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FONTI DEL DIRITTO PROCESSUALE CIVILE

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FONTI DEL DIRITTO PROCESSUALE CIVILE

Il codice di procedura civile risale al 1940, ma risulta oggi modificato e accomnato da altre fonti costituite da leggi ed altri codici.

Nel 1950 (attraverso la sostituzione di alcuni articoli senza alterarne la numerazione, nel senso che vennero aggiunti gli articoli bis, ter, quater etc.), una novella elimina norme molto onerose per le parti rendendo il processo più elastico (dopo il 1950 possono modificare le loro posizioni anche durante il processo).

Nel 1973 con la riforma sul processo del lavoro si è previsto un giudice ad hoc sulle controversi di lavoro (in questa occasione la Corte cost. stabilì che era legittimo avere processi diversi per situazioni differenti).



Nel 1990 si ha una riforma sui provvedimenti urgenti che entra completamente in vigore nel 1995, anche se dopo la sua entrata in vigore viene rivista.

Nel 1991 c'è stata una riforma (anch'essa entrata in vigore nel 1995) che ha previsto l'istituzione del giudice di pace.

Nel 1998 si ha l'istituzione del giudice unico di 1° grado e l'eliminazione del pretore, tale riforma ha attuato una semplificazione sotto il profilo della competenza.

Un'altra riforma è quella del pubblico impiego che ha trasferito le controversie di lavoro nella pubblica amministrazione dal giudice amministrativo a quello ordinario.

Tra le fonti del diritto processuale civile hanno un ruolo di primo piano le norme contenute nella Costituzione. La Corte cost. ha spesso adeguato le norme ordinarie alla Costituzione. Ricordiamo che le norme in materia processuale sono di competenza dello stato (non anche delle regioni); questo è stato stabilito dalla Corte cost. nella sentenza n.86/1999. La nostra Costituzione prevede parecchie norme sul processo, ovvero le norme che riguardano i principi del processo, la giustizia (artt.24, 25, 101, 111) e quelle che riguardano l'ordinamento giudiziario inteso come organizzazione dei giudici. L'art.3 Cost. bisogna dire che la Corte cost. stabilisce che il principio di uguaglianza (sotto il profilo processuale) non vale in senso assoluto ma in senso sostanziale; ciò vuol dire che trattamenti processuali diversi sono ammissibili solo se costituzionalmente legittimi (è il caso del processo del lavoro caratterizzato da una durata inferiore e quindi formalmente incostituzionale, ma costituzionale dal punto di vista sostanziale in quanto inerente ad un oggetto diverso).

L'art.24 Cost. stabilisce che "tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti (giurisdizione ordinaria) ed interessi legittimi (giurisdizione amministrativa)". Ad oggi la distinzione tra giurisdizione amministrativa e ordinaria, così come quella tra posizione del soggetto nei confronti di un suo diritto soggettivo (situazione assoluta) e posizione del soggetto nei confronti di un interesse legittimo (situazione non assoluta) viene ad assumere meno importanza ma non se perché tale distinzione (tra diritti soggettivi ed interessi legittimi) è stata costituzionalizzata. L'art.24 Cost. da vita a due diverse letture; la lettura in negativo che recepisce la correlazione tra titolarità della situazione giuridica sostanziale (diritti ed interessi legittimi) e titolarità dell'azione (in riferimento citiamo l'art.81 cod.proc.civ. che riguarda la sostituzione processuale e l'art.112 Cost. che stabilisce che "il pubblico ministero ha l'obbligo di esercitare l'azione penale") e la lettura in positivo che è costituita dal principio che non sono costituzionalmente legittimi gli ostacoli posti dalla legge ordinaria alla possibilità di agire in giudizio (questo vale sia sotto il profilo soggettivo, il legislatore non può limitare la possibilità di agire in giudizio per ragioni di sesso, razza, religione etc., che sotto il profilo oggettivo); qui si può fare un riferimento all'art.113 cost. che stabilisce che "contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi  agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa"; ciò sta a significare che la tutela giurisdizionale non può essere esclusa o limitata. La Corte cost. è intervenuta per sancire l'incostituzionalità di leggi che rendevano difficile la possibilità di agire in giudizio; ad esempio essa:

è intervenuta nel 1951 su un istituto del processo tributario (in base al quale quando la pubblica amministrazione chiede il amento di un tributo il contribuente deve prima are e dopo può fare opposizione richiedendo la restituzione dei soldi) dichiarandolo incostituzionale in quanto non è possibile subordinare l'azione giudiziaria al preventivo amento dell'imposta.

è intervenuta sull'art.98 cod.proc.civ., con la sentenza n.67/1960, dichiarandolo costituzionalmente illegittimo rispetto all'art.24 Cost. perché subordinava la possibilità di agire in giudizio al versamento di una cauzione.

è intervenuta per sancire l'incostituzionalità dell'arbitrato obbligatorio (forma di giustizia privata alternativa alla giustizia ordinaria secondo la quale la controversia viene fatta decidere ad un arbitro o ad un gruppo di arbitri privati); infatti l'arbitrato deve essere facoltativo e quindi la Corte cost. ha dichiarato illegittime quelle norme che prevedevano l'obbligatorietà dell'arbitrato.

