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Il RISORGIMENTO, IL RISORGIMENTO ITALIANO, LE SOCIETÀ SEGRETE, I Moti Rivoluzionari del 1820-1821, I moti rivoluzionari del 1831, IL FALLIMENTO

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Il RISORGIMENTO in Italia, i suoi più illustri esponenti ed organizzazioni: MAZZINI, GIOBERTI, CAVOUR, GARIBALDI e la CARBONERIA.

Dopo averne scelto uno, approfondiscine la vita, l'operato ed i tratti fondamentali del suo pensiero.




IL RISORGIMENTO ITALIANO

Si dice Risorgimento italiano un insieme di idee e di eventi, un processo durato alcuni decenni, che portò all'indipendenza e all'unità d'Italia.

Il Risorgimento non fu certamente una marcia trionfale. Al contrario, ebbe momenti di gravi difficoltà e, all'inizio, fu caratterizzato da ribellioni represse, da tentativi falliti, da severe sconfitte.



I successi che ottenne furono talvolta conquistati con le armi, talvolta ottenuti con la diplomazia, l'astuzia, l'aiuto di Stati più potenti. Alla fine, tuttavia, il risultato fu raggiunto, anche con i sacrifici e il sangue di molti combattenti, nonostante gli errori, spesso commessi in buona fede, di tanti protagonisti.

L'Italia divisa dai tempi dell'impero romano con il Risorgimento tornò a essere uno Stato unico, libero e indipendente.



LE SOCIETÀ SEGRETE

A partire dal 1820 in Europa si susseguirono tutta una serie di manifestazioni e di rivolte che misero in crisi e poi incrinarono l'ordine stabilito dopo il Congresso di Vienna. Le rivolte si diffondevano da un Paese all'altro con grande semplicità: vi erano sicuramente comuni ragioni di malessere economico, ma il coordinamento delle rivoluzioni liberali dell'Ottocento si ebbe grazie alla fitta rete di relazioni che esistevano nei centri rivoluzionari dei vari Paesi. ½ era quindi una rete rivoluzionaria europea, parallela alla trama di alleanze delle potenze del Congresso di Vienna.

I centri rivoluzionari europei si disposero in diverse organizzazioni politiche clandestine: la più importante di queste fu sicuramente la Carboneria.

I membri di questa organizzazione si ispiravano perlopiù a ideali di costituzionalismo e di liberismo moderato. Ad essa aderirono soldati e ufficiali, medici, avvocati e professori; moltissimi anche gli studenti. I maggiori nuclei della Carboneria erano nel regno di Napoli, nello stato Pontificio, in Piemonte e in Lombardia.

All'interno delle società segrete era però possibile l'esistenza di diversi disegni politici, come nella Massoneria ad esempio: le rivendicazioni sostenute dai gradi inferiori dell'organizzazione potevano magari essere ritenuti una semplice tappa intermedia verso rinnovamenti più profondi da parte dei gradi dirigenti. Queste "realtà parallele" potevano esistere grazie al fatto che i membri delle organizzazioni liberali erano tenuti all'oscuro dei veri piani politici avuti dalla dirigenza, la quale spesso formava sotto-nuclei ristretti all'interno di una medesima società segreta. La base su cui potevano contare le società segrete era piuttosto ristretta, dal momento che queste non cercarono mai l'appoggio delle classi subalterne, cioè per l'epoca soprattutto dei contadini.



I Moti Rivoluzionari del 1820-l821

Fu la Carboneria a organizzare le prime ribellioni contro le monarchie assolute.

Esse iniziarono in Sna dove il re Ferdinando VII di Borbone si era comportato in modo particolarmente sleale.

Impegnatosi a concedere una costituzione quando il paese insorgeva contro Napoleone, egli si rimangiò la promessa una volta che il Congresso di Vienna lo ebbe riportato sul trono. Inoltre riaprì il Tribunale dell'Inquisizione e abolì le Cortes, l'antico parlamento snolo.

Nel gennaio 1820, a Cadice, alcuni ufficiali insorsero con le loro truppe chiedendo il ripristino della Costituzione e la riapertura delle Cortes. La rivolta dilagò e il re fu costretto a cedere: concesse la Costituzione e creò un governo liberale.

