé giuridicamente regolare, ci volevano precisi requisiti: ciò era importante perchè solo in seguito ad un bellum 'iustum' si poteva attribuire il trionfo (trampolino di lancio per l'arricchimento ed il proseguio della carriera politica). Si tratta della guerra la cui dichiarazione è formalmente corretta in quanto conforme al diritto romano (Ius-tum): il rito declaratorio, diretto dai sacerdoti 'feziali', è di antichissima origine indoeuropea (si noti che persino il capo indiano dissotterrava l'ascia di guerra e scagliava la lancia tra i piedi del nemico) e si svolgeva nel modo seguente.

Il "pater patratus" (capo dei feziali) prendeva una lancia di legno con punta preusta (cioé bruciata col fuoco) e saltava i confini del popolo cui voleva dichiarare guerra: si collocava davanti all'omologo nemico e faceva le sue richieste, ossia gli diceva come riparare i torti che Roma aveva subito e come effettuare le restituzioni, dandogli infine trenta giorni per restituire il maltolto. Dopo trenta giorni, se non succedeva nulla, il "pater patratus" scagliava la lancia in territorio nemico e questo era l'atto finale della dichiarazione: ciò impediva attacchi a tradimento o guerre lampo.

Va detto anche che la 'guerra giusta' esigeva che almeno cinquemila nemici fossero stati fatti prigionieri o fossero morti e, inoltre, che il popolo avversario non fosse rimasto imbelle, cioé avesse combattuto e si fosse difeso.

.. I U S P A C I S

Sempre sotto la protezione di Giove, la pace era garantita da un giuramento fatto su una pietra ('Iovis Lapis') che i Romani ritenevano la punta del fulmine scagliato da Giove stesso ma in realtà era una punta di selce rossa preistorica (non fruendo del contributo dell'archeologia, le ricostruzioni erano puramente congetturali).

Giuravano di rispettare la pace sacrificando un oedus (agnello), da cui il termine 'Foedus': 'stipulare trattati' spesso si diceva 'Foedus ferire' ossia 'colpire lo oedus', che non aveva senso esplicito ma ricordava il sacrificio dell'agnello. Il regime della pace constava di tre istituti:

a) Amicitia

Si tratta dei rapporti tra i privati dell'uno e dell'altro Stato: comportava la protezione degli amici dello Stato straniero ed alcuni privilegi, come la speciale tutela giuridica rappresentata dai 'recuperatores' (che davano vita ad un tribunale il quale deliberava in pochi giorni perchè gli 'amici' dovevano rapidamente ritornare in patria). Il primo trattato che contempla questo rapporto è quello con Cartagine del 500 a.C. circa, come attestato dalle lamine di Pyrgi.

b) Hospitium

Relazione sempre tra privati di due stati diversi ma molto più circostanziata dell'amicitia perchè l'hospes aveva tre diritti fondamentali: locus (essere alloggiato gratuitamente), Lautia (vitto gratis) e Munera (essendo considerato sacro, poteva pretendere donativi).

c) Societas

Istituto che comporta un'alleanza politico-militare tra Stati, che poi verrà definita 'foedus': i foedera sono la forma prediletta di rapporto con i popoli sottomessi prediletta perchè poco impegnativi nella misura in cui non comportavano l'invio di amministratori e la dislocazione di truppe inviate da Roma.

Il 'Foedus Cassianum' (che prende nome dal dittatore Spurio Cassio il quale lo sottoscrisse per conto dei Romani), concluso attorno al 493 a.C., conteneva sette clausole, come i trattati successivi:

i. 'Sia pace finchè saranno il cielo e la terra' (pace eterna non religiosa)

ii. Che ci sia pace vuol dire 'non muoversi guerra'

in. Non chiamare nemici esterni nè favorirli

iv. Accorrere in aiuto con ogni mezzo alla parte attaccata

(che non significa correre in aiuto dell'alleato ma solo dell'attaccato e questo

spiega perchè Roma si faceva sempre dichiarare guerra)

v. Dividere il bottino in parti eguali

vi. Dirimere le controversie di diritto civile tra alleati, entro 10 giorni

(inoltre le cause erano discusse dove erano sorte)

vii. Non mutare il patto e le sue regole senza preventivo accordo delle parti.

