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AFRICA-EUROPA: TRA STORIA E FUTURO

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AFRICA-EUROPA: TRA STORIA E FUTURO


Due uomini, uno africano e uno italiano. Il primo, Albert Tevoedjiré, ha una luunga storia di militanza e di impegno sia in Africa che sull'Africa. Scrittore, economista e politico. E' stato ministro nel governa del suo paese, candidato, dopo il periodo dell'Assemblea nazionale, a Presidente della repubblica. Prima era stao all'Organizzazione mondiale del lavoro a Ginevra. Ha terminato da poco il compito di rappresentante del Segretario generlae delle Nazioni Unite in Costa d'Avorio. Ha scritto un libro che ha fatto storia. "La povertà, richhezza dei popoli" edito dall'Emi.

Bernardo Bernardi può essere ricomnosciuto come il padre deglli studi di africanistica in Italia. Antropologo, professore emerito di Etnologia presso l'Università di Roma 'La Sapienza'. È stato membro del Comitato esecutivo dell'International African Institute. Presidente del Consiglio europeo di Studi africani e membro del Consiglio scientifico dell'Istituto italiano per l'Africa e l'Oriente, è Honorary Fellow del Royal Anthropological Institute di Londra. Tra le sue pubblicazioni: Etnologia e antropologia culturale (Milano 1973); Uomo cultura società. Introduzione agli studi etnoantropologici (Milano 1982); Introduzione allo studio della religione (Torino 1992); Africa. Tradizione e modernità (Roma 1998); Nel nome d'Africa (Milano 2001)




Touadi: La prima interlocutrice dell'Africa  è l'Europa a causa della sua vicinanza geografica, storica, culturale. A partire dalla sua esperienza e dai suoi studi che cosa ci può dire in merito a questi rapporti così contrastati, difficili, ma anche così promettenti, fra Europa e Africa?


Bernardo Bernardi: Sull'Africa esistono molti pregiudizi. I miei colleghi di studi classici, di storia e di altre materie legate alla cultura greco-romana hanno una sorta di disprezzo per l'Africa, meglio una sorta di disinteresse che diventa disprezzo. Io considero una missione il mio impegno per combattere quest'atteggiamento nei riguardi dell'Africa, nei riguardi di quella che è la realtà culturale dell'Africa. Proprio in questi giorni mi verranno consegnate le bozze di un lavoro appena terminato che ho intitolato L'Africa mistica. Le culture orali dell'Africa, nel quale cerco di mostrare tutta la ricchezza delle culture orali del continente africano. Sottolineo orali, perché l'Africa possiede anche ricche culture letterarie, relative soprattutto all'Egitto, ma anche all'Etiopia. L'Etiopia possiede una straordinaria cultura letteraria, mentre fra le popolazioni bantù dell'Africa esiste una molteplicità di culture, una grande varietà di forme e sistemi sociali e politici che sono purtroppo poco conosciuti al di fuori dell'Africa. Ritengo che sia soprattutto quest'ignoranza della realtà africana a suscitare e alimentare i pregiudizi sull'Africa e che l'unico mezzo per superarli sia l'effettiva conoscenza di questa ricca realtà. Al riguardo ho avuto anche delle soddisfazioni. Nella vostra libreria ho visto esposto il volume Africa. Tradizione e modernità. Un amico chirurgo mi ha detto di averne regalato quattro copie ad altrettanti suoi amici come dono di Natale. La notizia mi ha fatto molto piacere, perché ritengo che sia l'unico metodo per eliminare pian piano i tanti pregiudizi che circolano sull'Africa.

È importante evidenziare la ricchezza delle culture orali africane. In Africa l'oralità ha il primato sulla scrittura. In materia noi ci portiamo ancora dietro i pregiudizi che ci sono derivati dalla teoria evoluzionistica. Consideriamo primitivi i popoli privi di scrittura e quindi molte popolazioni africane che fino all'epoca moderne hanno mancato della scrittura e alcune ne mancano tuttora. Questo significa che esiste un pregiudizio sulla realtà della cultura umana. La cultura umana, compresa la cultura di cui siamo portatori anche in questo momento, è anzitutto e soprattutto una cultura orale. Noi comunichiamo attraverso l'oralità e l'oralità ha il primato in campo culturale. L'uomo da quando è homo sapiens sapiens si è espresso attraverso la cultura orale. Ricordo sempre, perché è molto eloquente e istruttiva in merito a questo pregiudizio, la scritta che si trova in una cartina dell'Africa meridionale risalente al 1700: «Nazione selvaggia [due termini tipici della fine del '700, quando dominava il mito del buon selvaggio, ecc.] che si dice non abbia nemmeno l'uso della parola». Ecco l'espressione di un pregiudizio totale, radicale.

Devo confessare che io stesso da studente ho cominciato con lo studiare «i primitivi». Ho sulla coscienza anche il fatto di aver scritto i miei primi saggi sulla «religione dei primitivi». Ma già Pritchard notava che coloro che parlano dei primitivi non sono mai stati in mezzo ai primitivi. Per me è bastato recarmi una volta fra coloro che erano considerati primitivi per scoprire che non lo erano affatto. L'esistenza dei primitivi non è una realtà storica, bensì il frutto di un pregiudizio che prevale ancora nella nostra mentalità occidentale. Un pregiudizio che deve essere superato mediante la conoscenza.


Touadi : Un pregiudizio che deve essere superato mediante la conoscenza. Un grande studioso della realtà africana, Basil Davidson, nel suo volume su La civiltà africana, riportando le idee di etnologi e antropologi dell'epoca vittoriana, afferma che dobbiamo continuare a parlare di questi pregiudizi, non per puntare il dito contro i loro scellerati proatori, ma perché essi, pur scientificamente respinti, hanno ancora un'esistenza sotterranea. Secondo lei, come si potrebbe decodificare quest'esistenza sotterranea dei pregiudizi sull'Africa e ricodificare un diverso approccio al continente africano?


