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LA TUTELA DEI DIRITTI NEL PROCESSO DEL LAVORO - LA RIFORMA DEGLI ANNI '90 - IL TENTATIVO OBBLIGATORIO DI CONCILIAZIONE

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LA TUTELA DEI DIRITTI NEL PROCESSO DEL LAVORO.

CAPITOLO 1


EVOLUZIONE STORICA


Il nostro ordinamento ha sempre riconosciuto alle controversie in materia di lavoro una disciplina a se stante.

La legge 295/1893 aveva istituito un "collegio di probiviri" x la risoluzione delle vertenze fra datori e lavoratori nelle imprese industriali. I collegi dei probiviri erano organi paritetici, i cui componenti erano nominati dagli industriali e dagli operai.

Con l'avvento del regime fascista le commissioni paritetiche furono abolite e le controversie ritornarono di competenza del giudice ordinario.




La l. 3 aprile 1926 n. 563 istituì la magistratura del lavoro (composta da 3 magistrati + 2 cittadini) competente su tutte le controversie relative alla disciplina dei rapporti collettivi di lavoro: essa decideva:

sia sull'applicazione dei contratti collettivi,

sia sulle richieste di nuove condizioni di lavoro.


Con il r. d. 26.2.28 n. 471 sono soppressi i collegi probivirali, disponendosi che siano di competenza del Pretore o del Tribunale,le controversie già devolute ai precedenti organismi,con ciò riportando all'autorità giudiziaria ordinaria le relative vertenze e, infine, ogni altra controversia individuale derivante da rapporti soggetti a contr coll di lav.

Un periodo di involuzione si ebbe col vigente c.p.c. del 1942 in cui vennero alla luce i difetti del rito del lavoro che venne disciplinato secondo le norme del processo comune.



- LA RIFORMA DEL 1973 ED IL SUO SIGNIFICATO. LA CRISI DEL PROCESSO DEL LAVORO.

La l. 604/66 segnò una svolta col riconoscere, nel giudice monocratico, non solo un organo idoneo a gestire controversie anche di notevole valore economico, ma anche il più adeguato a compiere le indagini sull'esistenza della giusta causa o giustificato motivo del recesso. Questa legge assegnò ai pretori le controversie in materia di licenziamenti individuali.


La l. 20 maggio1970 n. 300 (Statuto dei lavoratori), ribadendo le competenze pretorie in materia di licenziamenti, introduceva (art. 28) un agile procedimento x la tutela degli interessi sindacali.


Solo con la legge 11 agosto 1973 n. 533 (RIFORMA DEL 1973) si è tornati di nuovo ad una disciplina peculiare x le vertenze di lavoro, x assicurare una maggiore e più immediata tutela del lavoratore, il quale nel rapporto è il contraente più debole.

Con questa legge è stato sostituito il Titolo IV del Libro II c.p.c.

Oggi il Titolo IV (Norme x le controversie in materia di lavoro) consta di 2 capi:


  1. regola le controversie individuali del lavoro;
  2. è dedicato alle controversie in materia di previdenza e assistenza obbligatoria.

Il legislatore del 73 è riuscito a rimediare a molti difetti tecnico-normativi propri della disciplina del c.p.c. del 1942.

Si è stabilito che:

l'atto introduttivo ha la forma del ricorso (non più quella della citazione);

è prevista l'anticipata costituzione del convenuto;

riguardo al thema decidendum esiste un obbligo x le parti di specificare, fin dai primi atti difensivi, le domande e le eccezioni;

è obbligatoria la izione personale delle parti, anche x poter esperire il tentativo obbligatorio di conciliazione giudiziale;

riguardo al thema probandum, è imposta una contestazione specifica dei fatti controversi;

sono previsti ampi poteri del giudice in ordine ai mezzi di prova.


- LA RIFORMA DEGLI ANNI '90

Un'importante riforma del processo ordinario di cognizione è stata avviata con la l. 26 nov. 1990, n.353, corretta e integrata negli anni successivi da ulteriori interventi normativi.


Inoltre nel '99 è entrato in vigore il d. lgs. 19 febbraio 1998 n. 51 contenente "norme in materia di istituzione del giudice unico di primo grado" il quale nel sopprimere l'ufficio del pretore (le preture), ha diviso la competenza in primo grado tra Giudice di Pace e Tribunale è il solo competente x le controversie di lavoro (ai sensi del nuovo art. 50 ter c.p.c.) opera x esse in composizione monocratica.

La fase di impugnazione si svolgerà davanti alla Corte d'Appello in sede collegiale.


In questi anni, infine, si è realizzata l'operazione di "privatizzazione" del pubblico impiego ( si è conclusa con la l. 205/2000), di riconduzione dei rapporti di lavoro dei dipendenti pubblici alla disciplina di diritto comune.


A partire dalla legge delega 421/92, l'assetto normativo del pubblico impiego è stato rivoluzionato.

Con la c.d. 2A privatizzazione, avviata con la legge delega 15 marzo 1997 n. 59 e realizzata dai decreti legislativi 80/98 (ha modificato la discplina del tentativo di conciliazione) e 387/98 (ha integrato il codice di procedura civile): le P.A., nella gestione del personale, operano con i poteri dei privati datori; i rapporti di lavoro sono disciplinati dal c.c., dalle leggi sul lavoro subordinato nell'impresa, dai contratti collettivi e individuali di lavoro; le controversie relative sono affidate alla giurisdizione del giudice ordinario, secondo le regole del processo del lavoro.


CAPITOLO II

LA TUTELA DI RPIMO GRADO

- LE CONTROVERSIE DI LAVORO


L'art. 409 cpc definisce le controversie individuali di lavoro; ai sensi del 409 la disciplina contrattuale individuale del lavoro si applica per tutte le controversie relative.


  1. il primo gruppo delimitato dall'art. 409 n. 1 comprende le controversie relative a "rapporti di lavoro subordinato privato, anche se non inerenti all'esercizio di un'impresa". La Cassazione ha specificato in più occasioni che "per controversie a rapporti di lavoro subordinato" ai sensi dell'art. 409 cpc s'intendono non solo quelle relative alle obbligazioni propriamente caratteristiche del rapporto di lavoro, ma tutte le controversie in cui "la pretesa fatta valere in giudizio si ricolleghi direttamente a quel rapporto, nel senso che questo, pur costitutendo la causa petendi di questa pretesa, si presenti come antecedente e presupposto necessario della situazione di fatto in ordine alla quale viene invocata la tutela giurisdizionale". L'ampia portata di tale principio comporta il riconoscimento della competenza del Giudice del Lavoro anche qualora la controversia coinvolga soggetti diversi dal datore, come ad es. l'appaltante. L'azione esperita può essere di condanna costitutiva o di accertamento.
  2. Il secondo gruppo delimitato dall'art. 409 comprende le controversie inerenti a " rapporti di mezzadria, di colonia parziaria, di tecipazione agraria, di affitto a coltivatore diretto, nonchè rapporti derivanti da altri contratti agrari, salva la competenza delle sezioni specializzate agrarie". La disposizione va letta nel senso che sono sottoposte a veto speciale del lavoro tutte le controversie agrarie, ma che è stata conservata la competenza delle sezioni specializzate agrarie rimanendo a carattere residuale la competenza attribuita al giudice monocratico del lavoro. Si è dunque affermata un'estensione del rito del lavoro a tutto il contenzioso agrario in sostanza da un lato il Giudice del Lavoro è competente per i rapporti di lavoro subordinato agricolo, che rientrano nel n. 1 dell'art. 409; dall'altro, lo stesso è competente tutte le volte in cui non si discuta nè di affitto nè di proroga nè di rilascio del fondo, nè dell'esistenza, validità e risoluzione del contratto.
  3. "Rapporti di agenzia di rappresentanza commerciale e altri rapporti di collaborazione che si concretizzino in una prestazione d'opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato. Il legislatore del '73 ha quindi esteso la speciale tutela concessa ai lavoratori subordinati, anche a quei lavoratori "i quali - benchè autonomi - si trovano dal punto di vista socio-economico in una posizione di soggezione e perciò in una sostanziale situazione di subordinazione". Nell'ambito del lavoro di questi soggetti, definito para subordinato (intendendo la subordinazione non in senso tecnico-giuridico ma socio-economico) la prestazione si svolge in una situazione di debolezza contrattuale. La continuità e la coordinazione della prestazione per la Cassazione deve ricorrere congiuntamente. Sono esclusi perciò i casi in cui la prestazione d'opera assuma il carattere di attività imprenditoriale, come centro autonomo di organizzazione di lavoro subordinato, anche se in vista di un'attività coordinata con quella di altra impresa. Si noti che mentre è pacificamente esclusa l'applicazione dell'art. 409 n.3, quando la prestazione è svolta non da una persona fisica ma da una società di capitali, nel caso di società di persona, la giurisprudenza non è univoca.
  4. "Rapporti di lavoro dei dipendenti di enti pubblici che svolgono esclusivamente o prevalentemente attività economica". La distinzione fra ente pubblico economico e ente pubblico non economico è il più delle volte non agevole, riconducendosi a una scelta discrezionale del giudice investito della controversia. Era consolidato l'orientamento per cui "l'ente pubblico è economico quando, allo scopo di realizzare un fine di lucro una finalità pubblica, esercita un'attività imprenditoriale diretta alla produzione o allo scambio di beni o di servizi ponendosi sullo stesso piano in regime di concorrenza con gli imprenditori svolgenti analoghe attività". La rilevanza della distinzione tra ente pubblico economico e non economico al fine dell'applicabilità dell'art 409 deve ritenersi ridimensionata a seguito della cd "privatizzazione del pubblico impiego" (421/92 + 80/98 + 397/98)
  5. "Rapporti di lavoro dei dipendenti di enti pubblici e altri rapporti di lavoro pubblico, semprechè non siano devoluti dalla legge ad altro giudice". La norma in sostanza ribadiva la giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo in materia del pubblico impiego, sono devolute al Giudice del lavoro le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni comprese le controversie relative a comportamenti antisindacali nelle pubbliche amministrazioni. Oggi, a seguito della cosiddetta privatizzazione del Pubblico impiego, avviato con la legge delega n. 421/92 e conclusosi con il DL.vo 165/2001  la conseguente devoluzione al giudice ordinario del lavoro di pressocchè tutte le controversie di lavoro dei dipendenti pubblici il cui rapporto è stato contrattualizzato , ha in realtà decisamente ridotto il campo di applicazione dell'art. 409 n. 5 del codice di rito.

