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I Simpson - La famiglia e la condizione dell'uomo, Spazio e tempo in Kubrick e nei Simpson

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Fin dal loro primo apparire "I Simpson" hanno chiaramente manifestato questa particolarità della citazione, il cui uso non è un semplice esercizio di stile, ma una pratica determinante per l'estetica e la struttura narrativa di ogni singolo episodio. Questo raffinato incastro di richiami espliciti spazia dalla letteratura al cinema, rendendo questo cartoon profondamente innovativo, anche messo in relazione a tutta una serie di programmi ad esso avvicinabili, trasmessi in vari Paesi sia prima che dopo il successo etario della "famiglia in giallo".



E' infatti comprensibile a tutti, dallo spettatore abituale al neofita, questa creazione di un universo parallelo e di tanti altri universi satellite che s'intrecciano, si scontrano o convivono sulla rielaborazione a(ffe)ttiva del materiale preso a modello.

La caratteristica che emerge in modo inequivocabile riguardo all'uso che la serie fa di questa pratica è la sua funzione critica: l'uso così diffuso della citazione diventa elemento determinante nello scheletro costitutivo degli episodi, che in sua assenza, non creerebbero quella stratificazione di significati di cui sono invece pregni. C'è un dialogo continuo interno ed esterno alla serie, una fitta rete di rimandi, frammenti che creano a loro volta un percorso aperto all'interno del cartoon.

Il 'citazionismo' funge anche da controprova della validità e della levatura culturale, in quanto oggetto d'arte, di questo prodotto mediale: 'I Simpson' sono postmodernismo allo stato puro, infatti vi si ritrovano, compressi, un'infinità di segni della cultura umana.


Approfondendo il discorso vediamo come il legame che unisce il cartone animato in questione con il mondo del cinema sia ancora più forte: nella quasi totalità delle puntate fin qui realizzate (quasi trecento) si può ritrovare almeno un momento filmico.

I lungometraggi citati, sempre molto famosi, vengono parodiati, descritti e omaggiati nelle maniere più disparate, ripetendone un particolare dialogo, accennando ad una situazione topica, disegnando un'intera sequenza, ammiccando a personaggi o ambienti.

Negli speciali di Halloween 'La paura fa novanta', la cinematograficità condiziona le trame degli episodi medesimi che, divisi in tre parti, diventano quindi una sorta di enciclopedia grottesca del cinema ; e in alcuni casi sporadici, vengono riprese addirittura le tecniche narrative di un particolare regista .

Ma il legame con il cinema non è solo sottolineato dalle citazioni, infatti nei Simpson possiamo riscontrare la tendenza a riprodurre le forme ed i codici tipici della ripresa cinematografica; caratteristica piuttosto inusuale per un cartoon di natura seriale scritto per il piccolo schermo; che infatti non trova riscontro in nessun altra serie animata o situation commedy.

Basti pensare alla sigla d'apertura, nella quale viene utilizzato il montaggio alternato, la profondità di campo con inquadrature ricche di elementi e sfondi complessi; il piano d'ambientazione che introduce il luogo dove sta per svolgersi l'azione; oppure, ancora, che è un cartoon diviso in tre atti , fatto pressoché unico per l'animazione, mentre frequentissimo nel cinema. Questi sono segnali evidenti che ci ricordano l'impiego di un linguaggio cinematografico complesso ed articolato da parte dei registi della serie.


In questo mio lavoro intendo analizzare il caso del cineasta più citato in assoluto nelle oltre duecentottanta puntate: Stanley Kubrick con più di venti citazioni più o meno esplicite è sicuramente il punto di riferimento cinematografico preferito dagli autori dei Simpson e probabilmente anche dal loro padre artistico Matt Groening. Questo interesse nei confronti di Kubrick e confermato anche dallo spazio dedicatogli nelle centinaia di siti dei Simpson, alcuni dei quali hanno addirittura la peculiarità di essere dedicati solo ed esclusivamente alle citazioni del famoso regista all'interno della serie animata .

Ma prima di andare a vedere come, quando e dove Kubrick fa capolino, vorrei provare a tracciare un percorso 'ideale' che può aver portato la sua opera così anticonformista e lontana anni luce dalla dimensione televisiva, ad essere così considerata all'interno di quello che è pur sempre un 'programma' televisivo. Nel fare questo cercherò di trovare le affinità fra l'uno e l'altro, principalmente a livello di contenuti, di messaggio e di collocazione che ognuna di queste due particolari forme d'arte trova nella realtà sociale del nostro tempo.


Mi sembrerebbe però inappropriato affrontare la fase del confronto vero e proprio senza aver speso qualche parola d'introduzione su "I Simpson", sia perché su Stanley Kubrick credo sia stata scritta qualsiasi cosa comprensibile alla mente umana (quindi non abbia bisogno di alcuna presentazione), mentre per la serie tv solo negli ultimi anni si è colmato il vuoto della totale assenza di testi analitici e fra l'altro, mi permetto di dire, con risultati non sempre brillanti; in secondo luogo perché la presa in considerazione delle parti in causa non è stata reciproca, ma univoca: i (creatori degli episodi dei) Simpson hanno citato Stanley Kubrick e (ovviamente) non viceversa, quindi è chiaro che da loro bisognerà partire.



'I Simpson'


Con tutte le caratteristiche della neo televisione, che stava segnando i palinsesti televisivi nazionali già da qualche anno sull'influenza del modello americano, fanno il loro esordio sulle reti Mediaset "I Simpson" con la loro dissacrante comicità, nell'Ottobre del 1991: serialità ripetitiva, trasgressione e demenzialità, a cavallo fra l'Avant-pop e la postmodernità.

Dopo qualche anno e vari cambiamenti della fascia oraria di programmazione e del canale (restando però, sempre nelle mani delle reti Mediaset, che ne gestiscono a tutt'oggi la programmazione), la famiglia Simpson si 'accomoda sul divano' alle ore 14 dei giorni feriali su Italia 1, seguita quotidianamente da quasi tre milioni di spettatori. Il successo riscontrato è stato anche uno dei motivi che hanno incentivato gli autori a prolungare la serie fino a fargli superare le 167 puntate nel 1997, entrando così nel Guinness dei Primati come la serie tv più longeva della storia della televisione.

Questo fenomeno offre lo spunto per una serie di considerazioni in merito all'importanza di questo cartoon nell'ambito dei valori quotidiani, della cultura nazional-popolare, degli interessi dei giovani e non solo. Infatti puntata dopo puntata, oltre all'industria del marketing, 'I Simpson' hanno conquistato l'interesse di un pubblico sempre più vasto e sempre più intellettuale, pronto a studiare a fondo il perché del successo di una famiglia irriverente, protagonista di una sit-com sarcastica e pungente che dissacra i canoni dell' 'american way of life' (e non solo quelli come vedremo più avanti).

Critici televisivi, psicologi, sociologi, fumettisti di qualunque Paese si sono avvicinati a questo cartoon; anche in Italia hanno collaborato alla stesura di alcuni testi sui Simpson scrittori e critici come Enrico Ghezzi ed Aldo Nove solo per citarne alcuni .

In questa serie il ritmo è molto incalzante e rimane difficile non notare la grande quantità d'azione che invade ogni episodio: i venti minuti di ogni puntata sono così densi di accadimenti da non permettere pause allo spettatore. Nonostante la centralità della parola, le azioni vengono mostrate in maniera esplicita al pubblico, evitandogli di doverle decifrare attraverso i dialoghi, stimolandolo a riorganizzare la moltitudine di elementi dati dall'unione fra parole ed immagini.

Gli unanimi consensi di pubblico e critica a cui vanno incontro da oltre dieci anni sono il giusto riconoscimento per il condensato di genialità ed originalità che ogni puntata racchiude in sé.

Al contrario di tanti cartoni animati votati alla fiaba, nei Simpson si parla di realistica contemporaneità attraverso un elemento che rappresenta la cellula base di ogni società: la famiglia. Per cui abbiamo questa nucleo di cinque elementi che si trova a barcamenarsi in mezzo a mille peripezie, nel corso delle quali trova la soluzione ai problemi facendo capo al 'focolare' domestico, sia come punto di partenza, sia come punto di arrivo delle altre esperienze all'interno della comunità di Springfield (città di provincia dove vivono).

Sebbene rientri decisamente nel genere della sit-com, "I Simpson" affrontano tematiche diverse dalla fiction classica; infatti gli autori sono ben lontani da quel buonismo imperante ed esagerato e da quegli amori patinati che imperversano nei nostri schermi ed ancor di più nel cinema americano. Qui si parla di razzismo, inquinamento, disoccupazione, corruzione, educazione e di tutti i problemi che la società moderna affronta quotidianamente, anche attraverso riferimenti a fatti storici, personaggi politici e del mondo dello spettacolo.

Inoltre "I Simpson" sono nel loro genere all'avanguardia ed hanno dato il via al filone dei cartoon alternativi o "scorretti" come li ha definiti qualcuno: "Beavis & Butthead", "South Park", "I Griffin", 'King of the Hill' e "Futurama" dello stesso Groening; tutti prodotti di una cultura statunitense ormai (a sua volta) all'avanguardia sulla descrizione del modus vivendi della nostra società. Filone, questo, che ha segnato (finalmente) una svolta dopo alcuni decenni di strapotere scisso fra manicheismo nipponico e retorica disneiana.


'Perché Kubrick?'

A) La famiglia e la condizione dell'uomo


In effetti in mezzo ad una quantità esorbitante di materiale citato nel corso di un numero così elevato di puntate, verrebbe da domandarsi se sia da considerare veramente così importante un regista che abbia avuto una ventina di citazioni (cioè una media di una citazione ogni quindici episodi). Secondo me non è tanto importante il numero delle citazioni, quanto il regista che è stato citato. Nel senso che non credo abbiano lo stesso valore le citazioni di Hitchcock o di Spielberg (per nominare altri due registi molto spesso 'chiamati in causa'), ma non perché i loro film siano da considerarsi inferiori rispetto a quelli di Kubrick, ne' perché Matt Groening (o chi per lui) li reputi meno importanti per sé o per la società. Non sarebbe più importante neanche un regista che non fosse Kubrick che fosse stato citato una puntata sì e una no.

Il fatto che Kubrick sia numericamente il più citato è solo una piccola conferma (in verità emblematica, se vogliamo) di quello che mi ha spinto a dedicare a questo argomento la discussione della mia tesi di laurea.

Io credo che ci sia un filo conduttore che unisce l'arte postmoderna dei Simpson con l'arte 'aliena' di Stanley Kubrick, profeta del moderno. Questa connessione non è da ricercare tanto nelle caratteristiche estetiche dello stile dell'uno (ricerca del punto di fuga, ossessione claustrofobica, gli spazi aperti e geometrici per Kubrick) o dell'altro (lo stile grezzo degli underground comix, l'utilizzo del linguaggio cinematografico per Groening), quanto piuttosto nel valore destabilizzante dell'arte di entrambi, nella loro uguale fascinazione per questi eroi della mediocrità, che sono i protagonisti delle storie che raccontano; per l'estremizzazione e la ridicolizzazione della condizione umana.


Ho parlato prima della famiglia, famiglia intesa come nucleo domestico e che dovrebbe essere luogo di apertura, comprensione, affetto e calore. In realtà (per 'in realtà' non intendo dire 'in effetti', ma intendo dire nella realtà che viviamo) credo questo avvenga solo in qualche isolato e fortunatissimo caso. Lo sanno bene gli autori dei Simpson che ne hanno fatto appunto luogo di scontri generazionali, ideologici e valoriali, allontanando fortemente il loro modello dagli stereotipi accomodanti e cortesi quali 'I Robinson' o 'Happy days' (ma potremmo citarne a decine di telefilm e sit-com che anche le nostre reti hanno 'immancabilmente' trasmesso attingendo dalla tv americana, nella quale ricorre frequentemente il tema della 'famiglia').

Programmi del genere hanno mostrato un quadro idilliaco di un'unità familiare senza macchia, sempre solidale e pronta a discutere i problemi della vita di tutti, che risultava (nonostante il successo delle serie) poco credibile. L'immagine che dà la famiglia Simpson è decisamente contro questo concetto assoluto del 'non importa come, ma la serenità deve essere assicurata', tipico delle sit-com

La famiglia non è soltanto l'argomento principale della serie, è anche la tematica che permette all'autore di ribaltare i luoghi comuni su quanto di sovversivo viene in apparenza mostrato in ogni puntata. La novità vera e propria non consiste nell'anticonformismo di queste cinque persone, dove i li hanno la meglio sui genitori, dove impera la volgarità, lo scherzo pesante, spesso la scortesia e altre simili cattiverie. Il vero atto sovversivo del cartoon sta proprio nel mostrare, attraverso questa famiglia psichedelica, mediocre e squattrinata, l'impossibile realizzazione del vivere 'felici e contenti' che tanti altri programmi televisivi ci mostrano quotidianamente con noncuranza dei danni che questo messaggio comporta nell'ingenuo spettatore televisivo.

Questa (nuova) presa di coscienza dell'utopia, della sua irrealizzabilità, mi sembra di gran lunga più evidente rispetto ad altri elementi che (all'interno dei Simpson) ne attenuano la crudezza: dietro l'apparente odio del reciproco attacco di ogni membro sull'altro, si cela un legame intenso che denota comunque un attaccamento alla famiglia; unico luogo in grado di competere con l'esasperante contesto del 'tutti contro tutti' della civiltà dell'odio in cui viviamo.

La serie di Matt Groening ha denunciato la superficialità del mito della famiglia felice, sottolineandone la falsità di relazioni, che è impossibile siano libere da tensioni; ha frantumato l'autorità di questo mito, rimovendo radicalmente la ura patriarcale, minando le convenzioni e sovvertendo il concetto di morale.

'I Simpson' appaiono umoristicamente deformati proprio nello svolgimento di abitudini giornaliere normalissime: ogni pretesto è buono per inveire, litigare, stravolgere il contesto umano, familiare, civico. li dispettosi e genitori irrisolti nel loro ruolo riescono a simboleggiare la crisi delle mature coppie che erano giovani negli anni sessanta e settanta, quando furono anche i primi a ribellarsi a certe abitudini. Ma il frenetico periodo di contestazione generazionale è finito, a sua volta, per risultare controproducente. Nuove abitudini sono piombate addosso agli adulti, fino a togliere fiducia e speranza nella capacità genitoriale di proteggere e d educare.

Se 'diventare adulti significa perdonare i propri genitori' , il tema della famiglia come luogo di scontro e conflittualità ha anche un valore, per i tre li, di 'cristallizzazione' nella loro non necessariamente serena adolescenza; da soli contro il mondo dei 'grandi', visti come un'oscura premonizione della fatale perdita di sé legata alla crescita.

Pietrificati come i 'Peanuts' di Charles M. Schultz, Bart, Lisa e Maggie sono però più cinici, più cattivi se vogliamo, e per legittima difesa, visto che il mondo che hanno intorno non è fatto di tanti fantasmi invisibili come quello dei 'Peanuts', ma di 'grandi' dannosi e tangibili. E' comunque con questo fumetto che 'I Simpson' riscontrano le analogie più strette a livello concettuale e psicologico perché, sebbene nella serie tv i personaggi allarghino il proprio microcosmo al mondo adulto, nei personaggi infantili si trova comunque quell'atteggiamento ingenuo e disincantato dei piccoli verso i grandi che ci hanno fatto amare i Peanuts. Soltanto la 'serenità compressa' stile famiglia borghese anni sessanta ha ceduto il passo al pulp velenoso e psichedelico anni novanta.

Nessuno meglio di un genitore può rovinarti la vita, anche se guidato da sincero affetto, come nel caso di 'mamma Marge', o da un'ingenuità del vivere apparentemente innocua come Homer, capofamiglia, ma personaggio che raramente impersonifica l'autorità; anzi, vista la sua frequente indulgenza con i propri li, è lui a fare più tenerezza e risultare personaggio infantile per eccellenza. Egli, tra l'altro vive a sua volta il rapporto di odio-amore con i genitori: il padre Abrham che ha rinchiuso in una casa di riposo e la madre che è scappata abbandonandolo quando era piccolo.