Bernardo Bernardi: È difficile eliminare il pregiudizio sull'Africa, perché gli studiosi delle culture classiche si trovano davanti a una ricchezza culturale talmente vasta e profonda (cultura greca, romana, assiro-babilonese, latina, ecc.) da ritenersi pienamente apati dal suo studio. Mi scontro continuamente con questa realtà di persone che non sentono alcun bisogno di entrare in contatto con altre culture. Con pazienza e rispetto per le posizioni altrui, bisogna mostrare anche la consistenza e la profondità delle culture africane tradizionali. Il pregiudizio è radicato e può essere superato solo rispettando l'interlocutore e mostrando la ricchezza e la profondità delle culture africane.


Touadi: La relazione fra l'Africa e l'Europa è stata, ed è, una relazione ambivalente, caratterizzata da attrazione e repulsione, sindrome della vittimizzazione (Stephen Smith, Négrologie. Pourquoi l'Afrique meurt) e riferimento obbligato al continente europeo. La miadomanda è provocatoria. Oggi, alcuni africani teorizzano l'idea del distacco metodico o comunque sostanziale dall'Europa. Affermano che cinque secoli di contatti fra l'Africa e l'Europa non hanno prodotto nulla di buono e hanno anzi peggiorato la situazione degli africani. Eboussi Bulaga, gesuita camerunese, ha scritto un libro molto forte, intitolato proprio La de-mission, nel quale afferma che è ora di rimandare a casa i missionari. È possibile oggi per l'Africa ipotizzare la scissione dei suoi legami con l'Europa?


Albert Tevoedjiré: Sono grato al prof. Bernardi per aver iniziato il suo intervento parlando dei pregiudizi. Infatti, normalmente ciò da cui si parte, ciò che si vede, ciò che si impara in famiglia, è frutto in gran parte di pregiudizi. Ricordo la prima decisione presa da Batar Ombo, senegalese, quindi africano, nero, primo segretario generale dell'Unesco, quando assunse la direzione dell'Unesco, la maggiore organizzazione mondiale della cultura. Propose un progetto, un programma incentrato su un nuovo ordine dell'informazione. La sua proposta suscitò tali e tante reazioni nel mondo che, in seguito, fu costretto ad abbandonare il suo posto. L'informazione che abbiamo veicolato per secoli era basata su una divisione del lavoro, una divisione delle razze. Chi vuole collocarsi al di fuori della categoria nella quale le circostanze lo hanno posto finisce necessariamente per sorprendere e scandalizzare. Ombo voleva una cultura condivisa, un nuovo sguardo sulle persone, un'immersione negli ambienti di vita delle persone, per poter comprendere e valorizzare i loro contributi specifici. Voleva rilanciare l'idea di Frobenius, un esploratore tedesco, ripresa da Aimé Césaire, il quale scriveva: «Civilizzare fino al midollo delle ossa. L'idea del negro barbaro è un'invenzione europea». Secondo me l'idea di distacco favorisce lo scoraggiamento. Occorre continuare il lavoro avviato da altri: ad esempio da Mandela e dai ricercatori sia occidentali che africani.

Quando ero studente un giorno un professore di francese ci citò la battuta di spirito di un generale inglese al suo governatore a proposito degli indiani che sognavano l'indipendenza: «Governatore, non si preoccupi. Questa gente vuole l'indipendenza, ebbene diamogliela. Sono certo che nel giro di dieci anni si potranno cacciare le tigri nelle strade di Calcutta». Da allora sono passati non solo dieci, ma cinquant'anni e non si cacciano le tigri nelle strade di Calcutta. Oggi, il bersaglio siamo noi. Ma prima di noi vi sono stati altri bersagli. Cinquant'anni fa si parlava delle orde babeliche dell'India. Si preconizzava la fine, la fine assoluta, del subcontinente indiano. Ebbene ho visitato dei progetti in India e ho visto che nel campo della tecnologia dell'informazione l'India è uno dei paesi da cui non si può prescindere. Io dico agli africani. Checché ne sia dei pregiudizi, aprite la finestra della tolleranza e ricordate ciò che diceva Voltaire: «E nell'Europa infine la felice tolleranza di ogni mente ben fatta diventa il catechismo». Oggi abbiamo la fortuna della tolleranza che ci consente di parlare ovunque e di impegnarci a combattere e scongere certi pregiudizi. E penso che il primo pregiudizio da combattere e scongere sia quello secondo cui le relazioni Europa-Africa devono essere unicamente a senso unico: dall'Europa verso l'Africa. Penso che anche noi africani dobbiamo convincere l'Europa a farci beneficiare di tutta la sua rete di collegamenti mondiali. Ho accennato all'India. La cooperazione non deve certamente limitarsi alla relazione Europa-Africa. La cooperazione è una nozione che dobbiamo condividere a livello mondiale e imparare ovunque. Gli africani non sanno costruire case con la gramigna e il bambù, mentre gli asiatici lo sanno fare. Per costruire una casa solida in una città africana occorrono normalmente 30-40.000 dollari, mentre nello Sri Lanka ne bastano 3000. Questa relazione fra noi e gli altri non è diretta, ma può benissimo passare attraverso strutture europee. Non parlo dell'Europa classica, dell'Europa dei governi, dell'Europa delle multinazionali, che hanno cose da vendere, ma dell'Europa dei popoli, dell'Europa della società civile, che può aprirci non solo la strada dell'Europa, ma anche quella del mondo. Credo veramente che i pregiudizi ci feriscano e facciano male, soprattutto il pregiudizio vincitori-vinti. Ma anche noi avevamo, e abbiamo, dei pregiudizi nei riguardi degli occidentali. In Africa non abbiamo mai visto una donna europea andare al mercato da sola e portare personalmente i suoi acquisti. Abbiamo sempre pensato che lo chamne fosse la bevanda normale, quotidiana, di tutti gli europei. Non abbiamo mai visto un europeo chiedere l'elemosina. Poi, quando siamo venuti a studiare in Europa, ci siamo accorti che gli europei erano assolutamente come noi e facevano cose che non avremmo mai immaginato che facessero: portare personalmente la spesa, chiedere l'elemosina, fare lavori umili. Il pregiudizio è qualcosa che ci viene dall'immaginario. In Europa c'era l'ìimmaginario del riso bananja e in Africa l'immaginario del comandante e del coloro sempre ben vestiti che noi servivamo come schiavi. Ora tutto questo è acqua passata. Oggi possiamo incrociare gli sguardi e riconoscere che avevano tutti torto Possiamo cominciare a guardare all'umano che c'è in ogni uomo e mettere al primo posto l'umano. Ormai il nostro compito comune è quello di umanizzare il mondo.


