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LA TUTELA DI RPIMO GRADO - LE CONTROVERSIE DI LAVORO

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LA TUTELA DI RPIMO GRADO - LE CONTROVERSIE DI LAVORO


L'art. 409 cpc definisce le controversie individuali di lavoro; ai sensi del 409 la disciplina contrattuale individuale del lavoro si applica per tutte le controversie relative.


  1. il primo gruppo delimitato dall'art. 409 n. 1 comprende le controversie relative a "rapporti di lavoro subordinato privato, anche se non inerenti all'esercizio di un'impresa". La Cassazione ha specificato in più occasioni che "per controversie a rapporti di lavoro subordinato" ai sensi dell'art. 409 cpc s'intendono non solo quelle relative alle obbligazioni propriamente caratteristiche del rapporto di lavoro, ma tutte le controversie in cui "la pretesa fatta valere in giudizio si ricolleghi direttamente a quel rapporto, nel senso che questo, pur costitutendo la causa petendi di questa pretesa, si presenti come antecedente e presupposto necessario della situazione di fatto in ordine alla quale viene invocata la tutela giurisdizionale". L'ampia portata di tale principio comporta il riconoscimento della competenza del Giudice del Lavoro anche qualora la controversia coinvolga soggetti diversi dal datore, come ad es. l'appaltante. L'azione esperita può essere di condanna costitutiva o di accertamento.
  2. Il secondo gruppo delimitato dall'art. 409 comprende le controversie inerenti a " rapporti di mezzadria, di colonia parziaria, di tecipazione agraria, di affitto a coltivatore diretto, nonchè rapporti derivanti da altri contratti agrari, salva la competenza delle sezioni specializzate agrarie". La disposizione va letta nel senso che sono sottoposte a veto speciale del lavoro tutte le controversie agrarie, ma che è stata conservata la competenza delle sezioni specializzate agrarie rimanendo a carattere residuale la competenza attribuita al giudice monocratico del lavoro. Si è dunque affermata un'estensione del rito del lavoro a tutto il contenzioso agrario in sostanza da un lato il Giudice del Lavoro è competente per i rapporti di lavoro subordinato agricolo, che rientrano nel n. 1 dell'art. 409; dall'altro, lo stesso è competente tutte le volte in cui non si discuta nè di affitto nè di proroga nè di rilascio del fondo, nè dell'esistenza, validità e risoluzione del contratto.
  3. "Rapporti di agenzia di rappresentanza commerciale e altri rapporti di collaborazione che si concretizzino in una prestazione d'opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato. Il legislatore del '73 ha quindi esteso la speciale tutela concessa ai lavoratori subordinati, anche a quei lavoratori "i quali - benchè autonomi - si trovano dal punto di vista socio-economico in una posizione di soggezione e perciò in una sostanziale situazione di subordinazione". Nell'ambito del lavoro di questi soggetti, definito para subordinato (intendendo la subordinazione non in senso tecnico-giuridico ma socio-economico) la prestazione si svolge in una situazione di debolezza contrattuale. La continuità e la coordinazione della prestazione per la Cassazione deve ricorrere congiuntamente. Sono esclusi perciò i casi in cui la prestazione d'opera assuma il carattere di attività imprenditoriale, come centro autonomo di organizzazione di lavoro subordinato, anche se in vista di un'attività coordinata con quella di altra impresa. Si noti che mentre è pacificamente esclusa l'applicazione dell'art. 409 n.3, quando la prestazione è svolta non da una persona fisica ma da una società di capitali, nel caso di società di persona, la giurisprudenza non è univoca.
  4. "Rapporti di lavoro dei dipendenti di enti pubblici che svolgono esclusivamente o prevalentemente attività economica". La distinzione fra ente pubblico economico e ente pubblico non economico è il più delle volte non agevole, riconducendosi a una scelta discrezionale del giudice investito della controversia. Era consolidato l'orientamento per cui "l'ente pubblico è economico quando, allo scopo di realizzare un fine di lucro una finalità pubblica, esercita un'attività imprenditoriale diretta alla produzione o allo scambio di beni o di servizi ponendosi sullo stesso piano in regime di concorrenza con gli imprenditori svolgenti analoghe attività". La rilevanza della distinzione tra ente pubblico economico e non economico al fine dell'applicabilità dell'art 409 deve ritenersi ridimensionata a seguito della cd "privatizzazione del pubblico impiego" (421/92 + 80/98 + 397/98)
  5. "Rapporti di lavoro dei dipendenti di enti pubblici e altri rapporti di lavoro pubblico, semprechè non siano devoluti dalla legge ad altro giudice". La norma in sostanza ribadiva la giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo in materia del pubblico impiego, sono devolute al Giudice del lavoro le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni comprese le controversie relative a comportamenti antisindacali nelle pubbliche amministrazioni. Oggi, a seguito della cosiddetta privatizzazione del Pubblico impiego, avviato con la legge delega n. 421/92 e conclusosi con il DL.vo 165/2001  la conseguente devoluzione al giudice ordinario del lavoro di pressocchè tutte le controversie di lavoro dei dipendenti pubblici il cui rapporto è stato contrattualizzato , ha in realtà decisamente ridotto il campo di applicazione dell'art. 409 n. 5 del codice di rito.



