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L'amministrazione degli interessi dei cittadini - POLITICA E AMMINSTRAZIONE PUBBLICA - Amministrazione di regolazione

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PRIMO CAPITOLO: L'amministrazione degli interessi dei cittadini


L'AMMINISTRAZIONE IN GENERE E AMMINISTRAZIONE PUBBLICA

Col termine amministrazione ci si riferisce alla cura di interessi, quindi chi ha delle cose alle quali è interessato deve prendersene cura, deve provvedere cioè alla loro amministrazione. Nel campo giuridico essa indica la cura degli interessi altrui. Quindi per esempio nel caso dell'amministrazione di un condominio, gli amministratori devono provvedere alla cura degli interessi di un gruppo di proprietari. Il concetto di amministrazione pubblica si riferisce a un'attività funzionale agli interessi dell'insieme dei cittadini in relazione ai diversi insediamenti territoriali.


POLITICA E AMMINSTRAZIONE PUBBLICA

Il nostro sistema sociale è fondato sul principio di libertà secondo cui ciascun individuo è libero di stabilire i propri interessi e di soddisfarli nella maniera che preferisce. Tale obiettivo non può essere sempre raggiunto con facilità in quanto ci sono interessi che non possono essere soddisfatti da ciascuno individualmente, sono necessari dei mezzi dei quali le persone non dispongono in concreto, o talvolta è necessario che l'individuo appartenga ad un gruppo sociale definito. Per soddisfare i propri interessi, un individuo potrebbe incontrare anche problemi di inconciliabilità, dal punto di vista oggettivo in quanto le risorse non sono sufficienti a soddisfare gli interessi di tutti, e dal punto di vista soggettivo in quanto alcuni interessi possono risultare incompatibili con quelli di altri. Ad esempio gli abitanti di una certa zona territoriale possono avere l'interesse a che si vietino le attività produttive che determinano inquinamento atmosferico, ma ciò potrebbe determinare il licenziamento dei lavoratori dell'impresa i quali hanno un interesse opposto a quello dei primi. E' necessario che il diritto di ciascun individuo a stabilire e a soddisfare liberamente i propri interessi si accomni al dovere di solidarietà nei confronti degli altri. Occorre inoltre che le persone individuino delle organizzazioni che provvedano alla cura dei loro interessi, le quali devono mettere a disposizione opportuni strumenti per la loro realizzazione e consentire alle persone di soddisfarli in modo autonomo. Nel caso in cui non sia possibile soddisfare gli interessi di tutti, sarà necessario che si operino delle scelte al fine di stabilire gli interessi che verranno realizzati. In tal senso, le persone possono provvedere alla cura dei propri interessi associandosi liberamente con altre, costituendo così delle organizzazioni private. Quando le persone non possono provvedere a tale esigenza con le loro libere iniziative, possono ricorrere alle organizzazioni pubbliche. Esistono apposite organizzazioni dette pubblici poteri che provvedono alla cura degli interessi dei cittadini in relazione ai diversi livelli territoriali, come i Comuni, le Province, lo Stato e l'Unione Europea. I pubblici poteri possono essere distinti a seconda della funzione che svolgono e in base alla loro composizione, in apparati politici e amministrativi. Gli apparati politici svolgono la funzione di individuare gli interessi che non possono essere soddisfatti privatamente e che richiedono dunque un intervento pubblico, e stabilire quali tipi di interessi siano da preferire nel caso in cui bisogna operare delle scelte. Sono esempi di apparati politici un ministro o una giunta comunale. Gli interessi che vengono scelti sono chiamati interessi pubblici ma quest'ultimi possono anche derivare dai compiti attribuiti agli apparati politici, dai fini da raggiungere e dal contenuto di norme. Talvolta, per operare le scelte sugli interessi da realizzare, le amministrazioni devono osservare delle disposizioni normative con un'attività che risulta vincolata. Per esempio in un'area dove è vietata l'edilizia, deve essere rifiutato il permesso richiesto per realizzare un edificio. Altre volte, sono necessarie ulteriori scelte le quali anche se non sono predefinite dalla legge devono conformarsi a degli indirizzi legislativi, e deve essere svolta quindi un'attività discrezionale. Per esempio il Sindaco di un luogo coordina gli orari dei servizi pubblici sulla base degli indirizzi espressi dal consiglio comunale e nell'ambito dei criteri indicati dalla Regione. Gli interessi che vengono realizzati mediante tali scelte sono il contenuto di una funzione detta di indirizzo-politico. Gli apparati amministrativi hanno il compito di attuare gli indirizzi politici e di curare gli interessi pubblici. Essi devono assicurare che la soddisfazione degli interessi che sono stati scelti avvenga nel rispetto delle garanzie riconosciute dal diritto e nel rispetto di specifici principi costituzionali. Gli apparati politici costituiscono un sistema che si basa sul principio democratico; tale principio deve essere rispettato affinché tali apparati possano considerarsi costituzionalmente legittimati allo svolgimento delle loro funzioni. Quelli più importanti sono composti da persone che possono essere individuate sia direttamente che indirettamente: direttamente, ovvero dal Parlamento, dai consigli regionali, provinciali o comunali o dai rispettivi presidenti di tali consigli, e indirettamente in quanto nominate da quest'ultimi o che almeno debbono goderne la fiducia, come accade per i ministri. I membri degli apparati politici sono chiamati rappresentanti dei cittadini e svolgono un'attività detta responsabilità politica in quanto devono dar conto di queste ai cittadini. Quando l'apparato è formato da più persone, le decisioni solitamente vengono prese secondo il principio di maggioranza, nel senso che tra più proposte prevale quella che ha ottenuto la maggioranza di consensi. Le modalità di scelta dei membri dell'apparato politico e le regole che devono essere osservate nello svolgimento delle loro attività, debbono essere coerenti con le loro funzioni; in particolare devono essere rispettati i principi costituzionali di imparzialità e buon andamento dell'amministrazione disciplinati dagli art. 97 e 98 della Costituzione. I componenti di questi apparati vengono anche detti politici. Quando invece ci si riferisce agli apparati amministrativi o anche detti amministrazioni, i loro membri vengono definiti burocrati o tecnici. Quando i legami organizzativi tra apparati politici e amministrazioni, sono particolarmente stretti, gli apparati amministrativi vengono chiamati uffici di quel dato pubblico potere, e l'insieme degli apparati politici e degli uffici viene considerato un'unica persona giuridica. Quando gli apparati amministrativi hanno una personalità giuridica autonoma essi vengono chiamati enti pubblici. Quando gli apparati amministrativi possono essere tenuti ad attuare anche indirizzi provenienti da apparati politici diversi da quelli dei pubblici poteri dei quali sono uffici, si parla di amministrazione indiretta.