Touadi. Qualcuno afferma che gli africani devono fare pulizia in casa loro, prima di parlare, prima di presentarsi all'appuntamento con l'Europa. Perciò, alcuni africani lanciano provocatoriamente l'idea della necessità di un piano di aggiustamento culturale, per potersi presentare validamente all'appuntamento con gli altri. A che punto è questo piano di aggiustamento culturale africano?


Albert Tevoedjiré: Non credo che occorra strutturare tutto. Questa nostra discussione è una discussione di aggiustamento, perché giunge a conclusione che mettono in discussione il modo di parlare e di rapportarci fra di noi. Prendendo questa decisione, operiamo un aggiustamento importante, culturale e politico al tempo stesso. Le notizie sull'Africa sono ancora brutte notizie, perché la rete dell'informazione mondiale privilegia le brutte notizie. Non si parla mai del coraggio delle donne africane che ogni mattina si alzano alle cinque per riuscire a mandare avanti la loro famiglia, del miracolo dei villaggi africani che riescono a sopravvivere, a fare piccoli profitti, a mandare a scuola i bambini, del coraggio delle persone anziane - ad esempio in Costa d'Avorio - che devono sopportare ogni giorno la presenza di soldati che sconvolgono la vita quotidiana in un paese che è stato ed è uno dei grandi produttori di materie prime, del coraggio eroico di certe comunità che riescono a conservare il livello della loro produzione agricola nonostante che tutta vada a catafascio. Sono cose straordinarie di cui nessuno parla. Credo che occorra avere un altro piano per i produttori africani che preveda che cosa produrre, con chi associarsi, con chi commerciare Ecco un impegno concreto. Purtroppo noi tendiamo a fare della letteratura, mentre occorre impegnarsi concretamente, perché l'azione cambia la condizione. Prendete, ad esempio, il Giappone, che è diventato uno dei grandi paesi con cui bisogna fare i conti. Quando ero studente i transistor giapponesi erano considerati di pessima qualità e disprezzati da tutti. Oggi la loro produzione è considerata all'avanguardia. Credo che gli africani abbiamo paura di se stessi, mentre dovrebbero avere coraggio. Nel mio libro La Povertà ricchezza dei popoli insistevo molto sull'alimentazione. Se volete sapere se un paese è pronto a gestire validamente il proprio sviluppo dovete guardare a ciò che mangiano i suoi governanti. Se mangiano caviale e altri cibi prelibati provenienti dall'Occidente e bevono chamne, potete ragionevolmente concludere che per quel paese non c'è speranza. Se invece valorizzano i cibi locali o comunque africani, allora c'è speranza. Infatti, la gente imita sempre i propri governanti e dirigenti. Segue il cuoco del presidente quando va al mercato e osserva ciò che compra per la mensa del suo capo. Tutti sanno che cosa comprano e mangiano il presidente, i membri del suo governo, i funzionari, i notabili e cercano di imitarli. Durante un colpo di stato in Nigeria i soldati bombardarono le casse di chamne appena giunte al porto, per mostrare chiaramente che non ne volevano di quella roba lì  Bisogna far comprendere agli africani che ciò che hanno è valorizzabile e che altri lo ricercano. Bisogna affidare agli africani una missione nei riguardi degli altri. Personalmente non condivido l'idea del distacco. La considero negativa. Bisogna essere al centro, essere insieme, ma restando se stessi e aprendo nuove strade. Gli indiani non hanno avuto bisogno di staccarsi dall'Inghilterra. Occorrono certamente delle regole, dei meccanismi, ma il distacco non può funzionare perché il mondo è uno. La creazione del proprio piccolo mondo africano non potrà mai funzionare.


Touadi. Spesso mi chiedono se noi africani, con la classe politica corrotta che ci ritroviamo, possiamo additare qualche esempio di leadership politica positiva. Rispondo citando Nelson Mandela, il caso certamente più eclatante, ma anche Lumumba (cf. Aimé Césaire, Une saison au Congo), Thomas Sankara; Julius Nyerere ed altri. Ricordo che a un ricevimento ufficiale in onore del presidente della Repubblica francese, Thomas Sankara, fedele al suo slogan «mangiamo burkinabé», fece servire agli illustri ospiti cibi locali, ricevendo ogni sorta di insulti da parte dei membri della delegazione francese e degli altri capi di stato africani («Ha ricevuto il presidente della Repubblica francese come un selvaggio»). Purtroppo tutti coloro che hanno osato battere nuove strade e fare il contrario sono stati uccisi: Lumumba (1961); Thomas Sankara (1987); Amilcar Cabral, ecc. I migliori leader africani sono stati uccisi, mentre i peggiori (Mobutu, Eyadema, Bongo, Amin) sono rimasti a lungo al potere.

Albert Tevoedjiré diceva che noi stiamo facendo un aggiustamento culturale mediante iniziative dal basso in materia di cibo, agricoltura, attenzione alle aspirazioni essenziali e profonde delle persone. Lei, prof. Bernardi, ci ha parlato dei pregiudizi. Alcuni africani sostengono che è inutile fare prediche di natura etica o morale agli europei, perché non le comprendono e non le accettano. Dicono che agli europei bisogna parlare del loro interesse a fare qualcosa. Le chiedo: L'Europa può vedere un interesse a occuparsi dell'Africa?