GLI STRUMENTI DI COMPOSIZIONE STRAGIUDIZIALE


Il legislatore ha colto l'occasione della cosiddetta privatizzazione del rapporto di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni (e più precisamente della seconda privatizzazione attraverso il DLgs 80 e 397 del 98) per apportare alcune modifiche al processo davanti al Tribunale in funzione di Giudice del Lavoro. Tra queste due, in particolare, in quanto strumenti di composizione stragiudiziale della controversia, sono da ritenersi come un tentativo di superare cioè la cronica crisi del processo del lavoro che lo ha allontanato dagli originali intenti di oralità, immediatezza, concentrazione: l'introduzione del tentativo obbligatorio di conciliazione e una nuova disciplina dell'arbitrato prevista dai contratti collettivi; essi rispondono alle esigenze di lasciare maggior spazio possibile all'autonomia dei gruppi attraverso la "promozione di momenti di autogestione del sistema sociale". I due strumenti sono diversi:

A)    il tentativo di conciliazione obbligatorio per legge e strettamente connesso al successivo momento giudiziale di cui costituisce condizione per la procedibilità per proporre domanda al giudice, ma anche elemento di valutazione che parte dal Giudice.

B) l'arbitrato invece facoltativo è possibile solo se previsto dai contratti.


A)    quasi privo di disposizione circa la procedura da osservare

B) definito irrituale ma giustificato, anche se con la tecnica di rinvio al contratto collettivo per la specificazione delle regole da seguire.



IL TENTATIVO OBBLIGATORIO DI CONCILIAZIONE

La storia del tentativo di conciliazione stragiudiziale trova nell'ordinamento repubblicano il suo primo referente legislativo nell'art. 7 legge 604/66 che prevedeva la possibilità per il lavoratore licenziato di promuovere un tentativo di conciliazione in ogni controversia in tema di lavoro presso l'Ufficio Provinciale del lavoro nel caso in cui non si fosse potuto avvalere di procedure sindacali facoltative.


La legge di riforma del processo del lavoro 533/73 poi aveva generalizzato la possibilità di promuovere il tentativo di conciliazione in ogni controversia in materia di lavoro e optando per la facoltatività del tentativo.


Infine l'art. 5 legge 108/90 sempre in tema di licenziamenti, ma limitatamente alla cd area di tutela obbligatoria, ha previsto un tentativo obbligatorio di conciliazione come condizione di procedibilità della domanda giudiziale.


La disciplina ora vigente non è quella originariamente prevista dal DLgs 80/98 dal momento che nello stesso anno è intervenuto il DLgs 387 che ha portato alcuni importanti correttivi.


ART. 410 TENTATIVO DI CONCILIAZIONE (introdotto l. 108/90 e modificato l. 387/98). La nuova disciplina prevede che chi intenda proporre in giudizio una domanda relativa ai rapporti previsti dall'art. 409 e non ritenga di avvalersi delle procedure previste dai contratti collettivi, deve promuovere anche per il tramite del sindacato cui è iscritto, o conferisca mandato, il tentativo di conciliazione.

Il tentativo deve essere espletato entro 60 gg dalla richiesta, termine decorso il quale si considera comunque espletato (410bis). L'istituto si applica x le controversie in materia di lavoro. L'elemento di novità è l'obbligatorietà della promozione del tentativo (si dice "deve" invece di "può" dell'art. 410)

412 bis "procedibilità domanda": stabilisce quali siano gli effetti del tentativo, il quale definisce espressamente l'espletamento del tentativo come "condizione di procedibilità della domanda" ,disciplinando anche gli effetti se non viene espletato il tentativo improcedibiltà della domanda.

Nel caso in cui venga rilevata dal giudice l'improcedibilità è prevista la sospensione del giudizio e la fissazione di un termine perentorio di 60 gg x la promozione del tentativo.

Trascorsi 60 gg, previsti x l'espletamento del tentativo dell'art. 410 bis, il processo può essere riassunto entro il termine perentorio di 180 gg. Se non riassunto rimane in stato di quiescienza: estinzione differita.

Nel caso di mancato espletamento del tentativo nel termine fissato dal giudice (60 gg), o di mancata riassunzione nel termine in caso di tentativo espletato (180 gg) il giudizio si estingue.

L'art. 410 bis, co 2 prevede che il tentativo si consideri cmq espletato trascorsi 60 gg dalla richiesta, ma ai soli fini della procedibilità della domanda. Ciò significa :

da un lato, non condizionare x un tempo eccessivamente lungo l'accesso alla giurisdizione consentendo di proporre il ricorso anche in assenza dell'effettivo espletamento del tentativo.

X altro verso, prima dell'intervento del decreto correttivo, aveva consentito lo svilupparsi della prassi x cui era contestualmente richiesto il tentativo e proposto il ricorso giudiziale.

Il tentativo di conciliazione è condizione di procedibilità x ogni domanda. Qualche problema interpretativo si pone su cosa debba intendersi x "domanda da proporre in giudizio" e quindi, in concreto sull'ambito di applicazione del tentativo. Il tenore letterale dell'art. 410 appare orientato a ricomprendere nell'obbligo ,ogni domanda proposta in giudizio, senza alcuna esclusione.

L'art. 412 bis però precisa che questo obbligo non sussiste x la domanda di concessione di "provvedimenti speciali d'urgenza" e di "quelli contestuali previsti nel capo III Titolo I Libro IV"(es procedimento ex art. 700).

Infatti sarebbe illegittimo impedire l'accesso alla giurisdizione nel caso in cui sussistano ragioni di necessità e di urgenza.


Per quanto riguarda le domande proposte in corso di causa, la dottrina è divisa circa l'assoggettabilità o meno del tentativo obbligatorio. L'interpretazione più corretta appare quella che assoggetta al tentativo le domande nuove, successive all'instaurazione del giudizio semprechè realizzino una partecipazione innovativa.

Nel caso,quindi, di una domanda in corso di causa senza il previo esperimento del tentativo, il giudice dovrà sospendere il giudizio nell'attesa che l'istanza sia proposta. Ove però essa non sia tempestivamente proposta, l'effetto estintivo colpirà solo la nuova domanda, potendo il giudizio sospeso essere riassunto limitatamente a quelle originarie.


Art. 411 cpc: se la conciliazione riesce si redige processo verbale sottoscritto dalle parti e dai componenti del collegio che ha esperito il tentativo il giudice su istanza della parte interessata, accertatene la regolarità formale, lo dichiara esecutivo con decreto.


Art. 412 cpc: se la conciliazione non riesce si forma ugualmente processo verbale, il quale deve contenere anche le ragioni del mancato accordo. In esso le parti possono indicare la soluzione anche parziale sulla quale concordano, precisando, quando è possibile, l'ammontare del credito che spetta a.acquista efficacia di titolo esecutivo.