Ritornando alla questione dei 'foedera aequa' e 'foedera iniqua', va detto che la manualistica tradizionale ha insistito a lungo su questa distinzione:

- Foedera aequa: non vi è un contraente egemone ma assoluta parità, che implicava obblighi reciproci (come portarsi aiuto in caso di guerra difensiva).

- Foedera iniqua: il contraente non romano era su un piano di inferiorità perchè doveva 'servare maiestas',ovvero soccorrere Roma anche in caso di guerra offensiva né si sarebbero potuti avere nemici ed amici diversi da quelli di Roma sicchè la personalità internazionale di queste comunità risultava azzerata.

E p p u r e nelle fonti il termine 'foedus iniquum' non e mai: i Romani erano intelligenti per cui non avrebbero mai detto ad un alleato 'tu sei legato a me da un trattato ingiusto' ed inoltre non avrebbe avuto significato stipulare un patto 'iniquo', perchè quando Roma stipula le alleanze è ormai padrona del mondo sicché quelle clausole erano note a tutti.

Per esempio, se pensiamo a Camerino non avrebbe avuto senso affermare che poteva avere amici e nemici diversi giacchè intorno c'era solo Roma ed allo stesso modo non aveva senso affermare che Roma andava sostenuta anche nella guerra offensiva in quanto essa non la dichiarava mai (ma se la faceva dichiarare): in definitiva, si tratta di un'invenzione posteriore degli studiosi.



2. ORGANIZZAZIONE DEI POPOLI SOTTOMESSI

Dando sempre prova di notevole pragmatismo, i Romani adottarono le strutture alle diverse peculiarità locali sino al punto di inserire nello stesso territorio forme organizzative diverse (infatti l'Italia si presentava 'macchia di leopardo' in quanto comunità poco distanti tra loro avevano status differenti): nell'ordine, vanno esaminati i sistemi federale, municipale, coloniale e provinciale.

2.1. IL SISTEMA DELLA 'FEDERAZIONE' -

Roma preferiva stipulare trattati d'alleanza con Latini ed Italici perché in questo modo non doveva inviare sul posto truppe o amministratori.

** L a t i n i **

La federazione con i Latini nasce col foedus cassianum del 493 a.C. su un piede di parità e viene sciolta nel 338, allorchè Roma volle punirli per l'aiuto fornito ai Sanniti: la sostituì con trattati bilaterali contenenti un pacchetto di diritti fissi per tutte le città latine.

Ius Commercii: diritto di porre in essere negozi giuridici nelle forme e con gli effetti del diritto romano (Mancipatio e Testamentum) sicchè se i Latini acquistavano 'res mancipi', cioé di grande valore rispetto alle prime forme economiche dell'urbe, l'acquisto era garantito.

Ius Connubi: alla "affectio maritalis" si aggiungono effetti validi per il diritto romano in modo che il matrimonio fosse legittimo e così anche gli eredi e i li.

Ius Migrandi: diritto di andare a Roma ed acquistare la cittadinanza romana ma col tempo viene limitato per impedire ai Latini delle colonie di scappare e andare a Roma a vivere di rendite politiche. Si pensi ad esempio ad Ivrea ed Aquileia, che avevano a che fare con i Salassi e gli Istri: se il latino si fosse trasferito a Roma, sguarniva un importante avamposto ma doveva lasciare moglie e li nelle colonie (e questo era un deterrente formidabile).

