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NAPOLEONE III



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NAPOLEONE III

Dopo che in Francia fu promulgato lo statuto Albertino la situazione politica complessiva subì un ulteriore accelerazione: a Parigi esplose un tumulto rivoluzionario, cosi che Luigi Filippo scelto come sovrano della Francia perché liberale, dopo aver inasprito la situazione politica con proibizionismi e alte tasse, fu costretto ad abdicare. Il popolo parigino per contrastare l'esercito blocco le principali strade delle città con barricate. Quest'ultime erano democratiche per natura, cioè erano il luogo fisico in cui le masse in rivolta impegnavano lo scontro con il potere che essere volevano rovesciare. Le barricate furono devastanti, il 1848 fu disastroso per l'intera Francia. Il popolo parigino era insorto per ottenere libertà di associazione e di discussione. Una volta sconfitto il re, venne istituito un nuovo regime, di tipo repubblicano e democratico che tendo di rilanciare il diritto al lavoro mediante i laboratori nazionali. I conservatori, timorosi di una rivoluzione sociale riacquistarono tuttavia in fretta il controllo della situazione, cosi che quando il governo repubblicano emano un decreto che escludeva i lavoratori non sposati dai laboratori nazionali vi fu di nuovo una vasta insurrezione operaia. Parigi si ricopri di nuovo di barricate, sedate però dopo pochi giorni di violenti combattimenti. La rivoluzione era pericolosa, e per soddisfare le richieste degli operai se ne poteva anche fare a meno. La borghesia cessò di essere rivoluzionaria. Di conseguenza, quando in tutta Europa si diffuse la notizia dell'insurrezione operaia di Parigi, mise in allarme un gran numero di persone che erano avversari dell'assolutismo, chiedevano la libertà e desideravano l'ammodernamento dell'economia. Questi uomini, nobili e borghesi, si convinsero che la repubblica e il suffragio universale erano un passo verso la distruzione dell'ordine sociale e la distruzione della proprietà privata. In Francia, dopo la sconfitta della rivolta operaia fu varata una nuova costituzione che concesse ampi poteri al presidente della Repubblica. Alle elezioni fu eletto Luigi Napoleone Bonaparte, un uomo con le stesse ambizioni dello zio, ma con meno capacità. Vinse grazie al voto dei contadini che restarono affascinati dal suo nome e dalla speranza di un rinnovamento. Cosi incoraggiato dal loro consenso, procedette ad un colpo di stato e si proclamò imperatore dei francesi con il titolo di Napoleone III. Nel 1866, dopo che la Prussia si  era messa a capo di un vasto complesso politico tedesco, la Francia di Napoleone III protestò, poiché si trattava di un alterazione all'equilibrio fissato a Vienna, e richiese, come compenso il Belgio e il Lussenburgo. I rapporti tra Prussia e Francia si fecero tesi e si arrivò alla guerra aperta: fu una vera e propria guerra nazionale franco-tedesca. Al termine dello scontro i militari e l'imperatore francesi vennero fatti prigionieri dai tedeschi. La cattura di Napoleone III provocò l'immediata proclamazione della Repubblica, che decise di resistere. Parigi venne assediata dall'esercito tedesco fino a quando il governo repubblicano decise di arrendersi.