N.B. 413 cpc: il tentativo di conciliazione va esperito presso la commissione di conciliazione.



- L'ARBITRATO.

È il mezzo attraverso cui le parti possono affidare la risoluzione della controversia a giudici privati ( ARBITRI.)

Era preclusa alle parti, la possibilità di far risolvere da arbitri la contratt individuale di lav.


L'arbitrato è tradizionalmente distinto in:

RITUALE nel quale gli arbitri svolgono un'attività di accertamento e di giudizio.

Gli arbitri devono seguire le norme di legge e emanano un atto (lodo) che acquista l'efficacia della sentenza; ha la propria fonte nella clausola compromissoria o nel compromesso (è il negozio attraverso il quale le parti affidano il giudizio all'arbitro).

IRRITUALE O LIBERO nel quale gli arbitri compiono attività dispositiva al posto delle parti, estranea alla funzione e alla struttura del giudizio. Quando gli arbitri decidono senza formalità procedurali ed emettono un atto destinato ad avere solo efficacia negoziale tra le parti.

L'arbitrato irrituale ha ricevuto il 1° riconoscimento legislativo con l'art. 7, 5° co della l. 604 del 66 stabilendo che:

"In caso di esito negativo del tentativo di conciliazione di cui al 1° comma, le parti possono definire consensualmente la controversia mediante arbitrato irrituale".


Si sancisce dunque la possibilità di arbitrati irrituali individuali istituiti dal datore o dal lavoratore x risolvere la controversia relativa al licenz anche al di fuori della normativa collettiva.


Per avere una disciplina generale dell'istituto si è dovuto attendere la legge di riforma del processo del lavoro (l.533/73) che ha ridisciplinato l'istituto,

da un lato attraverso una parziale modifica delle norme sull'arbitrato rituale,

dall'altro introducendo la generalizzata possibilità x le parti di ricorrere ad arbitrati irrituali.


Con alcuni evidenti limiti però alla disponibilità delle parti prevedendo che in materia di lavoro, l'arbitrato (rituale) deve essere necessariamente previsto dai contratti collettivi, facoltativo e di diritto.

In tema di impugnabilità del lodo, si è stabilito che esso sia soggetto all'impugnazione anche x violazione e falsa applicazione dei contratti collettivi (829 cpc).


Il dialogo in dottrina sulla natura degli arbitrati in genere e in particolare in materia di lavoro è ancora acceso e si possono distinguere almeno 2 orientamenti:

  1. il 1° volto a difendere la specialità dell'arbitrato in materia di lavoro e il persistente valore della distinzione tra arbitrato rituale e arbitrato irrituale.
  2. il 2° teso a dimostrare il superamento della distinzione  e l'unitarietà del fenomeno arbitrale, che al suo interno tollererebbe elementi di specialità ma non di distinzioni di fattispecie.


È stata prevista la possibilità, nel caso di esito negativo della conciliazione, di ricorrere ad arbitri nell'ambito dei rapporti di lavoro. In particolare si tratta di un arbitrato irrituale.


L'art. 412 ter "Arbitrato irrituale previsto dai contratti collettivi": Se il tentativo di conciliazione non riesce o cmq è decorso il termine previsto x l'espletamento, le parti possono deferire ad arbitri la risoluzione della controversia (anche tramite i sindacati cui aderiscono e abbiano conferito mandato),

se i contratti o accordi collettivi nazionali di lavoro prevedono questa facoltà.


Pertanto le condizioni che il 412 ter detta x definire una controversia in materia di lavoro ad arbitri, indispensabili ai fini della validità del lodo sono:

  1. preventivo espletamento del tentativo di conciliazione;
  2. la previsione della possibilità di ricorrere all'arbitrato nei contratti collettivi nazionali (ma anche in quello interconfederale) che conferma il monopolio sindacale in tema di arbitrato in materia di lavoro;
  3. la predeterminazione di una serie di regole procedimentali ad opera della contrattazione collettiva (x garantire efficienza all'istituto arbitrale).

L'art. 412 quater "Impugnazione ed esecutività del lodo arbitrale": Attribuisce la competenza al tribunale in unico grado e in funzione di giudice del lavoro a giudicare sulla validità del lodo (il ricorso è depositato entro il termine di 30 gg dalla notifica del lodo).

Il giudice accertata la regolarità formale del lodo, lo dichiara esecutivo con decreto.



-GIUDICE DEL LAVORO.

Il d. lgs. N. 51 del 98 ha soppresso l'ufficio del pretore. Di conseguenza l'art. 413, 1° co cpc (giudice competente) oggi dispone che "le controversie previste dall'art. 409 sono in primo grado di competenza del tribunale in funzione di giudice del lavoro.

La c.d. riforma del giudice unico è entrata in vigore il 2-6-99. tuttavia il legislatore ha stabilito che i procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore del d. lgs. 51/98 fossero regolati dalle disposizioni introdotte dallo stesso decreto.

Dunque dal 1973 in tema di controversie di lavoro vige la competenza esclusiva in I° grado del giudice monocratico, allora identificato nel pretore in funzione di giudice del lavoro, e ora, dal 2-6-99, nel tribunale, in composizione monocratica.


L'appello deve essere proposto con ricorso davanti alla Corte d'Appello territorialmente competente in funzione di giudice del lavoro.



-COMPETENZA X TERRITORIO

L'art. 413 prevede che competente x territorio è il giudice nella cui circoscrizione è sorto il rapporto ovvero si trova l'azienda o una sua dipendenza alla quale è addetto il lavoratore o presso la quale egli presta la sua opera al momento della fine del rapporto.

La competenza x territorio, che x espressa disposizione di legge è inderogabile, è determinata, ai sensi dell'art. 413 co 2,3,7,8, dal luogo in cui è sorto il rapporto di lavoro (cioè il luogo della stipulazione del contratto di lavoro ex artt. 1326, 1327 c.c.) o dal luogo dove si trova l'azienda o una sua dipendenza, alla quale è addetto il lavoratore o presso la quale prestava la sua opera al momento della fine del rapporto.

Questa competenza permane dopo il trasferimento dell'azienda o la cessazione di essa o della sua dipendenza, purchè la domanda sia proposta entro 6 mesi dal trasferimento o dalla cessazione.

Qualora non trovino applicazione le disposizioni dei commi precedenti si applicano quelle dell'art. 18.

L'art 413 co 4: "competente x territorio x le controversie previste dal n. 3, art. 409 è il giudice nella cui circoscrizione si trova il domicilio dell'agente, del rappresentante di commercio o del titolare degli altri rapporti di collaborazione di cui al n. 3, art 409".

A seguito della riforma è ora consentito instaurare la controversia in una sede prossima al luogo dove si svolge l'attività lavorativa.


L'art. 40 del d. lgs. N. 80/98 ha aggiunto all'art. 413 cpc 2 commi (5° e 6°) che dispongono: "competente x territorio x le controversie relative al rapporto di lavoro alle dipendenze delle P.A. è il giudice nella cui circoscrizione ha sede l'ufficio al quale il dipendente è addetto o era addetto al momento della cessazione del rapporto di lavoro" il foro introdotto dall'art. 40 del d. lgs. N. 80 deve ritenersi esclusivo, ovvero non concorrente con gli altri previsti dall'art. 413 cpc.

Nel caso in cui non sia applicabile questo foro esclusivo, la dottrina sostiene che si applicheranno i fori generali di cui agli art. 18 e 19 cpc.

L'ultimo comma rende inderogabile la competenza x territorio, sancendo la nullità delle clausole che deroghino ai criteri sopra stabiliti (cioè della competenza x territorio).

Queste clausole sono considerate vessatorie x la parte economicamente più debole.

L'inderogabilità della competenza territoriale comporta dunque che la stessa, nelle controversie di lavoro, vada ricompresa tra le ipotesi di competenza funzionale inderogabile di cui all'art. 28 cpc.


Infine va notato che il luogo di svolgimento dell'attività di lavoro non è previsto dall'art. 413.


Per luogo in cui è sorto il rapp deve intendersi quello in cui è stato stipulato- concluso il contratto e, pertanto, tale foro non è utilizzabile quando si agisce x rapp di lav da costituire, né ha rilievo il luogo in cui abbia avuto inizio la prestazione lavorativa.


Per individuare il momento determinate della giurisdizione e della competenza occorre riferirsi all'art. 5 cpc x il quale le stesse si determinano "con riguardo alla legge vigente e allo stato di fatto esistente al momento della promozione della domanda e non hanno rilevanza rispetto ai successivi mutamenti della legge e dello Stato stesso" perpetual jurisdiction.