Ius Suffragi: diritto di votare a Roma, apparentemente una grande concessione ma praticamente assai limitata perchè si votava solo in una delle 35 tribù rustiche (Comizi Tributi) e forse per nulla nei Comizi Centuriati. Tuttavia il principio era salvo in quanto, formalmente, l'accesso era garantito.

Ius adipiscendae civitatis per magistratuum: i magistrati delle città alleate (e poi anche di municipi e colonie) avevano il diritto di acquistare la cittadinanza romana. Si è detto che Roma cercava di conquistarsi le elìte, i capi, non essendo interessata alle masse (lasciate al controllo delle oligarchie locali): soli i leaders venivano resi partecipi del potere (i genitori di Virgilio, Livio e Catullo era diventati cittadini romani attraverso questo metodo).

** I t a l i c i **

Il prototipo è dato dal trattato stipulato con Napoli nel 326 a.C.: garantiva generalmente solo lo 'Ius commerci' (e solo raramente altri diritti).

Va detto che Latini ed Italici erano la vera forza di Roma perché i cittadini romani arruolabili erano pochissimi e quindi c'era bisogno degli alleati; si ribellarono nel 90 a.C. ('guerra sociale') per ottenere gli stessi diritti dei cittadini romani i quali si spartivano i risultati delle conquiste e non per ottenere l'indipendenza, come a lungo si è erroneamente sostenuto.

2.2. IL SISTEMA MUNICIPALE

Definito anche sistema dell'annessione o dell'incorporazione diretta o sistema municipale (da 'municipium'), era adottato poco e malvolentieri per l'impegno militare ed amministrativo che comportava: la comunità vintà era incorporata nello stato romano ed il suo territorio diventava 'ager publicus populi romani' (terra pubblica del popolo romano) Le città esistenti su quell'ager publicus venivano riqualificate giuridicamente diventavano municipia, fenomenale invenzione romana secondo Mommsen perchè non si era mai vista una entità così efficiente, la quale realizzasse il vero concetto di "autonomia" (intesa come 'decentramento' del potere e partecipazione alla gestione della cosa propria, non moltiplicazione degli uffici collegati al potere centrale): il municipium avrebbe rappresentato la cellula vitale dell'impero, grande come il mondo ma che poteva essere governato solo valorizzando le autonomie. Quando i romani vi invieranno funzionari, attorno alla metà del II sec. d.C. si entrerà nella fase di crisi dell'impero: esso cadrà appunto per motivi tecnico-giuridici (fine delle autonomie) e per motivi morali (fine delle 'virtutes').

Per Municipium si intende quindi una comunità accolta nella cittadinanza romana, un vecchio centro che poi diventa tale: gli abitanti diventano cittadini romani, iscritti ad una tribù rustica, e sottoposti ad organi che in larga misura sono propri del municipio ed in piccola parte delegati del pretore di Roma.

L'etimologia è incerta: non deriva da "munus capere" nel senso che i municipales dovevano are i tributi (infatti municipi più importanti non avano mentre i cittadini romani erano esenti da imposta) ma nel senso che i cittadini si assumevano oneri (cui corrispondevano vantaggi) cioé combattere ed essere leali a Roma in cambio di protezione.

Essi erano organizzati secondo il principio "divide et impera" e quello della "gerarchia delle posizioni" (infatti per i Romani l'eguaglianza non é mai un valore perché in una società empirica non esiste, è una mera utopia): alcuni studiosi hanno sostenuto che i maggiori o minori vantaggi concessi ai municipi dipendevano dal fatto di essersi opposti in guerra a Roma o dall'essersi arresi subito ma ciò non è vero, anche perchè Roma spesso favoriva per motivi strategici le popolazioni più pericolose ed importanti ("se hai difficoltà a combattere il nemico, fattelo amico"). La gerarchia era la seguente:

** Municipia optimo iure **

I municipales avevano tutti i diritti dei cittadini romani ed una totale autonomia, fatta eccezione per la giurisdizione: infatti i magistrati locali risultavano competenti per cause inferiori a quindicimila sesterzi (per avere un'idea, si moltiplichi per duemila e si avrà il raffronto in euro), reddito notevole visto che l'alimentazione giornaliera costava circa un euro al giorno. La "Lex Rubria de Gallia Cisalpina" del I sec. a.C. precisa altresì che, per cause aventi valore superiore, erano competenti i Prefetti delegati dal pretore: essendo quattro in tutta Italia, il Prefetto competente per il Nord risiedeva a Modena.