GLI STRUMENTI DI COMPOSIZIONE STRAGIUDIZIALE


Il legislatore ha colto l'occasione della cosiddetta privatizzazione del rapporto di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni (e più precisamente della seconda privatizzazione attraverso il DLgs 80 e 397 del 98) per apportare alcune modifiche al processo davanti al Tribunale in funzione di Giudice del Lavoro. Tra queste due, in particolare, in quanto strumenti di composizione stragiudiziale della controversia, sono da ritenersi come un tentativo di superare cioè la cronica crisi del processo del lavoro che lo ha allontanato dagli originali intenti di oralità, immediatezza, concentrazione: l'introduzione del tentativo obbligatorio di conciliazione e una nuova disciplina dell'arbitrato prevista dai contratti collettivi; essi rispondono alle esigenze di lasciare maggior spazio possibile all'autonomia dei gruppi attraverso la "promozione di momenti di autogestione del sistema sociale". I due strumenti sono diversi:

A)    il tentativo di conciliazione obbligatorio per legge e strettamente connesso al successivo momento giudiziale di cui costituisce condizione per la procedibilità per proporre domanda al giudice, ma anche elemento di valutazione che parte dal Giudice.

B) l'arbitrato invece facoltativo è possibile solo se previsto dai contratti.


A)    quasi privo di disposizione circa la procedura da osservare

B) definito irrituale ma giustificato, anche se con la tecnica di rinvio al contratto collettivo per la specificazione delle regole da seguire.



IL TENTATIVO OBBLIGATORIO DI CONCILIAZIONE

La storia del tentativo di conciliazione stragiudiziale trova nell'ordinamento repubblicano il suo primo referente legislativo nell'art. 7 legge 604/66 che prevedeva la possibilità per il lavoratore licenziato di promuovere un tentativo di conciliazione in ogni controversia in tema di lavoro presso l'Ufficio Provinciale del lavoro nel caso in cui non si fosse potuto avvalere di procedure sindacali facoltative.


La legge di riforma del processo del lavoro 533/73 poi aveva generalizzato la possibilità di promuovere il tentativo di conciliazione in ogni controversia in materia di lavoro e optando per la facoltatività del tentativo.


Infine l'art. 5 legge 108/90 sempre in tema di licenziamenti, ma limitatamente alla cd area di tutela obbligatoria, ha previsto un tentativo obbligatorio di conciliazione come condizione di procedibilità della domanda giudiziale.


La disciplina ora vigente non è quella originariamente prevista dal DLgs 80/98 dal momento che nello stesso anno è intervenuto il DLgs 387 che ha portato alcuni importanti correttivi.


ART. 410 TENTATIVO DI CONCILIAZIONE (introdotto l. 108/90 e modificato l. 387/98). La nuova disciplina prevede che chi intenda proporre in giudizio una domanda relativa ai rapporti previsti dall'art. 409 e non ritenga di avvalersi delle procedure previste dai contratti collettivi, deve promuovere anche per il tramite del sindacato cui è iscritto, o conferisca mandato, il tentativo di conciliazione.

Il tentativo deve essere espletato entro 60 gg dalla richiesta, termine decorso il quale si considera comunque espletato (410bis). L'istituto si applica x le controversie in materia di lavoro. L'elemento di novità è l'obbligatorietà della promozione del tentativo (si dice "deve" invece di "può" dell'art. 410)

412 bis "procedibilità domanda": stabilisce quali siano gli effetti del tentativo, il quale definisce espressamente l'espletamento del tentativo come "condizione di procedibilità della domanda" ,disciplinando anche gli effetti se non viene espletato il tentativo improcedibiltà della domanda.

Nel caso in cui venga rilevata dal giudice l'improcedibilità è prevista la sospensione del giudizio e la fissazione di un termine perentorio di 60 gg x la promozione del tentativo.

Trascorsi 60 gg, previsti x l'espletamento del tentativo dell'art. 410 bis, il processo può essere riassunto entro il termine perentorio di 180 gg. Se non riassunto rimane in stato di quiescienza: estinzione differita.

Nel caso di mancato espletamento del tentativo nel termine fissato dal giudice (60 gg), o di mancata riassunzione nel termine in caso di tentativo espletato (180 gg) il giudizio si estingue.

L'art. 410 bis, co 2 prevede che il tentativo si consideri cmq espletato trascorsi 60 gg dalla richiesta, ma ai soli fini della procedibilità della domanda. Ciò significa :

da un lato, non condizionare x un tempo eccessivamente lungo l'accesso alla giurisdizione consentendo di proporre il ricorso anche in assenza dell'effettivo espletamento del tentativo.

X altro verso, prima dell'intervento del decreto correttivo, aveva consentito lo svilupparsi della prassi x cui era contestualmente richiesto il tentativo e proposto il ricorso giudiziale.

Il tentativo di conciliazione è condizione di procedibilità x ogni domanda. Qualche problema interpretativo si pone su cosa debba intendersi x "domanda da proporre in giudizio" e quindi, in concreto sull'ambito di applicazione del tentativo. Il tenore letterale dell'art. 410 appare orientato a ricomprendere nell'obbligo ,ogni domanda proposta in giudizio, senza alcuna esclusione.