GUERRE D'INDIPENDENZA IN ITALIA La notizia della rivoluzione parigina si diffuse in tutta Europa. In Italia, la prima a insorgere fu Venezia, che riuscì a espellere gli austriaci e proclamare la repubblica veneta; stessa cosa a Milano, dopo "le cinque giornate". Il re di Sardegna Carlo Alberto, per timore che esplodesse una rivoluzione anche a Torino decise di entrare in guerra contro l'Austria, malgrado le opposizioni di alcuni tra i più prestigiosi dirigenti della rivoluzione milanese come ad esempio Carlo Cattaneo. Un convinto sostenitore della democrazia, che si ispirava al modello federalista, che considerava l'unico rispettoso delle notevolissime differenze tra una regione e l'altra della penisola. Quindi al contrario della proposta mazziniana egli proponeva l'ipotesi di uno stato repubblicano (ipotesi federalista). Secondo Cattaneo l'intervento di un sovrano conservatore e moderato con Carlo Alberto era un ostacolo per lo sviluppo della repubblica e della democrazia, sia in Lombardia si nel resto dell'Italia. In effetti sia la Lombardia sia il Veneto furono costretti ad unirsi al Regno di Sardegna, rinunciando alla propria sovranità. La speranza del sovrano era quella di riuscire a costruire un vasto regno dell'Alta Italia, approfittando delle difficoltà dell'impero asburgico. Tuttavia l'esercito austriaco restò compatto e fedele all'imperatore che ricevette in Ungheria il sostegno delle truppe russe. Nella decisiva battaglia di Custoza, il Piemonte venne pesantemente sconfitto e Carlo Alberto fu costretto all'armistizio. Il conflitto riprese e si concluse di nuovo con la disfatta del Piemonte e con l'abdicazione di Carlo Alberto a favore del lio Vittorio Emmanuele II. Il fallimento dei progetti del re di Sardegna non significò la fine delle turbolenze rivoluzionarie in Italia: Roma, repubblica democratica, era guidata da Mazzini, mentre Venezia continuava la lotta contro gli austriaci. Roma fu espugnata dalle truppe francesi, Venezia modulò. La grande insurrezione generale si concludeva con un fallimento generale. Vittorio Emanuele II tuttavia scelse di non revocare lo Statuto Albertino, per cui il regno di Sardegna, rimase una monarchia costituzionale. Tutto quindi tornò come prima. Negli anni conseguenti il regno di Sardegna fu assorbito dalla guerra. Solo più tardi fu possibile affrontare anche dei problemi relativi alla modernizzazione dello stato e dell'economia. Se nel primo momento il sovrano era deciso a governare e prendere decisioni da solo, in seguito si rassegnò a scegliere come Presidente del Consiglio l'esponente più prestigioso della maggioranza parlamentare uscito dalle elezioni. Una delle principali questioni del periodo erano i rapporti tra Stato e Chiesa. In effetti quest'ultima nel Regno, godeva ancora di notevoli privilegi e vantaggi che l'illuminismo e la rivoluzione francese avevano cancellato da tempo. Il provvedimento più innovativo furono le leggi proposte dal ministro Siccardi: l'abolizione del foro ecclesiastico e il diritto d'asilo in chiese e conventi.

Nel corso della discussione in Parlamento si mise alla luce CAMILLO BENSO, CONTE DI CAVOUR che rivestì l'incarico di ministro dell'agricoltura, affidatogli visto il vasto possedimento nella camna piemontese e l'introduzione di alcune innovazioni.  Cavour aveva visitato molte delle città europee, uscendone con la convinzione che era necessario mettere il Regno di Sardegna al pari con le terre che aveva visitato e allo stesso tempo si era reso conto anche della superiorità morale dei regimi liberali su quelli assoluti. Cavour fu un liberale moderato d'ispirazione alla monarchia costituzionale inglese. Decisamente ostile con i repubblicani e totalmente contrario all'allargamento del suffragio: un giusto mezzo fra immobilismo dei conservatori e la rivoluzione dei democratici, nella convinzione che proprio le riforme fossero in grado di evitare le crisi. Su tale progetto politico riformatore riuscì ad aggregare ampi consensi, unendo centro-sinistra e centro destra, insomma formando una forte maggioranza ad