Le grandi potenze decisero per il momento di non muoversi: inviare un esercito in Sna comportava il rischio di una sconfitta, dopo che il paese aveva già resistito a Napoleone.

I fatti che si stavano verificando in Sna ebbero come immediato effetto lo scoppio di rivolte nel Regno delle due Sicilie e nel Portogallo: in entrambi i casi i rispettivi sovrani furono costretti a concedere costituzioni liberali. A causa però delle divisioni che poi sorsero fra i rivoluzionari e, in Sicilia anche la componente indipendentista, contribuirono al fallimento del moto rivoluzionario. In Sicilia la provincia di Palermo tentò la ribellione con l'adesione di componenti aristocratiche e popolane, le quali però presto si divisero permettendo al regime borbonico di domare rapidamente la rivolta.

La costituzione liberale rimaneva però ancora in vigore e questo successo riaccese le speranze dei liberali delle altre regioni d'Italia: rivoluzioni in tal senso scoppiarono in Piemonte e in Lombardia. Nel primo caso fu concessa una costituzione liberale in un primo tempo, ma dopo fu prontamente ritirata e i rivoluzionari furono sconfitti militarmente: questa sconfitta rientrava nel quadro generale del successo nella repressione dei moti del 1820-21 ed infatti le rivoluzioni in Sna e in Portogallo furono represse, mentre nel Regno delle Due Sicilie fu ripristinato l'ordine grazie all'intervento dell'esercito austriaco.



I moti rivoluzionari del 1831

In Francia nel 1830 vi fu una rivolta da parte del popolo parigino in protesta contro il re Carlo X e determinò l'ascesa al potere di Luigi Filippo d'Orleans. Il successo di questo moto determinò lo scoppio a sua volta di moti rivoluzionari un anno dopo nei Ducati di Modena e di Parma, e in una parte dello Stato pontificio con l'appoggio del duca Francesco IV, il quale contava sulle rivoluzioni liberali per allargare i suoi possedimenti. Il duca prese accordi con i rivoluzionari che operavano nel suo ducato per fomentare le rivolte in altre regioni italiane: quando però egli si rese conto che l'Austria si sarebbe opposta con le armi a qualsiasi cambiamento nell'assetto politico della Penisola, ritirò immediatamente il suo appoggio ai rivoluzionari e li fece arrestare. Questo cambiamento di rotta del duca non impedì però lo scoppio delle rivolte nelle Legazioni Pontificie e nel Ducato di Parma e in quello di Modena.

Questi moti rivoluzionari, rispetto a quelli del 1820-21, presentavano forti elementi di novità: le classi sociali da cui provenirono i rivoluzionari erano perlopiù borghesi e non più solo militari, in alcuni casi vi fu anche una massiccia partecipazione popolare. ½ fu inoltre un tentativo, riuscito solo parzialmente, di riunire fra loro le varie rivoluzioni: esso fu molto fiaccato da suddivisioni municipalistiche fra le varie zone interessate alle rivolte, ma anche dal riemergere del conflitto fra moderati e democratici.

La Francia non si impegnò in alcun modo nella difesa delle rivoluzioni italiane e così gli austriaci, dopo essersi accertati di questo, poterono reprimere militarmente le varie ribellioni.



IL FALLIMENTO DELLA CARBONERIA

In Italia, il fallimento dei moti del 1821 e del 1831 stimolò una seria riflessione sul perché del loro insuccesso.

Era ormai chiaro che l'azione delle società segrete non poteva condurre ad alcun risultato positivo. Esse infatti erano moltissime (probabilmente oltre cinquecento), non collegate fra loro, limitate a pochi affiliati, operanti solo nelle città. Tra i motivi che ostacolarono l'attività della Carboneria, la società segreta più nota e diffusa, vi erano certamente:

il carattere ristretto dell'organizzazione, che le impediva di diffondersi fra il popolo;

il suo disinteresse per le necessità della gente comune;

la mancanza di un chiaro programma politico e di un collegamento fra i diversi gruppi.



IL NUOVO DIBATTITO POLITICO

Il fine condiviso da tutti i patrioti era quello di liberare l'Italia degli stranieri in particolare dall'Austria, che possedeva direttamente il Lombardo-Veneto e che teneva gran parte degli altri Stati sotto il proprio controllo.

