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Scheda di analisi narratologica del romanzo: 'Il fu Mattia Pascal' (1904) di: Luigi Pirandello (1867-1936)

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Scheda di analisi narratologica



del romanzo: 'Il fu Mattia Pascal' (1904)

di: Luigi Pirandello (1867-l936)

I.    ELEMENTI DELLA STORIA

AMBIENTAZIONE

Luoghi: la vicenda è ambientata in un piccolo paese di nome Miragno, tuttavia l' autore nomina anche le terre che possedeva il padre di Mattia: il podere della Stia, San Rocchino, le due Riviere, la poggiata dello Sperone. Altre cittadine nominate sono: Oneglia, Montecarlo, Milano, Padova, Torino, Ravenna, Firenze, Venezia, Pisa, Perugia, Roma (p.za San Pietro, Monte Mario, via Borgo Nuovo, ponte Nomentano, p.za di Sna).



Tempo: i fatti si svolgono nel '900, anche se l' autore non ci dà riferimenti precisi. Il racconto dura circa 2 anni.

PERSONAGGI

Personaggi principali: Mattia Pascal (protagonista), famiglia di Mattia, Romilda, T. Papiano, Malagna, ved. Pescatore, Zia Scolastica, M. Dondi, Adriana, G. Pomino, S. Caporale.

Personaggi secondari: Don Eligio Pellegrinotto, Pinzone, Romitelli, Oliva, persone conosciute al casinò, il tedesco, lo snolo, la donna, il giornalista Laddetta, S. Papiano, T. Lenzi, Terenzio, G. d' Auletta, Candida, signore e signora Pantagoda, Bernardez.

VICENDA

Riassunto per punti:

La famiglia di Mattia lo rimprovera perché non ha un lavoro.

Mattia è stanco di questa situazione e parte di nascosto per Montecarlo. Là gioca alla roulette e vince.

Mentre Mattia legge il giornale, trova la notizia della sua morte. Evidentemente è uno sbaglio di persona, ma lui decide di approfittarne per rifarsi una vita.

Allora cambia il suo nome in Adriano Meis, compra una casa e si stabilisce a Roma.

s' innamora di Adriana, ma non può sposarla né raccontarle la verità.

Romilda, moglie di Mattia, si sposa con Pomino, così al ritorno a Miragno per Mattia è troppo tardi.

Mattia va a vivere con la Zia Scolastica e ogni tanto visita la sua tomba.

Mattia si confida con un prete, Don Eligio.

Avvenimenti esterni:

Pirandello non ha inserito dei veri e propri avvenimenti esterni, ma fa alcuni accenni storici alle . 71-l94-l95-l96.

I.    PROCEDIMENTI DEL DISCORSO

RAPPORTO FABULA-INTRECCIO

Il rapporto fabula-intreccio non coincide, in quanto l' ordine non è cronologico. La successione delle vicende è: 8 - 1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7.

POSIZIONE DEL NARRATORE

Il narratore è lo stesso Mattia, perciò la posizione del narratore si può dire di interno protagonista.

RAPPRESENTAZIONE DEL TEMPO

Ordine: non cronologico, perché il rapporto fabula-intreccio non coincide.

Ritmo narrativo:

Nel racconto compaiono le digressioni di alcuni personaggi e di pochi luoghi descritti in modo superficiale, ma non occupano molto spazio nel testo. Compaiono invece parecchi sommari ed ellissi, usati nei flashback. L' autore non ritiene opportuno l' utilizzo del tempo rallentato. La scena è la tecnica più utilizzata, la troviamo nei dialoghi e nelle riflessioni.

Da ciò possiamo dedurre che il ritmo narrativo è nel complesso lento, per via delle numerose riflessioni. Tuttavia è velocizzato dai sommari e dalle ellissi.

RAPPRESENTAZIONE DELLO SPAZIO

L' autore non dedica molto spazio alle descrizioni di luoghi. Le descrizioni sono brevi e sintetiche e hanno poco spazio nel testo.

COSTRUZIONE DEI PERSONAGGI

Presentazione: vengono utilizzate sia la descrizione diretta (per l' aspetto fisico dei personaggi), sia quella inversa (per le descrizioni psicologiche).