** Municipia sine suffragio **

I municipales sono cittadini romani ma non avevano l'elettorato attivo e passivo laddove si fossero recati a Roma: erano più numerosi perchè l'oligarchia romana voleva evitare l'inquinamento della vita politica, fondata sul precario equilibrio di poche famiglie che reggevano le istituzioni romane. Per il resto erano autonomi come quelli 'optimo iure' e non avano imposte.

** Municipia Caerites e Municipia Aerari **

Si tratta di due forme di 'municipia' in effettiva condizione di inferiorità: non erano autonomi, doveva essere ato un tributo a Roma e le controversie potevano essere risolte solo a Roma o presso i Prefetti cui abbiamo fatto cenno.

I 'Caerites' stavano lievemente meglio, derivando il termine da Cere (città etrusca, la prima ad essere trattata così); gli Aerari derivavano il loro nome da 'aes', bronzo, che indica come costoro fossero soggetti ad una contribuzione in danaro.

Ogni municipio aveva un proprio 'statuto', che disciplinava la struttura interna ed era votato dal municipio che si atteneva a principi fondamentali indicati da Roma sviluppandoli in dettaglio:

- Comizio: assemblea popolare cui partecipavano tutti i cittadini, che eleggevano i magistrati

- Quattuorviri: quattro magistrati cittadini, due 'iure dicundo' (con potere giurisdizionale) e due 'aediles' (con poteri amministrativi simili a quelli degli edili romani). Tra di essi esisteva la 'par maiorve potestas': i primi valevano di più e tra gli stessi poteva essere posta l'intercessio, come a Roma.

- Ordo decurionum: i Senatori si chiamavano 'decurioni', con le stesse funzioni del Senato romano (erano gli ex magistrati, che costituivano la 'nobilitas').

2.3. IL SISTEMA COLONIALE

E' il terzo dei sistemi di organizzazione dei popoli sottomessi: in effetti di colonie se ne conoscevano già (Greci e Fenici) e ancora ne fonderanno i moderni ma quelle romane saranno peculiari.

.Per i Greci le colonie sono delle 'nuove comunità' che nascono da un'iniziativa privata spesso in contrasto con la città da cui i fondatori partono (sono infatti spesso profughi politici o in difficoltà economica) sicchè sono nemiche della madrepatria; unico momento in comune era quello religioso-sportivo rappresentato dalle Olimpiadi ma, politicamente e giuridicamente, si tratta di città nuove che sono assolutamente staccate dalla madrepatria.

.Per i Fenici le colonie sono 'comunità commerciali', ovvero delle città-mercato come poi lo saranno gli emporii che Genova e Venezia dissemineranno nel Mediterraneo molti secoli dopo: vengono creati punti di sbarco e ci si sottomette all'autorità locale preesistente, senza volere dare vita da una entità politica.

.Per i Moderni le colonie sono un territorio straniero sottoposto ad una certa amministrazione da parte di uno stato sovrano, rispetto al quale la popolazione è in completa soggezione e sfruttamento (per cui si parla di possedimento, proprietà e pertinenza materiale di uno stato europeo).

La colonia romana è uno stanziamento di persone dedotto in forma ufficiale dallo Stato Romano: i coloni si stanziano su un territorio loro attribuito in lotti variabili. Giuridicamente si tratta di una nuova collettività come la colonia greca ma, a differenza di essa, è legata militarmente/politicamente/giuridicamente a Roma secondo un rapporto di fecondo coordinamento con la madrepatria; si tratta di una carta vincente della politica romana perchè risolve delicati problemi esterni ed interni (situazioni di instabilità che avrebbero potuto esplodere da un momento all'altro nella capitale).