Quanti ragazzi hanno rivisto almeno in uno degli evidenti difetti di Homer o nella vita di sacrifici domestici di sua moglie, il loro padre o la loro madre? Lui è ignorante, ingordo, stupido, pigro, indisponente, sudicione e caciarone. Che detto così sembrerebbe un concentrato di negatività, ma la prima impressione penso sia proprio questa. Solo un'analisi più attenta mostra la generosità e la bontà di quest'uomo, capace a volte perfino di atti di eroismo. Lo stesso si potrebbe dire della donna di casa, Marge, bigotta, petulante e portatrice dei luoghi comuni più spiacevoli; che poi scopriamo essere in verità incapace di non voler bene alle persone a lei care, divenendo comprensiva fino all'inverosimile.

Il primogenito Bart, impertinente e indomito, trova le maniere più incredibili di evitare i propri doveri di lio e studente (delle elementari!) per bighellonare e fare dispetti; ma sa anche essere leale, anticonformista e sopperisce alla sua scarsa capacità di concentrazione con astuzie quasi geniali. Sua sorella Lisa di due anni più piccola fa invece l'effetto contrario, nel senso che oltre ad essere (sebbene abbia solo otto anni) la più acculturata della famiglia, è anche acuta, idealista e pronta a schierarsi dalla parte dei più deboli; alla lunga risulta però un po' saccente, rompiscatole e qualche volta imbranata, ma restando pur sempre l'elemento più 'positivo' che Matt Groening ha disegnato in questo cartoon. Fra l'altro, anche quello che l'autore ha confessato amare di più. Infine Maggie, neonata, che funge quasi da spettatore implicito, rifiutandosi di pronunciare le prime parole.

'I Simpson' sono quindi peccatori, e non santi, o meglio 'normali' (peccatori), come tutti, immersi nella loro aurea mediocritas che li rende una commossa rappresentazione della vita di tutti i giorni. Non più genitori impeccabili e li modello come ci hanno abituato decenni di sit-com, ma persone 'vere' di cui vengono messi a nudo pregi e soprattutto difetti.

Vivono una condizione per certi versi misera (se non tragica) nel loro stato di quotidiano squallore, dovuto proprio alla loro mediocrità. La bruttezza, la volgarità e la teledipendenza sono i tratti che hanno maggiormente portato la gente comune ad identificarsi con loro.

La forza trascinante dei Simpson sta nel ritrarre i nostri errori, le nostre disgrazie, ma al tempo stesso rassicurandoci, facendoci l'occhietto, e soprattutto, facendoci sentire meno soli.

A questo proposito Tonino Accolla, responsabile del doppiaggio nell'edizione italiana nonché doppiatore del personaggio di Homer (oltre che di molti attori americani molto famosi fra cui Eddie Murphy), ha dichiarato:- Il successo mondiale dei Simpson è dovuto a ragioni di cuore. Noi tutti, a prescindere dalle culture nazionali, abbiamo lo stesso cuore con quelle stesse debolezze che la famiglia Simpson rappresenta -. Vediamo come questa dichiarazione faccia da introduzione agli 'archetipi junghiani', concetti che poi riprenderemo parlando degli altri aspetti sociali.

L'archetipo rappresenta sostanzialmente un contenuto inconscio che viene modificato, per il fatto stesso di essere recepito coscientemente, in base alla consapevolezza individuale nella quale si manifesta. L'uomo si trova allora dinnanzi ad una contraddizione: in lui c'è la tendenza a ripetere comportamenti collettivi che appartengono al passato dell'umanità e, al tempo stesso, egli sperimenta il desiderio di salvaguardare la propria libertà con 'risposte' originali. Ma il punto è (e mi ricollego alle parole di Accolla) che tutti noi facciamo capo ad un inconscio collettivo.


La scuola è autoritaria ed incompetente, la Chiesa bacchettona, la politica corrotta, la polizia incapace, gli amici ipocriti, la fabbrica opprimente e il datore di lavoro malvagio. Proprio perché in questa serie il mondo esterno non funziona, per contrasto risulta essere anche quella che più sostiene il nucleo familiare, non tanto come istituzione portante, quanto come referente quasi assoluto in un mondo ormai privo di valori.

La famiglia Simpson non può fare a meno di se stessa perché solo al suo interno riesce a creare l'equilibrio necessario per la sopravvivenza che la ferocia della realtà circostante non può certo dare. Per fare fronte a tutto ciò può contare anche su un'altra ancora di salvezza: il piccolo schermo. Il fattore aggregante di questa famiglia è la dipendenza dalla televisione, l'elettrodomestico invadente per antonomasia, capace di soffocare ogni voce razionale all'interno delle mura domestiche.

'I Simpson' incarnano perfettamente il dualismo Junghiano della natura umana: presentano l'orrore della triste realtà quotidiana, ma possono trovare la 'salvezza' (in molti casi soltanto apparente) solo all'interno di essa; attraversando le imprescindibili dinamiche di potere, cioè il desiderio di possesso (Homer dice a Bart:- Finalmente un Simpson riuscirà a metterlo in quel posto a qualcuno!-) e la paura della perdita (sempre Homer che dice a Lisa:- Io non so cosa significhi perdere qualcuno di speciale perché le persone speciali che conosco sono tutte sotto questo tetto-)[8].

E' quindi chiaro che questi personaggi non si amano come si potrebbe amare un supereroe, perfetto, senza difetti e dotato di qua - MAIL ALTERNATIVA: @telephonicanet.itlsivoglia virtù. 'I Simpson' non ci mostrano mai come vorremmo essere.ci mostrano sempre come siamo, ci fanno sentire meno soli nelle nostre infinite imperfezioni. E tra l'acidità ed il sorriso, è quest'ultimo ad avere ragione nel vedere l'immagine della famiglia comicamente deformata ed esasperata fino ad essere una ridicolizzazione dell'intera condizione umana.

Prima di proseguire ed analizzare ancora i Simpson, vorrei passare un attimo a vedere che tipo di considerazioni si possono fare riguardo alle tematiche fin qui trattate, per Stanley Kubrick: la famiglia in relazione anche al mondo esterno e l'estremizzazione della condizione umana.

Cominciamo con l'analizzare gli esempi di nucleo familiare che ci ha dato il regista nei suoi film: la famiglia di Alex e dello scrittore in 'Arancia Meccanica', quella di Jack Torrance in 'Shining', quelle di Barry Lyndon, quella (acquisita) di Humbert Humbert in 'Lolita', quella dei coniugi protagonisti di 'Eyes wide shut', (sebbene questi ultimi due film non siano mai stati citati nei Simpson). Famiglie che toccano vari strati sociali, vari periodi storici e ovviamente varie tipologie di riferimento diverse fra loro. Probabilmente l'univoca chiave di lettura per lo scarso e negativo spazio che Kubrick da alla famiglia, sta nella speranza stroncata o completamente esclusa dalla positività della vita, come se solo rapporti abnormi o falliti possano avere luogo all'interno di essa.

La famiglia di Alex appartiene alla working class londinese di un periodo non ben precisato ed è composta, oltre a lui, dai suoi genitori: una donna dalla curiosa capigliatura (da far invidia a Marge!) ed un uomo alto e composto. Al suo rientro a casa dopo la 'cura Ludovico' Alex si vedrà rimpiazzato da uno sconosciuto e costretto a cercare rifugio altrove. Questo altrove diventa proprio la casa dello scrittore al quale Alex aveva distrutto la famiglia anni prima, stuprando, davanti ai suoi occhi, la moglie che poi morirà.

C'è un'interpretazione unanime da parte dei critici nel considerare lo scrittore evidentemente di sinistra o comunque filo-progressista, soprattutto in relazione alla ura finale del rappresentante governativo che va a trovare Alex in ospedale, dopo che questi ha tentato il suicidio. Al di là del paragone, ho voluto chiamare in causa anche il politico con cui Alex si 'allea' nel finale perché, soprattutto visto il precedente dialogo con i suoi genitori, sempre in ospedale, egli rappresenta la sua 'nuova famiglia', il Governo che con la sua protezione ed il suo benestare lo rimette in sesto per tornare 'in azione'.

In 'Barry Lyndon', film ambientato nell'Irlanda del 1700, seguiamo le vicende disgraziate del protagonista che resta orfano del padre morto in duello (primissima scena del film), viene cresciuto dalla madre, s'innamora della cugina a tal punto da sfidare il suo spasimante, che però sopravvive e la sposa. In seguito Barry conosce la ricca contessa Lady Lyndon, che sposerà, prendendo anche il suo nome per accedere alla nobiltà inglese; ma la tradisce, è odiato dal liastro che, dopo un alterco in pubblico con lui, lo sfida a duello ferendolo. Al di là degl'accenti a volte sarcastici della vicenda, il finale del film credo sia una "condanna" alle gesta sconsiderate del protagonista.

Humbert Humbert in 'Lolita' sposa una vedova snob e benestante nella provincia americana degli anni quaranta, è complice involontario della sua morte ed intraprende una relazione con la liastra. Come Barry Lyndon, anche qui il protagonista non trova la 'salvezza', sgretolando ogni residuo di unità familiare della sua vita.

Anche la coppia altoborghese nella New York contemporanea di 'Eyes wide shut', i coniugi Harford, accarezza la tentazione del tradimento per tutta la durata del film, senza mai attuarlo, ma sfilacciando ed indebolendo la relazione che vive. Nel finale i due protagonisti tentano una riconciliazione nel periodo natalizio all'insaputa della lioletta, rimasta all'oscuro dei vari scompensi emotivi dei genitori.

Concludiamo la carrellata con la famiglia di Jack Torrance, per dar maggior spazio al film più citato di tutta la serie e quello che, secondo Michel Ciment , è la vera chiave per comprendere Kubrick. E' di stampo proletario (ancora una volta americano) il protagonista, un ex insegnante che vorrebbe scrivere un libro. Raggiunge l'Overlook Hotel senza apparenti disagi, anche se, fin dal viaggio iniziale in macchina, le relazioni familiari sembrano oscillare continuamente e senza motivo in un pendolo fra tenerezza e terrore, tranquillità ed aggressione. Poi questo luogo inquietante (l'Overlook Hotel, appunto) lo sconvolgerà, portandolo a voler uccidere sua moglie Wendy e suo lio Danny, fino all'epilogo in cui il piccolo, possessore della 'luccicanza', riesce a venir fuori dal labirinto dove il padre morirà.

In questo film è anche ben presente il tema del focolare domestico che però contraddice se stesso contraddicendo ogni schematicità di tipo casa confortevole/labirinto ostile, visto che la casa (in questo caso castello- albergo) deborda di sangue e di fantasmi, mentre nel gelo (sia reale che metaforico) del labirinto "ci si salva". Vediamo anche come la casa sia divenuta un luogo ancor più centrale e decisivo attraverso l'internizzazione del mondo mediante i media domestici: radio, tv, videoregistratori fino ad arrivare agli ultimi oggetti tecnologicamente avanzati. Non a caso la citazione enormemente dissacrante dei Simpson nello speciale di Halloween vede Homer scrivere "Niente tv e niente birra rendono Homer pazzo furioso" dall'originale "Troppo lavoro e nessuno svago rendono Jack uno stupido".

In "Shining", nonostante sia un film appartenente al genere horror, ci sono degli elementi piuttosto comici, a partire dall'incredibile interpretazione di Jack Nicholson nel ruolo di Jack Torrance che "fa quasi ridere con i suoi modi da cartoon, (.) il riferimento ai fumetti è ricorrente nel film"[11]. Quindi, vediamo, il titolo stesso non è altro che un elemento marginale nella storia: la "luccicanza" non risolve assolutamente alcun problema nello snodo del film, anzi, è solo il "pretesto" della morte del cuoco di colore che viene ucciso da Jack. Questa contrapposizione porta qualcosa di ridicolo all'intera opera.

Ecco, alla luce di quanto visto finora, si possono fare delle considerazioni sui modelli familiari messi in scena da Kubrick. Mancanza di reciproca comprensione (Humbert e Jack Torrance con le rispettive mogli, i coniugi Harford, Barry Lyndon con il liastro), mancanza addirittura di comunicazione (Danny e Alex con i rispettivi genitori). E' chiaro che i suoi modelli sono mostruosi se paragonati ai Simpson, ma anche qui a volte c'è una 'salvezza' nella famiglia. Alex viene 'salvato' dalla sua nuova grande famiglia del Governo, Danny 'sconge' il padre e si salva insieme alla madre alla quale resta unito, la coppia di 'Eyes wide shut' sembra redimersi per i pensieri adulteri fatti in precedenza e mai concretizzatisi.

Anche nei Simpson i due genitori hanno occasionalmente possibilità di flirtare (soprattutto Marge che, stando ai canoni simpsoniani, dovrebbe essere una donna particolarmente avvenente) senza mai oltrepassare quel limite che devo ancora capire se dettato da regole non scritte della tv, o perché gli autori credano comunque e nonostante tutto nella famiglia come punto di forza e salvezza. Onestamente non so se sarebbe accettata dal pubblico televisivo una serie in cui una coppia sposata si tradisse sistematicamente per poi tornare nel 'dolce' focolare domestico. Sebbene questo tipo di puritanesimo sia ben diverso nel cinema, proprio perché il giorno dopo, un film, non te lo trovi davanti di nuovo alla stessa ora come avviene per un serial, anche in Kubrick si possono ritrovare delle condanne morali ai comportamenti adulteri (le miserabili conclusioni delle vicende di Humbert Humbert e Barry Lyndon ne sono espliciti esempi).

Per quanto riguarda la rappresentazione della condizione umana, poi, non credo esista nessun regista che più e meglio di Stanley Kubrick sia stato in grado di osservare la desolante banalità della "pazzia" ordinaria e la "brutalità" del quotidiano, portandola sul grande schermo. Questo cineasta va a ricercare il cancro diagnosticato nel cuore del sistema: dove si trova quella violenza istituzionalizzata che egli sbeffeggia.

Pensiamo a tutti i suoi film, compreso l'ultimo "Eyes wide shut", uscito postumo e ritenuto da molta critica il film più "politico" di Kubrick. Non ce n'è uno dove non ci sia un evidente spigolosità di relazioni fra gli individui, il desiderio taciuto, segreto, represso di potere e allo stesso tempo il potere come la più pericolosa delle 'droghe'. Partendo dalla consapevolezza che oggi la tragedia suprema su cui si gioca l'avvenire stesso del mondo è quello della stupidità, Kubrick ci fa riflettere sulla ripetitività della banalità di cui è intrisa la cultura di massa, e che di questa è l'unica attrattiva sostanziale.

'Come un architetto dello stato confusionale dell'uomo contemporaneo che vaga errante in questo viaggio utopico alla ricerca della luce salvifica e dell'unità perduta' . Nessuno come lui si è interrogato drammaticamente e creativamente sulle contraddizioni del genere umano e sulle contrapposizioni fra forza e debolezza, autorità e assoggettamento, potenza (sessuale) ed impotenza; tutti elementi che si verificano relativi e convertibili negli opposti, all'interno dell'universo narrativo kubrickiano che sembra sempre sul punto di sprofondare. La fine del mondo, l'apocalisse è dietro l'angolo, ma nel finale dei suoi film il regista opta per il silenzio, spetta a noi valutare la salvezza (quale e di chi), di proiettarci verso una dimensione ulteriore, dove trovare un barlume di speranza per chi abbiamo imparato ad amare.

Prima avevo momentaneamente interrotto il discorso sui Simpson dicendo che alla fine vince il sorriso. Sebbene nelle opere di Kubrick manchi sempre un finale che possa definirsi "lieto", anche nei suoi film si affaccia un sorriso, più amaro, più consapevole, probabilmente più velato, ma non meno autentico di quello provocato dai Simpson. I personaggi dei suoi film non si salvano sempre, come succede nel cartoon, grazie alla famiglia od altro, ma l'ironia è ugualmente pungente, l'immancabile sarcasmo assolutamente essenziale per la riuscita del messaggio.

Pensiamo ad Alex in 'Arancia Meccanica', come non sorridere di fronte all'ironia del suo modo di raccontare, di fronte ai suoi modi scapestrati e menefreghisti, per quanto si copra di vergogna e squallore per i suoi atti malvagi, non riusciamo ad odiarlo, anzi, addirittura è un sollievo ritrovarlo nel finale 'guarito' e di nuovo pronto per altre mascalzonate. Molta critica ha rimproverato a Kubrick proprio la simpatia che non si può fare a meno di provare per questa incarnazione del male puro che è il protagonista del film. Sicuramente il personaggio più vitale e attraente, soprattutto se confrontato con lo scrittore represso, i genitori spenti ed inebetiti, il guardiano della prigione rigidamente meccanico, i drughi deficienti, il Ministro degli Interni cinico e ipocrita.