Costruzione: MATTIA PASCAL

Fisionomica: è un bel ragazzo, l' unico suo difetto potrebbe essere quel suo occhio strano.

Psicologica: è un ingenuo e può sembrare un fagnano che non ha voglia di lavorare, ma in realtà non lo è. È un po' immaturo perché spera di poter cambiare la sua situazione cambiando nome, ma non ha pensato alle conseguenze.

Ideologica: non ha una personalità spiccata, ma ne ha infinite, come tutti i personaggi di Pirandello.

Sociale: dapprima è disoccupato, ma poi trova un impiego in libreria.

Culturale: non è particolarmente istruito.



RITRATTO DI DORIAN GRAY


Il romanzo è ambientato nella Londra del 19° secolo. Parla di Dorian Gray, un giovane dalla straordinaria bellezza, purezza, ingenuità, capace di trasmettere sensazioni uniche a chi lo circondava. La storia ha inizio nello studio del pittore Basil Hallward, uomo dotato di particolare sensibilità e che prova forti sentimenti nei confronti di questo ragazzo, del quale sta eseguendo il ritratto. Insieme con lui c'è Lord Henry Wotton, mentore cinico e dotato di particolare eleganza. Lord Henry avrà un ruolo decisivo nella vita di Dorian, che conoscerà proprio presso Hallward: infatti, con i sui discorsi estremamente articolati, cattura l'attenzione di questo ragazzo, rendendolo, a poco a poco, quasi l'incarnazione del suo modo di pensare. Infatti Dorian, dopo un lungo discorso con Wotton, comincia a guardare alla bellezza come ad un qualcosa di veramente raro ed importate, tanto da provare ividia verso il suo ritratto, opera davvero superba, e stringere un 'patto col demonio', grazie al quale lui sarebbe restato eternamente giovane e il quadro sarebbe invecchiato al suo posto. Dopo una tormentata storia d'amore con un'attrice di teatro di nome Sybil Vane, terminata col suicidio della ragazza, Dorian nasconde il quadro in soffitta e si dà ad una vita sfrenatamente lussuosa, fa lunghi periodi d'assenza per poi riire improvvisamente. Ogni tanto si reca segretamente presso la soffitta per controllare e schernire il suo ritratto che invecchia sempre più giorno per giorno, ma che gli crea anche tanti rimorsi. Finché un giorno, tormentato da uno dei suoi sensi di colpa, lacera il quadro con il coltello col quale aveva ucciso anche il pittore Hallward. I suoi servi troveranno il ritratto incontaminato ed un irriconoscibile, precocemente avvizzito Dorian Gray, morto ai suoi piedi con un coltello conficcato nel cuore.



Relazione su 'Le ultime lettere di Jacopo Ortis'

con riferimenti a 'I dolori del giovane Werther'

'Le ultime lettere di Jacopo Ortis' è un romanzo epistolare scritto da Ugo Foscolo agli inizi della sua carriera letteraria; il modello principale è, ovviamente, 'I dolori del giovane Werther' di Goethe, a cui questa relazione fa riferimento nell'analizzare quest'opera, romantica e innovativa per quei tempi.

Possiamo considerare 'Le ultime lettere di Jacopo Ortis' e 'I dolori del giovane Werther' due romanzi d'amore; entrambi i giovani si innamorano perdutamente di una ragazza, e vengono catturati da una passione che sconvolge nel profondo i loro animi. La donna amata è bellissima, dolce, e presenta agli occhi dell'innamorato tutte le migliori qualità della terra; quando è con lei il giovane tira fuori la parte migliore di sé, ispirato dalla bontà che viene emanata da lei (ciò richiama per certi aspetti la donna angelicata di Dante). Ma questo idillio si infrange ben presto: l'amata è irraggiungibile; Lotte ama profondamente il suo sposo Albert e vuole bene a Werther solo 'come ad un fratello', mentre Teresa è promessa dal padre ad un ottimo partito, e pure amando Jacopo, deve piegarsi alle imposizioni di un matrimonio combinato, dettato dalle ingiuste leggi della società. L'amore non si può realizzare mai perché non può essere ricambiato: è una passione a senso unico, e la consapevolezza di questa situazione getta il protagonista nel baratro della disperazione. Il suo risentimento, che si accresce progressivamente fino a diventare odio, si rivolge verso la società, che rovina gli individui con l'imposizione di ingiuste regole, e nemmeno il rivale ne viene risparmiato. Nel cuore del protagonista non vi è posto per nessun'altra donna, ed il dolore per questo amore impossibile non si attenua né con il tempo né con la lontananza, anzi aumenta sempre più, anche perché il protagonista si rende conto che non vi è possibile soluzione.