L'art. 412 bis però precisa che questo obbligo non sussiste x la domanda di concessione di "provvedimenti speciali d'urgenza" e di "quelli contestuali previsti nel capo III Titolo I Libro IV"(es procedimento ex art. 700).

Infatti sarebbe illegittimo impedire l'accesso alla giurisdizione nel caso in cui sussistano ragioni di necessità e di urgenza.


Per quanto riguarda le domande proposte in corso di causa, la dottrina è divisa circa l'assoggettabilità o meno del tentativo obbligatorio. L'interpretazione più corretta appare quella che assoggetta al tentativo le domande nuove, successive all'instaurazione del giudizio semprechè realizzino una partecipazione innovativa.

Nel caso,quindi, di una domanda in corso di causa senza il previo esperimento del tentativo, il giudice dovrà sospendere il giudizio nell'attesa che l'istanza sia proposta. Ove però essa non sia tempestivamente proposta, l'effetto estintivo colpirà solo la nuova domanda, potendo il giudizio sospeso essere riassunto limitatamente a quelle originarie.


Art. 411 cpc: se la conciliazione riesce si redige processo verbale sottoscritto dalle parti e dai componenti del collegio che ha esperito il tentativo il giudice su istanza della parte interessata, accertatene la regolarità formale, lo dichiara esecutivo con decreto.


Art. 412 cpc: se la conciliazione non riesce si forma ugualmente processo verbale, il quale deve contenere anche le ragioni del mancato accordo. In esso le parti possono indicare la soluzione anche parziale sulla quale concordano, precisando, quando è possibile, l'ammontare del credito che spetta a.acquista efficacia di titolo esecutivo.


N.B. 413 cpc: il tentativo di conciliazione va esperito presso la commissione di conciliazione.



- L'ARBITRATO.

È il mezzo attraverso cui le parti possono affidare la risoluzione della controversia a giudici privati ( ARBITRI.)

Era preclusa alle parti, la possibilità di far risolvere da arbitri la contratt individuale di lav.


L'arbitrato è tradizionalmente distinto in:

RITUALE nel quale gli arbitri svolgono un'attività di accertamento e di giudizio.

Gli arbitri devono seguire le norme di legge e emanano un atto (lodo) che acquista l'efficacia della sentenza; ha la propria fonte nella clausola compromissoria o nel compromesso (è il negozio attraverso il quale le parti affidano il giudizio all'arbitro).

IRRITUALE O LIBERO nel quale gli arbitri compiono attività dispositiva al posto delle parti, estranea alla funzione e alla struttura del giudizio. Quando gli arbitri decidono senza formalità procedurali ed emettono un atto destinato ad avere solo efficacia negoziale tra le parti.

L'arbitrato irrituale ha ricevuto il 1° riconoscimento legislativo con l'art. 7, 5° co della l. 604 del 66 stabilendo che:

"In caso di esito negativo del tentativo di conciliazione di cui al 1° comma, le parti possono definire consensualmente la controversia mediante arbitrato irrituale".


Si sancisce dunque la possibilità di arbitrati irrituali individuali istituiti dal datore o dal lavoratore x risolvere la controversia relativa al licenz anche al di fuori della normativa collettiva.


Per avere una disciplina generale dell'istituto si è dovuto attendere la legge di riforma del processo del lavoro (l.533/73) che ha ridisciplinato l'istituto,

da un lato attraverso una parziale modifica delle norme sull'arbitrato rituale,

dall'altro introducendo la generalizzata possibilità x le parti di ricorrere ad arbitrati irrituali.


Con alcuni evidenti limiti però alla disponibilità delle parti prevedendo che in materia di lavoro, l'arbitrato (rituale) deve essere necessariamente previsto dai contratti collettivi, facoltativo e di diritto.

In tema di impugnabilità del lodo, si è stabilito che esso sia soggetto all'impugnazione anche x violazione e falsa applicazione dei contratti collettivi (829 cpc).


Il dialogo in dottrina sulla natura degli arbitrati in genere e in particolare in materia di lavoro è ancora acceso e si possono distinguere almeno 2 orientamenti:

  1. il 1° volto a difendere la specialità dell'arbitrato in materia di lavoro e il persistente valore della distinzione tra arbitrato rituale e arbitrato irrituale.
  2. il 2° teso a dimostrare il superamento della distinzione  e l'unitarietà del fenomeno arbitrale, che al suo interno tollererebbe elementi di specialità ma non di distinzioni di fattispecie.


È stata prevista la possibilità, nel caso di esito negativo della conciliazione, di ricorrere ad arbitri nell'ambito dei rapporti di lavoro. In particolare si tratta di un arbitrato irrituale.


L'art. 412 ter "Arbitrato irrituale previsto dai contratti collettivi": Se il tentativo di conciliazione non riesce o cmq è decorso il termine previsto x l'espletamento, le parti possono deferire ad arbitri la risoluzione della controversia (anche tramite i sindacati cui aderiscono e abbiano conferito mandato),

se i contratti o accordi collettivi nazionali di lavoro prevedono questa facoltà.