Bernardo Bernardi: Credo che la risposta possa essere positiva. Bisogna comunque distinguere fra persone e persone. Tony Blair e Veltroni hanno interessi specifici e molto concreti per l'Africa. La questione dell'alimentazione è una fase attraverso la quale è passata anche l'Europa. L'attuale alimentazione europea è basata interamente su produzioni americane. Pomodoro, mais, tacchino ci sono venuti dall'America. Sono adattamenti culturali di cui bisogna tenere conto, tenendo presente anche il riflesso che hanno sui rapporti etnici in quanto tali. L'alimentazione distingue molto chiaramente etnia da etnia, piccole etnie da etnie più grandi. In Kenya, ad esempio, le etnie si distinguono fra di loro in base alle abitudini alimentari. Anche in Italia le regioni si distinguono in base alle abitudini alimentari. Un bolognese può trovare sgradevole la cucina romana. Lo stesso avviene in Africa. ½ sono diversità alimentari anche fra bantu geograficamente molto vicini. In Kenya, ad esempio, i meru, pur essendo cugini dei kikuyu, hanno abitudini alimentari diverse da questi ultimi. Ma in questo campo si avverte ormai da molto tempo e non solo da oggi l'influenza della globalizzazione: si mescolano usi e costumi che un tempo distinguevano le varie popolazioni; oggi le popolazioni si incontrano e, grazie a Dio, l'incontro è più facile di quanto non fosse anche solo in un recente passato. L'incontro porta anche alla fusione degli stili di vita e delle abitudini alimentari, con particolari adattamenti. Sono fenomeni culturali che possono avere anche aspetti politici, ma sono fenomeni normali di fronte ai quali non dobbiamo avere alcun pregiudizio e molto rispetto.

Penso che l'Europa abbia interesse a entrare in contatto con l'Africa. In genere non si esprime questo interesse in modo esplicito nei riguardi dell'Africa, ma più in generale nei riguardi del Sud del mondo, includendovi ovviamente anche l'Africa. Ho avuto molti contatti con singole ONG e singole persone che si sono dedicate a iniziative particolari, articolate, molto ricche. Se fossi uno storico svilupperai questo tema, perché è molto ricco. Bisognerebbe che qualcuno facesse la storia di questi fenomeni, di queste realizzazioni. L'interesse per l'Africa esiste realmente, come dimostrano anche i medici (CUAM, Padova), i tecnici (Piemonte). Queste iniziative si moltiplicano. C'è solo la difficoltà di registrarle. Non c'è, credo, provincia o comune che non abbia una sorta di gemellaggio con città o villaggi africani o di altri continenti, L'interesse c'è e va crescendo, facendo parte proprio di quel processo di conoscenza cui alludevo sopra e favorendo il superamento dei pregiudizi che ancora sussistono.


Touadi: Qualcuno, parla della solitudine geopolitica dell'Africa in questo momento, soprattutto dopo la caduta del muro di Berlino. L'Europa ha scoperto l'eldorado dell'Est europeo, e giustamente, vedendovi la possibilità di creare l'unità del continente. Ma l'Europa ha scoperto anche la necessità di un aggiustamento interno in vista della moneta unica, poi ha scoperto il terrorismo, Shenghen e ha cominciato a ripiegarsi sempre più su se stessa. Nel frattempo, in Africa stanno arrivando la Cina, le correnti islamiste nella parte orientale del continente. Ormai l'Europa in Africa ha un'esistenza residuale. Alcuni mesi fa Berlusconi, presidente del consiglio dei ministri, nonché ministro degli affari esteri, diceva: «Le nostre ambasciate all'estero devono trasformarsi in agenzie di promozione del made in Italy». Che cosa perderebbe l'Africa se venisse a mancare questo contatto di lunga data, per quanto travagliato, con l'Europa a vantaggio della Cina e delle correnti islamiste?


Albert Tevoedjiré: Penso che la domanda risponda alla sua preoccupazione fondamentale nei riguardi degli africani che parlano di distacco. Nella nostra situazione si impone un distacco parziale. Quando si tratta degli uomini, nulla è eterno. Quando vediamo persone che si aggrappano al potere, diciamo: Ecco un uomo assolutamente precario che pretende di esercitare un potere eterno. C'è la situazione precaria delle nostre relazioni. Il fatto che l'Europa occidentale cerchi degli aggiustamenti, degli accomodamenti con l'Europa orientale e nutra delle preoccupazioni nei suoi riguardi, ci offre la possibilità di uno spazio di libertà, di riflessione, di iniziativa che non è affatto pregiudizievole per l'Africa, ma deve essere visto con favore. È un'occasione per prendere l'iniziativa, per cogliere il vantaggio che ci viene offerto. Non parlerei di solitudine geopolitica. Quando si parla di cooperazione con un paese bisogna assolutamente mostrare le cifre. Nonostante la sua situazione, l'Africa offre ancora molte, molte materie prime e molte ragioni, perché le imprese, gli stati, le comnie aeree si interessino concretamente ad essa. Siamo franchi, mostriamo le cifre, vediamo le ragioni per le quali alcuni cercano affannosamente dei mercati. Ci sono ancora molte cose non scoperte dall'Africa, che spingono gli occidentali, e non solo, a recarvisi. Sanno che in Africa si possono trovare ancora molte cose, sanno che esistono molte opportunità economiche sul continente africano. I cinesi sono franchi e trasparenti quando parlano di un Ministero del commercio e della cooperazione estera. Non c'è solitudine geopolitica dell'Africa. Non si conoscono probabilmente certe cose, ma le persone vi si interessano. E sta agli africani trovare la formula giusta per una relazione reciprocamente costruttiva fa Europa e Africa. Il fatto che l'Europa trovi delle opportunità in Europa, offre agli africani delle opportunità per una cooperazione più equilibrata e per una migliore gestione delle ricchezze che possiedono e che devono ancora scoprire.



Domande del pubblico


- Enzo Barnabà. Oggi tutti sanno che Thomas Sankara è stato ucciso dall'attuale presidente del Burkina Faso. Chiedo ai relatori che cosa pensano di questo assassinio e del fatto che un assassino sia presidente di una Repubblica africana.


- Zacharie del Burkina Faso. Poiché i nostri governanti sono praticamente tutti corrotti, non sarebbe meglio che l'Occidente, gli intellettuali occidentali e le ONG occidentali cominciassero a collaborare direttamente con gli agricoltori e le classi più povere per facilitare lo sviluppo? A livello di classe dirigente esistono troppi passaggi, troppi intermediari, favorendo così la corruzione.