Contrariamente al Werther, in cui è presente solamente l'elemento amoroso, l'Ortis è un romanzo in cui il tema dell'amore si interseca continuamente con il tema della patria. Jacopo Ortis racconta nelle primissime lettere del romanzo di come sia stato costretto a lasciare Venezia, la sua città natale, a causa delle persecuzioni riservate ai patrioti italiani in seguito alla firma del Trattato di Campoformio (1797); come molti altri l'Ortis è amareggiato dal meschino comportamento di Napoleone che ha tradito di fatto gli italiani dopo avergli fatto credere che avrebbe unificato la loro patria, come si desume dalle seguenti parole: 'Il sacrificio della patria nostra è consumato: tutto è perduto; e la vita, seppure ne verrà concessa, non ci resterà che per piangere le nostre sciagure, e la nostra infamia'. Tuttavia, Jacopo Ortis non vuole lasciare l'Italia: 'Aspetto tranquillamente la prigione e la morte. Il mio cadavere almeno non cadrà fra braccia straniere'; infatti è sommo piacere sapere che 'le ossa mie fredde dormiranno sotto quel boschetto alloramai ricco e ombroso' piantato nel suo podere. Le sue lettere vengono intercettate, progetta di recarsi in Francia, ma non riesce a sopportare il pensiero di lasciare l'amata patria; le sue lettere traboccano di richiami agli italiani, affinché ricordino che 'non si dee aspettare libertà dallo straniero' e servano sempre la loro patria ('se avete le braccia in catene, scrivete, scrivete a quelli che verranno, e che soli saranno degni d'udirvi, e forti da vendicarvi'), ma si rende progressivamente conto che la sua debole voce nulla può per cambiare il destino dell'Italia.

Si riscontra dal tono delle lettere il disprezzo tanto per gli uomini mediocri quanto per quelli calcolatori; ciò che viene esaltata è l'azione, dettata a volte da una profonda convinzione interiore, ma a volte anche da un'irrefrenabile passione.

In tutti e due i romanzi riscontriamo una peculiarità mai incontrata finora nella letteratura mondiale; vi è la pressoché totale assenza di un padre o di una qualsiasi ura, giusta o ingiusta, che faccia da guida al protagonista. Werther e Ortis sono soli e se la devono cavare con le proprie forze. Non c'è nemmeno, come avveniva per l'eroe greco-romano, un dio protettore, prepotente e non sempre giusto, ad indicargli la strada: Dio è presente e se ne parla nelle lettere, ma in modo sempre diverso a seconda dello stato d'animo del protagonista; ora esiste, ora non esiste, ora è misericordioso, ora è indifferente al destino dell'uomo, ma non è mai un punto di riferimento per l'uomo. Da sottolineare il fatto che non troviamo nessun accenno (nell'Ortis ce n'è qualcuno, ma con riferimento più alla patria che non a una ura paterna) al padre del protagonista; nelle lettere al massimo ce n'è qualcuno alla madre, peraltro sempre lontana.

Entrambi i romanzi abbondano di numerose citazioni dai più disparati testi della letteratura internazionale; ma, mentre per Werther queste citazioni provengono nel primo libro da Omero e nel secondo da Ossian, e sono un ulteriore specchio degli stati d'animo del giovane, per Ortis la faccenda si fa più complessa; sono frequenti citazioni da tutti gli autori: Dante, la Bibbia, Plutarco, Petrarca, Sterne Petrarca accomna i momenti in cui l'amore e la contemplazione della natura hanno il sopravvento nell'animo dell'Ortis, Plutarco accomna i momenti di solitudine e di meditazione . Rilevantissima è la presenza dell'Alfieri, che e, non a caso, nel momento in cui Jacopo Ortis, realizzata l'impossibilità del suo amore, inizia la parte discendente della parabola che lo porterà al suicidio; infatti i punti di contatto tra i due autori sono più che evidenti: l'esaltazione del sentimento e dell'agire passionale, il suicidio come punto di arrivo dell'impossibilità di vivere del protagonista, un modo di scrivere apparentemente brusco e istintivo, dai ritmi spezzati, che ricalca questa visione (con la differenza che l'Alfieri si esprime attraverso la tragedia e il Foscolo attraverso il romanzo epistolare).