Pertanto le condizioni che il 412 ter detta x definire una controversia in materia di lavoro ad arbitri, indispensabili ai fini della validità del lodo sono:

  1. preventivo espletamento del tentativo di conciliazione;
  2. la previsione della possibilità di ricorrere all'arbitrato nei contratti collettivi nazionali (ma anche in quello interconfederale) che conferma il monopolio sindacale in tema di arbitrato in materia di lavoro;
  3. la predeterminazione di una serie di regole procedimentali ad opera della contrattazione collettiva (x garantire efficienza all'istituto arbitrale).

L'art. 412 quater "Impugnazione ed esecutività del lodo arbitrale": Attribuisce la competenza al tribunale in unico grado e in funzione di giudice del lavoro a giudicare sulla validità del lodo (il ricorso è depositato entro il termine di 30 gg dalla notifica del lodo).

Il giudice accertata la regolarità formale del lodo, lo dichiara esecutivo con decreto.



-GIUDICE DEL LAVORO.

Il d. lgs. N. 51 del 98 ha soppresso l'ufficio del pretore. Di conseguenza l'art. 413, 1° co cpc (giudice competente) oggi dispone che "le controversie previste dall'art. 409 sono in primo grado di competenza del tribunale in funzione di giudice del lavoro.

La c.d. riforma del giudice unico è entrata in vigore il 2-6-99. tuttavia il legislatore ha stabilito che i procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore del d. lgs. 51/98 fossero regolati dalle disposizioni introdotte dallo stesso decreto.

Dunque dal 1973 in tema di controversie di lavoro vige la competenza esclusiva in I° grado del giudice monocratico, allora identificato nel pretore in funzione di giudice del lavoro, e ora, dal 2-6-99, nel tribunale, in composizione monocratica.


L'appello deve essere proposto con ricorso davanti alla Corte d'Appello territorialmente competente in funzione di giudice del lavoro.



-COMPETENZA X TERRITORIO

L'art. 413 prevede che competente x territorio è il giudice nella cui circoscrizione è sorto il rapporto ovvero si trova l'azienda o una sua dipendenza alla quale è addetto il lavoratore o presso la quale egli presta la sua opera al momento della fine del rapporto.

La competenza x territorio, che x espressa disposizione di legge è inderogabile, è determinata, ai sensi dell'art. 413 co 2,3,7,8, dal luogo in cui è sorto il rapporto di lavoro (cioè il luogo della stipulazione del contratto di lavoro ex artt. 1326, 1327 c.c.) o dal luogo dove si trova l'azienda o una sua dipendenza, alla quale è addetto il lavoratore o presso la quale prestava la sua opera al momento della fine del rapporto.

Questa competenza permane dopo il trasferimento dell'azienda o la cessazione di essa o della sua dipendenza, purchè la domanda sia proposta entro 6 mesi dal trasferimento o dalla cessazione.

Qualora non trovino applicazione le disposizioni dei commi precedenti si applicano quelle dell'art. 18.

L'art 413 co 4: "competente x territorio x le controversie previste dal n. 3, art. 409 è il giudice nella cui circoscrizione si trova il domicilio dell'agente, del rappresentante di commercio o del titolare degli altri rapporti di collaborazione di cui al n. 3, art 409".

A seguito della riforma è ora consentito instaurare la controversia in una sede prossima al luogo dove si svolge l'attività lavorativa.


L'art. 40 del d. lgs. N. 80/98 ha aggiunto all'art. 413 cpc 2 commi (5° e 6°) che dispongono: "competente x territorio x le controversie relative al rapporto di lavoro alle dipendenze delle P.A. è il giudice nella cui circoscrizione ha sede l'ufficio al quale il dipendente è addetto o era addetto al momento della cessazione del rapporto di lavoro" il foro introdotto dall'art. 40 del d. lgs. N. 80 deve ritenersi esclusivo, ovvero non concorrente con gli altri previsti dall'art. 413 cpc.

Nel caso in cui non sia applicabile questo foro esclusivo, la dottrina sostiene che si applicheranno i fori generali di cui agli art. 18 e 19 cpc.

L'ultimo comma rende inderogabile la competenza x territorio, sancendo la nullità delle clausole che deroghino ai criteri sopra stabiliti (cioè della competenza x territorio).

Queste clausole sono considerate vessatorie x la parte economicamente più debole.

L'inderogabilità della competenza territoriale comporta dunque che la stessa, nelle controversie di lavoro, vada ricompresa tra le ipotesi di competenza funzionale inderogabile di cui all'art. 28 cpc.


Infine va notato che il luogo di svolgimento dell'attività di lavoro non è previsto dall'art. 413.


Per luogo in cui è sorto il rapp deve intendersi quello in cui è stato stipulato- concluso il contratto e, pertanto, tale foro non è utilizzabile quando si agisce x rapp di lav da costituire, né ha rilievo il luogo in cui abbia avuto inizio la prestazione lavorativa.


Per individuare il momento determinate della giurisdizione e della competenza occorre riferirsi all'art. 5 cpc x il quale le stesse si determinano "con riguardo alla legge vigente e allo stato di fatto esistente al momento della promozione della domanda e non hanno rilevanza rispetto ai successivi mutamenti della legge e dello Stato stesso" perpetual jurisdiction.