Il vero problema nasceva tuttavia non già sullo scopo da raggiungere, quanto sui mezzi più opportuni per realizzarlo.

Si discuteva se fosse più opportuno cercare di costituire un solido Stato unitario ovvero organizzare le diverse realtà italiane, Stati, regioni o città, in modo da lasciarle più autonome.

Moli sostenevano l'idea della monarchia costituzionale, ma non mancava chi pensava a una repubblica.

In genere i sostenitori della monarchia erano politicamente dei moderati. Essi ritenevano che nel nuovo Stato il diritto di voto dovesse essere limitato ai cittadini proprietari di beni e forniti di un livello minimo di istruzione.

I sostenitori della repubblica erano invece democratici. Credevano nell'uguaglianza dei cittadini e sostenevano che il diritto di voto doveva essere riconosciuto a tutti. Il capo dello Stato non doveva essere un sovrano ereditario, ma un presidente eletto dal popolo.

Inoltre c'era una realtà pratica di cui occorreva tener conto. Apparivano necessari:

un forte esercito per combattere contro gli Austriaci;

l'appoggio di grandi potenze europee;

un sistema politico capace di soddisfare sia il popolo che i gruppi dirigenti, ossia i borghesi e parte degli aristocratici.

I diversi Progetti si concretizzarono quindi in diversi movimenti politici.



IL MOVIMENTO LIBERALE MODERATO

Il movimento liberale moderato otteneva molti consensi nel Lombardo-Veneto e in Toscana, ma si affermò soprattutto in Piemonte. Camillo Benso conte di Cavour, (1810-61) col suo giornale Il Risorgimento (1847), ne fu il più illustre rappresentante. I liberali piemontesi, tra cui anche Cesare Balbo e Massimo d'Azeglio, sostenevano una monarchia costituzionale e parlamentare simile in parte al modello inglese.

In materia di economia erano fautori del liberismo, della proprietà privata, della libertà di commercio fra gli Stati.

Sul piano militare i liberali moderati sostenevano che l'esercito del Piemonte era l'unica forza disponibile in Italia che fosse in grado di affrontare le truppe austriache. Esso doveva essere potenziato da volontari provenienti dal resto d'Italia,e quindi muovere guerre all'Austria.



IL MOVIMENTO CATTOLICO NEOGUELFO

Su posizioni molto distanti dai liberali erano schierati i cosiddetti neoguelfi,un movimento costituito da moderati cattolici. Il loro nome derivava da quello dei guelfi del Medioevo, sostenitori del pontefice.

Essi vedevano nel papato la guida del movimento per l'indipendenza nazionale. Vincenzo Gioberti (1801-52), il neoguelfo più autorevole, con il suo libro più importante (Il primato morale e civile degli italiani) propose di creare una confederazione dei vari Stati italiani sotto la presidenza del papa.

Quando nel 1846 divenne papa Pio IX, un pontefice che pareva abbastanza vicino ai liberali, le speranze di molti italiani resero il movimento neoguelfo molto popolare.

Anche se l'idea di Gioberti si dimostrò poi irrealizzabile, il movimento neoguelfo ebbe grande importanza nell'Italia del tempo: molti cattolici si avvicinarono all'idea dell'indipendenza italiana.


MAZZINI


Il maggior sostenitore dell'idea che l'unità italiana doveva realizzarsi sotto forma di repubblica fu Giuseppe Mazzini (1805-72).

ura di altissimo spessore morale, Mazzini concepì la libertà non solo come un diritto, ma anche come un vero e proprio dovere. La libertà non poteva essere separata dall'uguaglianza e dalla fratellanza fra gli uomini. Doveva quindi essere cercata, voluta, conquistata dal popolo e non chiesta a un sovrano. Il nuovo Stato doveva rappresentare tutti i cittadini e non solo alcuni gruppi privilegiati.

In sostanza, Mazzini fu il primo a sostenere con grande forza l'idea che l'indipendenza italiana doveva essere una conquista di tutto il popolo.

Per diffondere le sue idee Mazzini fondò una nuova società segreta.

La Giovine Italia

Mazzini si rese conto dell'incongruenza strategica di fondo delle varie organizzazioni segrete italiane: esse contavano troppo sull'aiuto esterno (di Paesi stranieri o comunque di sovrani inaffidabili), erano troppo settarie e, limitando la base di consenso alle loro azioni, non avevano un'impostazione unitaria.