IL PROCEDIMENTO


- LA DOMANDA (FASE INTRODUTTIVA).

Il processo del lavoro si svolge oralmente (in base ai principi di immediatezza e di concentrazione).

Gli unici atti scritti sono:

  1. ricorso
  2. memoria difensiva del contenuto
  3. la sentenza

Nel giudizio di I° grado, ai sensi dell'art. 414, la domanda dell'attore si propone con ricorso ( atto di citazione x ragioni di celerità, di immediatezza perseguita nel processo del lavoro. Infatti il ricorso, a differenza della citazione (ex 163) ,con cui inizia il processo ordinario di cognizione, è diretto al giudice il quale con proprio decreto fissa l'udienza di discussione il 1° rapporto è fra ricorrente e giudice).




Il ricorso deve contenere:

  1. l'indicazione del giudice;
  2. le generalità del ricorrente e del convenuto;
  3. la determinazione dell'oggetto della domanda;
  4. l'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto sui quali si fonda la domanda con le relative conclusioni;
  5. l'indicazione specifica, a pena di decadenza, dei mezzi di prova di cui il ricorrente intende avvalersi e in particolare dei documenti che si offrono in comunicazione.

Con oggetto della domanda si intende non solo il petitum ,cioè l'oggetto mediato della domanda ,ma anche come contenuto e tipo del provvedimento richiesto).

Per aversi nullità del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado x mancata determinazione dell'oggetto della domanda o x mancata esposizione degli elementi di fatto e di diritto su cui si fonda la domanda non è sufficiente l'omessa indicazione dei corrispondenti elementi in modo formale, ma è invece necessario che ne sia impossibile l'individuazione attraverso l'esame complessivo dell'atto.

La nullità del ricorso x mancanza dei requisiti di cui all'art. 44 cpc n. 3 e 4 è insanabile e rilevabile d'ufficio.

X quanto concerne l'onere di allegazione delle prove x iscritto dal n.5, questo non costituisce un requisito di validità del ricorso,essendo finalizzato all'accoglimento della domanda:al mancato assolvimento dell'onere dunque non consegue una pronuncia di nullità del ricorso.

Nella fase introduttiva del giudizio i fatti di causa devono essere esposti in modo chiaro e specifico x consentire:

da una parte al giudice di avere una compiuta conoscenza del thema decidendum;

dall'altra, al convenuto di svolgere tutte le sue eccezioni e difese; di conseguenza, la mancanza o l'insufficienza di un qualsiasi elemento previsto dall'art. 414 cpc rende nullo il ricorso x inidoneità dell'atto a raggiungere gli scopi sopra indicati.

La mancanza o l'assoluta incertezza in ordine al petitum (cioè al dir fatto valere in giudizio) è causa di nullità insanabile del ricorso, gli stessi vizi in ordine all'indicazione dei mezzi di prova non determinano la nullità ma solo la decadenza dalla possibilità di successiva deduzione delle prove nel processo.



-IL CONTRADDITTORIO.

L'art. 415 "Deposito del ricorso e fissazione dell'udienza" (sono termini ordinatori) dispone che:

il ricorso con i documenti è depositato nella Cancelleria del giudice competente;

il giudice entro 5 giorni dal deposito del ricorso fissa con decreto, l'udienza di discussione alla quale le parti sono tenute a ire personalmente;tra il giorno del deposito e l'udienza di discussione non devono decorrere più di 60 gg.

L'attore deve poi provvedere alla notificazione al convenuto del ricorso unitamente al decreto di fissazione dell'udienza, entro 10 gg dalla data del decreto, in modo che tra la data di notificazione e quella dell'udienza di discussione intercorra un termine non inferiore a 30 gg (80 gg se all'estero)

(Redatto il ricorso, l'attore deve depositarlo in cancelleria x permettere al giudice di fissare con decreto l'udienza di discussione).

Il legislatore ha anticipato il momento della presentazione della domanda al giudice e dell'iscrizione a ruolo della causa rispetto a quello dell'instaurazione del contraddittorio (vocatio in jus) il contraddittorio avviene dopo la presentazione della domanda al giudice.


- LA DIFESA DEL CONVENUTO.

L'ART. 416 "Costituzione del convenuto" dispone che:

il convenuto deve costituirsi almeno 10 gg prima dell'udienza, mediante deposito in cancelleria di una memoria difensiva (sa con risposta) in cui, oltre a dichiarare la residenza o eleggere domicilio nel Comune in cui ha sede il giudice adito deve:

- proporre, a pena di decadenza, le eventuali domande riconvenzionali domanda con cui il convenuto non solo chiede il rigetto della domanda del ricorrente ma anche la condanna dell'attore (è quindi una domanda autonoma)

- Proporre le eccezioni in senso proprio ( chiedono il rigetto della domanda dell'attore in quanto il suo titolo è infondato) processuale e di merito che non siano rilevabili d'ufficio; sono sempre proponibili, invece, le eccezioni in senso ampio (qualsiasi difesa che contrasta la domanda del ricorrente) e le mere difese.


Nella stessa memoria il convenuto deve prendere posizione circa i fatti affermati dall'attore a fondamento della domanda, proporre tutte le difese in fatto e in diritto e indicare specificatamente i mezzi di prova dei quali intende  avvalersi e in particolare i documenti che deve depositare.

La norma, come quella riguardante la proposizione della domanda, rappresenta un apprezzabile contemperamento delle 2 principali finali della riforma:

- permettere una decisione rapida

- attuare il c.d. principio della verità materiale.


Bisogna  precisare che anche nel casi in cui il convenuto non si sia costituito in Cancelleria ai sensi co 2 art. 416 o l'abbia fatto oltre i 10 gg prima dell'udienza, è tenuto cmq a ire personalmente all'udienza di discussione nella quale potrà oltre a rendere l'interrogatorio libero, chiarire le proprie ragioni e il proprio comportamento.

Il convenuto vedrà cmq precluse le eventuali difese proponibili o tardivamente proposte nella memoria: in sostanza incorrerà nella decadenza da domande riconvenzionali, eccezioni in senso stretto e mezzi di prova.

Di contumacia del convenuto si potrà parlare solo nel caso di mancata izione all'udienza stessa.


Nella memoria difensiva il convenuto ha l'onere di proporre, a pena di decadenza, le eventuali domande riconvenzionali volte a far valere i suoi diritti nei confronti dell'attore (che così diventa convenuto).

Se il convenuto ha proposto domanda riconvenzionale, a norma dell'art. 416, deve chiedere, ex art. 418, la fissazione di una nuova udienza di izione (non oltre 5 gg), al fine di consentire all'attore di predisporre le proprie difese.

Questa udienza non può essere fissata oltre 50 gg dalla presentazione della domanda riconvenzionale.

Il nuovo decreto contenente la fissazione dell'udienza deve essere notificato all'attore (insieme alla sa di risposta - memoria difensiva) a cura dell'ufficio entro 10 gg dalla pronuncia del decreto di fissazione di una nuova udienza (e cmq almeno 25 gg prima di questa udienza) (art. 418).






- FASE ISTRUTTORIA. LE PARTI DAVANTI AL GIUDICE: L'INTERROGATORIO.

L'udienza di discussione costituisce il fulcro di tutto il procedimento come si desume dall'art. 420 cpc. Nonostante l'unità dell'udienza si distinguono al suo interno diversi momenti:

c'è una fase preliminare dedicata alla verifica della regolarità degli atti, della costituzione delle pari, dell'integrazione del contraddittorio, al tentativo di conciliare;

c'è una fase istruttoria;

e c'è una fase decisionale.

Nei co 1 e 2 dell'art. 420 "nell'udienza fissata x la discussione della causa il giudice interroga le parti presenti e tenta la conciliazione (c.d. giudiziale) della lite. La mancata izione personale delle parti, senza giustificato motivo, costituisce comportamento valutabile dal giudice ai fini della decisione. Le parti possono se ricorrono gravi motivi, modificare domande, eccezioni e conclusioni già formulate previa autorizzazione del giudice.

co 2 ) Le parti hanno la facoltà di farsi rappresentare all'interrogatorio libero dal loro procuratore, il quale deve essere a conoscenza dei fatti della causa. La procura deve essere conferita con atto pubblico o scrittura privata autenticata e deve attribuire al procuratore il potere di conciliare o transigere la controversia.

La mancata conoscenza, senza gravi ragioni, dei fatti della causa da parte del procuratore è valutata dal giudice ai fini della decisione".

co 4 se la conciliazione non riesce e il giudice ritiene la causa matura x la decisione, invita le parti alla discussione e pronuncia la sentenza.