IL PROCEDIMENTO


- LA DOMANDA (FASE INTRODUTTIVA).

Il processo del lavoro si svolge oralmente (in base ai principi di immediatezza e di concentrazione).

Gli unici atti scritti sono:

  1. ricorso
  2. memoria difensiva del contenuto
  3. la sentenza

Nel giudizio di I° grado, ai sensi dell'art. 414, la domanda dell'attore si propone con ricorso (¹ atto di citazione x ragioni di celerità, di immediatezza perseguita nel processo del lavoro. Infatti il ricorso, a differenza della citazione (ex 163) ,con cui inizia il processo ordinario di cognizione, è diretto al giudice il quale con proprio decreto fissa l'udienza di discussione il 1° rapporto è fra ricorrente e giudice).




Il ricorso deve contenere:

  1. l'indicazione del giudice;
  2. le generalità del ricorrente e del convenuto;
  3. la determinazione dell'oggetto della domanda;
  4. l'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto sui quali si fonda la domanda con le relative conclusioni;
  5. l'indicazione specifica, a pena di decadenza, dei mezzi di prova di cui il ricorrente intende avvalersi e in particolare dei documenti che si offrono in comunicazione.

Con oggetto della domanda si intende non solo il petitum ,cioè l'oggetto mediato della domanda ,ma anche come contenuto e tipo del provvedimento richiesto).

Per aversi nullità del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado x mancata determinazione dell'oggetto della domanda o x mancata esposizione degli elementi di fatto e di diritto su cui si fonda la domanda non è sufficiente l'omessa indicazione dei corrispondenti elementi in modo formale, ma è invece necessario che ne sia impossibile l'individuazione attraverso l'esame complessivo dell'atto.

La nullità del ricorso x mancanza dei requisiti di cui all'art. 44 cpc n. 3 e 4 è insanabile e rilevabile d'ufficio.

X quanto concerne l'onere di allegazione delle prove x iscritto dal n.5, questo non costituisce un requisito di validità del ricorso,essendo finalizzato all'accoglimento della domanda:al mancato assolvimento dell'onere dunque non consegue una pronuncia di nullità del ricorso.

Nella fase introduttiva del giudizio i fatti di causa devono essere esposti in modo chiaro e specifico x consentire:

da una parte al giudice di avere una compiuta conoscenza del thema decidendum;

dall'altra, al convenuto di svolgere tutte le sue eccezioni e difese; di conseguenza, la mancanza o l'insufficienza di un qualsiasi elemento previsto dall'art. 414 cpc rende nullo il ricorso x inidoneità dell'atto a raggiungere gli scopi sopra indicati.

La mancanza o l'assoluta incertezza in ordine al petitum (cioè al dir fatto valere in giudizio) è causa di nullità insanabile del ricorso, gli stessi vizi in ordine all'indicazione dei mezzi di prova non determinano la nullità ma solo la decadenza dalla possibilità di successiva deduzione delle prove nel processo.



-IL CONTRADDITTORIO.

L'art. 415 "Deposito del ricorso e fissazione dell'udienza" (sono termini ordinatori) dispone che:

il ricorso con i documenti è depositato nella Cancelleria del giudice competente;

il giudice entro 5 giorni dal deposito del ricorso fissa con decreto, l'udienza di discussione alla quale le parti sono tenute a ire personalmente;tra il giorno del deposito e l'udienza di discussione non devono decorrere più di 60 gg.

L'attore deve poi provvedere alla notificazione al convenuto del ricorso unitamente al decreto di fissazione dell'udienza, entro 10 gg dalla data del decreto, in modo che tra la data di notificazione e quella dell'udienza di discussione intercorra un termine non inferiore a 30 gg (80 gg se all'estero)

(Redatto il ricorso, l'attore deve depositarlo in cancelleria x permettere al giudice di fissare con decreto l'udienza di discussione).

Il legislatore ha anticipato il momento della presentazione della domanda al giudice e dell'iscrizione a ruolo della causa rispetto a quello dell'instaurazione del contraddittorio (vocatio in jus) il contraddittorio avviene dopo la presentazione della domanda al giudice.


- LA DIFESA DEL CONVENUTO.

L'ART. 416 "Costituzione del convenuto" dispone che:

il convenuto deve costituirsi almeno 10 gg prima dell'udienza, mediante deposito in cancelleria di una memoria difensiva (sa con risposta) in cui, oltre a dichiarare la residenza o eleggere domicilio nel Comune in cui ha sede il giudice adito deve:

- proporre, a pena di decadenza, le eventuali domande riconvenzionali domanda con cui il convenuto non solo chiede il rigetto della domanda del ricorrente ma anche la condanna dell'attore (è quindi una domanda autonoma)

- Proporre le eccezioni in senso proprio ( chiedono il rigetto della domanda dell'attore in quanto il suo titolo è infondato) processuale e di merito che non siano rilevabili d'ufficio; sono sempre proponibili, invece, le eccezioni in senso ampio (qualsiasi difesa che contrasta la domanda del ricorrente) e le mere difese.