Mazzini aveva una concezione originale, in cui la componente democratica si fondeva con quella mistico-religiosa: la religiosità di Mazzini era romantica, in cui Dio si identifica con lo spirito insito nella storia e quindi con la stessa umanità. Secondo Mazzini la rivendicazione dei propri diritti non poteva essere in alcun modo separata dalla consapevolezza dei propri doveri. Mazzini credeva inoltre fermamente nel principio di associazione: al di sopra dell'individuo c'è la famiglia, al di sopra della famiglia la nazione, e al di sopra di tutto l'umanità. La nazione, nella concezione mazziniana, era la cellula fondamentale attraverso cui si sarebbe realizzato il sogno di libertà e fratellanza fra i popoli. Solo uniti in nazioni i popoli avrebbero potuto adempiere alla loro missione storica (cooperare per il bene comune): la concezione mazziniana è dunque molto densa di significati idealistici e non lascia spazio a questioni materialistiche come la lotta di classe.

I valori ideologici di Mazzini possono essere ritenuti poco concreti: ma questa valutazione non può essere assolutamente operata per quanto riguarda il suo programma politico. Per Mazzini l'Italia doveva diventare unita, indipendente e repubblicana, senza cedere al compromesso monarchico. Il solo modo per giungere a questo risultato era l'insurrezione di popolo: per organizzare questo tipo di insurrezione Mazzini fondò proprio la Giovine Italia, la quale aveva un programma pubblico per favorire l'allargamento del consenso di base.

Le idee di Mazzini, però, incontrarono fortissime opposizioni: liberali, moderati, borghesi, aristocratici temevano il suo programma democratico; i sovrani italiani, anche quelli più tolleranti, lo fecero spesso arrestare o esiliare.

Nessuno volle realizzare il suo programma di educazione popolare, che era ritenuto troppo avanzato; e, per quanto fosse profondamente religioso, non riuscì mai ad avere l'appoggio dei cattolici più vicini agli ideali neoguelfi o a quelli liberali.


I DEMOCRATICI FEDERALISTI

La necessità di garantire alle classi più povere migliori condizioni di vita era sostenuta con forza dai democratici.

Carlo Pisacane (1818-57), sosteneva la necessità di abolire la proprietà privata.

Giuseppe Ferrari e Carlo Cattaneo erano invece sostenitori del federalismo. Essi sostenevano che l'Italia avrebbe dovuto essere una repubblica costituita da un insieme di Stati federati, come gli Stati Uniti d'America, proprio perché avvertivano le profonde differenze esistenti tra le varie regioni italiane.

Erano quindi contrari alla monarchia, sostenendo che il popolo non poteva aspettarsi la libertà dalle concessioni dei sovrani.



IL POPOLO E IL RISORGIMENTO

Ci possiamo a questo punto domandare  quale sia stata la diffusione degli ideali risorgimentali fra il popolo italiano.

Certamente le teorie più progressiste come quelle di Mazzini e dei democratici, ebbero fra le masse scarso seguito: erano idee di intellettuali e di borghesi, discusse e diffuse soprattutto fra di loro.

Lo stesso si può dire per l'opera di Gioberti: sicuramente il popolo italiano era profondamente cattolico e la religiosità era allora assai più diffusa di oggi; ma le proposte di Gioberti si indirizzavano sempre ad ambienti relativamente ristretti: intellettuali, borghesi, piccola nobiltà, ecclesiastici.

Anche le idee più semplici e, in particolare quella dell'indipendenza nazionale, furono all'inizio poco diffuse e appartennero a una piccola minoranza: esse si diffusero fra il popolo solo in seguito con gli entusiasmi suscitati dalle imprese di Garibaldi. D'altro canto, è vero che ogni movimento rivoluzionario viene sempre iniziato da piccoli gruppi.

Lo stesso avvenne anche nell'Italia del Risorgimento: l'iniziativa partì da ristretti gruppi di borghesi e di nobili. Il popolo italiano fu dapprima escluso, poi iniziò a partecipare più numeroso ai moti e alle sollevazioni, soprattutto nelle città.










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