un tempo riformatrice, aperta e nuova, e moderata, preoccupata dell'ordine sociale e nemica della rivoluzione. Cavour venne nominato presidente del Consiglio e procedette all'attuazione del suo progetto modernizzatore. Nel campo del commercio con l'estero, adottò una linea liberista: compatibile con una forte presenza dello stato nella vita economica, almeno in quei settori che necessitavano di ingenti investimenti di capitali. Purtroppo però una simile strategia comportò l'aumento della tassazione e la rinuncia della parità del bilancio ovvero un pesante indebolimento dello stato, che non riusciva, con le sole imposte a coprire le enormi spese richiese per dalla modernizzazione del paese. L'inizio della crisi dell'impero ottomano di tutto l'800 fu l'indipendenza della Grecia. La Russia approfittò subito di tale indebolimento per imporsi sul governo di Costantinopoli, e dopo che lo zar si fu proclamato protettore di tutti i cristiani ortodossi residenti nell'impero ottomano, aprì le ostilità, sicura della facile vittoria. Lo zar però, non aveva messo in conto la reazione delle potenze europee, preoccupate dell'espansione della Russia, che sarebbe andata contro l'equilibro del Congresso di Vienna: in effetti Inghilterra e Francia intervennero a fianco dell'impero ottomano. Gli anglo-francesi sconfissero i russi obbligandoli a ritirarsi a Sebastianopoli, dove anche il regno di Sardegna era intervenuto a fianco dell'alleanza (seconda guerra d'indipendenza) in modo che anche Cavour avrebbe potuto partecipare al Congresso di Parigi che avrebbe definito i termini del trattato di pace con la Russia che l'avrebbe fatto entrare a contatto con le grandi potenze europee. In effetti Cavour aspirava all'aiuto della Francia, interessata anche lei alla modifica dell'assetto italiano, per scongere gli austriaci e liberare il Piemonte. Dopo l'incontro e l'accordo, dal momento che ebbe la certezza dell'aiuto francese, Cavour preparò la guerra contro l'Austria, convinto ormai che i tempi dell'espulsione dell'Austria dall'Italia erano maturi, sicuro che l'unità d'Italia si sarebbe dovuta svolgere in modo graduale e con il consenso delle grandi potenze. La guerra contro gli austriaci, fu affidata a Giuseppe Garibaldi. Poco tempo dopo, la stessa Austria dichiarò guerra al Regno di Sardegna. Mantenendo fede agli impegni Napoleone III intervenne in Italia. Nei mesi seguenti, mentre gli austriaci erano costretti ad abbandonare la Lombardia, in Emilia Romagna e Toscana si verificarono delle insurrezioni popolari, che instaurarono governi provvisori che si sottomisero subito all'autorità di Vittorio Emanuele II. Napoleone si rese conto che sarebbe stato impossibile prendere il posto dell'Austria nel controllo dell'Italia, e senza consultare Cavour, si affrettò a stipulare l'armistizio di Villafranca con l'Austria. Un anno dopo il Piemonte e la Francia trovarono un accordo: in cambio di Nizza e della Savoia, Napoleone III, acconsentì all'annessione della Toscana, dell'Emilia e della Romagna nel Regno di Sardegna. Per quanto la situazione italiana sembrasse bloccata, tempo dopo esplose a Palermo un'insurrezione popolare, che fu immediatamente sfruttata da Garibaldi che organizzò una speciale spedizione militare, finalizzata a portare la rivoluzione nel Regno delle Due Sicilie, sicuro del sostegno popolare dato che era a sostegno e rafforzo di una rivolta già esplosa. Dopo essere partiti da Quarto, approdarono in Sicilia, sconfissero l'esercito borbonico ed entrarono a Palermo. Pacificata la Sicilia dopo un insurrezione contadina, dato che l'interesse di Garibaldi era soltanto l'appoggio della borghesia, sbarcò a Napoli con l'intenzione, successivamente di entrare a Roma, a costo di scatenare la reazione della Francia che difendeva il Papa. Consapevole di questo, il regno di Sardegna intervenne per fermare Garibaldi che, accettò di rimettere il proprio esercito nelle mani di Vittorio Emanuele II. Nel 1861, quest'ultimo venne nominato re d'Italia per grazia di Dio e volontà della nazione: Torino fu la prima capitale del