Nella stessa memoria il convenuto deve prendere posizione circa i fatti affermati dall'attore a fondamento della domanda, proporre tutte le difese in fatto e in diritto e indicare specificatamente i mezzi di prova dei quali intende  avvalersi e in particolare i documenti che deve depositare.

La norma, come quella riguardante la proposizione della domanda, rappresenta un apprezzabile contemperamento delle 2 principali finali della riforma:

- permettere una decisione rapida

- attuare il c.d. principio della verità materiale.


Bisogna  precisare che anche nel casi in cui il convenuto non si sia costituito in Cancelleria ai sensi co 2 art. 416 o l'abbia fatto oltre i 10 gg prima dell'udienza, è tenuto cmq a ire personalmente all'udienza di discussione nella quale potrà oltre a rendere l'interrogatorio libero, chiarire le proprie ragioni e il proprio comportamento.

Il convenuto vedrà cmq precluse le eventuali difese proponibili o tardivamente proposte nella memoria: in sostanza incorrerà nella decadenza da domande riconvenzionali, eccezioni in senso stretto e mezzi di prova.

Di contumacia del convenuto si potrà parlare solo nel caso di mancata izione all'udienza stessa.


Nella memoria difensiva il convenuto ha l'onere di proporre, a pena di decadenza, le eventuali domande riconvenzionali volte a far valere i suoi diritti nei confronti dell'attore (che così diventa convenuto).

Se il convenuto ha proposto domanda riconvenzionale, a norma dell'art. 416, deve chiedere, ex art. 418, la fissazione di una nuova udienza di izione (non oltre 5 gg), al fine di consentire all'attore di predisporre le proprie difese.

Questa udienza non può essere fissata oltre 50 gg dalla presentazione della domanda riconvenzionale.

Il nuovo decreto contenente la fissazione dell'udienza deve essere notificato all'attore (insieme alla sa di risposta - memoria difensiva) a cura dell'ufficio entro 10 gg dalla pronuncia del decreto di fissazione di una nuova udienza (e cmq almeno 25 gg prima di questa udienza) (art. 418).






- FASE ISTRUTTORIA. LE PARTI DAVANTI AL GIUDICE: L'INTERROGATORIO.

L'udienza di discussione costituisce il fulcro di tutto il procedimento come si desume dall'art. 420 cpc. Nonostante l'unità dell'udienza si distinguono al suo interno diversi momenti:

c'è una fase preliminare dedicata alla verifica della regolarità degli atti, della costituzione delle pari, dell'integrazione del contraddittorio, al tentativo di conciliare;

c'è una fase istruttoria;

e c'è una fase decisionale.

Nei co 1 e 2 dell'art. 420 "nell'udienza fissata x la discussione della causa il giudice interroga le parti presenti e tenta la conciliazione (c.d. giudiziale) della lite. La mancata izione personale delle parti, senza giustificato motivo, costituisce comportamento valutabile dal giudice ai fini della decisione. Le parti possono se ricorrono gravi motivi, modificare domande, eccezioni e conclusioni già formulate previa autorizzazione del giudice.

co 2 ) Le parti hanno la facoltà di farsi rappresentare all'interrogatorio libero dal loro procuratore, il quale deve essere a conoscenza dei fatti della causa. La procura deve essere conferita con atto pubblico o scrittura privata autenticata e deve attribuire al procuratore il potere di conciliare o transigere la controversia.

La mancata conoscenza, senza gravi ragioni, dei fatti della causa da parte del procuratore è valutata dal giudice ai fini della decisione".

co 4 se la conciliazione non riesce e il giudice ritiene la causa matura x la decisione, invita le parti alla discussione e pronuncia la sentenza.


La norma disciplina il ruolo delle parti all'udienza, imponendo alle stesse di ire personalmente alla stessa x essere liberamente interrogate dal giudice, anche ai fini della conciliazione. 


La funzione dell'interrogatorio libero tende a una collaborazione effettiva tra il giudice e le parti. È diretto a chiarire i termini della controversia al giudice e a rendere possibile il tentativo di conciliazione.


L'interrogatorio formale è diretto a provocare le dichiarazioni contrarie all'interesse dell'interrogato.



- L'ISTRUTTORIA

Sia nel ricorso, sia nella memoria le parti devono "vuotare il sacco" anche sotto il profilo delle istanze istruttorie nel senso che, oltre ad allegare in giudizio i fatti costitutivi impeditivi dell'estinzione della pretesa azionata, la parte (convenuto) deve indicare i mezzi di prova prima ancora di conoscere se i fatti cui si riferiscono saranno o meno contestati dalla controparte (come si evince dal 420 co 5,6,7,8).

Ciò consente al giudice sia di presentarsi all'udienza già a conoscenza dei fatti controversi , sia, in quell'unica udienza di discussione, di decidere sull'ammissibilità e sulla rilevanza dei mezzi istruttori richiesti dalle parti e, se possibile, di procedere alla loro immediata assunzione.

Nel corso dell'udienza di discussione, le parti posso modificare le domande, le eccezioni e le conclusioni già formulate, ma solo se ricorrono gravi motivi e previa autorizzazione del giudice (art. 420 co 1).


Non è consentita la proposizione di domande nuove è ammessa la modifica della domanda (emendatio libelli), ma è vietata la proposizione di una domanda nuova x mutamento della causa petendi o del petitum (mutatio libelli).


