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INTERVISTA SUL FASCISMO di RENZO DE FELICE

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INTERVISTA SUL FASCISMO di RENZO DE FELICE


Sono passati 32 anni ormai da quando Renzo De Felice scrisse la sua "intervista sul fascismo", nella quale si diletta nel rispondere alle domande di Michael Arthur Ledeen.

De Felice crede fermamente che si debba scrivere la storia sulla base dei fatti, innanzi tutto sulla base dei documenti, quali sectiune di polizia e d'apparato, però questo genere di documenti è già corrotto in origine, essendo stati scritti da funzionari abituati a dare informazioni gradite al regime; si tratta quindi di una documentazione non critica e preziosa allo stesso tempo. Quando possibile, De Felice fa affidamento anche ai ricordi personali dei protagonisti, e quindi alle testimonianze.

Nella prima parte del libro, egli introduce la distinzione tra fascismo regime e fascismo movimento: il primo con funzioni conservatrici, il secondo con forti aspirazioni di modernizzazione. "Il movimento è l'idea della realtà; il partito, il regime, è la realizzazione di questa realtà, con tutte le difficoltà obbiettive che ciò comporta", come afferma lui stesso.




Il fascismo faceva prima leva sulla violenza e sul consenso per poi gestire il potere contando su alcuni strati sociali. Avrebbe così legato masse e categorie crescenti del ceto medio. Il fascismo fu quindi il tentativo del ceto medio, della piccola borghesia ascendente, di porsi come nuova forza. In questo senso il fascismo movimento fu lo sforzo di proporre nuove soluzioni "moderne" e "più adeguate". "Con tutti i suoi innumerevoli aspetti negativi, il fascismo ebbe però un aspetto che in qualche modo può essere considerato positivo: il fascismo movimento aveva sviluppato un primo gradino di una nuova classe dirigente" (De Felice). La classe operaia sarebbe rimasta di fatto incontaminata dal fascismo, se non per le organizzazioni sociali e ricreative (dopolavoro, associazioni sportive, ecc). Il loro era un consenso passivo, anzi meglio, un'adesione passiva al regime, ben diversa dalla partecipazione sicura e consapevole degli italiani, evidenziata da De Felice, alla politica del fascismo. Il dissenso si esprimeva allora, come in ogni regime totalitario, attraverso la cospirazione clandestina.

De Felice afferma nel suo libro: "Il regime fascista ha come elemento che lo distingue dai regimi reazionari e conservatori la mobilitazione e la partecipazione delle classi [ . ] il principio è quello della partecipazione attiva, non dell'esclusione. questo è uno dei punti cosiddetti rivoluzionari; un altro tentativo rivoluzionario è il tentativo del fascismo di trasformare la società e l'individuo in una direzione che non era mai stata sperimentata né realizzata". De Felice parla di consenso di massa al fascismo ( manifestatosi negli anni 1929-38, con l'apice nella proclamazione dell'Impero, dopo la conquista dell'Etiopia nel 1936) e lo descrive come un consenso attivo, basato, come afferma nell'Intervista, "sul confronto tra diverse situazioni e diverse realtà. Si pensa più ai danni che il fascismo ha scongiurato che al problema di stabilire se abbia portato veri e propri benefici. Il consenso è diretto a ciò che non si ha, agli svantaggi che si sono evitati, alla sicurezza di vita che, bene o male, il fascismo assicura agli italiani [ . ] La guerra in Etiopia suscita un consenso rumoroso, un momento di eccitazione nazionalistica solo quando è chiaro che gli anglofrancesi in realtà non si muovono e che l'Italia conquista l'Impero. [ . ] Tutto questo spiega il consenso ma gli attribuisce anche delle caratteristiche estremamente precarie. Quando la situazione economica si fa più difficile, quando l'intervento in Sna e soprattutto l'Asse e poi il Patto d'Acciaio portano l'Italia sempre più sulla strada della guerra[ . ] quando insomma viene meno il senso di "sicurezza" e le speranze di qualche anno prima sfumano, il consenso si fa sempre più debole."


Mussolini ci viene presentato come un governatore che diffida dei suoi stessi sudditi, degli italiani; ritiene di doverli amministrare ogni giorno attraverso mezzi demagogici. Nasce, da questo scetticismo, anche la necessità di proiettarsi in una visione futuristica completamente diversa: bisognava creare un nuovo tipo di italiano, nelle prossime generazioni, diverso da quello con cui aveva a che fare coevamente.

La rivoluzione fascista è concentrata quindi sulla creazione di nuovi esseri umani e bisognerà attendere per forza il loro avvento prima di far nascere le istituzioni fasciste, ed è per questo motivo che queste non sono quasi per nulla strutturate. Sembrerà paradossale, forse, ma l'insuccesso della politica fascista è la diretta conclusione della "teoria della rivoluzione" fascista,  secondo la quale il compimento della rivoluzione potrà verificarsi solo in un futuro popolato da cittadini fascisti che saranno ben diversi, psicologicamente, da quelli attuali. Lo scopo dell'azione fascista era di preparare gli italiani ad una rivoluzione costantemente proiettata nel futuro ma la cui reale natura restava sempre in qualche modo oscura. Ciò spiega anche il particolare sforzo compiuto sulla gioventù, perché se la rivoluzione è proiettata nel futuro, la realizzazione delle promesse fasciste non può che essere opera di una nuova generazione.