"INTERESSE PUBBLICO" E "DISCREZIONALITA' AMMINISTRATIVA"

Al termine interesse pubblico, talvolta si tende ad attribuire il significato di bene comune. Spesso vengono considerati pubblici, gli interessi che in un dato momento storico si tende a considerare interessi generali, cioè comuni alla generalità delle persone che costituiscono il gruppo sociale di riferimento di un pubblico potere; a volte vengono considerati pubblici anche interessi che non sono sentiti come generali. Mentre vengono ritenuti privati gli interessi esclusivamente individuali. Talvolta possono essere considerati come interessi pubblici interessi di privati che contrastano con gli interessi di altri privati. In genere un interesse pubblico è un insieme di interessi privati, e dal punto di vista giuridico vengono considerati pubblici quegli interessi che vengono definiti come tali dagli apparati politici. Le amministrazioni pubbliche hanno il compito di  individuare in concreto l'interesse al quale verrà data una particolare attenzione; tale interesse di cui esse stesse si prenderanno cura è detto interesse pubblico primario. L'interesse pubblico in concreto verrà definito a posteriori.


DIRITTO AMMNISTRATIVO E DIRITTO DELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE

L'amministrazione pubblica può essere intesa in senso soggettivo designando apparati, e in senso oggettivo designando attività. Per lungo tempo essa era sinonimo di amministrazione statale perché questa era l'amministrazione pubblica per eccellenza e il diritto che la riguardava era anche quello delle amministrazioni ad essa subordinate e che venivano considerate minori. Attualmente vi è una pluralità di amministrazioni pubbliche che si riferiscono in modi diversi ai differenti centri di indirizzo politico.