La causa può esaurirsi nell'udienza di discussione, ma può anche essere rinviata. Possono verificarsi queste ipotesi:

  1. la riconciliazione riesce si chiude la controversia;
  2. se la conciliazione non riesce si distinge:

a)  se il giudice ritiene che la causa sia matura x la decisione senza necessità di istruzione, il giudice invita le parti alla discussione e pronuncia la sentenza anche non definitiva (art. 420);

b)  se ritiene che sia necessaria la fase istruttoria, il giudice può:

assumere le prove nella stessa udienza e quindi decidere;

può fissare un'altra udienza x l'assunzione delle prove e la conseguente discussione. Questa 2a udienza deve svolgersi entro 10 gg dalla prima.


Sono vietate le udienze di mero rinvio: come espressione della concentrazione e rapidità a cui il legisl ambisce.

Nel rito del lavoro, il giudice ha poteri istruttori d'ufficio molto più ampi di quelli normali:

indica alle parti in ogni momento le irregolarità degli atti e dei documenti che possono essere sanate, assegnando un termine x provvedervi salvo gli eventuali diritti acquisiti (421).

Può disporre d'ufficio, in qualsiasi momento, l'ammissione di ogni mezzo di prova anche fuori dai limiti stabiliti dal codice civile, ad eccezione del giuramento decisorio, etc.



- I MEZZI DI PROVA.

Prove testimoniali: regolate dalle norme sul processo ordinario, nessun cenno praticamente è fatto da

quelle sul processo del lavoro.

Il giudice del lavoro non è soggetto, se non x il giuramento decisorio, ai limiti stabiliti x le prove documentali dal codice civile e quindi può ammettere la prova testimoniale (anche di persone incapaci di testimoniare).


L' accesso sul luogo di lavoro: l'accesso sul luogo di lav è subordinato all'istanza di parte. Nell'udienza che si terrà sul luogo di lav, il giudice potrà disporre che vengano rese informazioni e osservazioni dai sindacati e potrà anche ordinare che i testi indicati dalle parti siano escussi sul luogo stesso.


Consulenza tecnica: ai sensi dell'art. 424 il tribunale può nominare consulenze tecniche, se la

controversia richiede cognizioni tecniche.


Richiesta di informazioni e osservazioni alle associazioni sindacali: il giudice può richiedere informazioni e osservazioni indicate dalle parti, sia scritte che orali.L' associazione sindacale, indicata su istanza di parte, ha la facoltà di rendere in giudizio, tramite un suo rappresentante, informazioni e osservazioni orali e scritte.



- MUTAMENTO DI RITO E INCOMPETENZA

- Passaggio dal rito ordinario al rito speciale art. 426 cpc.

Quando il giudice rileva che una causa promossa nelle forme ordinarie riguarda uno dei rapporti previsti dal 409, lo stesso deve disporre il cambiamento del rito con ordinanza.

Con questa ordinanza sono fissati l'udienza di discussione della causa e il termine perentorio entro il quale le parti devono provvedere all'eventuale integrazione degli atti.



-Passaggio dal rito speciale al rito ordinario  art. 427 cpc.

Quando il giudice rileva che una causa promossa nelle forme di rito speciale riguarda un rapporto diverso da quelli previsti nel 409 si distinguono 2 ipotesi:

  1. se la causa rientra nella sua competenza, dispone la regolarizzazione formale degli atti con l'avvertimento che le prove acquisite avranno l'efficacia consentita dalle norme.
  2. se la causa non rientra nella sua competenza deve rimettere con ordinanza la causa al giudice competente fissando un termine perentorio non superiore a 30 gg x la riassunzione.

- Incompetenza del giudice.  art. 428 cpc.

Quando una causa relativa a rapporti di lavoro sia proposta davanti a un giudice incompetente, l'incompetenza può essere eccepita dal convenuto solo nella sa di risposta (nella memoria difensiva di cui all'art. 416) o rilevata dal giudice d'ufficio non oltre l'udienza di discussione.

Quando l'incompetenza è stata eccepita o rilevata, il giudice rimette la causa al tribunale in funzione di giudice del lavoro, fissando un termine perentorio non superiore a 30 gg x la riassunzione con rito speciale.



- LA DECISIONE. LA PRONUNCIA

Raccolte le prove il giudice invita le parti alla discussione orale della causa, al termine della quale ciascuna parte precisa le proprie conclusioni.

Art. 429 "Pronucia della sentenza": Nella stessa udienza il giudice pronuncia la sentenza dando lettura del dispositivo che costituisce titolo esecutivo (altrimenti nullità) (novità riforma: principi di oralità, di immediatezza).

L'art. 429 co 2 ritiene che se il giudice lo ritiene necessario e le parti ne fanno richiesta, può concedere un termine non superiore a 10 gg x il deposito di note difensive, rinviando la causa all'udienza immediatamente successiva alla scadenza di questo termine x la discussione e x la decisione.*

Art. 429 co 3   "Crediti di lavoro e svalutazione monetaria".

La sentenza deve essere depositata in cancelleria entro 15 gg dalla pronuncia (art. 430).

"il cancelliere ne dà comunicazione alle parti".