La norma disciplina il ruolo delle parti all'udienza, imponendo alle stesse di ire personalmente alla stessa x essere liberamente interrogate dal giudice, anche ai fini della conciliazione. 


La funzione dell'interrogatorio libero tende a una collaborazione effettiva tra il giudice e le parti. È diretto a chiarire i termini della controversia al giudice e a rendere possibile il tentativo di conciliazione.


L'interrogatorio formale è diretto a provocare le dichiarazioni contrarie all'interesse dell'interrogato.



- L'ISTRUTTORIA

Sia nel ricorso, sia nella memoria le parti devono "vuotare il sacco" anche sotto il profilo delle istanze istruttorie nel senso che, oltre ad allegare in giudizio i fatti costitutivi impeditivi dell'estinzione della pretesa azionata, la parte (convenuto) deve indicare i mezzi di prova prima ancora di conoscere se i fatti cui si riferiscono saranno o meno contestati dalla controparte (come si evince dal 420 co 5,6,7,8).

Ciò consente al giudice sia di presentarsi all'udienza già a conoscenza dei fatti controversi , sia, in quell'unica udienza di discussione, di decidere sull'ammissibilità e sulla rilevanza dei mezzi istruttori richiesti dalle parti e, se possibile, di procedere alla loro immediata assunzione.

Nel corso dell'udienza di discussione, le parti posso modificare le domande, le eccezioni e le conclusioni già formulate, ma solo se ricorrono gravi motivi e previa autorizzazione del giudice (art. 420 co 1).


Non è consentita la proposizione di domande nuove è ammessa la modifica della domanda (emendatio libelli), ma è vietata la proposizione di una domanda nuova x mutamento della causa petendi o del petitum (mutatio libelli).


La causa può esaurirsi nell'udienza di discussione, ma può anche essere rinviata. Possono verificarsi queste ipotesi:

  1. la riconciliazione riesce si chiude la controversia;
  2. se la conciliazione non riesce si distinge:

a)  se il giudice ritiene che la causa sia matura x la decisione senza necessità di istruzione, il giudice invita le parti alla discussione e pronuncia la sentenza anche non definitiva (art. 420);

b)  se ritiene che sia necessaria la fase istruttoria, il giudice può:

assumere le prove nella stessa udienza e quindi decidere;

può fissare un'altra udienza x l'assunzione delle prove e la conseguente discussione. Questa 2a udienza deve svolgersi entro 10 gg dalla prima.


Sono vietate le udienze di mero rinvio: come espressione della concentrazione e rapidità a cui il legisl ambisce.

Nel rito del lavoro, il giudice ha poteri istruttori d'ufficio molto più ampi di quelli normali:

indica alle parti in ogni momento le irregolarità degli atti e dei documenti che possono essere sanate, assegnando un termine x provvedervi salvo gli eventuali diritti acquisiti (421).

Può disporre d'ufficio, in qualsiasi momento, l'ammissione di ogni mezzo di prova anche fuori dai limiti stabiliti dal codice civile, ad eccezione del giuramento decisorio, etc.



- I MEZZI DI PROVA.

Prove testimoniali: regolate dalle norme sul processo ordinario, nessun cenno praticamente è fatto da

quelle sul processo del lavoro.

Il giudice del lavoro non è soggetto, se non x il giuramento decisorio, ai limiti stabiliti x le prove documentali dal codice civile e quindi può ammettere la prova testimoniale (anche di persone incapaci di testimoniare).


L' accesso sul luogo di lavoro: l'accesso sul luogo di lav è subordinato all'istanza di parte. Nell'udienza che si terrà sul luogo di lav, il giudice potrà disporre che vengano rese informazioni e osservazioni dai sindacati e potrà anche ordinare che i testi indicati dalle parti siano escussi sul luogo stesso.


Consulenza tecnica: ai sensi dell'art. 424 il tribunale può nominare consulenze tecniche, se la

controversia richiede cognizioni tecniche.


Richiesta di informazioni e osservazioni alle associazioni sindacali: il giudice può richiedere informazioni e osservazioni indicate dalle parti, sia scritte che orali.L' associazione sindacale, indicata su istanza di parte, ha la facoltà di rendere in giudizio, tramite un suo rappresentante, informazioni e osservazioni orali e scritte.



- MUTAMENTO DI RITO E INCOMPETENZA

- Passaggio dal rito ordinario al rito speciale art. 426 cpc.

Quando il giudice rileva che una causa promossa nelle forme ordinarie riguarda uno dei rapporti previsti dal 409, lo stesso deve disporre il cambiamento del rito con ordinanza.

Con questa ordinanza sono fissati l'udienza di discussione della causa e il termine perentorio entro il quale le parti devono provvedere all'eventuale integrazione degli atti.



-Passaggio dal rito speciale al rito ordinario  art. 427 cpc.

Quando il giudice rileva che una causa promossa nelle forme di rito speciale riguarda un rapporto diverso da quelli previsti nel 409 si distinguono 2 ipotesi:

  1. se la causa rientra nella sua competenza, dispone la regolarizzazione formale degli atti con l'avvertimento che le prove acquisite avranno l'efficacia consentita dalle norme.
  2. se la causa non rientra nella sua competenza deve rimettere con ordinanza la causa al giudice competente fissando un termine perentorio non superiore a 30 gg x la riassunzione.

- Incompetenza del giudice.  art. 428 cpc.

Quando una causa relativa a rapporti di lavoro sia proposta davanti a un giudice incompetente, l'incompetenza può essere eccepita dal convenuto solo nella sa di risposta (nella memoria difensiva di cui all'art. 416) o rilevata dal giudice d'ufficio non oltre l'udienza di discussione.

Quando l'incompetenza è stata eccepita o rilevata, il giudice rimette la causa al tribunale in funzione di giudice del lavoro, fissando un termine perentorio non superiore a 30 gg x la riassunzione con rito speciale.



- LA DECISIONE. LA PRONUNCIA

Raccolte le prove il giudice invita le parti alla discussione orale della causa, al termine della quale ciascuna parte precisa le proprie conclusioni.

Art. 429 "Pronucia della sentenza": Nella stessa udienza il giudice pronuncia la sentenza dando lettura del dispositivo che costituisce titolo esecutivo (altrimenti nullità) (novità riforma: principi di oralità, di immediatezza).

L'art. 429 co 2 ritiene che se il giudice lo ritiene necessario e le parti ne fanno richiesta, può concedere un termine non superiore a 10 gg x il deposito di note difensive, rinviando la causa all'udienza immediatamente successiva alla scadenza di questo termine x la discussione e x la decisione.*

Art. 429 co 3   "Crediti di lavoro e svalutazione monetaria".

La sentenza deve essere depositata in cancelleria entro 15 gg dalla pronuncia (art. 430).

"il cancelliere ne dà comunicazione alle parti".

Con il deposito si perfeziona la fattispecie della pubblicazione.

Un 1° interrogativo attiene alle conseguenze dell'omessa lettura del dispositivo: la giurisprudenza è costante nel ritenere affetta da nullità insanabile la sentenza il cui dispositivo non sia stato letto in udienza.

Anche la mancata sottoscrizione della sentenza da parte di uno dei magistrati tenuto a firmarla implica la nullità assoluta.

La sentenza deve essere completa di motivazione.


- SOMME NON CONTESTATE E PROVE GIA' RAGGIUNTE

L'art. 423 intitolato "Ordinanze x il amento di somme" afferma che "il giudice, su istanza di parte, in ogni stato e grado di giudizio, può disporre con ordinanza il amento delle somme non contestate.

Egualmente il giudice può su istanza del lavoratore, in ogni stato e grado del giudizio, disporre con ordinanza il amento di una somma a titolo provvisorio quando ritiene il diritto accertato e nei limiti della quantità x cui ritiene già raggiunta la prova.

Tali ordinanze hanno efficacia di titolo esecutivo".

Solo l'ordinanza del 2° tipo può essere revocata con la sentenza che decide la causa.


Questa norma costituisce una delle maggiori novità introdotte dalla legge 533/1973. La ratio è consentire all'attore, che normalmente coincide con il lavoratore, di ottenere subito il amento della somma di denaro x crediti di lavoro che il convenuto datore si rifiuta di are finchè dura la controversia.

Co 1) Afferma la possibilità x il giudice di condannare una qualsiasi delle parti al amento delle somme che non siano contestate.

La norma rafforza il dovere di specifica contestazione ex art. 416 co 3 e sottolinea la necessità di una difesa attiva del convenuto.