- Rosetta Pellegrini. Oggi, abbiamo una nuova generazione di studenti. Gli africani, in genere molto critici nei riguardi dei loro governi, dovrebbero elaborare delle norme per la cooperazione, che prevedono e richiedono l'impiego dei giovani africani che studiano e lavorano qui da noi. Dovrebbero esigere che gli europei che si recano in Africa per realizzare dei progetti collaborino strettamente con le persone che hanno aiutato a formare e che si trovano qui da noi. Anche i governi africani dovrebbero porre queste condizioni all'Europa in materia di cooperazione. È assurdo affidare ricerche sui bambini di strada a Nairobi al personale bianco delle agenzie internazionali, andolo milioni e milioni di dollari, quando qui da noi vi sono centinaia di giovani africani laureati che si arrangiano per sopravvivere. Sta crescendo una nuova generazione di africani preparati e qualificati, non ideologizzata e critica nei riguardi dei governi africani. Occorre una strategia politica per coinvolgere tutte queste energie, curandole e sostenendole sia in Europa che nei paesi africani.


- Traore Sakaria della Costa d'Avorio. Ci è stato detto che dobbiamo essere ottimisti riguardo all'Africa e al tempo stesso che coloro che hanno cercato di cambiare la situazione sono stati emarginati e spesso uccisi. Purtroppo fra noi e gli europei ci sono i personaggi meno raccomandabili del continente africano. Che cosa proponete se le voci sane dell'Africa non vengono ascoltate e coloro che sanno qualcosa vengono sistematicamente emarginati?


- Giovanni. Mentre noi in Europa conoscevamo come forma di governo praticamente solo la monarchia assoluta, in Africa esisteva una grande varietà di forme di governo delle persone e delle comunità, che noi abbiamo sistematicamente e brutalmente eliminato, senza peraltro riuscirvi del tutto. Ciò che è avvenuto nella Commissione Verità e riconciliazione in Sudafrica ha dell'incredibile. L'esistenza di un tribunale che riconosce le colpe, ma non eroga le pene, è una novità assoluta alla quale, secondo me, solo gli africani potevano pensare. Come mai si valorizza così poco questa realtà, che pure esiste in Africa? In fondo noi occidentali parliamo sempre di economia, una materia sulla quale abbiamo sempre qualcosa da dire, ma non parliamo mai delle materie nelle quali gli africani sono da sempre assolutamente superiori ai noi: l'ingegneria sociale e le forme di governo.


- Donata del Commercio equo e solidale. A parte qualche ONG, non mi sembra che esista quel grande interesse per il Sud del mondo di cui ha parlato il prof. Bernardi. Mi piacerebbe che mostrasse maggiormente dove vede questo grande interesse che io non vedo sia in genere sia in campo commerciale.

Riguardo alla situazione geopolitica dell'Africa e all'apertura dell'Europa a est. Per dirla brutalmente, nella mia piccola esperienza di cooperazione allo sviluppo ho notato che, in seguito all'apertura dei mercati a est, la cooperazione europea ha drasticamente ridotto gli aiuti all'Africa. Perciò ho pensato che il vero obiettivo non fosse quello di aiutare i paesi dell'Europa orientale, ma di aprire nuovi mercati e incrementare i profitti. I mercanti europei hanno cercato per decenni di aprire verso l'Africa, ma l'Africa non ha risposto e le loro aspettative sono andate deluse. Secondo me, è una fortuna che non abbia risposto e vedo in questo anche la grande dignità interiore dei popoli africani. La cooperazione è dettata quasi esclusivamente dalla preoccupazione di aprire nuovi mercati o si può sperare in una cooperazione un po' più disinteressata, in una cooperazione fra le persone?


- Marie Régine Esomba, del Camerun, studentessa di comunicazioni sociali. Alla base delle relazioni che l'Europa stabilisce con l'Africa a livello politico ed economico c'è una mentalità perversa: l'europeo si sente il donatore e l'africano il medicante. Quale messaggio si può lanciare anzitutto alla nuova generazione di studenti africani e poi ai popoli africani e al mondo intero?


- Njok, poeta camerunese. Parlando dell'Africa e degli africani, un giorno un premio Nobel svedese diceva: «Li vogliamo veramente aiutare, lasciamoli stare». A mio avviso, ma forse sbaglio, l'unico vero problema che ha avuto l'Africa è stata l'ingerenza degli altri. Il suo sviluppo era il suo sviluppo, le sue cose erano le sue cose.

Un proverbio africano dice: «Quando vai a cercare acqua non puoi attraversare il fiume». Mi chiedo come mai italiani, inglesi, francesi non si rendano conto che nessuno può attraversare il fiume se va a cercare acqua. Gli europei partono dall'Europa per andare ad aiutare l'Africa e sputano in faccia a tutti gli africani che sono qui da loro, i quali, se guadagnano cento euro, ne spediscono almeno trenta alle loro famiglie di origine. È possibile che l'Europa sia così ottusa da non vedere che solo aiutando gli africani che sono qui può aiutare veramente l'Africa o ha altri interessi e altre cose da andare a fare laggiù?


- Riccardo. Noi siamo una società civile e parliamo dell'Africa, ma siamo testimoni di ciò che sta avvenendo in Iraq e forse domani avverrà in Iran, senza riuscire a fare nulla per fermare una cosa così insensata. Che speranze possiamo avere di cambiare le sorti dell'Africa se non possiamo fare nulla per l'Iraq? 