'Ciascun individuo è nemico nato della Società, perché la Società è necessaria nemica degli individui'; i due protagonisti vedono la società a loro contemporanea come il mondo dei vizi, dell'edonismo e della perversione, contrapposto a quello, meramente bucolico, della camna, dove regnano le tradizioni, i valori e la stabilità.

Sia Werther sia Ortis si soffermano in alcuni momenti a contemplare la natura che appare ai loro occhi come maestosa e di una bellezza indescrivibile. In certi momenti sembra che questo elemento possa riportare la pace e la tranquillità nei loro animi afflitti, come avveniva in Saffo, ma è solo un'apparenza. Per Werther la natura e la camna in genere rappresentano l'idilliaco mondo dei valori e delle tradizioni contrapposto alla corrotta società, che alla fine ha però il sopravvento, mentre nell'Ortis non c'è questo significato: egli si rende conto che nemmeno la pace derivata dalla contemplazione della natura può calmare il suo dolore, e l'elemento naturalistico va via via sendo man mano che il protagonista si avvicina al suicidio.

'Cos'è la vita per me? il tempo mi divorò i momenti felici: io non la conosco se non nel sentimento del dolore: ed or anche l'illusione mi abbandona': come è potuto accadere che un giovane di 24 anni sia arrivato ad una simile concezione della vita? Egli aveva sempre vissuto in un'ottica puramente egocentrica, se non addirittura egoistica, come un bambino che continuamente cerca l'attimo del piacere ('voglio godere il presente, e sia passato il passato'). Egli ha provato la felicità, una felicità che non poteva nemmeno immaginare, e subito dopo ne è stato privato, e alla felicità è subentrato il dolore per averla persa e per il sapere di non poterla riavere mai più. Werther ha cercato una soluzione: ha tentato di dimenticare Lotte, ha tentato di cambiare stile di vita, ma non vi è riuscito; solo immagini di vuoto e di sofferenza si presentavano nella sua mente e l'ultimo incontro con Lotte, quello in cui Werther si è lasciato prendere dalla violenza dell'istinto, fu la goccia che lo spinse definitivamente al suicidio. Jacopo, dopo il matrimonio di Teresa, ha dedicato le sue energie all'amata Italia ('l'unica fiamma vitale che anima ancora questo travagliato mio corpo, è la speranza di tentare la libertà della patria'), ma le sue speranze cominciano a vacillare fino a crollare del tutto dopo un lungo colloquio con Giuseppe Parini. Così l'idea del suicidio comincia a prendere corpo nell'animo dell'Ortis; non si tratta di un suicidio improvviso, bensì di un suicidio lungamente meditato e accuratamente preparato (l'ultima visita a Teresa, l'abbraccio finale alla madre, la lettera a Lorenzo con quella da consegnare a Teresa, l'ultima passeggiata.), inevitabile conclusione di una vita ormai vista come dolore e impotenza.

Perché Ortis si uccide e Foscolo no? Perché l'intero romanzo è una dimostrazione di come sia sbagliata la visione che Ortis (e la società moderna, basata sulla ricerca del piacere e sul culto dell'edonismo) ha della vita. Il suicidio è solo un mezzo per far vedere quanto questo distorto modo di vedere possa rovinare l'uomo fino a condurlo all'estrema decisione di rinunciare alla propria vita. Nelle linee generali, è lo stesso messaggio che proviene anche dal Werther.



Ultime lettere di Jacopo Ortis


Le Ultime lettere di Jacopo Ortis sono un romanzo epistolare, composto dalle lettere che il Foscolo immagina scritte da un giovane suicida negli ultimi tempi della sua vita, a un amico, Lorenzo Alderani. Questi le pubblica, aggiungendo alcuni collegamenti narrativi e descrive, alla fine, la tragica morte del protagonista.