SECONDO CAPITOLO: Il diritto delle amministrazioni pubbliche


LE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE E IL DIRITTO

Il principio giuridico fondamentale del diritto delle amministrazioni pubbliche è considerato il principio di legalità. Questo principio viene ancora inteso nel senso che le amministrazioni pubbliche potrebbero fare solo ciò che è prescritto dalla legge e solo mediante gli atti previsti dalla legge. Quelle pubbliche italiane sono amministrazioni di un ordinamento statale definito stato di diritto, e la Comunità Europea è stata definita dalla Corte di Giustizia delle Comunità Europee comunità di diritto. In un qualsiasi stato di diritto vige il principio del dominio della legge (rule of law) nei confronti di qualsiasi soggetto dell'ordinamento; quindi anche le amministrazioni pubbliche come qualsiasi altro soggetto giuridico devono rispettare la legge e sono soggetti ad essa e all'interpretazione che ne danno i giudici. Una parte del diritto privato si può applicare sia ai privati sia alle amministrazioni pubbliche e viene detta diritto comune dei soggetti pubblici e privati; in casi particolari si applica invece un diritto speciale. Secondo l'art. 1 c. 1 -bis, la pubblica amministrazione nell'adozione di atti di natura non autoritativa agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente. Quindi secondo tale disposizione l'azione di una pubblica amministrazione è retta dalle norme di diritto privato salvo per due accezioni alla regola generale. La prima accezione riguarda l'ipotesi che gli atti delle amministrazioni abbiano natura autoritativa. Gli atti di natura autoritativa consentono l'esercizio di poteri che vengono attribuiti alle pubbliche amministrazioni in diversi campi e costituiscono dei provvedimenti che limitano la sfera giuridica dei privati a prescindere dal loro consenso, come nel caso dell'espropriazione. Le amministrazioni adottano questi atti soprattutto nell'esercizio della funzione di regolazione. La seconda accezione si ha quando la legge dispone diversamente, ovvero quando la legge può disporre che l'attività delle amministrazioni sia sottoposta a un diritto diverso da quello privato, ovvero al diritto amministrativo. Il regime di diritto amministrativo si applica agli atti chiamati amministrativi. Secondo l'art. 1 c. 1 -ter, i soggetti privati preposti all'esercizio di attività amministrative devono assicurare il rispetto dei principi generali dell'attività amministrativa secondo criteri di economicità, efficacia, pubblicità e trasparenza. Quindi se il legislatore pretende il rispetto di questi principi anche quando le attività sono svolte secondo le norme di diritto privato, egli ritiene che non ci siano delle contraddizioni, a meno che si richiedesse il rispetto del diritto amministrativo nel suo complesso.


LA LEGALITA' IN FUNZIONE DI INDIRIZZO E IN FUNZIONE DI GARANZIA

Per quanto attiene alla legalità in funzione di indirizzo, per rispettare il principio è necessario che la legge stabilisca i fini che un'amministrazione deve perseguire senza che vengano determinati i modi in cui questi devono essere raggiunti. In relazione a tale principio la legge deve essere intesa in riferimento ai diversi tipi di legge, in riferimento alle altre fonti del diritto e, agli atti che possono indicare obiettivi che devono essere perseguiti dalle amministrazioni; tali atti possono appartenere sia all'ordinamento italiano sia all'ordinamento dell' UE. Il principio di legalità ha anche un altro significato che evidenzia un'altra funzione, cioè quella di garanzia. La Costituzione, in funzione di garanzia delle libertà dei cittadini, prevede delle riserve di legge secondo le quali l'amministrazione può adottare atti autoritativi ai quali oltre al rispetto del principio di legalità con funzione di indirizzo, si richiede il rispetto dello stesso principio ma con funzione di garanzia. In tal senso la legalità indica che tali poteri possono essere esercitati soltanto se, da chi, quando e come la legge stessa lo preveda, ovvero secondo il principio di tipicità. La legalità offre inoltre un'importante garanzia nei confronti di possibili arbitri delle amministrazioni in quanto i poteri dell'amministrazione devono essere esercitati in modo conforme ad un preciso parametro normativo precostituito, che rende possibile la verifica di tale conformità da parte di un giudice, così da garantire la giustiziabilità degli atti dell'amministrazione pubblica.