Fin dalla prima scena del film in cui ci guarda fisso con i suoi occhi ruffiani, auspichiamo la salvezza per Alex, ed il suo 'ero proprio guarito' che chiude il film, nella positività del messaggio, lascia comunque immaginare allo spettatore (e a lui soltanto) che cosa sarà ancora capace di fare il protagonista. Il percorso di questo personaggio è anche quello di Joker di "Full metal jacket" che recita nel finale:- Vivo in un mondo di merda, ma sono vivo e non ho più paura-. Con tutto il suo bagaglio d'innocenza, ha compiuto per intero la regressione.

Ancora prima di Kubrick abbiamo imparato che si può sorridere giocando con la vita e la morte delle persone, anche con la morte di milioni di persone. 'Il Dottor Stranamore' ad esempio, è un film che incarna nel miglior modo possibile l'elemento che sto analizzando.  L'olocausto nucleare raccontato come una barzelletta, la parodia del genere cinematografico dei film di guerra, la parodia stessa del fatto che si sia arrivati a riprodurre filmicamente stragi realmente accadute (quella di 'Stranamore' è ovviamente inventata), in molti casi senza alcun occhio analitico. La scienza che progredisce lasciando indietro i valori umani che sembrano quelli di una vecchia tribù di primitivi intolleranti; anche un solo uomo, ben armato (la bomba atomica) può mettere a repentaglio l'intero Pianeta. eppure questo è un film chiaramente comico.

La pellicola veniva proiettata nei cinema negli anni sessanta preceduta da una scritta cautelativa della Columbia Pictures (casa distributrice) in cui si affermava che in realtà il sistema di sicurezza americano rende impossibili certi incidenti.ecco, questo è un elemento che per contrasto coincide agevolmente con l'irrisione generale del militarismo.da parte dell'antimiltarismo del regista. Insomma humor nero, ma pur sempre humor.

Ci sono anche film, ovviamente, nei quali la vena ironica e analitica lasciano spazio a una fattura più poetica e analogica, come nel caso di '2001: odissea nello spazio', ritenuto da molta critica il film più 'autobiografico' di Stanley Kubrick e che infatti, fa un po' storia a sé anche all'interno della carriera del regista nella sua totalità.




B) Gli altri risvolti sociali


Andando oltre il concetto di "anti-family show" e di versione "burlesca" della condizione umana, vorrei ora affrontare le altre tematiche comuni dal punto di vista sociale che possiamo riscontrare in Kubrick e nei Simpson. Partiamo ancora da questi ultimi.

"Il postmodernismo è un fenomeno inevitabilmente politico, critica il potere, la dominazione, ma è anche in questi coinvolto, è incapace di fuggire dall'implicazione che il telefilm stesso vuole analizzare. Le sit-com sono diventate il modello televisivo preferito, sono le nostre migliori, persuasive, potenti ed acclamate fonti di esternazione dei media". Lo studioso Matthew Henry fece quest'affermazione in virtù di alcuni rilevamenti sul gradimento delle sit-com da parte del pubblico statunitense nel corso degli anni, dai quali si evinceva che, nell'ultimo decennio, fra i primi dieci programmi tv più seguiti, ben sette erano situation comedies.

Prima di portare avanti il mio discorso vorrei sottolineare che c'è una differenza sostanziale fra telefilm/sit-com e cartoon (anche se di natura seriale). Questa differenza non è da ricercare nell'aspetto 'educativo' di queste due tipologie di programmi, ma nell'aspetto culturale. Mi spiego meglio. Il "cartone animato" non è altro che la "messa in moto" di un fumetto, non nel senso di un fumetto che sia reperibile su un supporto cartaceo (il caso dei Simpson in questo senso è assolutamente contrario: dopo il successo della serie -creata per la- tv, ne sono stati distribuiti i fumetti), ma nel senso che comunque, volente o nolente, l'animazione è un passaggio appena successivo all'aver disegnato qualcosa che per convenzione chiamiamo fumetto. Il fumetto è sicuramente una forma di arte, definita la "nona arte", che ha riscosso una certa popolarità nel secolo scorso. Il fatto che un cartoon abbia come cornice la dimensione televisiva, per quanto lo sminuisca "moralmente", non potrà mai derubarlo dei suoi indiscutibili "contenuti" artistici (e quindi culturali, perché l'arte è cultura).

Se noi vediamo un film in tv (e, si badi bene, non un film-tv, cioè un film non scritto per il grande ma per il piccolo schermo), possiamo bestemmiare per le continue interruzioni pubblicitarie, per i titoli di coda mozzati, per la maggiore velocità dei fotogrammi , ma non potremmo certo dire che la tv deruba quel film della sua appartenenza al cinema come forma di arte. Lo stesso se vediamo in tv un concerto o un opera teatrale. Perché è proprio qui la questione: anche se esiste da sempre e nel corso degli anni abbiamo anche imparato a dividere quella bella da quella meno bella , non so chi sia in grado di definire cosa è e cosa non è arte, senza fare riferimento a degli schemi predefiniti che dobbiamo accettare inevitabilmente come postulati.

Prendiamo la musica, per esempio. Qualsiasi movimento fatto da qualsiasi cosa o persona sulla faccia della terra emette un suono o rumore che dir si voglia. Questo rumore, in quanto tale, ha una frequenza che, in quanto tale, è riconducibile ad una nota. Proprio così, una nota: do-re-mi-fa-sol-la-si. A questo punto non possiamo certo dire che tutto è musica, perché chiunque diventerebbe un musicista (e quindi un artista). Ve lo immaginate il tagliaboschi? Accomnamento di sega elettrica per caduta alberi e stacco asimmetrico del vento che soffia. Per definire cosa lo è e cosa non lo è dobbiamo fare riferimento a quegli schemi di cui parlavo prima.

In termini concreti, si parla di musica quando abbiamo una serie di note (quindi più di una) messe consapevolmente in un certo ordine, nel rispetto di un determinato tempo metrico. Quindi probabilmente non il tagliaboschi, ma un carcerato norvegese che suona brutal metal su stimolo di sevizie, fa musica perché i "rumori" che emette e produce rientrano consapevolmente in una determinata scala di toni preesistente. I suoi dischi, per quanto assurdo, si trovano negli stessi negozi di musica dove compriamo i dischi di Beethoven.

Tutta questa digressione atta al solo scopo di avvalorare la tesi che sto per formulare, ci porta fino al punto di rottura, cioè il "luogo" dell'arte. Sebbene "I Simpson" rientrino per un discorso di serialità televisiva nel genere della sit-com e vengano trasmessi in un orario il cui target è prevalentemente giovane ed in teoria interessato alle fiction "in carne ed ossa" a puntate, non hanno niente o quasi di paragonabile nei contenuti, o meglio nella tipologia di contenuti, con trasmissioni del genere.

In questo senso ha sicuramente ragione Enrico Ghezzi quando dice, da sostenitore ed appassionato della serie, che l'arte dei Simpson (perché ovviamente è di arte che si parla) perde credibilità nella sua dimensione quotidiana, in una spazio ed in un orario, fra l'altro, raramente messo a disposizione dell'arte in generale.

Il motivo per cui "I Simpson" secondo me non sono una situation comedy, al di là ovviamente di caratteristiche tecniche, è principalmente che sono "arte", e prima ancora di esserlo per questioni di contenuti, lo sono per le questioni legate agli schemi che vi dicevo prima: il cartoon è una diretta conseguenza del fumetto, una prosecuzione di una forma d'arte preesistente. La sit-com invece no. Cos'è la sit-com? La trasformazione retroattiva del cinema? La retrocessione morale e culturale della videoarte? Di una qualche altra arte visiva e/o concettuale?

Quello che voglio dire è che mi risulta difficile pensare che dietro "Pappa & Ciccia" "Darma & Greg" "Will & Grace" "Mamma & Fija", "Chip & Chop" "Trick & Track (e bombe a mano)" ci siano dei contenuti artistici (e quindi culturali). Fermo restando che il pubblico interessato può anche essere lo stesso dei Simpson; anzi personalmente sono sicuro che lo sia tanto quanto sono sicuro che la stragrande maggioranza di contenuti di questo cartoon, compreso il suo messaggio rivoluzionario e devastante, cadano nel baratro dell'incomprensione.

Va comunque riconosciuto a questo proposito, che la serie di Groening sotto l'aspetto dell''intersezione' fra cartoon e sit-com, è riuscita a fondere velatamente alcuni opposti ritenuti da sempre inconciliabili: il livello estetico del fumetto d'autore con un format popolarissimo legato alla serialità televisiva.

Facendo un breve ponte su un argomento che approfondiremo meglio nel modulo "Spazio e tempo", vorrei sottolineare quanto sia, in conclusione, inadeguata, proprio come sosteneva Ghezzi, la dimensione televisiva per "I Simpson", che però hanno avuto in questo senso la fortuna di raggiungere un numero elevatissimo di persone. Fra le quali c'è stato qualcuno avvezzo più alla lettura dei libri e alla visione dei film piuttosto che al 'consumo' di programmi televisivi, che ne ha apprezzato la pluralità di chiavi di lettura nonostante la 'tragica' cornice nella quale sono inseriti, riconoscendone la levatura culturale.

Lo stesso discorso (anche se chiaramente ad un altro livello) si potrebbe fare su Kubrick riguardo ai suoi film appartenenti a generi gregari come nel caso di "2001: Odissea nello spazio" (fantascienza) e "Shining" (horror). In ogni genere affrontato, Kubrick ha segnato in un certo senso delle svolte, entrando in sistemi stabili come quelli dei generi e modificandone tutti gli equilibri interni. Così dopo che lui aveva "contaminato" anche quel determinato genere (e cioè, per dirla in altre parole, il 'luogo' di quella determinata forma di cinema), chiunque dopo di lui avesse voluto fare un film che anche solo lontanamente lo sfiorasse (il genere, intendo), non poteva non confrontarcisi.


La critica americana sostiene che presentare al pubblico famiglie infelici e 'svuotate' abbia prodotto effetti negativi quali l'abbassamento delle nostre aspettative riguardo al futuro ed il progressivo atrofizzarsi della nostra abilità di credere in qualcosa; affermando che l'ironia presente in certi programmi è l'antitesi dei sentimenti profondi, un assalto alla famiglia e a tutti i tipi di relazioni umane. Riassumendo il tutto con un accusa di 'minare all'interno le famiglie vere, discreditandone la realtà'.

Il passo successivo a tutto questo non è quasi mai (fortunatamente) la censura. Ma ci sono stati comunque fatti piuttosto 'curiosi': i presidi di alcune scuole americane hanno bandito le magliette con l'icona di Bart Simpson, alla fine degli anni '80 il presidente Bush (e genitori ed insegnati con lui) condannò il programma come idiota e sovversivo, sua moglie Barbara portò avanti un lungo rapporto epistolare con la Fox che segnò la schermaglia fra i Bush e 'I Simpson'. La cosa assolutamente ridicola fu che i responsabili del canale di Rupert Murdoch[18] risposero a Barbara Bush firmandosi Marge Simpson, dando un accento allo stesso tempo familiare e assurdo ad ogni lettera .

Anche in Italia ci sono state polemiche per il messaggio del cartone animato ritenuto dal MOIGE[20] non adatto ad un pubblico che guarda la tv nella fascia oraria del primo pomeriggio. La proposta fu di cambiare orario al cartone animato, ma questo avrebbe significato per la Mediaset rinunciare ad una fetta piuttosto consistente di pubblico: quella dei più piccoli. Ovviamente l'orario del programma non è mai stato cambiato.presumibilmente per questioni commerciali.

Nel nostro Paese si aggiungono poi i normali problemi di doppiaggio che ogni programma proveniente dall'estero presenta. Sostiene giustamente Tonino Accolla, che tradurre i numerosi 'fuck' della serie originale porterebbe ad un livello di volgarità molto alto, visto che, questa parola, così diffusa e di uso comune in America, non ha lo stesso riscontro di 'normalità' nella nostra lingua.

Risulterebbe fin troppo ovvio un discorso sui Simpson quale esempio immorale o quantomeno confuso e ambiguo di (dis)educazione, ma se riusciamo ad andare 'oltre' l'immagine, in un contesto sociologico, troviamo il nocciolo dell'aspetto rivoluzionario di questo cartoon: gli autori si schierano dalla parte degli emarginati, degli oppressi, dei clandestini, dei fuorilegge, in una difesa del diverso che rappresenta la Nazione più aperta, progressista e tollerante; la ricchezza non viene vista come unica felicità dell'esistenza, almeno all'interno della famiglia Simpson. Così, dietro uno stile che si fa beffa del politically correct, si cela e si manifesta un prodotto che fa riflettere sul mondo della comunicazione, dell'arte, della politica. E questo (intendo il fatto che faccia riflettere anziché ottundere il cervello) credo che sia quanto di più rivoluzionario possiamo trovare in tv. Lo conferma il fatto che la fortuna di questo programma, in tutto il mondo, è stata decretata proprio da quella fetta d'utenza che solitamente non è utenza, cioè che non guarda programmi tv.

Dal mio punto di vista non si possono neanche discutere i gesti dissacratori che la serie mostra in ogni episodio. Queste azioni clamorose, atti di ribellione, 'servono' agli autori per contestare i valori istituzionali degli Stati Uniti, per mettere in discussione ogni genere di norma socioculturale che le regole tradizionali fanno apparire come inviolabili agli occhi degli americani benpensanti.


Poi personalemente non credo che un cartone animato possa aggravare (ancor di più) l'orientamento che il genere umano ha intrapreso quattromila anni fa, e cioè quello della conflittualità, della paura del non conosciuto, dell'intolleranza per il diverso che sfocia nell'odio o, per essere ancora più precisi, nella sua manifestazione più esplicita: la guerra. Quando guerra non significa solo due o più eserciti di due o più Stati lontani culturalmente e geograficamente che si sparano missili. Guerra significa anche (e soprattutto) ragazzi della stessa città che si massacrano dentro uno stadio, poliziotti sovvenzionati dai contribuenti che picchiano manifestanti (contribuenti) in un corteo, automobilisti che si accoltellano per una precedenza non rispettata, genitori che picchiano i propri bambini, il vicino di casa che ti avvelena il gatto, il professore di liceo di Matematica e Fisica che insulta te e la tua famiglia, gli abusi di potere, la mancanza di rispetto, l'ignoranza.

Tutte queste (e altre) guerre, combattute quotidianamente dalla stragrande maggioranza degli individui sulla faccia della Terra in nome di falsi ideali politici, religiosi, etici e sociali, io credo ci sarebbero comunque.

Anzi, addirittura credo che 'I Simpson' siano un deterrente. Ci vengono proposte determinate tematiche anche in modo molto stemperato dalla forte vena ironica e cinica del cartoon, e l'attenzione posta dagli autori ai cambiamenti sociali e culturali del nostro tempo non la rende certo una serie generatrice di mali sociali e perdita di valori.

Questa è una storia antica di secoli, questione aperta dai tempi di Platone ed Aristotele. Si è discusso sul fatto che gli uomini, fin da bambini 'giocano' con il conflitto, fanno finta di 'fare la guerra'. Per Platone la rappresentazione della realtà violenta doveva essere evitata soprattutto nelle rappresentazioni teatrali perché altrimenti i bambini (ahiloro futuri adulti) vedendola od ascoltandola avrebbero potuto imitarla. All'opposto Aristotele pensava che la violenza vista e rappresentata potesse essere uno straordinario strumento per comprenderla, approfondirne le radici e anche esorcizzarla dalla vita vera conoscendone la sua rappresentazione simbolica.

Ancora oggi si discute di questa famosa 'rappresentazione' problematica del conflitto, della conflittualità; siamo arrivati a mettere sotto accusa perfino i videogames, ponendoli al centro di una questione morale a dir poco ridicola. Qual è il problema? Di che cosa si ha paura? Dell'assuefazione da parte dei più piccoli alla violenza? Della banalizzazione della vita attraverso l'uso di una playstation?