La giurisprudenza è orientata nel senso della natura cautelare dell'ordinanza.


Co 2) È un'ordinanza provvisionale. La norma cristalizza gli effetti fino alla pronuncia della sentenza. Caratteristica di questo provvedimento è l'emanabilità solo ove ricorrano 2 presupposti:

a)  l'istanza del lavoratore;

b)  la prova del diritto cui si riferisce la richiesta di condanna.


L'accertamento è quindi fondato su prove e non su sommarie informazioni.




- LA FORMA ESECUTIVA.

L'art. 431 cpc stabilisce il principio della "esecutorietà della sentenza".

Le sentenze che pronunciano condanna a favore del lavoratore x crediti derivanti da rapporto di lavoro (ex art. 409) e anche le sentenze che pronunciano condanna a favore del datore (con l 353/90) sono immediatamente (le 2e provvisorie) esecutive ex lege.

All'esecuzione si può procedere con la sola copia del dispositivo, durante la pendenza del termine x il deposito della sentenza.

La ratio della norma è chiara: si è prevista le esecutività ex lege. Si tenga conto che non tutte le sentenze pronunciate all'esito di un giudizio in materia di lavoro sono esecutive ma solo quelle di condanna e solo quelle emesse a favore del prestatore di lavoro con riferimento a crediti.


L'esecuzione può essere sospesa con ordinanza del giudice di appello qualora da essa possa derivare un gravissimo danno all'altra parte "quando ricorrano gravi motivi" x le sentenze di condanna a favore del datore.

Questa sospensione può essere anche parziale e in ogni caso l'esecuzione provvisoria resta autorizzata fino alla somma di lire 500.

Tale esecutorieta presenta, dunque, i seguenti caratteri:

non deve essere né richiesta dalle parti, né dichiarata dal giudice;

è prevista a favore del lavoratore e, dopo l'entrata in vigore della l 353/90, anche a favore del datore;

relativamente al lavoratore è previsto solo x le sentenza di condanna x crediti derivanti da rapporto di lavoro.



- CREDITI DI LAVORO E SVALUTAZIONE MONETARIA

Il co 3 dell'art. 429: "Il giudice, quando pronuncia la sentenza di condanna al amento di somme di denaro x crediti di lavoro, deve determinare oltre gli interessi nella misura legale, il maggior danno eventualmente subito dal lavoratore x la diminuzione di valore del suo credito (svalutazione monetaria), condanna al amento della somma relativa con decorrenza dal giorno della maturazione del diritto" .

La disposizione è particolarmente significativa sia perchè la determinazione è prevista solo a favore del lavoratore, sia perchè ha svincolato il lavoratore dall'onere della prova del maggior danno subito a causa della svalutazione, statuendo così l'obbligatorietà della liquidazione, da effettuare anche d'ufficio.


- INDETERMINABILITA' DI PRESTAZIONI ED EQUITA' DEL GIUDICE

L'art. 432 "Valutazione equitativa delle prestazioni"

"Quando sia certo il diritto (credito) ma non sia possibile determinare la somma dovuta, il giudice la liquida con valutazione equitaria".

La ratio della disposizione è assicurare una effettiva e completa tutela del lavoratore nei casi in cui insorgono insormontabili difficoltà riguardo alla prova del preciso ammontare dei crediti a lui spettanti.

Due sono i presupposti x poter procedere alla liquidazione equitativa:

  1. la certezza dell'esistenza di un credito
  2. e l'impossibilità di determinare l'ammontare


CAPITOLO III

LA TUTELA IN SEDE DI GRAVAME.

- L'APPELLO.

Alle sentenze di primo grado emanate dal tribunale in funzione di giudice del lavoro sono  cmq applicabili le norme relative ai mezzi di impugnazione del processo ordinario di cognizione (art. 323-328 cpc) in quanto non derogate, e cmq compatibili con le norme disciplinanti l'appello nel rito speciale del lavoro (433-441).

Verso la sentenza di I° grado sono esperibili tutti i mezzi di impugnazione del rito ordinario (appello, ricorso x cassazione, revocazione, opposizione di terzi).

La l. 533/73 modificata dal d. lgs. 81/98 ha dettato una disciplina specifica x l'appello.


Il giudizio di 2° grado si limita a una revisio prioris instantiae di un novum iudicium, cioè un rifacimento del processo già celebrato.

Infatti al giudice di appello, cui vengono attribuiti poteri diversamente del merito è preclusa ogni attività istruttoria volta alla ricostituzione complessiva dei fatti.

Vige il divieto dello ius novorum in appello, cioè il divieto di introdurre nuove domande e nuove eccezioni ( il giudice deve pronunciarsi sullo stesso thema decidendum formatosi nel I° grado di giudizio.)



- PROPOSIZIONE

Ai sensi dell'art. 433 cpc "Giudice di Appello". L'Appello contro le sentenze (pronunciate nei processi) relativi alle controversie previste dall'art. 409 deve essere proposto con ricorso davanti alla Corte di appello territorialmente competente in funzione di giudice del lavoro.

Vale a dire davanti alla Corte d'Appello nel cui distretto ha sede il tribunale che ha pronunciato la sentenza.

Sono appellabili tutte le sentenze emanate secondo il rito del lavoro. In ogni caso non deve trattarsi di una controversia di valore inferiore a lire 50 mila (( 25,82) (pur essendo impugnabili in Cassazione).


Nel giudizio di II° grado vigono le stesse norme e gli stessi principi che regolano la fase antecedente (competenza, forma dell'atto, deposito ecc.). infatti l'introduzione del giudizio d'appello, come in I° grado, si ha con la proposizione di un ricorso che deve essere depositato nella cancelleria della Corte entro 30 gg dalla notificazione della sentenza (40 gg se il provvedimento va notificato all'estero).


Ai sensi dell'art. 434 "Deposito del ricorso in appello": Il ricorso deve contenere l'esposizione sommaria dei fatti e la specificazione dei motivi dell'impugnazione, oltre che i motivi indicati nell'art. 414, richiesti x l'atto introduttivo di I° grado.

Si intende che il ricorso deve indicare chiaramente gli elementi di fatto e di diritto su cui deve fondarsi il riesame del giudice di appello.


L'instaurazione del contraddittorio in appello, ex art. 435, è basata sugli stessi principi che disciplinano il I° giudizio (415 cpc).

A differenza del II° grado del processo ordinario, la proposizione della domanda (l'edictio actionis) che avviene col deposito del ricorso nella cancelleria della Corte, è sempre .costituzione dell'appellante; la vocatio in iud si realizza atteaverso la notificazione del ricorso e del decreto di fissazione dell'udienza all'appellato avviene in un momento successivo.


Depositato il ricorso in cancelleria viene fissata, ai sensi dell'art. 435, entro 5 gg, l'udienza di discussione ("contraddittorio in appello"), con un decreto del Presidente della Corte.


Spetta all'appellante notificare entro 10 gg il ricorso insieme al decreto all'appellato, nel rispetto di un termine dilatorio intercorrente fra la notificazione e l'udienza di discussione non inferiore a 25 gg.



- ISTANZE DI SOSPENSIONE ( INIBITORIA)

Sulla scorta dell'art 431, co 2 cpc, che prevede la possibilità di iniziare l'esecuzione in forza del solo dispositivo in pendenza del termine x il deposito della sentenza, è consentito alla parte soccombente in 1° grado, ove si verifichi tale eventualità, di promuovere un particolare tipo di impugnazione. Infatti a norma dell'art 433, ove l'esecuzione sia iniziata, prima della sentenza, l'appello può essere proposto con riserva dei motivi, che dovranno essere presentati entro 30 gg dalla ratifica della sentenza o entro 40 gg se all'estero.

Tale tipo di gravame consente al soccombente in 1 ° di proporre appello contro il solo dispositivo, riservandosi di esplicare i motivi dell'impugnazione e prospettando al giudice del 2° il problema dell'eventuale sospensione della esecutorietà della sentenza; in tal caso l'appellato dovrà costituirsi allo scopo esclusivo di addurre fatti e ragioni che impediscono la sospensione dell'esecuzione della sentenza.

L'istanza di sospensione, detta inibitoria, dell'esecutorietà della sentenza di 1°, proponibile sia con l'atto di appello completo con tutti i suoi elementi, sia con l'impugnazione con riserva dei motivi, può essere deciso anche prima della scadenza del termine di 25gg e cmq sempre dal collegio investito del gravame.

Si deve ritenere che il giudice investito del gravame, nel ponderare se concedere o no l'inibitoria, non possa procedere ad alcuna valutazione circa la fondatezza dell'impugnazione, ma debba limitarsi a considerare la gravità del danno, restando insindacabile nel merito la sentenza provvisoriamente esecutiva.