DIRITTO ITALIANO E DIRITTO COMUNITARIO

Secondo il cosiddetto principio di attribuzione la Comunità Europea agisce nei limiti delle competenze e degli obiettivi che le sono assegnati dal Trattato; quindi in base a questo principio alla Comunità non spetta di occuparsi di tutti i possibili interessi pubblici della popolazione europea. La sua azione non può estendersi oltre il necessario raggiungimento degli obiettivi del Trattato, e può intervenire nei settori non di sua competenza secondo il principio di sussidiarietà verticale o istituzionale, solo nel caso in cui gli Stati membri non riescano a raggiungere gli obiettivi che possono essere realizzati a livello comunitario. Secondo il Trattato, sono state attribuite alla Comunità Europea delle competenze di una vasta area di materie: commercio, industria, agricoltura, politiche sociali, istruzione professionale, cultura e ricerca. Secondo il principio dei poteri impliciti oltre alle competenze attribuite in modo esplicito alla Comunità devono ritenersi che ad essa spettino implicitamente anche le competenze strumentali all'esercizio delle prime. Il Consiglio della Comunità può attribuirle delle competenze con la necessità del voto unanime, qualora un'azione risulti necessaria per raggiungere uno scopo della Comunità. Le fonti comunitarie prevalgono su qualsiasi fonte statale degli Stati membri. Possono imporsi anche alla Costituzione italiana solo se vi siano dei contrasti con i diritti inviolabili affermati nella nostra carta. La necessità del rispetto di tali fonti è oggi sancita dal primo comma dell' art. 117 Cost. anche se si ritiene che nell'art. 11 Cost. vi era già un fondamento giuridico della preminenza di tali fonti su quelle italiane. I Trattati, chiamati fonti primarie dell'ordinamento comunitario, prevedono che le istituzioni comunitarie possano emanare atti, detti fonti derivate, che contengono disposizioni mirate ad imporsi agli Stati membri e ai loro cittadini. La Corte di Giustizia della Comunità Europea ha definito questi trattati "la carta costituzionale di una comunità di diritto" e ha riconosciuto loro la natura di una vera e propria costituzione, in quanto possono prevalere su quest'ultima e costituiscono il parametro di legittimità di altri atti comunitari che a loro volta possono prevalere sulle fonti di diritto del nostro ordinamento. Questi trattati sono chiamati comunemente Trattati-Costituzione. Nonostante le disposizioni dei trattati siano spesso formulate in termini di obblighi per gli Stati membri o per le istituzioni comunitarie, la Corte di Giustizia afferma che da tali disposizioni hanno origine dei diritti dei cittadini, nei confronti degli Stati membri o delle istituzioni comunitarie per effetto riflesso degli obblighi imposti a quest'ultimi; questo è il cosiddetto effetto verticale. Successivamente è stato affermato che si può riconoscerle come fonti di diritti, opponibili allo Stato, alle istituzioni e ai soggetti privati; questo è il cosiddetto effetto orizzontale. Il diritto comunitario ha origine anche in altre fonti, dette derivate. Per esempio l'art. 249 TrCE prevede che le istituzioni comunitarie di governo adottano regolamenti e direttive, prendono decisioni, e formulano raccomandazioni e pareri. In tale disposizione il regolamento ha portata generale, è obbligatorio in tutti i suoi elementi ed è direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri. Per quanto concerne la cosiddetta disapplicabilità delle fonti statali, quando si hanno dei contrasti con il diritto comunitario si devono applicare le norme comunitarie. Le leggi in contrasto con fonti del diritto comunitarie sono state dichiarate incostituzionali dalla Corte Costituzionale, e interposte agli effetti del giudizio di costituzionalità. Questa disposizione intendeva stabilire che, le previsioni delle direttive non dovevano essere direttamente applicate in uno Stato membro senza che ne fossero previamente definite le modalità di attuazione con le fonti proprie dell'ordinamento statale. Di solito l'interesse pubblico primario in funzione del quale si svolge l'attività amministrativa è determinato dalle direttive comunitarie. La Corte di Giustizia ha stabilito che coloro a cui una direttiva attribuisca diritti nei confronti dello Stato membro, essi possono pretenderne l'attuazione da parte dello Stato stesso senza aspettare che questo si attivi. Tali direttive sono chiamate self-executing, cioè sono direttamente applicabili agli Stati membri. L'effetto diretto verticale si può vedere nel fatto che per l'attuazione della direttiva non si deve aspettare che lo Stato si attivi. Queste direttive hanno la stessa efficacia di quelle comunitarie e devono essere applicate da qualsiasi amministrazione pubblica anche se contrastano con atti dell'ordinamento statale italiano aventi forza di legge. Quanto appena detto vale anche per le disposizioni contenute in una decisione definita obbligatoria per i destinatari ai quali è designata.