Nel nostro ordinamento abbiamo istituti non toccati dalla Corte cost., come ad esempio la cauzione, il deposito per soccombenza. La Corte cost. ha ritenuto costituzionale:

l'art.669-quinquies cod.proc.civ. che stabilisce che il giudice, dopo aver dato il provvedimento cautelare (ad es. il sequestro conservativo), può imporre una cauzione per l'attuazione di un procedimento cautelare;

la conciliazione obbligatoria nelle controversie di lavoro (prima di agire in giudizio);

il deposito per soccombenza.

In realtà l'art.24 Cost. viene limitato dagli istituti esaminati. Per ciò che riguarda il 2° comma dell'art.24 Cost., che stabilisce che "la difesa è un diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento", bisogna dire che il diritto di difesa, diverso dal diritto al contraddittorio, è quel diritto delle parti di poter far valere i propri diritti e le proprie ragioni nell'ambito di un processo. Questo diritto deve essere assicurato durante tutto il processo ed in funzione di ciò la Corte cost. ha sancito l'incostituzionalità di due norme: l'art.247 cod.proc.civ. (che prevedeva il divieto di testimoniare per i parenti, per i coniugi etc.) e l'art.248 cod.proc.civ. (che riguardava i minori di quattordici anni). L'incostituzionalità di queste due norme è dovuta al fatto che esse costituiscono una limitazione al diritto di difesa espresso dal 2° comma dell'art.24 Cost. Analizzando poi l'art.669-terdecies cod.proc.civ. bisogna dire che questa è una norma dettata in tema di procedimento cautelare che prevede la possibilità di proporre reclamo avverso il procedimento con il quale il giudice concede la misura cautelare; la norma in questione prevedeva la possibilità di porre reclamo per i provvedimenti che disponevano la misura cautelare ma non per quelli che la rigettavano la misura cautelare ed è per questo che la norma è stata ritenuta illegittima in quella parte. Un'altra norma dichiarata incostituzionale è l'art.708 cod.proc.civ. (in tema di separazione dei coniugi). Il 3° comma dell'art.24 Cost. stabilisce che "sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione". La sentenza del 1998 della corte di giustizia europea stabilì che il gratuito patrocinio è un diritto chi non ha soldi. Prima il decreto regio del '23 stabiliva che il patrocinio per i non abbienti era gratuito ma era un onere degli avvocati, così questi ultimi difendevano male chi non ava. Nel 1973 questo sistema è stato riformato solo nelle controversie di lavoro; successivamente per ciò che riguarda le cause penali (ma anche per alcuni processi civili relativamente).

Il patrocinio gratuito per i non abbienti e a carico dello stato ha trovato una disciplina anche in una legge del 1990. La legge n.134/2001 abroga il regio decreto del 1923 ed estende il patrocinio a spese dello stato a tutti i soggetti con un reddito inferiore a 18 milioni.  Il 4° comma dell'art.24 Cost. non ci interessa perché riguarda il settore penale. Il 1° comma dell'art.25 Cost. stabilisce che "nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge"; tale articolo si collega all'art.102 Cost. che vieta l'istituzione di giudici speciali per determinate cause ad eccezione di particolari materie (sesta disposizione transitoria della Costituzione). Collegato all'art.102 Cost. è l'art.103 Cost. che individua, prima che nasca la controversia, le giurisdizioni competenti. Le giurisdizioni competenti devono essere individuate in base a 3 criteri: materia (oggetto), valore (per cause inerenti ai beni mobili di valore inferiore ai 5 milioni è competente il giudice di pace, per le altre cause di valore superiore è competente il tribunale), territorio. Ricordiamo che il criterio materia esclude il criterio valore. L'art.103 Cost., nella parte in cui dice "gli altri organi di giustizia amministrativa", ha portato nel 1970 (con la legge n.1034/1971) all'istituzione dei TAR (tribunali amministrativi regionali) che non sono stati considerati nuovi giudici speciali ma vecchi giudici revisionati, perciò legittimi. L'art.101 Cost. stabilisce che "i giudici sono soggetti soltanto alla legge" ed in esso si può scorgere un collegamento con l'art.104 Cost. Sono state dichiarate illegittime le giunte provinciali amministrative insieme al consiglio di prefettura e al comandante di porto; questo perché andavano contro le previsioni dell'art.104 Cost. Sopravvivono invece le commissioni tributarie. Un'altra norma importante è l'art.111 Cost., riformato nel 1999, che fissa una serie di garanzie per le parti quali: la regolamentazione di un giusto processo da parte della legge; la presenza del contraddittorio; le condizioni di parità delle parti; la terzietà e l'imparzialità del giudice; la ragionevole durata del processo. Importanti sono poi il rapporto tra processo civile e processo costituzionale (vedi altri appunti) ed il rapporto tra giurisdizione nazionale e giurisdizione comunitaria.





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