Risposte dei relatori


Bernardo Bernardi


Riguardo al problema del Sud sono ben conscio di ciò che significa anche il Sud America. Come africanista ho sentito il bisogno di recarmi anche nell'America del Sud: Carabi e poi giù giù fino all'Argentina. Volevo rendermi conto dell'interesse di quei popoli, soprattutto dei discendenti degli schiavi africani, per l'Africa. In passato, i moroni, discendenti degli schiavi, avevano costituito in America Latina una loro repubblica. Poi erano tornati a vedere i paesi da cui erano stati deportati ed erano rimasti talmente delusi che erano ritornati indietro. A Cartagena, in Colombia, i discendenti degli antichi schiavi africani non dimostravano alcun interesse per l'Africa. Eppure Cartagena era il porto dove approdavano e scendevano gli schiavi, era il mercato dove venivano venduti a prezzi variabili secondo la capacità della loro mascella. Il Brasile, il paese mas grande do mundo, non è certamente il paese di bengodi, tutt'altro, ma lì la gente cerca di andare d'accordo. Mentre aspettavo l'aereo che mi doveva portare da san Paolo a Rio de Janeiro fui colpito da un bianco e un nero che continuarono tranquillamente a chiacchierare, a divertirsi e a farci divertire con le loro battute e risate. Mi accorsi che in Brasile il colore della pelle non si accomnava a quel senso di disprezzo che avevo registrato altrove. Anche in Argentina, una colonia formata da tedeschi, italiani e anche di inglesi, non esiste alcun interesse per l'Africa.

Parlando del Sud mi riferisco all'Africa e non all'America Latina. Insisto su questa posizione, perché la trovo confermata dai miei colleghi e dalla letteratura in mio possesso.

Riguardo alla questione dei personaggi, vorrei partire da Shaka, che è stato detto a ragione il Napoleone dell'Africa. Poi penso a una ura come quella di Jomo Kenyatta, che è stato indubbiamente un grande uomo. Liberato dalla prigionia, si rivolse agli europei e collaborò con loro per il bene del suo paese. Dimenticò tutto quello che aveva sofferto e disse agli europei: «Se lavoriamo insieme possiamo fare molto». Penso a Julius Nyerere, presidente della Tanzania, che ha esercitato il potere e non si è lasciato corrompere da esso. Penso anche a Kwame Nkrumah, che aveva suscitato un grande entusiasmo in noi giovani. Decadde quando il potere gli diede alla testa e non esitò ad attribuirsi il titolo di Redentore. A un certo punto il potere corrompe e pochi riescono a sfuggire a questa corruzione. Persino in grande Shaka venne ucciso per aver oltrepassato quello che doveva essere il compito di un condottiero. Questo argomento mi affascina. Se fossi uno storico cercherei di illustrare queste grandi ure di condottieri africani. In Africa sono esistiti ed esistono, anche dal punto di vista semplicemente antropologico, grandi personaggi, che sono emersi da un preciso contesto culturale e hanno contribuito a costruirlo. Il grande Kenyatta ha avviato il nuovo Kenya, ma il suo successore non è stato altrettanto grande, per cui quel paese ha cominciato subito a decadere finendo poi per essere travolto dalla corruzione. Andreotti diceva che il potere rode chi non ce l'ha, ma può rodere e corrodere anche chi ce l'ha. Naturalmente, in Kenya, la corruzione esisteva anche ai tempi di Kenyatta, ma era talmente ridotta da non raggiungere neppure il livello che raggiunge nei normali governi europei (cf. la biografia di Jomo Kenyatta). Perciò, anche in materia di corruzione, bisogna essere oggettivi e sapere distinguere fra persona e persona, contesto e contesto, storia e storia.


Albert Tevoedjiré


Ricordo un'espressione di Lincoln, uno dei fondatori della democrazia americana: «Questo paese con le sue istituzioni appartiene al popolo che lo abita. Quando sarà stanco del governo esistente, deve poter esercitare il suo diritto costituzionale di censurarlo o il suo diritto rivoluzionario di rovesciarlo». Lincoln ha fatto quest'affermazione il giorno in cui è entrato in carica. Noi africani abbiamo la nostra parte di responsabilità riguardo ai nostri governi. Ai giovani qui presenti do un primo consiglio: se sono studenti, siano studenti perfetti; se sono lavoratori, siano lavoratori perfetti. Si impegnino a essere sempre fra i primi, diano quest'impressione ai loro comni di classe o di lavoro, non cerchino sconti per il fatto di essere neri, dimostrino ai loro professori, formatori, datori di lavoro di essere competenti. Tutto questo conterà molto in seguito. A volte si parla di Kizerbo. Non mi meraviglio, perché era molto impegnato e brillante già da studente. Questo è molto importante. Qui dovete dare questa impressione e non essere persone senza arte né parte.

In secondo luogo, ai miei tempi esisteva il cosiddetto impegno decennale. Quando si partiva per motivi di studio, ci si impegnava a ritornare dopo dieci anni a servire lo stato che aveva concesso la borsa di studio. Bisogna che ogni africano coltivi questa convinzione interiore. Alcuni, per varie ragioni, non avranno la possibilità di rientrare nei loro paesi di origine, ma altri possono, e a mio avviso, devono rientrare. Io vi consiglio di fare la buona scelta: avere amici qui e ritornare là a collaborare al risanamento e allo sviluppo del vostro paese che sta morendo. E gli amici che avete qui e altrove potranno sostenervi in questo vostro impegno. Questa è una scelta intelligente e strategica al tempo stesso.

In terzo luogo, ritengo che sia importante sviluppare la cooperazione diretta. Oggi, la cooperazione è stata finalmente liberata. Esistono strutture che comprendono e sono disposte a collaborare direttamente là dove è possibile. Occorre quindi aprirsi alla cooperazione, ma precisandone il concetto e il contenuto, in base alle linee che ho cercato di esporre nel mio intervento precedente. Voi siete i beneficiari della cooperazione. Sarei ben felice se, a partire dal prossimo anno, giovani europei, italiani, asiatici, giapponesi, ottenessero il mandato sabbatico di andare a conoscere l'Africa, a vivere con gli africani, a farsi degli amici in Africa. Questo cambierebbe molto la mentalità e lo sguardo. Non sarebbero militari, non sarebbero turisti, ma giovani disposti a fare un culturalmente intelligente, ad andare a vedere, ad ascoltare, a imparare. Giovani che preparano la loro partenza con letture, contatti con gli africani che vivono nel loro ambiente e che possono introdurli a una prima conoscenza dell'Africa. Come si va in Inghilterra, in Sna per studiare la lingua, così si potrebbe e dovrebbe andare in Africa. Insisto molto su questo nuovo tipo di cooperazione che resta da inventare, pianificare, organizzare, attuare .