A) F i n a l i t à

** militari **

Erano definite "propugnacula imperii" cioé baluardi difensivi dell'impero, perchè molte di esse erano periferiche o su fronti 'caldi' come Cremona, Piacenza, Aquileia, Ivrea; altre erano poste sulle coste per salvaguardare le stesse dagli attacchi dei pirati.

** politiche **

Nel II secolo a.C. Roma passa da cinquantamila ad un milione di abitanti: dopo la seconda guerra punica la vita politica in città era pericolosissima perché vi era una massa di proletari che si intruppavano nelle clientele e partecipavano alle lotte di fazione, mettendo a rischio la sopravvivenza della stessa 'civitas'. I governanti alleggerivano allora le tensioni mandando i turbolenti a fondare colonie, 'esportando la conflittualità' (come avrebbe detto Carl Schmitt).


** economico-sociali **

Durante l'età dei Gracchi (attorno al 130 a.C.) la fondazione delle colonie servì a dare dignità e lavoro ai proletari turbolenti, nullatenenti e nullafacenti che vivevano a Roma: dando loro terra se ne elevava la condizione perché contavano di più e producevano, dissodando le terre dell'impero. La Cisalpina, da sempre ricca ma non produttiva sotto i Celti, divenne con le colonie il "firmamentum imperii", il fiore ('flos') all'occhiello del popolo romano (si pensi a Modena, Piacenza, Bologna e Parma).

** remunerative **

Si trattava di premiare i veterani che cessavano il servizio militare dopo trent'anni di attività: ormai sradicati da Roma, che non vedevano da molti anni, costoro ambivano a rimanere nelle terre dove avevano reso gli ultimi anni di servizio ed allora si costituiva una nuova entità con territori assegnati loro gratuitamente (ovviamente sottratti con la forza ai proprietari locali non romani, si pensi alla vicenda del poeta Virgilio).

B) Procedimento di fondazione (deduzione)

Sotto il profilo giuridico-formale, era necessario un 'plebiscitum' votato dai concilii plebei previo parere favorevole del senato in quanto la questione era di interesse cittadino. Il plebiscito indicava

- tipo di colonia (latina o romana)

- nome

- luogo

- numero di coloni (molto variabile)

- estensione dei lotti di terreno da assegnare sul posto

- numero dei magistrati che la dovevano fondare (sempre tre, 'tresviri coloniae deducendae')

Una volta approvato il plebiscito, si afgevano nel Foro le "tabulae dealbatae" (ossia bianche) su cui i cittadini che volevano partire iscrivevano il loro nominativo: i 'Tresviri' provvedevano alla scelta, assolutamente discrezionale e spesso determinata da insistenti raccomandazioni (Cicerone scrisse metà delle sue lettere per caldeggiare, a tale scopo, la partenza di amici).

Sotto il profilo materiale, i lavori preparatori duravano tutto il tempo necessario (anche uno o due anni) perchè si creavano le infrastrutture per i futuri cittadini: prima di mandare i coloni, veniva scelto e bonificato il territorio attraverso operazioni scientifiche e religiose. Sul territorio venivano inviati sacerdoti che erano anche zoologi, ingegneri e geometri (chiamati 'agrimensori' o 'gromatici' perchè lavoravano soprattutto con la "gruma" per misurare i terreni): essi, a forza di sacrifici di animali in parte selvaggi in parte immessi ad arte, controllavano che la zona fosse salubre e le acque non mefitiche dopodiché si tracciavano le strade e si parcellizzava il territorio in appezzamenti regolari quadrati di 710 mq l'uno (centuriazione). In definitiva, si trattava di una gigantesca opera di bonifica talvolta visibile ancora oggi.