Le lettere raccontano le vicende, le ansie, le riflessioni di Jacopo, la storia mette in evidenza il dramma interiore, che assiste al crollo dei suoi ideali di patria, libertà, amore e giunge ad una disperazione radicale e quindi al tragico epilogo. Rifugiatosi sui Colli Euganei, dopo che Napoleone, col trattato di Campoformio, ha ceduto Venezia all'Austria, Jacopo, esule senza patria, conosce qui Teresa , se ne innamora e ne è ricambiato. Ma il padre di lei l'ha già destinata in sposa al ricco Odoardo; Jacopo è consapevole che il suo amore è un sogno senza speranza perché un animo generoso non può, secondo lui, vivere sotto la tirannide ( su questo concetto si allinea al pensiero di Alfieri.) Tuttavia è costretto ad abbandonarsi alla passione amorosa perché contemporaneamente vede cadere gli ideali che davano senso alla sua vita.

La seconda parte del romanzo contiene le lettere scritte durante le peregrinazioni del protagonista, che lo portano in numerose città d'Italia. A Firenze, nella chiesa di S. Croce, venera le tombe di Galileo, di Michelangelo e di Machiavelli; a Milano incontra il Parini e parla con lui tristemente delle sorti della patria; più tardi in una località al confine con la Francia, medita sulle alterne vicende dei popoli, che gli appaiono rette da un fato cieco e imperscrutabile. Ritorna, infine, sui Colli Euganei, dove ritrova Teresa ormai sposa, e qui si uccide.

Nella struttura formale dell'Ortis si può notare come il Foscolo sia stato notevolmente influenzato dal romanzo I dolori del giovane Werther (1774) di Goethe; infatti ad imitazione del Werther, l'Ortis presenta un unico destinatario, del quale non sono inserite le lettere di risposta , che è insieme l'amico, il confidente e il riscontro prudente del protagonista: il romanzo si riduce così ad un diario del protagonista che riproduce solo le riflessioni e gli stati d'animo del poeta. Lorenzo, come Guglielmo nel Werther, pubblicherà le lettere dell'amico aggiungendo, di sua mano, quanto è necessario al lettore per comprenderne la storia. Nella seconda edizione il poeta mette in risalto il tema politico, trascurato in quello precedente, che diventa così quello dominante. La trama dei due romanzi è molto simile. Sia Jacopo che Werther incarnano il tipo dell'eroe sentimentale, generoso, infelice, a disagio nella realtà quotidiana e nel contatto con gli altri, rispetto ai quali però si distingue per nobiltà d'animo. Il loro destino è così segnato dalla solitudine, dalla sconfitta e dalla sventura. La loro breve vicenda umana è dominata dalla riflessione pessimistica sulla realtà in cui vivono; il loro cuore è in continua lite con la ragione e solo la natura sembra corrispondere ai loro stati d'animo.

Si nota anche un notevole influsso del pensiero alfierano: Jacopo incarna l'uomo libero di Alfieri che protesta contro qualsiasi forma di tirannide per l'ideale di libertà; ma mentre l'eroe alfierano rimane nella sua astratta solitudine, l'individuo di Foscolo cerca di attuare i suoi ideali nell'incontro concreto con la società.

L'Ortis è un autobiografia ideale del Foscolo, lo specchio e lo sfogo della sua prima giovinezza appassionata. Jacopo del suo autore riproduce spesso l'essenza e il carattere: infatti è ardente, appassionato, facile all'ira e impulsivo; ma è anche tenero, attento, sensibile e capace di compassione. Inoltre vi confluiscono i suoi amori infelici, le sue esperienze politiche, in primo luogo quella di Campoformio, tanto più grave perché segnò il crollo di quelli ideali che dopo il tramonto della fede religiosa erano divenuti per il poeta unica ragione di vita: da qui le riflessioni sull'uomo.

L'Ortis appare un'opera assai discontinua. Spesso infatti il poeta si lascia trasportare dai sentimenti , da fraseggi che rivelano una personalità ancora un po' giovane.




La luna e i falò di C. Pavese

Il romanzo 'La luna e i falò' di Cesare Pavese è il viaggio nel tempo di un trovatello cresciuto bracciante in una fattoria delle Langhe, emigrato in America, e tornato con un po' di fortuna nelle sue camne.