Vorrei terminare dicendo ai nostri amici italiani che gli africani non hanno solo delle qualità, ma anche dei difetti. Come tutti, come ovunque nel mondo. È importante che sappiate che noi siamo lucidi riguardo a noi stessi e che voi dovete essere lucidi insieme a noi e aiutarci a essere lucidi su noi stessi, dicendoci quali sono gli ostacoli allo sviluppo se facciamo questo o quello. I giapponesi, i cinesi, gli indiani hanno raggiunto i loro attuali traguardi grazie al lavoro, all'organizzazione, al loro genio, ma anche grazie all'analisi e alla progressiva riduzione dei loro difetti. La franchezza e la verità devono spingerci a dirci che dobbiamo camminare insieme, stare in piedi, essere uomini, collaborare su un piano di parità per uno sviluppo comune.


Domande del pubblico


- David Monticelli. Mi sembra che finora non siano emersi dati sull'evoluzione della situazione africana recente, che purtroppo è peggiorata rispetto al passato. Qui parliamo di cooperazione e di sviluppo, pensando magari di essere all'inizio di un'inversione nelle relazioni Europa-Africa, tradizionalmente caratterizzate dallo sfruttamento, ma l'analisi dei dati macroeconomici degli ultimi dieci-quindici anni evidenzia un costante peggioramento da tutti i punti di vista. Anche se il PIL africano è aumentato del 3,10% nella seconda metà degli anni '90, il reddito pro capite annuo è sceso da 710 dollari a 651 dollari, per cui un africano medio ha dovuto campare con 1,78 dollari al giorno contro 1,92 dollari nel 1995. Ciò significa che abbiamo una visione edulcorata dalle nostre passioni, perché di fatto la musica fra l'Europa, e più in generale l'Occidente, e l'Africa non è affatto cambiata.  Il 45% della popolazione africana vive al di sotto della soglia della povertà assoluta.


- Jacques Zahiga, studente di economia all'università di Ancora. Per me i rapporti Europa-Africa sono rapporti di forza, fra il forte e il debole, lo sviluppato e il sottosviluppato, il ricco e il povero, l'istruito e il sotto-istruito. L'europeo è egoista, accumula, persegue i suoi interessi. Questo rapporto si ritrova anche nella cooperazione fra l'Europa e l'Africa. Nei suoi rapporti con l'Africa l'europeo persegue anzitutto i suoi interessi. Ad esempio, quando un europeo fa dei progetti in Africa, si serve di europei e non di africani per realizzarli. Utilizza europei che non conoscono la realtà dell'Africa e scarta coloro che la conoscono. Il rapporto fra Europa e Africa è un rapporto di strategia politica per mantenere l'Africa nella povertà e nella miseria. Quando sono arrivato qui due anni fa, volevo fare la mia tesi sulla crescita economica in Congo. La proposi a un professore, il quale si rifiutò di dirigermi, affermando che dal punto di vista economico l'Africa er inesistente, per cui non si poteva svolgere una tesi su quel tema. Si rivolsi allora a un altro professore, che si interessava si problemi dello sviluppo, il quale accettò di dirigermi semplicemente per ragioni accademiche. Mi disse molto francamente: la vostra situazione in Africa è una situazione creata dalla storia delle relazioni che noi conosciamo fra Europa e Africa. È una situazione voluta, coltivata e che continuerà ancora a lungo se non fate attenzione. I paesi ricchi hanno deciso di mantenervi nella vostra situazione di povertà e di miseria. Che cosa pensano i nostri due relatori di tutto questo? Che cosa possiamo fare noi africani per uscire da questa situazione è stata voluta e viene intrattenuta attraverso ogni sorta di conflitti e di guerre?


- Bibokoto. Finora nessuno ha parlato dell'ipocrisia dell'Europa. Sappiamo tutti che i nostri governi hanno tutti fallito o perché sono stati corrotti o perché sono stati mal consigliati. I dittatori africani hanno portato via un sacco di soldi dall'Africa, depositandoli nelle banche svizzere o altrove in Occidente. Fino al 1979 l'Africa era un continente molto equilibrato. Poi improvvisamente si è trovata sommersa da un mare di debiti, a causa dei prestiti e delle false promesse della Banca mondiale e del Fondo monetario internazionale e della corruzione dei dittatori. I dittatori sono morti e i soldi sono rimasti in Europa. Chiedo all'Europa di investire questi soldi, che sono nostri, in Africa. Per aiutare l'Africa dovete fare pressioni sui vostri governi, affinché sblocchino questi soldi e siano investiti in Africa, nei paesi dai quali sono stati esportati.


- Bienvenu Kasole, del Congo. La cooperazione e lo sviluppo durano già da molti anni, ma con scarsi risultati, perché gli aiuti destinati all'Africa ritornavano in gran parte, sotto varie forme, nei loro paesi di origine. È certamente un peccato dire che non si può fare nulla con il pretesto che non si può fare tutto. Ma io penso che il vero sviluppo, lo sviluppo sostenibile, cominci là dove uno vive. Un filosofo ha detto che la seconda bomba atomica, dopo quella di Hiroshima, sarà quella della comunicazione, che può porre fine all'umanità. Il vero sviluppo comincia là dove uno vive. Che cosa potrebbero rimproverarci i relatori riguardo ai nostri rapporti interafricani in materia di cooperazione e di sviluppo, prima di prendere in considerazione le relazioni fra europei e africani?


- Anastasio. Da tutto ciò che si è detto mi sembra emergere la richiesta di un'Africa che si sviluppa autonomamente, in base alle sue culture, alle sue esigenze, anche per riparare gli errori fatti finora. Ma, a mio avviso, questo è problematico. Un'autonomia ha senso se è integrata in un'economia globale, perché l'Africa non può vivere da sola. Personalmente non vedo vie di uscita. La rappresentatività africana a livello mondiale è nulla; la tecnologia africana è nulla; la ricerca scientifica africana è nulla; i mezzi di comunicazione sociale africani sono nulla. Come è possibile affermare uno sviluppo autonomo dell'economia o della cultura africana? L'Africa è vulnerabile, è sguarnita da ogni punto di vista, ma soprattutto in campo economico e tecnologico. Perciò l'unica via di uscita può essere solo la rinuncia da parte di noi occidentali ai nostri privilegi, a certe nostre ricerche, facendo spazio anche agli altri popoli. Infatti a livello di equilibrio di forze e scontro di forze non si risolve nulla.