C) T i p o l o g i a (latine o romane)

- Le colonie latine erano equiparate ai popoli federati, in particolare ai Latini (e quindi godevano dei diritti ai quali abbiamo già fatto cenno): erano popolate da romani che accettavano di perdere la cittadinanza stessa ma, in cambio, speravano di migliorare la loro condizione economica. Essi, infatti, a Roma vivevano di espedienti, ricevevano le distribuzioni di pane olio vino non riuscendo tuttavia a fare il "salto di qualità" sicchè accettavano la 'deminutio capitis media' ossia di perdere lo 'status civitatis' pur di acquistare un campo da coltivare onde migliorare la propria qualità di vita lontano da Roma. Per incentivarne la partenza, venivano assegnati lotti di terreno dieci volte più grandi di quelli attribuiti ai membri delle colonie romane: ad Aquileia venivano assegnati lotti da sessanta iugeri che neppure una famiglia intera riusciva a dissodare mentre in una colonia romana non se ne assegnavano più di dieci.

- Le colonie romane erano pertinenze, duplicazioni di Roma perché fondate da cittadini romani a tutti gli effetti (ossia iscritti alle tribù ed in possesso dell'elettorato attivo e passivo). Amministrate anch'esse dai 'duoviri', erano costituite da non più di trecento persone mentre le colonie latine ne avevano molte di più (cinquemila Como, seimila Cremona e Piacenza); mentre le prime erano sui confini territoriali, le colonie romane erano dedotte sulle coste per fare fronte agli attacchi delle popolazioni slave che vivevano di pirateria.

La costituzione era quella di una città autonoma, analogamente ai municipi: i magistrati si chiamavano 'duoviri' ('iure dicundo' dotati di maggiori poteri ed 'edilicia potestate' cui spettava la "cura annonae", la "cura ludorum" e la "cura urbis") e vi erano anche un'assemblea ed un Senato ('ordo decurionum'). Le colonie latine avevano leggi proprie salvo accettazione spontanea delle leggi romane e battevano moneta.

V a    d e t t o c h e Roma preferisce dedurre colonie latine, che permettevano di alleggerire le tensioni ed allontanare i votanti in eccesso (inseriti tra i 'capitecensi' o le tribù urbane): si trattava di soggetti turbolenti, che si agitavano durante il 'trinundinum' e si facevano cogliere dal 'morbus comitialis' o facevano cadere la bandiera rossa manifestavano turbando di fatto la vita pubblica. Veniva alleggerita la tensione politica e demografica ed intanto si difendevano, colonizzavano e dissodavano nuovi territori; le colonie romane erano più ridotte numericamente e dotate di appezzamenti meno estesi sicché i coloni votavano nella quinta classe e quindi politicamente non contavano. In generale, le colonie erano più importanti dei municipi: i 'municipales' non erano romani d'origine e quindi spesso infìdi mentre le colonie erano emanazione di Roma e pertanto sempre molto fedeli (se ne ribellò solo una, Fregellae, che venne poi distrutta sin dalle fondamenta per punizione).

L'ultimo tipo di colonia ve nel primo secolo a.C. e ne furono destinatari i Cisalpini ma la colonizzazione era fittizia perchè non vi era un'effettiva deduzione di colonie (ossia spostamento di popolazione su un territorio nuovo): si trattò semplicemente di riqualificare giuridicamente vecchi 'oppida' (centri fortificati) riconoscendo ad essi lo status di 'colonia'. Tutte le città del nord divennero colonie latine grazie alla Lex Pompeia de Transpadanis (voluta nell'89 da Pompeo Strabone, padre di Pompeo Magno) allorchè si vollero premiare i centri che non avevano partecipato alla guerra sociale contro Roma, soprattutto per rompere definitivamente il fronte avversario e senza le finalità viste sopra (si parla).