Con il deposito si perfeziona la fattispecie della pubblicazione.

Un 1° interrogativo attiene alle conseguenze dell'omessa lettura del dispositivo: la giurisprudenza è costante nel ritenere affetta da nullità insanabile la sentenza il cui dispositivo non sia stato letto in udienza.

Anche la mancata sottoscrizione della sentenza da parte di uno dei magistrati tenuto a firmarla implica la nullità assoluta.

La sentenza deve essere completa di motivazione.


- SOMME NON CONTESTATE E PROVE GIA' RAGGIUNTE

L'art. 423 intitolato "Ordinanze x il amento di somme" afferma che "il giudice, su istanza di parte, in ogni stato e grado di giudizio, può disporre con ordinanza il amento delle somme non contestate.

Egualmente il giudice può su istanza del lavoratore, in ogni stato e grado del giudizio, disporre con ordinanza il amento di una somma a titolo provvisorio quando ritiene il diritto accertato e nei limiti della quantità x cui ritiene già raggiunta la prova.

Tali ordinanze hanno efficacia di titolo esecutivo".

Solo l'ordinanza del 2° tipo può essere revocata con la sentenza che decide la causa.


Questa norma costituisce una delle maggiori novità introdotte dalla legge 533/1973. La ratio è consentire all'attore, che normalmente coincide con il lavoratore, di ottenere subito il amento della somma di denaro x crediti di lavoro che il convenuto datore si rifiuta di are finchè dura la controversia.

Co 1) Afferma la possibilità x il giudice di condannare una qualsiasi delle parti al amento delle somme che non siano contestate.

La norma rafforza il dovere di specifica contestazione ex art. 416 co 3 e sottolinea la necessità di una difesa attiva del convenuto.

La giurisprudenza è orientata nel senso della natura cautelare dell'ordinanza.


Co 2) È un'ordinanza provvisionale. La norma cristalizza gli effetti fino alla pronuncia della sentenza. Caratteristica di questo provvedimento è l'emanabilità solo ove ricorrano 2 presupposti:

a)  l'istanza del lavoratore;

b)  la prova del diritto cui si riferisce la richiesta di condanna.


L'accertamento è quindi fondato su prove e non su sommarie informazioni.




- LA FORMA ESECUTIVA.

L'art. 431 cpc stabilisce il principio della "esecutorietà della sentenza".

Le sentenze che pronunciano condanna a favore del lavoratore x crediti derivanti da rapporto di lavoro (ex art. 409) e anche le sentenze che pronunciano condanna a favore del datore (con l 353/90) sono immediatamente (le 2e provvisorie) esecutive ex lege.

All'esecuzione si può procedere con la sola copia del dispositivo, durante la pendenza del termine x il deposito della sentenza.

La ratio della norma è chiara: si è prevista le esecutività ex lege. Si tenga conto che non tutte le sentenze pronunciate all'esito di un giudizio in materia di lavoro sono esecutive ma solo quelle di condanna e solo quelle emesse a favore del prestatore di lavoro con riferimento a crediti.


L'esecuzione può essere sospesa con ordinanza del giudice di appello qualora da essa possa derivare un gravissimo danno all'altra parte "quando ricorrano gravi motivi" x le sentenze di condanna a favore del datore.

Questa sospensione può essere anche parziale e in ogni caso l'esecuzione provvisoria resta autorizzata fino alla somma di lire 500.

Tale esecutorieta presenta, dunque, i seguenti caratteri:

non deve essere né richiesta dalle parti, né dichiarata dal giudice;

è prevista a favore del lavoratore e, dopo l'entrata in vigore della l 353/90, anche a favore del datore;

relativamente al lavoratore è previsto solo x le sentenza di condanna x crediti derivanti da rapporto di lavoro.



- CREDITI DI LAVORO E SVALUTAZIONE MONETARIA

Il co 3 dell'art. 429: "Il giudice, quando pronuncia la sentenza di condanna al amento di somme di denaro x crediti di lavoro, deve determinare oltre gli interessi nella misura legale, il maggior danno eventualmente subito dal lavoratore x la diminuzione di valore del suo credito (svalutazione monetaria), condanna al amento della somma relativa con decorrenza dal giorno della maturazione del diritto" .

La disposizione è particolarmente significativa sia perchè la determinazione è prevista solo a favore del lavoratore, sia perchè ha svincolato il lavoratore dall'onere della prova del maggior danno subito a causa della svalutazione, statuendo così l'obbligatorietà della liquidazione, da effettuare anche d'ufficio.


- INDETERMINABILITA' DI PRESTAZIONI ED EQUITA' DEL GIUDICE

L'art. 432 "Valutazione equitativa delle prestazioni"

"Quando sia certo il diritto (credito) ma non sia possibile determinare la somma dovuta, il giudice la liquida con valutazione equitaria".

La ratio della disposizione è assicurare una effettiva e completa tutela del lavoratore nei casi in cui insorgono insormontabili difficoltà riguardo alla prova del preciso ammontare dei crediti a lui spettanti.

Due sono i presupposti x poter procedere alla liquidazione equitativa:

  1. la certezza dell'esistenza di un credito
  2. e l'impossibilità di determinare l'ammontare





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