nuovo regno. Il nuovo stato unitario era un regno, non era democratico, in quanto rimaneva ancora il suffragio censitario, ma fu senza dubbio un importante evento politico, anche se non significò praticamente nulla per i ceti più umili che non cambiarono in nessuna maniera le loro dure condizioni di vita e di lavoro. Nel 1866 allo scoppio della guerra austro-prussiana, il regno d'Italia era alleato con la Prussia: sotto il profilo militare, questa terza guerra d'indipendenza, fu un vero disastro. Nonostante ciò, la vittoria della Prussia obbligò gli Austriaci a cedere all'Italia il Veneto. Nell'impero asburgico, la disfatta provocò una grave crisi di credibilità nei confronti della monarchia: l'Ungheria minacciò di ribellarsi, tuttavia, venne trovato un accordo, concedendogli un ampio margine di autogoverno. L'impero venne diviso in due parti che facevano riferimento a Vienna e a Budapest, unite dall'imperatore e dal governo centrale. La vittoria tedesca, invece risultò decisiva per l'annessione di Roma al regno d'Italia, infatti dopo la disfatta di Sedan, i francesi che difendevano la città del Papa si ritirarono e le truppe italiane poterono entrare nel Lazio e occupare Roma che divenne dopo Torino e Firenze la capitale del Regno d'Italia. Il Papa, per protesta, si chiuse nei palazzi del Vaticano: per quasi 40 anni il papato vide nel nuovo stato unitario solo una costruzione violenta e illegittima e poiché non era opportuno che i fedeli collaborassero con essa, i cattolici si astennero dal voto e dalla vita politica. Il nuovo stato unitario era liberale, secondo cui tutti i cittadini erano uguali davanti la legge. L'opposizione cattolica al nuovo stato unitario, nasceva sia da motivazioni politiche che religiose. Solo nel ventesimo secolo la chiesa avrebbe riallacciato i riallacciato i suoi rapporti con l'Italia.



BISMARK Al congresso di Vienna, la Germania era stata suddivisa in piccoli stati sovrani, riuniti in una confederazione, presieduta dall'Austria: ciascuna realtà era ben diversa dall'altra. Sull'onda delle rivoluzioni del momento, esplosero moti e disordini in numerose città delle Germania. A Francoforte, si riunirono deputati di ogni parte del paese, decisi di offrire al re di Prussia la corona d'imperatore tedesco. Il sovrano prussiano, rifiutò l'offerta proveniente dal basso, che avrebbe messo in discussione l'idea stessa di monarchia per diritto divino e avrebbe obbligato il monarca a dividere il potere con un parlamento eletto dai cittadini. Tornato l'ordine, il re di Prussia ritenne comunque opportuno concedere una costituzione. Tutti i tentativi in Germania di promuovere una evoluzione di tipo inglese risultavano inconcludenti: anzi nel momento in cui divenne cancelliere Bismark, si scelse la strada del liberalismo, poiché era un aristocratico convinto che il potere del sovrano e del suo governo non dovesse essere ostacolato dall'attività del governo. Bismark, dopo aver ottenuto una facile vittoria insieme con l'Austria contro la Danimarca, si rese conto del fatto che esistevano le condizioni perché la Prussia assumesse il ruolo di potenza principale all'interno della Germania. Nel 1866 la Prussia entro in guerra con l'Austria e riuscì a sbaragliarne l'esercito. La vittoria permise alla Prussia di mettersi a comando di un vasto territorio: andando contro gli equilibri fissati a Vienna, la Francia aprì le sue ostilità portandole alla guerra franco-tedesca. Al termine dello scontro l'imperatore e i soldati francesi vennero fatti prigionieri: rinacque ufficialmente il Reich tedesco e il re Guglielmo I fu proclamato Kaiser del nuovo stato. Il successo di Bismark appariva totale, tanto che era riuscito a far si che fosse assente ogni tipo di contributo popolare. Nella Germania il prestigio di Bismark era enorme tanto che ai liberali tedeschi fu impossibile contrastare il suo rifiuto alla introduzione di un vero sistema parlamentare ed una vera separazione dei poteri: il Reich tedesco resto una monarchia semi assoluta.  


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