2.4. IL SISTEMA PROVINCIALE

Inizialmente il lessema 'provincia' indicava un incarico di qualsiasi natura dato dal Senato al console, circorscrivendone la competenza: tuttavia, il raggio d'azione dell'incarico abbracciava spesso un territorio sicchè, per traslazione, il termine indicò in seguito le suddivisioni territoriali situate al di fuori della federazione italica (e non dell'Italia, perchè la Cisalpina era una Provincia, ossia al di fuori dello spazio compreso tra lo stretto di Messina e gli Appennini). Sottoposta all'autorità di un 'magistrato cum imperio' nonchè ad un tributo variabile nel contenuto e nel nome conformemente all'empiria romana che differenziava le posizioni, il suo suolo veniva annesso e diventava 'ager publicus' (ma non si deve confondere col Municipio, in quanto i provinciali non saranno cittadini romani fino al 212 d.C. ma veri e propri sudditi). In questo caso il territorio è sempre proprietà del popolo romano e chi abita quelle terre ne è solo possessore ('uti frui' = usare e servirsi del suolo ma senza acquisirne la proprietà); inoltre gli abitanti delle provincie erano e rimanevano 'peregrini', cioé stranieri.

* GOVERNO DELLE PROVINCE *

Si adottarono metodi diversi che costituiscono altrettanti 'tentativi', dei quali solo l'ultimo ebbe successo:

- con le prime province istituite dopo la Prima Guerra Punica, il governo venne affidato al generale che aveva conquistato il territorio: si pensi a Scipione in Sna ma questi era impegnato anche in Africa ed in Italia sicché non poteva governare di persona (e le deleghe di potere non erano ammesse dai Romani). In sostanza, se è presente rischia di trasformari in un piccolo sovrano incontrollabile, se è assente si crea un vuoto di potere: il sistema non funziona.

- si crearono allora dei pretori 'ad hoc', cioé specifici per ogni nuova provincia attraverso l'aumento del loro numero e se ne ebbero presto sei (più il pretore urbano e peregrino); poiché tuttavia le provincie continuavano ad aumentare di numero, si ebbero fino a venti pretori (diciotto nelle provincie più i due di cui si è detto) i quali, se si fossero candidati tutti al consolato, avrebbero prodotto un sensibile aumento della tensione e della lotta politica. In effetti le candidature erano uno o due in più dei posti vacanti e quindi il sistema fu presto abbandonato.

- si pensò di applicare il metodo della 'prorogatio imperii' (deleterio e responsabile del malcontento provinciale): il magistrato 'cum imperio' andava a governare la provincia e poi, scaduto l'anno di carica, gli si prorogava l'imperio per evitare vuoti di potere. Si derogava al principio dell'annualità delle magistrature e le provincie diventavano piccoli regni scoordinati da Roma perchè i governatori mettevano radici e facevano quello che volevano (si parlerà di propretori o proconsoli a seconda della carica rivestita a Roma)

- Silla (con la Lex Cornelia de provinciis) stabilì nell'81 che l'annualità delle cariche doveva essere rispettata rigorosamente anche nelle Provincie: tutti i magistrati 'cum imperio' presenti a Roma, scaduta la loro carica il 31 Dicembre, partivano per la Provincia all'inizio di Gennaio e vi restavano sino alla fine dell'anno.

Le Provincie erano assegnate discrezionalmente dal Senato, che assegnava ad amici le più ricche (Asia e Africa) mentre ai nemici assegnava le 'silvae callesque' (cioé le provincie pietrose o boscose come l'Istria): nel 122 Caio Gracco, con una 'lex Sempronia de provinciis', colpì il Senato ottenendo che le Provincie fossero assegnate per sorteggio o legge apposita ma negli anni successivi si tornò al precedente sistema di attribuzione.