L'art 431 dispone infatti che il giudice d'appello può disporre con ordinanza non impugnabile che l'esecuzione sia sospesa quando dalla stessa possa derivare all'altra parte un gravissimo danno.

Le parti di una controversia individuale di lavoro possono chiedere soltanto la sospensione dell'esecuzione, non già la sospensione dell'efficacia esecutiva della sentenza prima che l'esecuzione sia iniziata.

Il " gravissimo danno" cui è condizionata la sospensione dell'efficacia esecutiva della sentenza, è stato inteso in senso restrittivo ed è stato concretamente ravvisato nella seria compromissione dello svolgimento dell'att dell'impresa, o nel vicolo di cessazione dell'azienda

Il 4° co dell'art 431 cpc prevede anche l'ipotesi di una sospensione parziale dell'esecuzione, in relazione al danno minacciato.

In ogni caso non è ammessa la sospensione dell'esecuzione quando la condanna riguardi il amento di somme inferiori a £ 500.000, e in tali limiti l'esecuzione resta sempre autorizzata. L'importo ormai divenuto inattuale, avrebbe dovuto consentire entro certi limiti, il sostentamento del lavor nelle more dell'appello, senza determinare un grave danno al soggetto passivo.


sentenza favorevole al lavor: sospensione gravissimo danno

sentenza favorevole al dat    : sospensione gravi motivi



- DIFESA DELL'APPELLATO E APPELLO INCIDENTALE

Art. 436 "costituzione dell'appellato" APPELLO INCIDENTALE.

L'appellato deve costituirsi almeno 10 gg prima dell'udienza depositando in cancelleria il fascicolo e una memoria difensiva, nella quale deve essere contenuta l'esposizione di tutte le sue difese. Il termine di 10gg prima dell'udienza di discussione, entro il quale l'appellato deve costituirsi, è stato ritenuto perentorio da una giurisprudenza  di merito minoritaria, nel senso che il mancato rispetto determinerebbe l'inammissibilità della costit, ma sembra doversi condividere l'orientamento, accolto anche dalla Cassazione, alla cui stregua il termine suddetto si considera perentorio limitatam ad alcune preclusioni, spt a quella dell'appello incidentale


Ai sensi del co 3 art. 436 l'appellato può anche proporre appello incidentale. Deve proporlo a pena di decadenza, nella memoria difensiva con l'esposizione dei motivi specifici su cui si fonda l'impugnazione e deve notificarlo alla controparte almeno 10 gg prima dell'udienza di discussione.



- LA DISCUSSIONE

Nel rispetto degli intenti di rapida definizione delle liti l'art. 437 prevede che la trattazione della causa debba avvenire in un'unica udienza di discussione, ad eccezione delle ipotesi in cui si renda necessaria l'assunzione di mezzi istruttori. Poiché l'art 437 fa riferimento al giudice incaricato di fare la relazione, si ritiene che la trattazione orale della causa debba svolgersi di fronte al collegio, non essendo prevista, x l'appello nel rito del lav, la ura del giudice istruttorio. Il collegio, sentiti i difensori delle parti, pronuncia la sentenza dando lettura del dispositivo nella stessa udienza: omessa lettura determina la nullità della sentenza, con conseguente rinvio al giudice di merito x la ripetizione della discussione.



- LIMITI DEL GIUDIZIO

In questa fase non sono ammesse nuove domande ed eccezioni (n.b.: si hanno nuove domande quando muta il petitum, i soggetti e la causa petendi) e sono ammessi soli mezzi di prova nuovi, che siano ritenuti anche d'ufficio indispensabili ai fini della decisione (identificabili in quelli che non sono stati dedotti in I° grado), salva sempre la possibilità x le parti di deferire il giuramento decisorio e x il giudice di disporre il giuramento estimatorio.

I mezzi di prova se ammessi, devono essere assunti in un udienza successiva da tenersi entro 20 gg.

La sentenza deve essere depositata entro 15 gg dalla pronuncia (art. 438).

Si ritengono ammissibili in 2° grado le domande relative agli interessi, frutti ,accessori, maturati dopo la sentenza impugnata, nonchè al risarcimento dei danni patiti dopo la sentenza: interpretazione ricavabile dal disposto ex art. 345 co 1 che disciplina i nova in appello nel rito ordinario.



- POSSIBILITA' ISTRUTTORIE

Il divieto assoluto, che colpisce la proponibilità di nuove domande ed eccezioni, subisce attenuazioni rispetto alla ammissibilità di mezzi di prova nuovi, identificabili in quelli che non sono stati dedotti in primo grado.

Il 2° co dell'art 437 cpc, infatti, dispose che, ad eccezione del giuramento estimatorio e di quello decisorio, che può essere deferito alle parti in ogni momento, non sono ammessi nuovi mezzi di prova, a meno che non siano ritenuti indispensabili dal collegio ai fini della decisione della causa.


Il concetto di INDISPENSABILITA' dibattuto in giurisprudenza e in dottrina,per DELL'OLIO non è opportuna una determinazione aprioristica del concetto stesso, la cui definizione risulta correlata ai diversi aspetti della situazione concreta, pertanto l'indispensabilità è valutata dal giudice d'appello coc discrezionalità.

Cmq si ritiene che non sono ammesse le prove nuove che la parte era in grado di produrre nel I° grado di giudizio.

Per contro sono ammissibili le prove relative a circostanze sopraggiunte, o connesse alle conseguenze di un intervento di 3° in appello.

Altra considerazione merita la prova documentale che la dottrina esclude dal sistema delle preclusioni, sul presupposto che il divieto posto dall'art 437 si riferisce non alle prove "costituite" (documentali) ma a quelle "costituende" (quelle che si formano in giudizio), x le quali si rende necessaria l'assunzione da parte del giudice, ritenuta in contrasto con il principio di concentrazione del processo.

Con riferimento al giuramento, la lex non pone limiti di ammissibilità x quello decisorio, che può essere deferito in qls momento della causa, né x quello estimatorio, che viene deferito d'ufficio dal giudice al fine di stabilire il valore del bene richiesto, ove non sia possibile accertarlo diversamente.


Per quanto riguarda la consulenza tecnica in appello, ex art. 441, deve dirsi che essa non costituisce un mezzo probatorio nella disponibilità delle parti, ma espressione del potere del giudice. La nomina del consulente tecnico, ove disposto dal collegio, deve avvenire nell'udienza di discussione, attraverso l'emanazione di una ordinanza, con la quale possono essere adottati provvedimenti di cui all'art 423    ( ordinanze x il amento di somme)



- LA DECISIONE.

La pronuncia sui motivi di appello, proposti davanti al collegio è preceduta da alcune fasi procedimentali che riguardano la verifica della regolarità della notifica del ricorso.

Ai sensi dell'art. 438 (che richiama la disciplina ex art. 430 x il I° grado) la sentenza di appello dovrebbe essere depositata entro 15 gg. Dalla pronuncia con immediata comunicazione alle parti a cura della cancelleria.

La stessa norma consente l'esecuzione della sentenza procedendo con la sola copia del dispositivo.

L'originale della sentenza deve essere sottoscritto dal Presidente e dall'estensore e deve contenere oltre al dispositivo e agli elementi di identificazione, una concisa esposizione dello svolgimento del processo, dei motivi in fatto e in diritto, la data della pronuncia.



- RICORSO IN CASSAZIONE

È un mezzo di impugnazione che non dà luogo a nuova valutazione del merito della causa.

In linea generale, il giudizio di Cassazione, in materia di lavoro segue le regole di quello ordinario (art. 360 ss); in realtà la l. 533/73 al riguardo contiene un'unica norma, l'art. 19 istitutiva presso la Corte di Cassazione della Sezione incaricata esclusivamente della trattazione delle controversie di lavoro e di previdenza e assistenza obbligatoria, che giudica con numero invariabile di 5 votanti, poi adattato anche x le altre sezioni.



- CASI, CONTENUTI, PRONUNZIE

Il ricorso in Cassazione può essere proposto entro un anno dalla pubblicazione dell'intera sentenza (art. 327 cpc) e non dal deposito del dispositivo di appello. Conformemente alla disciplina generale restano ferme l'inammisibilità del ricorso verso l'ordinanza di sospensione della sentenza di I° grado e del ricorso avverso l'ordinanza di amento di somme (art. 423 co 2 cpc).


Compito fondamentale della Cassazione è la verifica dell'interpretazione dell'applicazione da parte dei giudici di merito, delle norme di diritto (art. 360 n. 3 cpc).