Le nuove possibilità ludiche saranno forse le fabbriche del cinismo, ma non dimentichiamoci che per secoli in tutte le civiltà del mondo la tradizione orale prima e scritta poi ha allevato gli esseri umani a crescere ponendo la questione del conflitto come centro della vita.

Le armi di distruzione di massa non vengono costruire per dilettare bambini. Ma senza andare troppo lontano: le armi che la democratica e rispettosissima polizia della nostra ridente penisola usa, non vengono fabbricate da chi fissa come target di riferimento innocui adolescenti skazzati che si chiudono dentro la camera. No, il motivo perché queste armi vengono fabbricate (con i soldi dei contribuenti) è perché vengano usate. Ok, usate, da chi lo sappiamo, ma contro chi? Contro gli stessi contribuenti! Cioè i contribuenti vengono costretti tramite le tasse a are per avere una difesa di loro stessi da loro stessi.assolutamente perfetto, no?

Divagazione a parte, sul tema della rappresentazione della violenza ci vengono in aiuto le parole di Stanley Kubrick in una dichiarazione del 1972: 'C'è sempre stata violenza nell'arte, c'è violenza nella Bibbia, in Omero, in Shakespeare.molti psichiatri pensano funga più da catarsi che da modello. Quello  che voglio dire è che il film viene accettato come opera d'arte e nessun opera d'arte ha mai fatto un danno sociale, anzi, una gran quantità di danni sociali li hanno fatti coloro che hanno cercato di difendere la società dalle opere d'arte che giudicavano pericolose'.

Ma prima di passare a Kubrick vorrei vedere come anche nei Simpson si possano riscontrare le teorie junghiane sull'uomo e sulla società.

Lo stile dei Simpson ingloba l'intera vita individuale e collettiva, con l'idea utopistica di rovesciare la tradizionale american way of life quale simbolo d'imborghesimento e pseudo-valori (ipocrisia, corruzione, egoismo). Sebbene il cartoon di Matt Groening sia fortemente ispirato dagli underground comix, i cui esponenti non si schieravano radicalmente di fronte a determinati mali sociali, ma si limitavano ad una reazione politica incentrata sulla passività e sulla creatività autoreferenziata, tende ad esporre l'inettitudine della psicologia popolare, del consumismo, delle religioni fondamentali, dell'uso dell'ambiente e della decadenza dell'educazione.

Jung dedicò diversi anni allo studio della società americana, che egli osserva con stupore e tensione per via di quella fisionomia di civiltà senza passato, ma destinata a divenire la più grande potenza del mondo. A questo proposito volle sottolineare quanto fosse deleterio sul singolo l'effetto del raggruppamento degli individui: gli avrebbe sottratto la possibilità di manifestare doti e valori personali che la condizione stessa di gruppo vanifica e neutralizza in quanto sommatoria degli elementi comuni a tutti gli uomini che 'non sono altro che il primitivo, torbido, indolente e privo di volontà' .

L'attrazione esercitata dalla massa rappresenta sempre una soluzione difensiva ed inconsapevole, là dove l'individuo non è stato in grado di trovare risposte personali adeguate ai sentimenti di paura, angoscia e disorientamento, legati a difficoltà collettive come la miseria e la guerra.

L'individuo ha rinunciato ad essere il soggetto attivo della propria esperienza per scivolare in un'infantile regressione nella quale si dissolvono volontà e ragione: è in questo quadro che si formano le premesse per un affidamento passivo ed incondizionato alle regole e alla logica del gruppo che fornisce illusorie garanzie di sicurezza e protezione.

Fermiamoci un attimo e pensiamo alla famiglia Simpson totalmente succube della tv, la presa di posizione nei confronti dei media è di assoluta passività o ingenua credulità. Ma non solo da parte dei componenti del nucleo familiare, anche gli altri personaggi della serie sono mostrati da parte degli autori in modo tale da essere un accusa al sistema massmediologico statunitense, basato troppo spesso sull'apparire e poco sull'essere: un attacco all'ignoranza. Vedi le frequenti mobilitazioni e sommosse popolari che si sono viste nei vari episodi, la 'massa' uniforme che si muova senza logiche e senza ragione (sia nel senso di 'senza senno', sia nel senso che ha torto).

C'è una frase di Carl Gustav Jung che ricordo con particolare piacere: 'La riunione di cento cervelli intelligentissimi produce come somma un grande imbecille'. Come non accostare a queste parole il microcosmo simpsoniano, all'interno del quale ognuno è capace solo di demolire, criticare, oltraggiare, senza mai suggerire un'idea costruttiva; eccezion fatta per Lisa, ho già avuto modo di dire, personaggio 'positivo' della serie, troppo spesso sopraffatta dalla prepotenza ottusa dei grandi.

Questo fattore, lo scontro fra gli aspetti ingenui, puri e innocenti (la coalizione fra i fratelli Simpson, l'indulgenza dei genitori verso i li, la dolcezza verso gli animali, l'infantilismo di Homer 'bambinone' mai cresciuto) con quelli plastificati, corrotti e ipocriti (gli affari illeciti di Boe, la malvagità del Signor Burns, l'incapacità dell'autorità sia come forze di polizia che come forza politica), fanno di questo cartone un elogio all'infanzia e una condanna all'adultità.

L'aspetto affascinante dei Simpson è anche quello che ci fa considerare gli adulti considerevolmente più deficienti e devastanti dei bambini delle elementari, dalla parte dei quali Matt Groening si schiera senza remore. I bambini visti spesso come i deboli perché sprovvisti del 'potere decisionale' che è invece purtroppo nelle mani degli adulti.

Torniamo ancora a Jung.

Egli definisce 'l'infantile stato di sogno dell'uomo massa' l'illusione di un benessere a portata di mano senza sforzi e conquiste individuali, alimentata dall'istituzione dominante con il preciso obiettivo di rafforzare il proprio potere grazie all'indebolimento dell'individuo, che, amministrato, nutrito, vestito, educato, alloggiato in abitazioni a lui confacenti e divertito, viene progressivamente privato delle proprie decisioni morali e del senso di appartenenza a quel macrocosmo di cui è invece l'immagine specularmente riflessa.

Ciò che ne deriva è un pericoloso 'fatalismo' che, sottraendo all'uomo la responsabilità morale della propria esistenza e delle vicende del mondo, attribuendole invece ai governi, allo Stato e al 'Cielo', lo assolve e contemporaneamente lo annulla.

A proposito di denaro, per esempio, i desideri di Homer sono molto a buon mercato: cibo, birra e televisione non incidono quasi sul salario e i suoi 'hobby' poveri riescono persino a distoglierlo da sogni 'da ricco' che si sono rivelati ingannatori e che egli stesso teorizza come esperienza negativa e impraticabile. All'interno della famiglia Simpson c'è un altro componente senza un reale attaccamento al denaro, Bart, che eccede sempre in assurde richieste di somme ingenti che suo padre paradossalmente accetta senza batter ciglio. Seguendo poi il connubio indissolubile fra potere economico e potere politico, c'è un principio di contestazione che il capofamiglia attua in merito alle istituzioni del potere. Homer, dietro la sua bonaria apparenza, cova un odio profondo verso i padroni, di cui Mr. Burns simboleggia ovviamente la quintessenza maligna. Tuttavia, ad eccezione di un unico episodio che lo vede sindacalizzato , egli non sa convogliare questo livore in pensiero razionale, in lotta di classe o presa di coscienza ideologica. La sua mente non arriverebbe certo a considerare l'esistenza di un Marx. Economia per Homer significa lottare per pochi centesimi nella sua realtà, per poi finire con l'accontentarsi dei soldi che guadagna poiché consentono a lui ed alla sua famiglia di togliersi le più banali soddisfazioni entro i parametri del tipico consumismo americano.

Nel suo discorso Jung inserisce anche la Chiesa, domandandosi che ruolo abbiano le religioni in questo processo di massificazione dell'individuo. Egli asserisce che caratteristica dell'uomo moderno è la perdita delle convenzioni religiose perché la Chiesa ha attuato un compromesso con lo Stato e professa una fede che è essenzialmente rivolta al mondo: è diventata una questione sociale prima che spirituale dove lo Stato ha sostituito Dio e dove l'asservimento alle dittature è diventato una specie di servizio divino. Una logica conseguenza di quella massificazione che, avendo ridotto l'individuo ad unità numerica, non concede più alcuna attenzione a quegli invisibili fattori personali su cui l'esperienza spirituale stessa si fonda.

Jung si pone l'assillante interrogativo di quali mezzi l'uomo possa disporre per affrontare il male; posto che ne' strumenti legislativi, ne' organismi internazionali possono portare cambiamenti, attuabili soltanto nella coscienza del singolo. Perché è evidente che di fronte al 'dramma collettivo' egli opponga la possibilità del cambiamento individuale, il solo che ritenga capace di provocare una trasformazione anche nell'atteggiamento complessivo delle Nazioni. Questo cambiamento per Jung non può che avvenire che con la presa di coscienza della doppiezza della natura dell'uomo, predisposta anche al male per l'ambigua disposizione morale degli esseri stessi.

Quest'ultimo aspetto è probabilmente molto più evidente nella poetica kubrickiana che in quella simpsoniana ma concludiamo il discorso. Jung ammette che c'è bisogno di non poco coraggio morale per vedere il mondo in cui viviamo così com'è e noi stessi per quello che realmente siamo: 'la delusione di speranze e aspirazioni millenarie: dopo quasi duemila anni di storia, le guerre di questo secolo hanno mostrato all'uomo civile che egli è ancora un barbaro. Se mai c'è stato un periodo in cui la riflessione su noi stessi è stata una cosa non solo assolutamente necessaria, ma anche l'unica giusta, è proprio l'attuale nostra catastrofica epoca'. L'evoluzione così accelerata della civiltà occidentale che ha catapultato l'individuo da un livello primitivo ad uno troppo elevato di civiltà e spiritualità, ha fatto precipitare negli abissi dell'inconscio quanto non poteva essere accettabile, dando come risultato che, se la nostra civiltà può essere orgogliosa dei suoi traguardi, noi dobbiamo vergognarci di noi stessi.

Restiamo ancora un attimo sui Simpson, prima di passare all'analisi dei film di Kubrick, per sottolineare che questa è l'unica serie animata che si permetta di parlare di Dio.

Le ure clericali nel cartoon sono spaventose per il loro squallore: Timothy Lovejoy, svogliato reverendo protestante che annoia tutti con i suoi sermoni infiniti ed inconcludenti, tipico religioso fuori dal tempo che incarna l'incapacità della fede di risolvere un qualsivoglia problema terreno; sua moglie Helen, pettegola, scorretta, schizzinosa e puritana a livelli surreali; la lia Jessica, che nasconde dietro sembianze angeliche un carattere pestifero. Poi ci sono i vicini di casa dei Simpson: i Flanders, che non sono caratterizzati in modo negativo nelle varie storie, essendo ben educati, rispettosi, generosi e pronti ad aiutare i bisognosi; ma forse proprio perché troppo 'santi', sono paradossalmente le persone a cui va tutto male: il negozio fallisce, la casa crolla, il capofamiglia impazzisce, la moglie muore, i li diventano gay, Homer (che detesta il loro perbenismo) gli ruba sistematicamente qualsiasi cosa. Sembra che siano la valvola di sfogo del dna anticlericale del cartoon

Allargando un po' la cosa possiamo dire che sia il 'luogo' Chiesa in generale a tirare fuori il peggio degli abitanti della comunità di Springfield, che la frequentano regolarmente ogni domenica solo come obbligo morale per sentirsi purificati dei peccati che poi, sempre e comunque commettono nel corso della settimana, e per sentirsi in diritto di giudicare il prossimo.

I soli personaggi peggiori di queste ure sono i poliziotti e i politici, messi ben al di sotto della delinquenza organizzata con la quale collaborano quotidianamente. Il mafioso Tony Ciccione è un personaggio onorevole in confronto con il sindaco John Quimby, corrotto, puttaniere, ignorante, reazionario, buffone e falso. Gli altri politicanti che appaiono saltuariamente nella serie hanno più o meno tutti le medesime caratteristiche. Quindi vediamo le forze dell'ordine: il Commissario Winchester, la corruzione fatta persona, incapace di gestire l'ordine, capace solo di sbagli madornali, fino a negare l'evidenza di certe situazioni. Un personaggio debole e pauroso che riesce a mascherarsi solo dietro gli abusi che compie; padre di un bambino mezzo ritardato e marito di una sovralimentata, rappresenta tutta l'alienazione del mestiere più triste del mondo.

I suoi i, Eddie e Lou, sono scemi e infantili, personalmente mi hanno sempre ricordato i drughi comni di Alex in 'Arancia meccanica', che infatti, non a caso, entrano in polizia.

Cominciamo ora l'analisi dei film di Kubrick partendo proprio da Jung. Kubrick è uno junghiano convinto, è arrivato perfino a mettere in bocca ad uno dei suoi personaggi (Joker di 'Full metal jacket') il nome del famoso studioso svizzero in risposta alla duplice natura umana. Ma questo è solo uno (anche se forse il più 'sfacciato') dei richiami delle tematiche junghiane ad opera del regista.

Andiamo con ordine: 1953, primo lungometraggio di Stanley Kubrick, 'Fear and desire', 'paura e desiderio'. L'immancabile voce narrante recita:- C'è la guerra in questa foresta; non una guerra che è stata già combattuta, ne' una che lo sarà in futuro, ma una qualsiasi guerra. E i nemici che lottano qui tra loro non esistono a meno che noi non li facciamo esistere.solo le forme sempre uguali della paura, del dubbio e della morte provengono dal nostro mondo. I soldati che vedete parlano la nostra lingua e sembrano nostri contemporanei, ma il loro solo paese è la mente-. Il primo contatto che il regista decide di avere con il pubblico è subito legato al 'mito' del doppio, qui riproposto in maniera quasi ingenua, a esemplificazione della condizione umana. Ma questo non è altro che quello che fanno i fumetti (e quindi i cartoon): facciamo nuovamente un passo indietro. 'I Simpson' sono la realtà? Certo che no. Non lo sono ovviamente ad un livello di lucida razionalità perché non esistono; ma non lo sono anche perché non hanno neanche la pretesa 'televisiva' di essere una realtà finta, immaginaria della vita umana. Loro sono un doppio della realtà, quindi, se vogliamo, un'altra realtà[23]; non sono la riproposta cosciente dell'inganno che da sempre ci offrono le apparenze del reale (sit-com fiction telefilm, ecc.).

Andiamo avanti con un'altra pellicola di guerra, questa volta storicamente combattuta: 'Orizzonti di gloria'. Il film incarna in sé il concetto presente in tutti i film di Kubrick della fascinazione/repulsione; da una parte l'interesse sadico per i meccanismi di massacro, per quello che resta il gioco più affascinante e complesso, dall'altra la condanna, prima logica che morale, di un gioco appunto incontrollabile. Incontrollabile proprio perché coinvolge su vasta scala una pedina insolita ed affascinante: l'uomo.

Il controllo, l'ossessione del controllo, il terrore della perdita totale del controllo. Il cinema di Kubrick è cinema dell'ossessione e l'ossessione più forte nel suo cinema è sicuramente quella della perdita del controllo.