Elemento, a mio avviso importante, è il ricordo: tornando nel paese d'origine,oltre ad avere una qual sorta di nostalgiadi esso, riscopre moltissime cose naturali, come le aie, i pozzi le voci, i canneti, , gli odori delle fascine, le vigne, o determinati paesaggi che, emigrando in America, si era dimenticato.

Appena arrivato alla sua patria ritorna a rivedere i luoghi di quando era bambino, ma si sente quasi imbarazzato del suo comportamento, si vergogna dei suoi capi d'abbigliamento, di non non essere più in grado di andare in giro scalzo come un tempo; non riesce a convincere i suoi amici che un tempo era stato anche lui una persona semplice come tutti gli altri paesani. Pensa inoltre che se non avesse preso la decisione a tredici anni di andarsene ancora avrebbe fatto la vita da contadino e non sarebbe mai uscito dalla valle del Belbo.

Non si sente a suo agio tra la gente del paese, in quanto , avendo fatto fortuna, aveva preso atteggiamenti, modi di fare e di vestire troppo differenti da come era abituato.



Inizialmente, appena partito dalla patria, non si sente a proprio agio: infatti per le strade di Genova sente la mancanza di tante piccole cose apparentemente futili, ma per lui importanti.

Egli si fa raccontare da Nuto, la fine dei suoi famigliari, come ad esempio il Padrino, va a trovare i suoi amici di infanzia, ma si accorge che tutto è cambiato.

Egli trascorre molto tempo con Nuto, un suo vecchio amico d'infanzia, che gli racconta gli avvenimenti più importanti avvenuti nel periodo della sua assenza; ricordano anche la sua famiglia, la casa e il luogo dove svolse il suo primo lavoro, quello svolto nei campi quando era giovane;racconta a Nuto del suo incontro a Genova con la ragazza americana e dei lavori che svolse là.

In questo libro troviamo molti temi; abbiamo il tema del ritorno: il protagonista ritorna a S. Stefano Belbo, da dove era partito ancora ragazzo per recarsi in America, dove si è arricchito, e ora può permettersi una vita agiata. Non è più il ragazzino che veniva mandato a lavorare nei campi, ma è qualcuno oggi che potrebbe essere a sua volta padrone. Altro tema è il ritornare con la mente a quella che è stata la vita da ragazzo, però vista alla luce dei nuovi tempi e si trasforma in una ricerca dell'identità del protagonista con il mondo che, oggi, davanti a se, vede ovviamente cambiato. Sotto il punto di vista storico, tutto è cambiato:c'è stata la guerra, la Resistenza, ma è cambiato soprattutto perché è cambiato lui stesso. Ultimo tema pavesiano che ricorre in questo romanzo è la morte: nelle ine finali un personaggio, Valino, compie l'eccidio della propria famiglia e dà fuoco alla casa. Accanto a questo c'e la morte di Irene e Santina, due delle ragazze che il protagonista aveva conosciuto da bambino.

Pavese, a mio parere, raccoglie anche qualche mito: il mito della città e della camna, della fuga e del ritorno e anche, chiaramente, il mito dell'America, che rimane solo un sogno, perché in America non c'è mai andato.

Vengono inoltre narrati anche i suoi odii, i suoi interessi, la sua curiosità di conoscere e capire la vita contadina.

PERSONAGGI: Protagonista: è colui che racconta a Nuto e a qualche altro amico d'infanzia

tutto ciò che gli è accaduto durante il suo periodo d'assenza.

Nuto: i dialoghi tra Nuto, l'amico d'infanzia del narratore ed il narratore stesso sono molto significativi, per come riescono a tornare con la mente al passato con una dioalogo attivato al presente, ad esempio come il ragazzino Cinto, nel quale il protagonista vede se stesso in tenera età. Nuto è il personaggio con cui Pavese cerca di confrontarsi, è quasi come uno specchio; egli cerca di immaginare se stesso, attraverso l'immagine di Nuto, se non fosse partito, e si accorge che di aver fatto una buona scelta a partire, altrimenti non avrebbe fatto altro che continuare la vita di contadino.

Penso che Pavese abbia intitolato il romanzo La luna e i falò, proprio per far notare l'importanza che hanno avuto gli elementi naturali per 'il ragazzo che ha fatto fortuna'.



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