Gli altri motivi deducibili sono quelli attinenti alla giurisdizione, la violazione delle norme sulla competenza (quando non è prescritto da regolamento di competenza) è omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia  art. 360 n. 1, 2, 5 cpc.


Più complesso è il problema della nullità della sentenza o del procedimento determinato dalla violazione o falsa applicazione delle norme sul rito speciale; questa ultime assumono rilevanza quali motivi di ricorso x Cassazione, quando si tratta di disposizioni che incidono sulla facoltà delle parti e sui poteri del giudice.


Le norme del procedimento applicabili al giudizio di legittimità in materia di lavoro davanti alla Corte di Cassazione sono quelle del codice di rito, e tra queste, specificamente, l'art. 380 cpc (deliberazione della sentenza) e l'art. 141 delle disposizioni attuative cpc (deliberazione o provvedimenti).



- GIUDIZIO DI CASSAZIONE E CONTRATTO COLLETTIVO NEL PUBBLICO IMPIEGO PRIVATIZZATO.

Nella controversia di lavoro coi dipendenti della P.A può essere proposto ricorso in Cassazione "anche x violazione o falsa applicazione dei contratti e accordi collettivi nazionali".


  1. Innanzitutto ci si chiede se i contratti collettivi del pubblico impiego possano ritenersi "fonte del diritto" in senso formale. La risposta è negativa, va considerato che anche i contr del pubb impiego, proprio per il loro procedimento di formazione, rimangono strumenti di composizione di interessi e sono quindi  sono atti negoziali.
  2. ci si chiede se l'esame condotto dalla Cassazione, circa la loro violazione, interpretazione e applicazione, comporti o no la risoluzione di una questione e la formulazione di un giudizio "di fatto" con stravolgimento dei principi che governano il processo di legittimità ( l'interpretazione e la corretta applicazione del contratto collettivo nel pubblico impiego costituiscono "questioni di diritto".)

L' interrogativo deve essere risolto nel senso che l'interpret e la corretta applicazione del contr coll nel pubblico impiego costituiscono questioni di diritto.

Il legisl ha previsto che ,nelle solo le controversie individuali dei dipendenti pubbl privatizzati, qualora sia necessario risolvere una questione pregiudiziale che concerne l'efficacia, la validità o l'interpretazione delle clausole di un contr o accordo coll di rilevanza nazionale, il giudice di merito su istanza di parte o d'ufficio, può emettere una ordinanza con la quale avvia un complesso procedimento teso ad ottenere dalle parti sociali una interpretazione autentica della clausola dubbia, ovvero la sua rimozione o sostituzione.

L'ordinanza è dichiarata non impugnabile dalla legge, sicchè non può essere modificata o revocata dal giudice che l'ha pronunciata. L'ordinanza stabilisce, non prima di 120gg, una nuova udienza di discussione, ed è comunicata alla cancelleria dell'ARAN, unitamente al ricorso introduttivo e alla memoria difensiva.

L' ARAN entro 30gg dalla comunicazione, deve convocare le organizzazioni sindacali che stipularono l'accordo in cui è contenuta la clausola del testo ambiguo, affinché entro 90gg dalla comunicazione raggiungano l'accordo sull'interpretazione autentica del contr o accordo coll, ovvero sulla modifica della clausola controversa.


Se è raggiunto un accordo, il nuovo testo è trasmesso a cura dell' ARAn alla cancelleria del giudice procedente che avvisa le parti almeno 10gg prima dell'udienza.

Se le parti non raggiungono un accordo è il giudice a decidere con sentenza non definitiva sulla questione relativa alla interpretazione della clausola controversa, impartendo provvedimenti x l'ulteriore istruzione o x la prosecuzione della causa.

Per espressa volontà del legisl, la sentenza è impugnabile solo con ricorso immediato x Cassazione.


Il ricorso può proporsi entro 60gg dalla comunicazione dell'avviso del deposito della sentenza, x tutti i motivi previsti dall'art 360.

Dopoi la notificazione alle altre parti, il ricorso deve essere depositato nella cancelleria del giudice presso cui pende la causa, cosi da determinare la sospensione del processo originario.

Se il ricorso è accolto, la s.c rinvia la causa allo stesso giudice che ha pronunciato la sentenza cassata.

In ogni caso, e quindi anche in caso di rigetto o accoglimento senza rinvio del ricorso, la parti possono riassumere la causa entro il termine perentorio + breve di quello ordinario, di 60gg dalla comunicazione della sent di Cassazione.

In caso di dir ke fissa la corretta interpretazione della clausola ambigua, conservano efficacia inter partes. Una volta intervenuta la decisione della cassazione, il giudice del proc sospeso a monte di quello principale, fissa, anke d'ufficio l'udienza x la prosecuzione del processo.



- GIUDIZIO DI RINVIO

Si intende sostituire alla sentenza cassata una nuova sentenza. Si verifica nel caso in cui la sentenza è cassata, ma la Corte riscontra la nullità della sentenza e rinvia al giudice di I° grado.


Il giudizio di rinvio si svolge secondo il rito del lavoro: l'art. 394 stabilisce, infatti che in sede di rinvio si osservano le norme stabilite x il procedimento davanti al giudice al quale la Corte ha rinviato la causa.

Le parti conservano nel giudizio di rinvio la stessa posizione processuale che avevano nel procedimento in cui fu pronunciata la sentenza cassata.

La riassunzione è fatta con ricorso notificato personalmente alla parte e che il termine ex art. 392 cpc è osservato col deposito del ricorso stesso.

Nel giudizio di rinvio non sono ammesse domande ed eccezioni in senso proprio nuove, nè nuovi mezzi di prova (ad eccezione del giuramento estimatorio e decisorio); non è ammesso il ricorso ai poteri officiari del giudice del lavoro (ex art. 421) e del giudice d'appello (ex art. 437) riferibili solo ai primi 2 gradi del giudizio e non estensibili a quelli di Cassazione e di rinvio.



- LE ALTRE IMPUGNAZIONI.

Nel silenzio della disciplina speciale si ritiene ammissibile x le sentenze in materia di lavoro la REVOCAZIONE x motivi di cui all'art. 395 n. 1-5 e a questa si applicano le norme del rito del lavoro in forza dell'art. 400 cpc x cui "davanti al giudice adibito si applicano le norme stabilite x il procedimento davanti a lui in quanto non derogate da questo capo".

La revocazione si propone con citazione davanti allo stesso giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata.

La revocazione è data x motivi esterni al processo ed è ammessa in ipotesi tassative. Può essere

ordinaria

straordinaria.

L'art. 399 cpc stabilisce che la "citazione, una volta notificata, deve essere depositata in cancelleria, a pena di improcedibilità, entro 20 gg, con la copia autentica della stessa impugnata.

Questa disposizione x parte della dottrina è inapplicabile al rito del lavoro, in cui il ricorso è già stato depositato, mentre x altri sarebbe necessario un proprio deposito.


Un ultimo cenno merita l'OPPOSIZIONE DI TERZO, che è un mezzo di impugnazione concesso ad un 3° che non è stato parte in causa x rimuovere gli effetti pregiudizievoli che una sentenza pronunciata fra altri ha prodotto nei suoi confronti.

La sentenze x essere opponibile deve essere passata in giudicato, ma la giurisprudenza ammette l'opposizione anche nei confronti dei provvedimenti definitivi che siano suscettibili di passare in giudicato. L'opposizione di terzo può essere proposta contro il decreto ex art. 28 dello Statuto dei lavoratori.


L'opposizione di terzo può essere:

ordinaria ( 404,co 1 ( è data a qualsiasi 3° leso;)

revocatoria ( 404, co 2 ( è data ai creditori o aventi causa.)

La domanda si propone con citazione davanti allo stesso giudice che ha pronunciato la sentenza opposta.




MOTIVI DEL RICORSO (art. 360 cpc).


  1. Motivi attinenti alla giurisdizione;
  2. Violazione delle norme sulla competenza, quando non è prescritto il negozio di comp.;
  3. Violazione o falsa applicazione di una norma di diritto;
  4. Nullità della sentenza o del procedimento;
  5. Omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia.

Art. 366: la domanda ha la forma del ricorso, è soggetta a determinati requisiti, a pena di inammisibilità. Deve essere proposta entro 1 anno dalla pubblicazione dellasentenza.


Art. 370: la parte contro cui è diretto il ricorso, se intende contraddire, deve farlo attraverso controricorso.

Se la parte che presenta il controricorso vuole a sua volta impugnare la sentenza può proporre ricorso incidentale.






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