All'inizio del mio lavoro avevo segnalato come punto in comune fra Kubrick e 'I Simpson' la fascinazione per quelli che ho definito 'eroi mediocri'; ebbene ogni film del regista americano termina con una sconfitta dell'uomo, uno scacco storico, inequivocabile. Distrutti i ladri di 'Rapina a mano armata', vinto il colonnello Dax in 'Orizzonti di Gloria' nella sua lotta morale e politica contro i capi corrotti dell'esercito, annientato Spartaco dall'imperialismo romano, beffato il professor Humbert nel suo amore per Lolita, schiacciata l'umanità terrestre dall'ordigno bellico che essa stessa ha incautamente usato nel sempre più attuale 'Dottor Stranamore', smarriti gli astronauti di '2001: odissea nello spazio' di fronte al monolito nero, simbolo del mistero e dell'umana conoscenza; integrato in un 'sistema' di gran lunga più violento di lui Alex di 'Arancia meccanica', abbattuto dalla storia, dal fato, dal caso il giovane Barry Lyndon nel suo vano, assurdo e ingenuo sogno di potenza; muore congelato Jack Torrance in 'Shining' per aver rincorso suo lio nella volontà di ucciderlo; uccide e diventa adulto Joker di 'Full metal jacket', escono sconvolti dalle loro vicissitudini i coniugi Harford di 'Eyes wide shut'

Nel messaggio dell'ebreo Kubrick si scontrano la chiusura della morale religiosa calvinista con l'incertezza della morale cattolica, per non parlare di pessimismi della ragione e 'ottimismi' del cuore. Quale sia questo messaggio dobbiamo però chiedercelo noi, quando alla fine del film, avremo nelle mani gli elementi per valutare l'operato di un uomo che si è interrogato a fondo sulla violenza dell'uomo sull'uomo. La violenza della guerra in 'Fear and desire' 'Dottor Stranamore' 'Orizzonti di gloria' e 'Full metal jacket'; la violenza del teppismo urbano e poi dello Stato in 'Arancia meccanica'; quella della presunzione tecnologica in '2001: odissea nello spazio' e ancora in 'Stranamore'; infine quella psicologica in 'Shining' e 'Eyes wide shut'

Ci si domanda come questo artista possa mantenere un distacco siderale dal suo tempo, partendo dal lacerato e viscerale pessimismo che lo porta ad una profonda sfiducia verso ogni azione dell'essere umano. Ci si domanda come sia riuscito, nel corso degli anni, trincerato nella solitudine camnola, a mascherare abilmente la sua opinione concreta sulla politica, sulla società, sulla quotidianità. Amo pensare che l'abbia fatto per concederci (cioè per concedere singolarmente, ad ogni suo spettatore) la possibilità di valutare con le 'nostre forze' le sue creazioni.

Così, nello scavare a fondo alla ricerca della (propria) verità prima di perderci ognuno per la propria strada, non potremo non domandarci chi fosse realmente quest'uomo enigmatico, stratega del nulla nel nulla, conduttore di giochi a scacchi contro le illusioni, le ambizioni e le paure dell'uomo (quindi, inevitabilmente, anche le sue), individuo misterioso e sfuggente, occultato dietro il perfezionismo professionale e l'apparente obbiettività della sua opera.

Voglio anche ricordare che le opere di Stanley Kubrick hanno quasi tutte avuto e continuano ad avere un destino travagliato: presi a modello da gruppi neo fascisti come dai nuclei anarchici, immancabili nei cineforum dei collettivi studenteschi e in quelli dei centri sociali, i suoi film (alcuni dei quali non sono ancora mai stati trasmessi in tv presumibilmente per la loro inadattabilità alla dimensione televisiva) sono l'emblema della complessità del loro creatore.

Gli manca la possibilità di qualsiasi individuazione sociale, non crede nelle forme illusorie dell'idealizzazione umana, ne' tanto meno nelle autoillusioni collettive che l'uomo periodicamente si propone. Contro le idee di massa, Kubrick lavora a preservare la propria identità profonda, intuendo le potenzialità devastanti della ferocia annidata in ogni meccanismo sociale. Vedendo la cupezza del vivere nella società e chiedendo quasi di non farne parte.

Il successo all'interno del sistema 'cinema' per Kubrick si è allargato a dismisura toccando tutti gli estremi della società; ovviamente è il rischio che si corre con forti riscontri commerciali, ed è quanto accaduto anche a Matt Groening con 'I Simpson', nati come cartone (forse) per bambini, seguiti in tutto il mondo da adulti di qualsiasi razza, religione e credo. Ora non vorrei che questi due artisti che io metto a confronto passino per dei populisti dell'arte, la sincerità delle loro opere mi sembra quanto mai evidente; ma è la complessità di esse, che dovrebbe rendere la loro comprensione più criptica, a farle invece fenomeno affascinante per molti e quindi, indirettamente, se non proprio comprensibili, almeno (necessariamente) accessibili a tutti.


Si è detto a più riprese nel corso dei decenni che Stanley Kubrick rappresenta 'culturalmente' un caso unico nella storia non solo del cinema, ma nel mondo delle arti in generale. Un uomo innamorato dei libri , della Storia, della Scienza, aldilà delle considerazioni sulla sua presunta paura di fronte alla 'ina', per la quale, secondo i critici, non avrebbe scritto quasi nessuno dei soggetti tradotti filmicamente: undici dei suoi tredici lungometraggi sono tratti da romanzi.

Chi pensa che all'interno dei suoi film si sia cercato (e trovato) più di quanto ci fosse realmente, secondo me sbaglia. Io penso che si sia trovato una parte molto piccola di quanto c'è in realtà, e credo che molto oltre non si andrà perché le risposte ai quesiti irrisolti della poetica kubrickiana, sono passate a miglior vita esattamente come l'unico possessore di esse: Kubrick stesso.

Vorrei concludere questa parte con le parole di un critico italiano, Guido Aristarco, che scrisse un articolo su 'Cinema Nuovo' n. 126 nel 1958, dopo aver visto 'Orizzonti di gloria'

'Stanley Kubrick è senza dubbio nel cinema americano attuale, il regista più coraggioso, un talento indipendente e fuori da equivoci e compromessi: il suo distacco dai Brooks, dai Ray, Aldrich, Robson, è totale. La formula produttiva da lui scelta è un esempio corretto e preciso di una indipendenza economica richiesta per la libertà delle idee. Nel carattere pubblico della società attuale descritta da Adorno, egli inserisce ufficialmente la sua protesta e la esprime con estrema chiarezza; dal tono di 'Orizzonti di gloria' non si ha sentore di una riconciliazione da parte di colui che protesta. Un pericolo comunque esiste: coloro che non si conformano vengono colpiti da una impotenza economica che si riflette su quella spirituale di chi è ridotto a vivere da anacoreta. Escluso dall'ingranaggio, è facile convincerlo della sua insufficienza. Saprà Kubrick resistere ai pericoli dell'industria americana della cultura?'.

Cercheremo di dare una risposta a questo quesito nel prossimo modulo.



'Spazio e tempo in Kubrick e nei Simpson'


Parlare di come viene gestito lo spazio ed il tempo all'interno delle complicate trame dei film di Kubrick o di un cartoon come 'I Simpson' non è certo semplice; lo è ancor meno se andiamo ad analizzare innanzitutto il modo in cui il famoso regista e gli autori della serie animata si sono rapportati con lo spazio nel quale sono inevitabilmente 'racchiusi' e cioè quello con il quale, volente o nolente devono 'fare i conti': il grande schermo per il primo, il piccolo schermo per i secondi.

Già nell'analisi di questo primo punto vedremo quanto le loro strade siano state molto vicine. Questa volta cominciamo con Kubrick, il cui rapporto con il mondo del cinema e con l'industria cinematografica è stato caratterizzato da non pochi contrasti e in alcuni casi, anche da forti contraddizioni. Oltre a questo, è stato anche uno degli aspetti che hanno ricevuto minore attenzione nella sua carriera di regista.

E' così, si potrebbe dire, perché questo rapporto sembra apparentemente debole: Kubrick vive fuori dagli Stati Uniti da oltre trent'anni senza aver mai (si dice) fatto ritorno al Paese nativo; un certo numero di suoi film ha avuto più successo fuori dal mercato statunitense; egli è infine 'famoso' per aver raggiunto l'indipendenza produttiva dalle comnie cinematografiche in una misura che non ha precedenti nella storia della produzione commerciale americana.

Questa 'distanza' è in realtà apparente, perché anche la carriera stessa di Kubrick (prima ancora dei suoi film) è profondamente interconnessa con la cosiddetta 'industria dei sogni' di Hollywood. Io credo che la chiave di lettura di tutto ciò sia nella dichiarazione del regista che non volle diventare tale perché follemente innamorato del cinema, anzi, la maggior parte dei film che vedeva lo disgustavano, ad eccezione di Hitckock, Welles, Huston e Chaplin. Volle diventare regista per pura ambizione riuscendo a capire l'importanza che quella forma d'arte avrebbe avuto sull'umanità.

Egli ha lavorato, almeno una volta, con quasi tutte le 'majors' del mercato: United Artists, Universal, Columbia, Mgm e Warner Bros.. Queste comnie hanno distribuito i suoi film e hanno partecipato al finanziamento di alcuni di essi. Tali rapporti hanno 'irrimediabilmente' immesso Kubrick (prima ancora dei suoi film) nelle strutture del business; non solo, ma contribuiscono a render conto del fatto che, nonostante l'autoesilio geografico da Hollywood, egli è tuttora considerato un regista americano diverso da altri registi che lavorano in patria.

C'è anche da dire che Kubrick non è stato protagonista di queste connessioni per sola necessità; quasi mai ha esitato nell'accettare le norme del gioco del cinema americano, solo ha voluto giocare in base alle proprie regole, piegando quelle degli altri al proprio volere. Così facendo ha provato all'industria di essere in grado di fare film di successo facendoli a modo suo.

Quindi la sua non è stata una semplice 'partecipazione' all'industria del cinema americano dell'ultimo mezzo secolo, lui ed i suoi film hanno giocato un ruolo molto più importante di quello che gli è stato finora riconosciuto in merito alla trasformazione dell'industria medesima con la ssa del monopolio degli studios e con il sorgere del potere televisivo.

Sebbene le informazioni sui reali finanziamenti nel mondo del cinema non siano proprio alla luce del sole, tentare un'esplorazione del rapporto fra Kubrick e l'industria del cinema potrebbe gettare nuova luce sulle strategie dell'uno sull'altra e viceversa.

Senza entrare troppo nel dettaglio, voglio solo ricordare alcune tappe importanti per capire meglio la relazione che passa fra il cinema di Kubrick e Kubrick nel cinema.

Nel 1960 ci fu il primo significativo contatto fra il regista e l'industria cinematografica. Il film in questione è 'Spartacus', unico film disconosciuto da Kubrick fra quelli realizzati e anche il film più costoso mai prodotto a Hollywood fino a quel momento. Kubrick venne chiamato a sostituire Anthony Mann dopo pochi giorni di riprese per divergenze con Kirk Douglas, già protagonista in 'Orizzonti di gloria'. E' più che probabile che la comnia della stesso Douglas, la Bryna Productions, abbia giocato un ruolo non indifferente nella produzione del film, finanziato dalla Universal.

Due anni dopo Kubrick gira 'Lolita' senza alcun previo accordo con una comnia di distribuzione. In previsione che il film, tratto dal romanzo di Vladimir Nabokov (che collaborò anche alla sceneggiatura), avrebbe avuto sicuramente problemi di censura, le case distributrici attendevano il responso del PCA ; responso che fu il logico risultato di minacce della stampa americana e malignità dei rotocalchi. Questa data, il 1962, segna l'abbandono da parte di Kubrick, del Nuovo Continente per le camne londinesi, dovuto anche al fatto che i finanziamenti per il film dovevano 'curiosamente' essere spesi in Inghilterra.

Col passare degli anni Kubrick poté notare sempre più chiaramente le difficoltà economiche connesse alla realizzazione di un cinema che si rivolgeva in primo luogo al gusto di un sofisticato pubblico delle grandi metropoli. Nel 1963 'Dottor Stranamore' divenne un cult movie nelle città universitarie costituendo un punto di riferimento nella rivolta studentesca. Fra l'altro questo fu l'unico caso in cui Kubrick produsse se stesso tramite la sua comnia, la Hawk Films.

Ma col passare degli anni crebbe anche il suo nome, la sua fama ed il suo prestigio. L'esperienza di '2001: odissea nello spazio' (1968) segnò la rottura fra il regista e buona parte della critica cinematografica americana. E fu così che, per usare un termine fantozziano, Kubrick 's'inkazzò', assumendo un ruolo assai più attivo non solo di fronte alla stampa, ma anche nei riguardi delle comnie di distribuzione. Emblematici in questo senso due episodi: 'Arancia meccanica' (1972), 'respinto' dalle sale di tutta la Gran Bretagna senza che questo spingesse la produzione a fare pressione al regista per eventuali modifiche (che comunque in parte ci furono); proprio perché la Warner Bros. era molto più interessata a salvaguardare la produzione kubrickiana piuttosto che la distribuzione di un suo singolo film nel Regno Unito. Nonostante questo 'Arancia meccanica' è stato il più grande successo al botteghino del regista. E poi 'Barry Lyndon' (1975), che Kubrick si rifiutò di mostrare ai direttori di produzione della Warner Bros. prima che fosse distribuito.

In conclusione egli è riuscito a fare i film che desiderava realizzare e farli nel modo che voleva (per quanto umanamente possibile visto l'aspetto meravigliosamente collettivo del cinema): fatto questo, pressoché unico negli Stati Uniti.


Passiamo ora ai Simpson e vediamo innanzitutto il loro rapporto con la TV americana. Alla fine degli anni '80 negli Stati Uniti il monopolio del trittico Cbs, Nbs, Abc stava implodendo perché le reti leader degli ascolti del Paese erano cristallizzate sempre sugli stessi argomenti. La pratica della controprogrammazione, cioè di fare la guerra alle altre reti mandando in onda un programma che fosse il più simile possibile a quello del concorrente, basandosi sullo studio del palinsesto avversario, creò alla lunga un'offerta così omogenea da rendere le reti indistinguibili l'una dall'altra. Si tendeva un po' in tutti i settori (informazione, varietà, fiction- percentualmente la più 'controprogammata'-) ad un piatto generalismo, targettizzato ed omologato.

Tale appiattimento era dovuto principalmente al fatto che le reti maggiori credevano che aggiornare l'offerta significasse perdita di audience e di profitti.e così facendo hanno perso audience e profitti. In questa maniera è arrivata la Fox, assolutamente impensabile anche solo dieci anni prima, che ha trovato spazio scommettendo con coraggio su un certo tipo di programmi, fra cui 'The Tracey Ullmann Show', all'interno del quale sono stati presentati al grande pubblico, per tre anni sotto forma di cortometraggi, 'I Simpson' (dal '87 al '89), fino ad essere promossi come vera e propria serie nel 1990, trasmessi sempre dalla stessa emittente.

Il fatto che il 'boom' dei Simpson non si sia mai arrestato fa sì da tenerli stabili nei palinsesti televisivi dei canali di molti Paesi, ma ha, secondo me, un grosso sconveniente. Il debito che questo cartone a, abbiamo già detto, agli underground comix degli anni '60 e '70 è evidente, e questo significa che il 'luogo dell'arte' dei Simpson è anche in parte il 'luogo dell'arte' degli underground comix. O, quantomeno che i due 'luoghi' coincidono per alcuni punti.

In effetti ai Simpson è successo un po' quello che è successo ai fumetti 'alternativi' di quegli anni. Per colpa della sua 'debolezza', il movimento ha finito per farsi riassorbire dal cosiddetto sistema, il quale ne ha imprigionato le potenzialità rivoluzionarie, accademizzandone le valenze estetiche, a tutto vantaggio di un livellamento mediologico di basso profilo culturale. Nel migliore dei casi l'underground è riuscito ad entrare nei circuiti della produzione industriale di buon livello, concedendosi ad un felice compromesso tra purezza e commercializzazione, arte e consumismo.

'I Simpson' vengono quindi forgiati in quella cultura anticonformista che in fondo vive la propria diversità in quanto tale, forse perfino come fine a se stessa, escludendo talvolta a priori l'eventualità di confrontarsi con il mondo circostante. Questo prodotto stabilmente inserito in un circuito mediale con format di serializzazione, non rinuncia alla qualità del cartoon d'autore e alla valorizzazione di formule e stilemi che appartengono ad un sapere pluri-intellettuale, unendo la cultura alta alla cultura pop.

I protagonisti del cartoon debordano dal piccolo schermo diventando presenze costanti di una realtà che si confonde con la fiction, di un gioco che si lega al consumo delle merci dello spettacolo dell'esistenza. Come i personaggi della Disney, anche 'I Simpson' stanno pacificamente invadendo i rapporti con le cose e con gli altri, regalando, previo acquisto di denaro sonante, ogni oggetto di attività ludico-affettiva.