* REGIME FISCALE *

È argomento di massima importanza perché Roma impone alle province imposte e tributi (spesso assai esosi) adottando un sistema di esazione reso famoso dall'impopolare ura degli esattori, chiamati publicani (considerati la 'feccia' del mondo al punto che nessuno voleva avere rapporti con loro). A seconda del sistema di esazione, bisogna dividere le provincie in 'stipendiariae' e 'vectigales".

..Stipendiariae.

Pagavano uno 'stipendium', ossia una contribuzione alle spese militari che non ha mai l'aspetto nominale e formale della tassa; esso era dovuto dalle città e non dai singoli (sicchè per es. Atene, se voleva, poteva esentare i poveri). Detto regime era applicato da Roma alle provincie che non conoscevano regimi fiscalmente rapaci come in Grecia (in base al principio 'quieta non movēre'), nelle quali bisognava cambiare il meno possibile.

..Vectigales..

Le seconde avano il "Vectìgal", ossia una tassa annuale che colpiva i singoli: si applicava dove i governi erano stati più rapaci (Siria ed Egitto) ed allora gli esattori romani si adeguavano. In questo caso il sistema di esazione era inesorabile e molto complesso: in primo luogo, il Senato doveva stabilire a quanto dovessero ammontare le imposte provenienti dalle provincie (ad es. l'Asia). Se veniva fissata la cifra di due milioni di sesterzi, era indetta un'asta cui partecipavano le società di esattori (cavalieri) chiamati 'publicani', i quali gestivano tutti i lavori pubblici e facevano la loro offerta: ovviamente vinceva chi offriva di più (per es. quattro milioni). Gli esattori che raccoglievano più di quanto promesso si tenevano il sovrappiù ma se la differenza era negativa dovevano integrare di tasca propria: chiaro che l'evasione fiscale era impossibile perché l'esattore stava fuori dalla porta del commerciante a controllare cosa entrava, usciva e come si vestiva sicché nulla gli sfuggiva.

Certo il 'publicanus', per non rischiare di perderci, chiedeva molto di più al singolo esponendosi ad accuse di 'repetundae' (concussione, corruzione e malversazione) ma quasi sempre usciva indenne dai processi intentati contro di lui.

* ORGANIZZAZIONE INTERNA *

Lo 'statuto' della provincia era introdotto dal generale conquistatore previa legge approvata dal popolo; il governatore era coadiuvato da legati del Senato che servivano anche a controllarlo, dai i questori addetti al tesoro e dagli assessori lo assistevano in tribunale. Emanava altresì un editto in base al quale dettava la giustizia assolvendo funzioni giurisdizionali: in questo senso era itinerante perchè girava per la provincia astabilendo il 'conventus', cioé il luogo in cui quel giorno amministrava la giustizia (facendo pertanto 'convenire' tutti gli abitanti della zona); tuttavia rischiava di diventare un piccolo re intrallazzatore, corrotto e scoordinato da Roma.

Per impedire ciò furono introdotte alcune misure che però si rivelarono meri palliativi

- divieto di sposare donne provinciali

- divieto di acquistare beni e servizi in provincia perchè certamente non li avrebbe ati (in conseguenza, doveva fare giungere da Roma tutto ciò di cui aveva bisogna ma poi, per interposta persona, aggirava il divieto)

- repressione dei fatti illeciti qualificati come 'repetundae' (il termine allude alle "cose richieste da chi se le è viste sottrarre") ossia di concussione, corruzione, malversazione e peculato: si inventa un tribunale speciale chiamato 'quaestio perpetua' presieduto dal pretore e composto di giurati estratti dall'ordine senatorio (Lex Calpurnia, 149 a.C.).

Questi tribunali non reprimevano efficacemente questi fatti perchè i giurati erano senatori, ex magistrati ed ex governatori i quali si preparavano a tornare tali: prevalevano pertanto i legami di interesse e non si condannavano altri senatori ed ex magistrati, fino a quando Caio Gracco non inserirà nelle giurie i cavalieri per fare cessare questa prassi (ma provocherà l'effetto contrario scatenando una serie di vendette private).





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