- Abdullah, del Senegal. Ho spesso sentito dire che l'Africa è povera, priva di tutto. Non concordo con questa visione. Penso che non sia povera e priva di tutto, ma solo divisa, come dimostrano i conflitti e le guerre che scoppiano continuamente qua e là. Penso che dobbiamo educare i giovani, dare loro una coscienza. Bisogna unire, smettere di valorizzare le etnie, le religioni. In Senegal esistono molte etnie, varie religioni, e tuttavia noi ci comprendiamo. Altrove invece ci sono conflitti, guerre. Penso che gli europei debbano fare qualcosa per risolvere questi conflitti di interesse, per porre fine a questi colpi di stato, a queste guerre. Noi africani dobbiamo, insieme agli europei, lottare per l'estromissione dal potere di presidenti e funzionari corrotti e a volte criminali.


Risposte dei relatori


Jean-Léonard Touadi


Riguardo ai soldi dei presidenti africani esportati all'estero. La Nigeria è riuscita a rimpatriare una parte, solo una parte, di ciò che Shani Abasha aveva depositato in Svizzera. Due anni fa la Banca di Roma ha potuto ricondurre a Mobutu Sese Seko un conto anonimo sul quale erano depositati 40.000 dollari, dichiarando di non sapere che cosa fare di quei soldi. Non so come sia andata a finire la cosa, ma la soluzione sarebbe molto semplice: riportare il danaro là da dove è venuto, in questo caso nella Repubblica democratica del Congo.


Bernardo Bernardi


L'Economist del gennaio 2004 riportava in copertina questa scritta: Come fare sorridere l'Africa. Cominciava con il dire che i mali dell'Africa sono tanti. Ma concludeva affermando che oggi i giovani africani hanno una visione molto diversa del loro continente e provano un profondo senso di disgusto di fronte ai loro governanti corrotti e corruttori. I giovani africani sono la speranza dell'Africa.


Albert Tevoedjiré


Sottolineo brevemente tre punti.

Anzitutto, ciò che è stato detto sul rapporto di forze. È importante ed è vero. Ma quando si è piccoli e deboli e occorre battersi nella vita, bisogna saperlo fare. Oggi, noi siamo Davide davanti a Golia. Noi conosciamo il nostro terreno, la nostra Africa. Sta a noi organizzarci in modo da cooperare con gli altri diversamente da come essi desiderano e sognano.

In secondo luogo, riguardo all'Africa autonoma. Nell'Africa occidentale abbiamo un'enorme fortuna che non sfruttiamo: una comunità economica degli stati dell'Africa occidentale, nella quale vi sono circa 250 milioni di consumatori. Anche l'acqua potabile prodotta in Senegal o in Costa d'Avorio e venduta a 250 milioni di consumatori è una ricchezza. Il grano che importiamo ci impedisce di vendere a 250 milioni di consumatori il mais e il miglio. Il nostro è un comportamento irresponsabile. Dovremmo essere più intelligenti e organizzare meglio la comunità economica dell'Africa occidentale. Oggi, i suoi paesi membri si occupano più del conflitto in Costa d'Avorio o delle elezioni in Togo che dell'organizzazione della economia regionale africana. Nessuno pensa seriamente a come si potrebbe organizzazione questo spazio economico regionale, che è nostro.

In terzo luogo, lancio un appello ai giovani. In base alla nostra esperienza sappiamo che smuovere gli altri occorrono locomotive, avanguardie, pionieri, persone che si impegnano a fondo.  Abbiamo una gioventù che risplende nel sole di Dio, come dice Claudel. Abbiamo assolutamente bisogno di questi giovani, convinti, impegnati, saggi, che conoscano la strategia da seguire, che abbiano il coraggio di Davide e affrontino Golia, Leviathan. Nel mercato africano vedo giovani creativi, inventivi, che fabbricano oggetti di ogni sorta, spesso a partire da materiali di ricupero, oggetti che i turisti comprano. È una cosa straordinaria. Sono convinto che i giovani africani sono la forza di cui disponiamo per cominciare a cambiare. Se i coreani l'hanno fatto, gli indiani l'hanno fatto, i giapponesi l'hanno fatto, non c'è alcun motivo di pensare che gli africani, che hanno costruito le piramidi, che hanno inventato lo zero, che hanno fatto scoperte matematiche, non siano in grado di farlo. Ex Africa semper aliquid novi. Dall'Africa può venire sempre qualcosa di nuovo. Bisogna solo impegnarsi e lavorare. Questo è il nostro e soprattutto il vostro compito di giovani africani.





ALBERT TEVOEDJRE' Economista e sociologo. Nel 2003 è stato nominato Rappresentante speciale per la Costa d'Avorio in seno all'Onu, dopo essere stato - sempre per le Nazioni Unite - Coordinatore del progetto «Millénaire pour l'Afrique». Precedentemente è stato ministro del lavoro e dell'economia in Benin dal 1991 al 1996. Nel suo paese ha ricoperto altri alti incarichi istituzionali e politici. M. Tevoedjre ha pubblicato numerosi articoli sullo sviluppo politico, economico e sociale dell'Africa. Nel libro intitolato  «Pauvreté, richesse de l'humanité» (Povertà ricchezza dei popoli), egli offre la sua concezione del «Contrat de solidarité».

BERNARDO BERNARDI  Antropologo, già docente presso l'Università 'La Sapienza' di Roma

JEAN-LEONARD TOUADI  Congolese, giornalista e scrittore. 'Africa la pentola che bolle'  (2003-EMI) e 'Congo' (2004-Ed.Riuniti) sono i suoi ultimi libri. Scrive tutti i mesi su 'Nigrizia'





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