Lo sconveniente è proprio questo: i frutti del lavoro di Matt Groening oggi si trovano su qualunque forma di suppellettile domestica, cartacea o di abbigliamento, e mille altri tipi di gadget, più di qualunque altro personaggio della tv. Come successo in passato per Keith Haring , anche l'inventore dei Simpson ha visto i tratti delle sue opere riprodotte ovunque per essere venduti come inutili feticci privi di forza e valore di cui sono invece pregne le opere che li hanno 'ispirati'. In una sola parola: merchandising. Il simbolo di un America che sia Groening che Haring demonizzavano e che ha ispirato proprio la creazione delle loro opere.

Chiusa questa parentesi (secondo me tutt'altro che trascurabile) torniamo alla tv: 'Il magnate plurimiliardario Rupert Murdoch aveva intenzione di svoltare su un canale innocente e amico della famiglia e invece si è visto come programma di punta della propria emittente un'animazione esplosiva dove il sangue scorre a fiumi! (applausi)'. Queste parole di Matt Groening[27] ci fanno pensare che la libertà di azione di questo cartone animato che potremmo definire anche etico, seppure con qualcosa di ironicamente demoniaco, sia molto ampia. Probabilmente è così, visto che sono per primi 'I Simpson' da 'dentro' la tv a scagliarsi contro il più grande carnefice del nostro tempo: la tv stessa.

Nonostante siano una famiglia 'televisiva', la teledipendenza sia il principale elemento di riconoscimento da parte del pubblico ed il televisore stesso abbia un ruolo centrale anche all'interno delle storie, 'I Simpson' sono una critica feroce alla tv sotto ogni suo aspetto.

Pensiamo ai personaggi del piccolo schermo della comunità di Springfield: Krusty il clown, presentatore di programmi per bambini e idolo di Bart, perennemente vestito da liaccio (per far capire al pubblico che la vita è tutta una commedia e per questo un'immensa tragedia?). Ma non incarna il liaccio triste, secondo la tradizione artistico-letteraria (opposta a quella giostraia), lui è invece il liaccio disonesto, una persona cattiva, che odia ogni persona, ogni situazione. Venderebbe sua madre per soldi, sensibile ad ogni tentazione, irriconoscente e incapace di regolarizzare la propria vita.

Una ura inquietante che in fondo ribadisce l'invadenza, la pervasività, la globalizzazione del mezzo televisivo, dell'industria culturale, del divertificio ormai coatto. Krusty fa paura e crea angosce, dubbi, perplessità, ripensamenti nel senso che comunica, con la sua sola presenza, che ormai non solo la tv è così, ma lo è anche la società che all'interno di essa si specchia.

Il fatto più inquietante è che, nonostante Krusty intrattenga misteriosi rapporti con i mafiosi locali, sia un noto evasore fiscale, sia insensibile verso tutto e abbia spesso beghe giudiziarie per il suo comportamento sregolato, egli è un personaggio televisivo popolarissimo fra i più piccoli, quasi a ribadire l'incapacità (o l'impossibilità) da parte del pubblico televisivo più innocente, di rendersi conto di cosa e chi sta adulando.

Telespalla Bob, ex comico del 'Mega Krusty Show', ha cercato di incastrare Krusty per rapina, è tutt'ora galeotto, si è presentatosi alle elezioni come rappresentante dei Repubblicani, ha tentato ripetutamente di uccidere Bart che smaschera sistematicamente i suoi piani.

Troy Mc Lure, esempio di loser cinematografico, ex attore di b-movies, come molte meteoriti del firmamento hollywoodiano s'illude di essere famoso. Presentatore di qualsiasi spot, show a premi, telethon, video fai da te, special tv e filmato istruttivo; presenta qualsiasi cosa anche che contraddica quella precedentemente presentata, tiene segreto la sua forma di sessualità con i pesci.[28]

Infine Kent Brockman, mezzobusto di canale 6, capace di ogni ignominia e bassezza pur di accaparrarsi una fetta maggiore di pubblico, prepotente e intollerante con i suoi assistenti. Tutti loro, come tutti gli altri personaggi marginali delle storie che hanno a che fare con il mondo della tv e dello spettacolo sono incredibili concentrati di negatività, utilizzati da gli autori per indirizzare sfrecciatine verso i divi mediali, troppo spesso scorretti (soprattutto in fatto di evasione fiscale) e squallidi.

Il rapporto dei Simpson con l'industria televisiva è stato sicuramente meno conflittuale ma altrettanto contraddittorio di quello di Kubrick con il mondo del cinema; fanno commenti pungenti sulla programmazione e capita persino di sentirli parlar male dei programmi della Fox

Sempre restando nel tema della tv possiamo fare anche considerazioni più tecniche, ad esempio, la 'tv nella tv' che è una caratteristica presente sotto diverse forme, prima fra tutte, comunque, quella del cartoon nel cartoon dei Simpson: 'Grattachecca e Fichetto'[29].

Bart e Lisa si accomodano quotidianamente davanti alla tv per vedere il loro programma preferito, il classico siparietto del topo che uccide il gatto, suo cronico avversario, scatenando le risa dei due fratelli. Il cartone di 'Grattachecca e Fichetto' è anche la parodia violenta di un cartone animato molto famoso con la stessa struttura: 'Tom & Jerry' , che in un Paese così puritano e attento alla censura come gli Stati Uniti ha avuto modo di essere trasmesso in periodi storici ben diversi da questi, senza che nessuno si curasse della violenza (anche se molto meno esplicita) che era presente all'interno del cartone stesso, mascherata da un finto buonismo 'natalizio' .

C'è anche un episodio in cui Bart e Lisa 'entrano' nel loro cartoon preferito mentre Homer li guarda in tv[32]. Ma partendo dall'inizio (in tutti i sensi), vediamo che la sigla d'apertura stessa termina con un esempio di metatelevisione: la famiglia Simpson si piazza davanti alla propria tv per vedere l'episodio (dei Simpson) che sta per cominciare, per vedere la messa in onda di loro stessi.

In ambito di spazio e tempo vale la pena spendere anche due parole su alcune caratteristiche comuni a molti cartoon e che riguardano anche 'I Simpson'. Innanzitutto i personaggi non invecchiano, hanno praticamente look fisso, quasi mai si tiene conto di ciò che è avvenuto in episodi precedenti a fini di logica della storia[33], non ci sono solo elementi realistici sebbene l'ambientazione sia fondamentalmente realistica .

Abbiamo già detto che 'I Simpson' non sono la realtà, ce lo dimostrano loro stessi esplicitamente in almeno tre episodi: Homer dopo un viaggio allucinante in una dimensione parallela arriva nel nostro mondo, nel senso che si vede la sua proiezione tridimensionale camminare in una strada circondato da esseri umani in carne ed ossa che lo guardano e lui esclama:- Ma dove sono finito? E chi sono questi mostri?-[35]. Il secondo quando Lisa legge a Bart da un libro che fra mille anni gli uomini avranno un altro dito sulla mano, arriveranno cioè a cinque dita (loro ne hanno quattro come in molti altri cartoni animati); Bart esclama:- Cinque dita? Che mostri!-. Infine in una puntata in cui Homer si reca a tavola e Marge gli dice qualcosa di spiacevole, lui esclama:- E questo che significa? Che alleverò tre li dalla pelle rosa e con cinque dita per mano?- in quel momento i visi sempre disegnati, ma molto più somiglianti, di tre bambini umani biondi con gli occhi azzurri si sovrappongono a quelle dei piccoli Simpson provocando la fuga urlante tipica di Homer .

Riguardo a queste ultime considerazioni possiamo vedere come l'altro cartoon di natura seriale di Matt Groening, 'Futurama', non cerchi 'dimostrazioni' di questo genere. Possiamo dire che 'Futurama' è la realtà perché è una realtà che chi guarda il programma oggi sicuramente non conoscerà mai: è ambientato nell'anno 3000. Il fatto, ad esempio, che sia esplicita la collocazione geografica della vicenda in 'Futurama' (è Nuova New York, cioè la città ricostruita sulle macerie della 'vecchia' New York) dimostra una certa 'sicurezza' da parte degli autori, che è invece mancata nella creazione dei Simpson: la città è Springfield, nome molto comune per le città di provincia in USA (ce ne sono circa quattromila[37]), ma in quasi trecento puntate non è mai stato reso noto lo Stato d'appartenenza, come se questa città di Springfield non esistesse, o, ancora meglio, esistesse un po' ovunque come luogo specifico e indefinibile.

Ma l'elemento meno fuorviante e dato di realtà certificata, è probabilmente il colore della pelle: sebbene in 'Futurama' ci siano varie forme di vita che coesistono sui vari pianeti, gli esseri umani del Pianeta Terra hanno la pelle rosa. 'I Simpson' non sono sulla 'linea' della realtà come invece è 'Futurama'

Analizzare un futuro immaginario ha dato praticamente carta bianca agli autori della serie per parlare di qualsiasi cosa avvenuta dopo il ventesimo secolo; questo avveniva in realtà anche nei Simpson, dove difficilmente credo si sia rinunciato a commentare acidamente qualcuno o qualcosa per timore.si è arrivati ad insultare diversi Presidenti (o ex-Presidenti) degli Stati Uniti d'America! Anzi, forse un simile atteggiamento aveva più ragione di esistere nei Simpson che in 'Futurama' vista la loro 'irrealtà'.

Quando dico carta bianca intendo in termini principalmente 'offensivi' nei riguardi di persone realmente esistenti, non certo per la meticolosa precisione con cui i collaboratori di Matt Groening riproducono sul piccolo schermo il nostro mondo (reale o irreale che poi debba risultare).

Prima ho parlato di contraddizione in riferimento al merchandising dei Simspon; ora, avendo citato gli autori della serie, vorrei sollevarne un'altra. Questo cartoon, mi sembra evidente, ha qualcosa di fortissimamente anarchico[38], sovversivo, lontano dal miele di Walt Disney , per esempio. Eppure, in perfetta tradizione disneiana, Matt Gorening si è circondato di dodici sceneggiatori che scrivono le storie e circa cinquanta artisti che le disegnano. Il lavoro di queste persone viene poi spedito in Corea del sud dove un gruppo di quasi cento animatori lavora dodici ore al giorno (mi piacerebbe sapere con quale busta a) dando vita a 14.000 immagini, che verranno poi, a loro volta rispedite a Los Angeles per il missaggio.

Ma veniamo all'analisi degli elementi 'visivi' del cartoon, cioè gli elementi che insieme con quelli uditivi, sono più importanti per la formazione della conoscenza di qualsivoglia argomento: il colore della pelle dei personaggi, così inverosimile e irrazionale. Il colore giallo[40].

Questo è, nella simbologia classica e mitologica, per definizione ambivalente e contraddittorio: le tonalità chiare indicano bontà (che rimanda al sole e all'oro), intelletto, è simbolo o metafora di luce; le tonalità scure denotano tradimento, slealtà, inganno, gelosia, perfidia.

Viene ancora fuori percorrendo altre strade l'ambivalenza dell'uomo di cui abbiamo parlato nel modulo scorso citando Jung. Possiamo dire che tra questi due poli 'antagonistici' sono compresi gli atteggiamenti di tutti i personaggi dell'intera serie, non solo la famiglia protagonista quindi, perché la caratteristica del 'giallo' nei Simpson riguarda la comunità in toto. L'immagine globale oscilla di proposito nel rappresentare il bene ed il male, distribuendolo ironicamente all'interno di ogni ura o concentrandolo paradossalmente solo su alcune, visto che il colore uniforma buoni e cattivi.

In America poi, il colore giallo è sintomo di malattia, sinonimo di orientale, asiatico , diverso, nemico per eccellenza nel secolo scorso: prima i giapponesi, poi i coreani, i vietnamiti, i cinesi.

Restando su elementi corporali, vediamo i capelli e gli occhi. Le chiome dei cinque familiari assumono inusitate forme geometriche, con accentuate differenze per ogni membro. La pettinatura fantasmagorica per eccellenza appartiene ovviamente a Marge: in questo parallelepipedo blu intenso rivolto verso l'alto non centra la moda. Il suo ruolo di madre, moglie, massaia viene comunicato al mondo esterno in modo da tentare di elevarlo 'spiritualmente' dalla sua meschina condizione giornaliera, subita un po' ovunque: a casa, al supermercato, in strada, con o senza la presenza dei suoi familiari. Contro la routine dei lavori domestici si frantumano tutti i sogni e le utopie della giovinezza e della realtà circostante: la vita di questo personaggio mette a nudo la dura verità di un'esistenza quotidiana avara di sorprese e gratificazioni, che riserva soltanto un vissuto all'ombra di una famiglia prepotente.

Anche per Bart esiste un 'problema' analogo: la sua testa è tratteggiata come un lungo capoccione che termina in una fitta cresta, assolutamente allineata al suo stato di bad boy, attraverso il quale cerca un riscatto sociale. In questo simile alla madre perché psicologicamente non vuole altro che uscire dal grigiore quotidiano.

Più che i capelli, il problema di Homer è l'assenza di capelli, ormai praticamente calvo per le varie gravidanze indesiderate della moglie e con una testa a forma d'uovo, vive questa situazione con frustrazione.

Anche nell'analisi dei capelli, vediamo come a Lisa sia stato riservato un occhio di riguardo: la funzione simbolica della sua testa dai contorni a punte quasi stellari indica un astro di luce scintillante, magica, complessa per proteggere il cervello di una bambina colta, saggia, dotta e brillante; esempio etico per tutta la famiglia che invece spesso la deride e quasi mai la prende in considerazione. Gli accenti filosofici dei suoi discorsi, sempre maturi ed eruditi gli causano gravi problemi relazionali, soprattutto con i coetanei della simpatia dei quali non gode. E' dunque anche nell'aspetto una bambina intellettuale e cerebrale, anche se viene coinvolta nella pessima considerazione estetica della acconciature della sua famiglia da parte di Stacy Lovell

Veniamo agli occhi, che richiamando la vista, senso essenziale per la ricezione dello spazio, elemento essenziale per l'analisi delle arti visive, richiamano quanto di più importante ci sia da riconoscere nei Simpson (e, vedremo poi, anche in Kubrick, ovviamente).

Il pubblico della serie sarà sicuramente affezionato agli occhi dei personaggi, tanto sono particolari e fumettistici: a palla, completamente rotondi, fuori dalle orbite con il grande cerchio bianco che sembra quasi staccarsi dal resto del viso, con una piccola nera pupilla statica al centro della cornea che ne raddoppia l'effetto globosferico. Nella perfezione geometrica di questa forma a palla degli occhi perennemente sgranati c'è forse anche una metafora 'cosmica': negli occhi dei Simspon si rispecchia l'intero universo(?).

Se vediamo anche le azioni che l'occhio compie in maniera assolutamente distaccata dal resto del corpo nel cartoon di 'Grattachecca & Fichetto', ci rendiamo conto di che valore indipendente e assoluto abbia nella poetica simpsoniana. Gli occhi del povero gatto vengono spesso e volentieri letteralmente divelti dai bulbi oculari per farne due oggetti assolutamente scorporati; ma nonostante questo, vediamo muoversi le pupille all'interno di essi come se vivessero di vita propria con una propria volontà.

Affrontati gli elementi stilistici dei personaggi, vediamo quelli tecnici della scena. Esiste un rapporto assai complesso fra interno ed esterno per quanto concerne i luoghi che regolano l'agire umano all'interno delle storie. Passando attraverso il pubblico e il privato 'I Simpson' vengono segnati da una precisa dialettica fra il livello narrativo e quello appunto della rappresentazione dei luoghi. Questi ultimi infatti acquistano un originale spessore espressivo nel valutare l'impatto psicologico di ciascun personaggio con i luoghi deputati della sua più o meno felice esistenza. A dire il vero non sono nemmeno molti i 'luoghi di vita' simpsoniana, ma in ognuno di essi si consuma il rito di una vita in cui l'esibizione di sé resta sempre pubblica, anche nel privato. Dunque la questione del privato nei luoghi pubblici si fa complessa in tutti gli episodi: indicativo in tal senso è 'La taverna di Boe' dove Homer è di casa, nonostante la freddezza e l'ostilità dei comni di sbronze.

Probabilmente la stragrande maggioranza dei luoghi simpsoniani soffre di questa ambiguità: molti personaggi vorrebbero che nei luoghi da loro frequentati si manifestasse una familiarità in senso protettivo, ma altri preferiscono adibire gli stessi luoghi come spazi neutrali dove poter acuire le differenze di classe, sesso e cultura.