"L'idea che lo stato possa creare un nuovo tipo di cittadino è tipicamente democratica, classica dell'illuminismo" dice Renzo, infatti in questo libro viene sottolineata dall'autore la matrice di sinistra nella formazione politica del duce. De Felice afferma infatti che comunismo e fascismo hanno, in un certo senso, lo stesso codice genetico: sono entrambi li della rivoluzione francese. Questa convinzione dell'autore, però, si scontra con le parole stesse del duce, il quale propose il movimento fascista come un movimento che non avesse alle sue spalle dottrine e tradizioni culturali. Mussolini stesso ammise infatti: "il fascismo non nasce da una dottrina teorica elaborata in anticipo; esso fu il frutto di un bisogno d'azione", il cardine della dottrina teorica, elaborata in anticipo, "venne gettato nel momento in cui la battaglia infuriava", e concludeva con: "l'orgoglioso motto delle squadre fasciste <me ne frego> è un atto di filosofia". La sola realtà che il fascismo ammetteva era quella dello Stato: fuori non vi sarebbe stato "nulla di umano o di spirituale". Ne consegue la disapprovazione delle dottrine sviluppate nel 600/700, che  rivalutavano l'individuo e ne sostenevano i diritti. Ecco perché il vero nemico del fascismo è stata la democrazia, e quindi dire che "il fascismo ha radici nella rivoluzione francese" è sbagliato, è incoerente coi principi del fascismo stesso.


De Felice affronta anche l'argomento della collaborazione tra il Duce e il Führer, spiegando che c'è chi sostiene che l'alleanza con Hitler era inevitabile perché si trattava di due regimi che avevano molto in comune, invece non lo era affatto, ma lo divenne per motivi di ordine politico. "La loro non fu un alleanza ideologica, o almeno l'ideologia c'è soprattutto come fatto negativo, nel senso che hanno in comune certi nemici, via via sempre più numerosi; nemici anche in senso ideologico, il comunismo per esempio e soprattutto. E poi, ovviamente, la democrazia."


Il discorso sul fascismo si conclude riallacciandosi ai tempi moderni, quando di fascismi se ne conservano solo due: il nazionalsocialismo tedesco e il fascismo italiano; questi, sostiene Renzo, sono gli unici fascismi arrivati al potere in circostanze quasi normali, per merito e per capacità; insomma, per forza propria.

Il fascismo odierno viene presentato come qualcosa di non più vivo, che ha molti elementi dei fascismi storici, ma gli manca quello decisivo: il nazionalismo, che nei fascismi storici è elemento fondamentale. Nei possibili regimi neofascisti, il nazionalismo non c'è più, sia perché in Europa è in atto una crisi generale dei valori nazionali, sia perché (a livello dei grandi stati moderni industriali) il nazionalismo in sé e per sé non è più sufficiente a giustificare una politica nazionale.

Il neofascismo è un fenomeno che va quindi esaurendosi: i neofascisti vecchi diminuiscono, perché via via muoiono; è un fenomeno che va sendo biologicamente.

In quanto ai giovani, questo neofascismo non ha più presa su di essi, rimangono solo il desiderio di ordine, di autorità e la paura Rossa.

Nel fascismo coevo vi è un ulteriore deficit: la mancanza di quello che era ai tempi un elemento centrale per il fascismo, cioè la rivoluzione. Il neofascismo si occupa infatti di tutto, di salvare l'occidente, della lotta contro il comunismo, della lotta contro la civiltà industriale, ma mai della rivoluzione.


"Io non credo che senza la prima guerra mondiale si sarebbe avuto un fascismo, perché è solo quel conflitto che determina quelle condizioni politiche, economiche, sociali, senza le quali il discorso delle radici sarebbe rimasto senza voce. Insomma, senza guerra niente fascismo." Queste sono, assieme ad brevi considerazioni storiografiche, le ultime parole di De Felice nella sua Intervista.


Per concludere, l'autore ritiene che la storiografia italiana sul fascismo è stata, e sarà ancora per un certo tempo, condizionata dal clima politico. Questo problema va risolto in termini storici, oppure sarà impossibile liberarsi da tutta una serie di contraddizioni e di incapacità nel comprendere la storia italiana, la cronaca e la politica italiana di oggi. Cioè, in ultima analisi, a fare politica seriamente.


Commento personale


Con questa intervista De Felice dimostra come si può impostare un discorso sul fascismo a  prescindere dalla fede antifascista dello studioso. Il metodo non è statico, perché anche il fascismo si è evoluto nel tempo, e quindi deve adattarsi alle varie fasi del fenomeno trattato, ma soprattutto non è superficiale e inesatto, data la grande quantità di fonti adoperate e la loro garantita veridicità. De Felice imposta, con metodi innovativi, un programma di analisi del fascismo che ha la volontà di storicizzarlo.

La cosa più terribile del fascismo che De Felice evidenzia è proprio la popolarità e la fama che questo evento riuscì a conquistare. Nonostante l'oggettività dell'intervista, l'autore informa che, nel libro, un personaggio che viene intimamente criticato e per molti aspetti distrutto è Mussolini.

Viene distrutta non semplicemente la sua capacità tattica e politica, ma la critica è più profonda: Renzo supera le accuse comuni, vere e qualche volta false, che servono solo per distruggerlo sommariamente, credendo che i fatti siano assai più eloquenti e persuasivi di un certo antifascismo da comizio che fa acqua da tutte le parti.

Con l'intervista il lettore viene a conoscenza delle problematiche sulla storia del fascismo e di Mussolini, e nonostante molti dei giudizi e delle informazioni di De Felice siano già noti, questi vengono volgarizzati e per così dire attualizzati attraverso la forma dell'intervista, che è più chiara e veloce proprio perché discorsiva.




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