Un altro elemento spazio temporale è costituito dai non poco frequenti 'allontanamenti' di uno dei cinque protagonisti dal focolare domestico; anche se il concetto di allontanamento può essere rappresentato anche solo da una posizione di contrasto nei confronti di tutti gli altri o a soltanto un altro componente della famiglia, pertanto ha una valenza più morale che fisica. Ma tale processo coinvolge l'intero assetto familiare e talvolta anche quello sociale. E' sufficiente chiudersi dentro alla propria stanza per sancire una distanza, una separazione con gli altri, con il mondo esterno, di gran lunga più simbolica ed efficace dei battibecchi continui con i propri familiari.

La destabilizzazione che ne consegue, all'inizio sempre traumatica, porta a riflessioni sullo stato della 'famigliola felice' che vive i miti del suo tempo. Ma entro la fine dell'episodio, per i motivi di cui sopra, questo stato di cose così precario, viene sempre riequilibrato con il 'ritorno a casa' da liol prodigo, al fine di confermare la ciclicità della serie.

Concluderei questa parte sullo spazio parlando dell'uso da parte degli autori di due tecniche di ripresa cinematografica: la profondità di campo e la panoramica. La prima, come ho già avuto modo di dire nel modulo introduttivo sui Simpson, è molto usata nella serie, e costituisce un lavoro veramente minuzioso di lavorazione degli oggetti sullo sfondo. Al contrario nelle animazioni giapponesi si utilizza un montaggio velocissimo (detto 'a mitragliatrice') che rende praticamente nullo l'impiego della profondità di campo. Possiamo dire che le due tecniche sono agli antipodi.

La panoramica invece indica un movimento della macchina da presa che ruota attorno al proprio asse in modo tale da cogliere tutto il panorama. Quest'ultima tecnica è strettamente interconnessa con la prima, nel senso che è grazie alla panoramica che ci sia rende conto della cura e dei dettagli anche di ciò che non riguarda i primi piani.


Vediamo ora l'organizzazione del tempo. La contemporaneità delle sit-com è un punto su cui allo spettatore non vengono date molte informazioni; si deduce da una serie di eventi precisi. Il tempo vero e proprio che rientra nei venti minuti circa di ogni puntata cambia a seconda della trama e, grazie al montaggio, si adatta alle esigenze della narrazione. Una caratteristica sulla quale vale pena soffermarsi è l'accostamento nella stessa scena di pochi secondi di una citazione letteraria o cinematografica e, subito dopo, di una gag. Cioè un elemento rivolto ad un pubblico evoluto e uno ad un pubblico under 10; come risultato di un linguaggio molto complesso.

J. Francois Lyotard, nel suo libro 'La condizione postmoderna' , sostiene che l'uomo viva in una situazione di costante crisi poiché disperatamente travolto dalla tecnologia, pertanto il confronto con essa lo pone nella condizione di dover rivedere continuamente tutto il percorso storico della modernità alla luce di tali elementi. Il moderno si è caratterizzato attraverso categorie quali una storia, un tempo, uno spazio, un concetto sempre più provvisori e soggettivi, capaci in ultima istanza di essere legittimati esclusivamente dal loro stesso fondamento. A tutto ciò corrisponde un soggetto che deve costruirsi una condizione che non è più universale e oggettiva ma particolare e soggettiva, dove il passato, il presente ed il futuro, si risolvono nel 'qui e ora' dell'attualità, dell'immediatezza della contemporaneità, nell'istante del tempo presente. 'I Simpson' sono considerati un fenomeno postmoderno non solo per il transito dall'artigianato underground alla domesticità neo-televisiva, ma soprattutto perché raccoglie criticamente al proprio interno le sollecitazioni d'ogni pratica culturale, alta e bassa, bella e brutta, passata e presente, fondendo tutto quanto in un discorso coerente e divertito di giochi e specchi.


Veniamo a Kubrick, che rappresenta un'eccezione nel cinema americano anche per la rottura del tradizionale concetto di 'spazio', sia scenografico che temporale, che rappresenta il confine della sua espressione. Egli manifesta la volontà di esprimere uno spazio particolare, avvalendosi di tempi che spezzano schemi narrativi e iconografici classici.

Questa sua visione indubbiamente evoluta dello spazio non trova una controparte nella gestione del tempo, un'altra ossessione kubrickiana. Questi due elementi che stiamo analizzando riguardano due aspetti importanti della vita privata del regista: giocatore di scacchi (spazio) e suonatore di jazz (tempo). Il montaggio, cioè il processo che regola principalmente il tempo, ma anche lo spazio, di una storia, è sempre stato definito da Kubrick il 'responsabile' della stragrande maggioranza dell'opera, cioè della sua riuscita.

Analizzando i suoi film vediamo come si passi dall'assoluta mancanza di elementi spazio-temporali di 'Fear and desire' alla meticolosa e infallibile ricostruzione del '700 inglese in 'Barry Lyndon', dallo spazio infinito con il progressivo scorrere del tempo di '2001: odissea nello spazio' ai tre spazi diversi fra loro, ma ugualmente 'con i minuti contati', del 'Dottor Stranamore'; dalla dimensione sospesa, tale da rendere 'Arancia meccanica' un film di fantascienza, alla riproduzione filmica di due conflitti bellici come la Prima Guerra mondiale e il Vietnam in 'Orizzonti di gloria' e 'Full metal jacket'

Vorrei soffermarmi particolarmente su un film: 'Shining' che oltre ad essere il film più citato in assoluto nei Simpson è, come ho gia detto, una chiave per comprendere Kubrick, perché ci ritroviamo le due tematiche spazio temporali più importanti: il labirinto e la poetica delle porte.

La dedizione agli spazi aperti, le ure geometriche perfette, la ricerca del punto di fuga, sono tutti elementi che dobbiamo prendere in considerazione se parliamo di spazio e tempo in Kubrick; ma sono tutti raccolti all'interno del labirinto, ura geometrica perfetta e allo stesso tempo 'sfida', proprio come la scacchiera.

Il labirinto si manifesta in maniera esplicita per la prima volta in 'Shining', caratteristica più che mai kubrickiana in questo particolare caso, in virtù del fatto che nel romanzo di Stephen King da cui il film è tratto, non è presente: c'è un giardino con i cespugli modellati con le forme degli animali, ma nessun labirinto. Kubrick ha scelto di inserire autonomamente l'elemento forse più personale della sua poetica. In passato però, c'erano stati dei segnali precisi che richiamavano alla struttura labirintica: la scena dell'uccisione di Quilty nella sua casa in 'Lolita' e le trincee di 'Orizzonti di gloria', solo per citare i più 'riferibili'. Ma torniamo a 'Shining'

Espressione spaziale e temporale allo stesso tempo, il labirinto è la conurazione ideale dello spazio kubrickiano e, in generale, dello spazio e del tempo. All'interno di esso bisogna trovare un centro per recarvisi e fuggirne, quindi compiere un movimento 'verso' e un movimento 'fuori da': anche il labirinto ha una doppia natura. Viaggio verso l'interno, esplorazione e contemporaneamente desiderio di uscire. Questo è al centro della problematica spaziale di Kubrick tramite il senso dello spazio chiuso, della claustrofobia, della spinta ad espandersi.

I labirinti all'interno di 'Shining' sono addirittura tre: l'albergo è un labirinto per come è strutturato, al suo esterno c'è il labirinto 'principale', che segnerà l'epilogo della vicenda, e al suo interno ce n'è una riproduzione in scala, un modellino, al quale il regista dedica un'inquadratura particolarmente riuscita.

Alla lotta contro lo spazio si sovrappone la lotta contro il tempo del suo protagonista che deve raggiungere uno scopo ma sembra non avere il tempo necessario per farlo. Come tutte le persone che avvertono profondamente il problema del tempo, Kubrick è affascinato dall'immortalità intesa come assoluta 'abolizione del tempo', e 'Shining' ci mostra un''idea' d'immortalità, dato che vi si ritrovano tutti i temi del cinema dell'orrore e del fantastico: la reincarnazione, la metempsicosi, il doppio, la telepatia, ecc.. Tutti modi di abolire lo spazio ed eliminare, appunto, il tempo.

Alcuni critici hanno identificato la ura del regista nel personaggio di Danny, possessore della 'luccicanza', che circola nello spazio e nel tempo vincendone le resistenze. Il bambino 'luccica' su passato, presente e futuro riuscendo a comunicare al di là di limitazioni spazio-temporali, come il regista riesce attraverso il montaggio a sopprimere le contingenze della realtà. 'Shining' è l'abolizione vera e propria dello spazio e del tempo, ma il suo problema ultimo è l'abolizione della morte, la sua soppressione. Ogni lotta contro il tempo è, di fatto, una lotta contro la morte: credo che il cinema di Kubrick sia una profonda espressione di questo conflitto.

Veniamo ora alla poetica delle porte, ovvero i 'mondi possibili'. Anche questo fattore, derivante da una teoria semiotica , aveva già fatto capolino in altri film di Kubrick prima di 'Shining'. Caso più emblematico '2001: odissea nello spazio' in cui dal momento che Hal 2000 compie un errore, si aprono una serie di possibilità da prendere in esame per sapere come interpretarlo e, di conseguenza, come interpretare il seguito del film.

I mondi possibili sono: a) Hal ha sbagliato per fatalità, quindi la storia si svilupperà sulla lotta uomo-macchina; b) Hal è stato manomesso da qualcuno sulla Terra, perfettamente consapevole di sabotare la missione; c) l'errore di Hal è voluto da Hal stesso per un processo di eccessiva umanizzazione, di inversione di rapporti. Quest'ultima possibilità è quello che poi si realizzerà, preparandoci ad un conflitto fra esseri umani meccanizzati e macchina umanizzata .

La teoria dei mondi possibili dice anche che possono avere o meno un'accessibilità reciproca, cioè le proprietà degli individui possono o non possono mantenersi regolari passando da un mondo all'altro. Nel caso di 'Shining' non sappiamo se i mondi sono accessibili, perché Kubrick ci fa in sostanza entrare ed uscire dal testo in continuazione, secondo un procedimento schizofrenico come quello del protagonista della vicenda Jack Torrance. Vediamo un esempio.

Jack entra più volte nel bar dell'albergo degli anni '30: non c'è contatto. Lui è pazzo, è in un mondo possibile tutto suo, non accessibile al mondo possibile con cui stiamo prevedendo la storia vera. Ma per l'appunto, quando siamo in quelle scene del bar anni '30, nell'albergo, quasi sempre vediamo Jack Torrance dentro il bar, non in soggettiva con gli occhi di Jack Torrance. Dunque allo stesso tempo il regista ci dice che quei mondi sono accessibilissimi.

In un altro momento del film, con la solita serie di strane soggettive in cui non sappiamo chi guarda, scopriamo che il foglio scritto a macchina da Jack contiene sempre la stessa frase, e con ciò scopriamo la sua pazzia. Quel segnale dovrebbe dirci che la probabilità che si è realizzata è che Jack sia pazzo, quindi la nostra probabilità interpretativa nei confronti delle sequenze del bar è che questo bar è una visione allucinata di Jack stesso, un suo mondo possibile, inaccessibile al mondo della storia che si racconta. Quasi immediatamente dopo, invece, abbiamo la scena del discorso fra lui ed il suo alter ego degli anni '30, in bagno. Così viene posta l'accessibilità fra i due mondi contraddicendo le nostre previsioni.

Ora, una volta viste le affinità di vario genere fra Stanley Kubrick e 'I Simpson', andiamo a vedere le citazioni in dettaglio nei singoli episodi.


'Le citazioni'


'Il postmoderno simpsoniano rappresenta una specie eccelsa di ipermanierismo ludico in cui non manca mai il gusto del pastiche e della citazione, della parafrasi e del remake, che diventa un raccoglitore di esperienze: viaggio reticolare, percorsi implosi, rifrazioni poliedriche quasi all'infinito'. Così Guido Michelone parla del rapporto dei Simpson con le citazioni (e quindi con il postomoderno) . Le citazioni nei Simpson avvengono sotto diverse forme, ma tutte, a loro volta sottoscrivibili all'interno del 'dialogismo intertestuale' per il quale s'intende genericamente 'quel fenomeno culturale-letterario concernente in rimandi che in un testo vengono fatti ad altri testi' .

Nella creazione artistica è un evento normale che un testo rievochi, anche in modo lieve, lo stile, alcuni tratti fisici o caratteriali di un personaggio od anche un episodio di altre opere. Quando, però, la citazione diventa consapevole, progettata, resa comprensibile, si entra nel campo della parodia, dell'omaggio o del gioco ironico sull'intertestualità. La parodia è un rovesciamento ironico, l'omaggio l'imitazione affettuosa di un modello, si parla invece di calco, ripetizione, riscrittura intertestuale quando viene enfatizzato un dettaglio o un frammento sull'intera opera.

Fatte queste dovute premesse vedremo come le citazioni di Stanley Kubrick nella serie, appartengano soprattutto alla 'categoria' degli omaggi. In questo particolare caso di citazione stilistica l'autore inserisce sì degli elementi provenienti dai film del regista americano, ma non lo fa distorcendolo sempre in chiave ironica: egli inserisce piuttosto gli elementi stilistico-formali. Si tratta quindi di una pratica imitativa prima che dichiaratamente ironica, attraverso cui l'autore fa in qualche maniera apparire la propria opinione dell'omaggiato.


Nella prima stagione dei Simpson, Kubrick viene citato una sola volta ed in modo molto marginale, nell'episodio 7G04: 'Amara casa mia'. I membri della famiglia si rivolgono ad uno psichiatra per ricostruire l'integrità familiare; lui li collega reciprocamente con dei conduttori d'elettricità attraverso i quali ciascuno di loro può inviare una scarica elettrica all'altro. L'immagine ricorda la 'cura Ludovico' alla quale è sottoposto Alex, protagonista di 'Arancia meccanica' (1971).

Nella seconda stagione arriva la prima citazione di 'Shining' (1980), nell'episodio 7F04: 'La paura fa novanta' (speciale di Halloween n.2). Nel primo segmento (dei tre nel quale è diviso ogni speciale) vediamo del sangue scorrere lungo le pareti. Questa scena sarà anche ripresa nello speciale di Halloween nel quale viene interamente dedicato un episodio a questo film. Quattro puntate dopo, nell'episodio 7F08: 'Mini golf kid', Homer impone a Bart di chiamare la propria mazza 'Carlina', cioè il nome con cui 'Palla di lardo' chiamava il suo fucile in 'Full metal jacket' (1987).

Nella terza stagione ci sono due citazioni di '2001: odissea nello spazio' (1968). La prima nell'episodio 8F06: 'IL pony di Lisa', il cui prologo è identico al prologo del film di Kubrick con Homer che si cala nei panni di una scimmia. La seconda nell'episodio 8F23: 'Fratello, avresti da darmi due soldi?', nella sequenza in cui Homer prova la poltrona 'scioglispinadorsale 2000' egli distorce le immagini come l'astronauta David Bowman nel suo viaggio allucinato da Giove (da notare anche lo stesso sottofondo).

Alla stessa stagione appartiene anche un'altra citazione di 'Arancia meccanica' (1971) nell'episodio 8F17: 'Morire come un cane'. Il cane della famiglia Simpson, Piccolo Aiutante di Babbo Natale, scappa di casa e viene adottato da Montgomery Burns, che gli fa il lavaggio del cervello per trasformarlo in un ferocissimo cane da guardia. La scena della cura è ancora un richiamo alla 'cura Ludovico' con cui Alex diventa forzatamente buono.

Nella quarta stagione ancora una citazione del film di cui abbiamo parlato. L'episodio in questione è 9F04: 'La paura fa novanta III': nel primo segmento Bart indossa in occasione della festa di Halloween una maschera da 'drugo'. Quindi, all'episodio 9F12: 'Fratello dello stesso pianeta', Milhouse, l'amico di Bart, scrive sul muro: 'Trab pu kcip!', cioè scrivendo 'Pick up Bart!' ('Va a prendere Bart!') alla rovescia; esattamente come il piccolo Danny in 'Shining' (1980).

Passiamo alla quinta stagione: ben tre citazioni su tre differnti episodi da tre diversi film. Citazione nella sigla di testa dell'episodio 1F07: 'L'ultima tentazione di Homer'; Bart scrive (come sua abitudine) alla lavagna 'troppo lavoro e niente divertimento rendono Bart un ragazzo noioso'. Il riferimento è evidente a quanto scrive Jack Torrance in 'Shining' (1980): 'Troppo lavoro e nessuno svago rendono Jack uno stupido'. Poi l'intero episodio 1F13: 'Homer nello spazio profondo' è una parodia di '2001: odissea nello spazio' (1968), con tutte le sequenze chiave del film: Homer si libra, privo di gravità, ingoiando delle patatine sulle note del 'Danubio blu'; Bart lancia in aria un pennarello che diviene un satellite della Fox, il quale sbatte contro un feto gigante che assomiglia a Homer.

Nell'episodio 1F09:' Homer il vigilante' egli cavalca una bomba, immaginandosi di lanciarsi contro dei frickettoni come il pilota del 'Dottor Stranamore, ovvero come imparai a non preoccuparmi e ad amare la bomba' (1963).

Nella sesta stagione si arriva al già citato episodio 2F03: 'La paura fa novanta V', il cui primo segmento è una parodia di 'Shining' (1980) in tutto e per tutto. Da ricordare la già omaggiata scena del sangue dall'ascensore, la scansione del tempo in giorni della settimana fin dall'inizio demenziale, la scena 'maestra' dell'accetta, Maggie che scrive 'murder' con i cubi giocattolo, Boe nella parte del barista, Willie nella parte del tutto fare che muore. Particolarmente significativa è la scena in cui Bart deturpa il labirinto bucandone con una motosega tutte le pareti, derubandolo di tutti i suoi significati che, parlando di Kubrick hanno un valore ancora più accentuato visto che nel romanzo da cui il film è stato tratto, questo labirinto non c'era. Quindi la citazione è 'assolutamente' riferita a Kubrick, che, come abbiamo visto ha inserito in questo suo film il labirinto in maniera esplicita quanto arbitraria (rispetto al romanzo). In secondo luogo, l'aver parodiato uno degli elementi più rappresentativi del cinema di un maestro così grande, è una riprova di quanta leggerezza (nel senso buono del termine) ci sia in questo cartoon.

Altre tre citazioni in due diversi episodi nella settima serie. 'Barry Lyndon' (1975) citato nell'episodio 2F31: 'Il Film Festival di Springfield'. Nel poetico film Pukeahontas di Barney Gumble sul suo alcolismo, si vede una rosa che perde i petali come quella che appare sulla locandina del film di Kubrick. Nell'episodio 3F08: 'L'ultimo sfavillio di Telespalla Bob' il colonnello Hapablap chiede a Telespalla Bob:- Qual è la tua disfunzione più grave?- come il Sergente Istruttore di 'Full metal jacket' (1987) rivolto a 'Palla di lardo'; nello stesso episodio poco più tardi si vede il Sindaco Quimby decidere con quale strategia incastrare Telespalla Bob in una 'stanza della guerra' evidentemente ispirata a quella del 'Dottor Stranamore, ovvero come imparai a non preoccuparmi e ad amare la bomba' (1963).

Nell'ottava stagione l'episodio 'Springfield files' (3G01), narrato da Leonard Nimoy, contiene numerosi riferimenti ad una serie di film horror e di fantascienza, fra cui 'Shining' (1980). Nell'episodio 4F14: 'Fratelli coltelli' Telespalla Bob riesce ad uscire di prigione accattivandosi le simpatie del reverendo Lovejoy, come fa Alex in 'Arancia meccanica' (1971).

Nella nona stagione non troviamo citazioni di Kubrick, vediamo quindi la decima. Nell'episodio AABF07: 'Schermaglie fra generazioni' altra citazione nella sigla di testa : la famiglia Simpson cavalca il vuoto con appositi cappelli da rodeo; evidente riferimento al 'Dottor Stranamore, ovvero come imparai a non preoccuparmi e ad amare la bomba' (1963).

Saltiamo ancora una stagione, l'undicesima, per arrivare all'ultima trasmessa in Italia: la dodicesima appunto. Nell'episodio AABG09: La paura fa novanta XI' il terzo segmento è una parodia di '2001: odissea nello spazio' con la casa manovrata da un computer che si 'umanizza' mossa dal più comune e (se vogliamo) più basso istinto animale: l'accoppiamento. Memorabile la scena finale in cui Homer disinnesca il 'cervello' del computer che da raffinato interlocutore diviene grezzo babbione.


Dopo aver analizzato tutti gli elementi che ritenevo rilevanti per un confronto fra la serie 'I Simpson' e Stanley Kubrick, dopo aver visto in dettaglio come il regista è stato citato all'interno della serie tv, vorrei ora riportare, a conclusione di questo mio lavoro, le parole che mi hanno convinto a dedicare a questo argomento la mia tesi di laurea. Le parole sconnesse, sghembe e a tratti perfino arbitrarie che concludono la tesi sono le meravigliose parole (dal telefono) di Enrico Ghezzi .


'Trovo 'I Simpson' molto potenti come presenza [.] ho in mente un paio di occasioni kubrickiane, ma io trovo assolutamente preciso, giusto, fin troppo spietatamente esatto che Kubrick sia il più citato. Cos'è Kubrick se non un cineasta dell'alieno, se non un cinema dell'alieno, non dell'alieno come cinema dell'alienazione, come cinema 'del', di un tema, 'il cinema dell'alieno', 'fatto dall'alieno', dall'alieno Kubrick o dall'alieno che è in Kubrick o dall'alieno che è il cinema stesso. E quindi lo trovo, come dire, casualmente e assolutamente non solo pertinente, ma di un'esattezza assoluta. Direi che proprio in questo modo è come se fosse sistemico a priori. Cioè il sistema è in sé dato e poi quindi la libertà, lo sfregamento saranno semplicemente una sorta di conseguenza come alla Alex, voglio dire alla Alex di 'Arancia meccanica'. Anche in un certo senso la 'moralità Simpson' che c'è, è proprio quella di un.faccio un esempio.prendo uno dei film forse meno entusiasmanti di Kubrick, eppure straordinario, un film immenso a sua volta come 'Arancia meccanica'.ecco la moralità dei Simpson è una moralità a cavallo, continuamente oscillante fra Alex prima della cura, Alex durante la cura, Alex dopo la cura, Alex dopo la cura della cura, quindi un diagramma assolutamente.è come se la questione morale fosse addirittura lo sfondo, come se fosse costante.forse il cartoon più (im)morale che mi sia capitato d'incontrare nei decenni, più di quelli riflessivo-coatti o comunque riflessivo-centrati del tipo Peanuts o Mafalda, con personaggi comunque giustamente sentenziosi o sentenziati in modo giusto, stralunato, assurdo, ma in un quadro morale. Qui invece la morale è il frame, un frame terribile, tra l'altro, una morale terribile (l'unica), una morale di impassibilità assoluta. (Io, ecco, mi scuso per la aspecificità insomma.)'.


Bibliografia


Libri sui Simpson:


'I Simpson. Una famiglia dalla A alla Z', Guido Michelone, Bologna, Bompiani, 2000.

'I Simpson. La guida non ufficiale', Franco Buratta, Bologna, PuntoZero, 1998.

'I Simpson. Allucinazione di una sit-com', Pierluca Marchisio e Guido Michelone, Roma, Castelvecchi, 1999.

'I Simpson. La guida completa alla nostra famiglia preferita', Milano, Baldini & Castaldi, 1999.


Libri su Stanley Kubrick:


'Stanley Kubrick', Enrico Grezzi, Milano, Il Castoro, 2002.

'Stanley Kubrick', Gian Piero Brunetta (a cura di), Venezia, Marsilio, 1999.

'Kubrick', Michel Ciment, Rizzoli, Milano, 2000


Altri libri:


'Saper vedere il cinema', Antonio Costa, Milano Bompiani, 1985.

'Trattato di semiotica generale', Umberto Eco, Milano, Bompiani, 1975.

'Scheggie d'America. Nuove vanguardie letterarie', Larry Mc Caffrey (a cura di), Fanucci, 1998 (titolo originale: 'After yesterday's crash: the Avant pop anthology').


Siti (frequentemente) visitati:


www.foxworld.com

www.snpp.com

www.simpsonitalia.com

www.thesimpsons.com

www.thesimpson.it





Indice


Intro....................................... .3

'I Simspon'.................................... 6

'Perché Kubrick?' a) La famiglia e la condizione dell'uomo.......... 8

b) Gli altri risvolti sociali...................... 20

'Spazio e tempo in Kubrick e nei Simpson'.................... 36

'Le citazioni'.................................... 53

Bibliografia.................................... 58

Indice...................................... 60




In alcuni speciali i film citati in uno stesso episodio sono addirittura cinque, quasi tutti provenienti dal genere horror.

Come nel caso di Quentin Tarantino per l'episodio 3F18.

"Tutti gli show di mezz'ora sono suddivisi in due atti, il nostro è composto da tre: nel primo introduciamo un problema, che elaboriamo nel secondo e risolviamo nel terzo [.] in altre parole con lo show in tre atti è possibile sviluppare due storie contemporaneamente, non legate alla storia principale, ma che la introducono" George Meyer a proposito della 'falsa traccia' degli episodi. Confr. "I Simpson, l'allucinazione di una sit-com", Roma, Castelvecchi, 1999, .82.

Visto che una lista di questi siti anche parziale, sarebbe lunghissima ed inutile, per verificare la veridicità delle mie parole basterà digitare 'Simpson'+'Kubrick' in qualunque motore di ricerca per avere centinaia di risposte.

Il testo in questione è 'I Simpson, una famiglia dalla A alla Z', di Guido Michelone, Milano, Bompiani, 2000

Leopoldo Grosso, V Convegno nazionale 'Raccontare la fatica', Anghiari (AR) 2003. Confr. Jacques Paradis 'Qualche buona ragione per non sparare ai propri genitori', Milano, Feltrinelli, 2000.

Intervista rilasciata a Fabrizio Finamore de 'Il Tempo', il 30/07/99.

Episodi 7G02 e 7F19

L'intero episodio dedicato a 'Shining' è all'interno dello speciale 'La paura fa novanta V' (2F03), le altre cinque citazioni sono negli episodi 9F12, 3G01, AABF01.

Critico cinematografico autore di numerosi libri e articoli sul regista newyorkese.

Confr. 'Kubrick' di E. Ghezzi, Milano, Il Castoro cinema, 2002, .140

da G.P. Brunetta, 'Stanley Kubrick', Venezia, Marsilio, 1999, .11.

Confr. Antonio Costa, "Saper vedere il cinema', Milano, Bompiani, 1985, .1

Mi riferisco all'istituzione dell'Accademia di Belle Arti. Confr. Luciano Nanni 'Il silenzio di Ermes', Melthemi, 2002, .33

L'artista in questione è Varg Vikernes, precedentemente conosciuto come Cpimt Grishnackh, in arte Burzum. Per approfondimenti www.burzum.com

Confr. Guido Michelone, op.cit. . 321-324

In particolare Josh Ozersky, critico televisivo e giornalista del New York Times.

Proprietario della Fox.

Le informazioni sono state reperite sull'articolo 'My family and other anarchists' di Kevin Jackson, apparso sul Daily Mail del 20/07/1997. L'articolo riporta una conferenza stampa tenuta da Matt Groening a Los Angeles.

Movimento Italiano Genitori.

Confr. Aldo Carotenuto, 'Trattato di psicologia analitica- vol.1', Utet, 2002, . 452

Episodio 7G03.

Questa parte verrà approfondita nel modulo 'Spazio e tempo in Kubrick e nei Simpson'.

Impressionante il numero di testi e studi che il regista portava avanti per ogni argomento che analizzava nei suoi film. Per il 'Dottor Stranamore' si dice abbia addirittura letto ottanta libri sui problemi derivanti dall'esistenza e dall'eventuale uso di armi atomiche.

Production Code Administration

Famoso artista e writer newyorkese prematuramente sso negli anni '80, con il quale Matt Groening condivide anche la formazione artistica degli underground comix.

Conferenza riportata sul Daily Mail da Kevin Jackson, op.cit.

Episodio 3F15.

Nella versione originale 'Itchy & Scratchy Show'.

Il cartoon di 'Grattachecca e Fichetto' è anche molto somigliante ad un fumetto di Massimo Mattioli 'Squeak the mouse'. Per confr. Pietro Favari, 'Le nuvole parlanti', Dedalo, 1996, . 178.

In effetti la programmazione di questi cartoni animati diventa particolarmente massiccia durante le feste natalizie, almeno in Italia.

L'episodio è AABF01.

Per questa caratteristica il cartoon più estremo è sicuramente 'South Park', all'interno del quale in ogni puntata muore il personaggio di Kenny senza che per questo venga eliminato dall'episodio successivo.

Nell'episodio 1F06 Lisa dice a Bart:- I cartoni animati non devono essere realistici al 100%- mentre a fianco di Homer seduto sul divano passa un secondo Homer fuori dalla finestra.

L'episodio è AABF01.

L'episodio è 1F21

Confr. Sito www.snpp.it

Non so quanto sia frequente in un cartone prevalentemente rivolto ad un pubblico molto giovane, il riferimento esplicito ad una ideologia politica. Nei Simpson avviene con una certa frequenza, ma nell'episodio 7F19, si vede proprio la scritta 'Un voto per Bart un voto per l'anarchia!' per l'elezione del capoclasse. A questo proposito vorrei sollevare anche un interrogativo riguardo al nome di questo personaggio: sappiamo che i nomi dei Simpson sono i nomi dei familiari di Matt Groening, l'unico che resta senza una 'spiegazione' è proprio Bart, per il quale nessuno ha fatto di meglio di dire che è l'anagramma di 'brat' (monello).ma scherziamo o cosa!? Allora anche 'Homer' è l'anagramma di 'Hemor' (abbreviativo medico di 'emorragia'). Perché nessuno ha ipotizzato che il suo nome potesse venire da Bartolomeo Vanzetti, anarchico italiano ucciso dal Governo Americano nel 1918 insieme al suo comno Nicola Sacco. I due venivano chiamati 'Nick & (appunto)Bart'.

Nell'episodio 1F19 c'è una vera e propria frecciata a Walt Disney: il dottor Hibert sotto giuramento dice:- Solo una persona su due milioni ha quello che noi definiamo 'gene malvagio', Hitler ce l'aveva, Walt Disney ce l'aveva!-. Mettere il famoso disegnatore al pari del dittatore nazista è un contrasto non da poco, rispetto all'immagine legata ai suoi cartoni animati.

Nell'episodio 2F04 Bart dice:- A volte si può volere la propria pelle più gialla che mai-.

Gli asiatici nella serie hanno spesso un colorito più grigiastro proprio per essere differenziati dal colore dei Simpson che dovrebbe riferirsi alla popolazione dei bianchi. Confr. episodio AABF20.

Episodio 2F10.

Nell'episodio 1F12 La creatrice della bambola Malibu Stacy dice alla famiglia Simpson:- Avete dei capelli obbrobriosi!-

Confr. J. Francois Lyotard, 'La condizione postmoderna', Milano, Feltrinelli, 1981.

Concetto usato in logica modale, significa qualcosa che sta a metà strada fra la definizione della fantascienza e quella della logica. 'Un mondo possibile è un possibile corso di eventi' (Umberto Eco, 'Lector in fabula')

Questo conflitto era stato ripreso da Kubrick per il film 'A.I.', poi abbandonato e portato sullo schermo da Steven Spielberg.

Confr. G. Michelone, op.cit., . 180.

M. Mizzau, 'L'ironia. La contraddizione consentita', Milano, Feltrinelli, 1984, . 62.

In questo caso la frase ha significato (anche se differente) in entrambi i casi: 'redrum' significa 'camera rossa', mentre il contrario, 'murder', significa 'assassino' e 'assassinio'. Tutti significati attinenti alla storia narrata nel film.

Abituale bidello della scuola elementare di Springfield. E' di origine scozzese.

Beone amico di Homer, abituale frequentatore della taverna di Boe, famoso per i suoi rutti.

Nella quale cambiano abitualmente solo due elementi: la scritta di Bart alla lavagna all'inizio ed il modo in cui la famiglia arriva la divano alla fine.

G. Michelone, op. cit. . 323-324.




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