Al fine di interpretare leggi nazionali e completare norme comunitarie vincolanti, devono essere presi in considerazione le cosiddette raccomandazioni che sono atti non vincolanti, e alcuni atti atipici come le comunicazioni. Fonte dell'ordinamento comunitario è anche la giurisprudenza dei giudici comunitari.

L'art. 1 c. 1 della Legge sul Procedimento Amministrativo dispone che l'attività amministrativa deve essere retta anche dai principi dell'ordinamento comunitario. Quindi vi sono principi derivabili direttamente dalle norme comunitarie, come quello della non discriminazione e quello della massima possibile trasparenza del modo in cui sono prese le decisioni, e vi sono anche dei principi a quali si fa ricorso in assenza di norme comunitarie, cioè quelli ricavabili dagli ordinamenti statali. Talvolta non è sempre possibile trovare dei principi comuni ai diversi ordinamenti statali ogni volta sia necessario; infatti, i giudici comunitari determinano tali principi in relazione a un metodo chiamato della "azione valutativa" dei principi dei diritti costituzionali e amministrativi degli Stati membri. La giurisprudenza ha enunciato i principi rilevanti per l' attività amministrativa; essi sono: legalità, proporzionalità, sicurezza giuridica, non retroattività degli atti amministrativi e legittimo affidamento, diritto di essere sentito prima che sia presa una decisione sfavorevole e corretto procedimento. Nel 2000 il Consiglio europeo ha proclamato una Carta dei diritti fondamentali dell'UE con la quale ha riaffermato i diritti derivanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri. Uno dei principi più importanti di questa Carta è il diritto ad una buona amministrazione che consiste nel diritto di ciascun individuo a che le istituzioni comunitarie trattino le sue questioni in modo imparziale, equo ed entro un termine ragionevole. Inoltre secondo un'altra disposizione è consentito a ogni cittadino residente nell'UE di accedere ai documenti del Parlamento Europeo, del Consiglio e della Commissione. In più, la Comunità Europea garantisce il risarcimento dei danni provocati dalle sue istituzioni. Per quanto attiene lo svolgimento dell'attività amministrativa comunitaria, secondo il TrCE la Comunità non dovrebbe avere degli apparati amministrativi propri, eccetto quelli necessari al funzionamento degli apparati politici. Infatti l'art. 10 stabilisce che è compito degli Stati membri adottare tutte le misure di carattere generale o particolare idonee ad assicurare l'esecuzione degli obblighi derivanti dal Trattato. Quindi dal momento che esiste un'attività amministrativa comunitaria svolta esclusivamente da apparati amministrativi comunitari, si ha quella che viene chiamata amministrazione comunitaria indiretta che si manifesta in due modi differenti. In un primo caso si può avere un'attività amministrativa italiana disciplinata da fonti italiane e svolta in diretta attuazione di atti di indirizzo statali che sono solo parzialmente autonomi perché devono conformarsi a direttive comunitarie. In un secondo caso si può avere un'attività amministrativa che persegue obiettivi stabiliti dal diritto comunitario, ma che è anche disciplinata nel suo contenuto da atti comunitari. Si parla di co-amministrazione quando un'amministrazione comunitaria viene svolta congiuntamente da apparati comunitari e statali. Può accadere che alcune leggi italiane operino per qualche aspetto, dei rinvii a fonti dell'ordinamento comunitario o comunque stabiliscono l'applicazione di discipline comunitarie a fattispecie da queste non previste. Si è di fronte alla tendenza di omogeneizzazione dei diritti degli Stati membri di conseguenza alla quale si avrà un processo di ricostituzione di un diritto comune europeo.


FONTI DEL DIRITTO E ATTI DI INDIRIZZO POLITICO DELL'AMMINISTRAZIONE NELL'ORDINAMENTO STATALE ITALIANO

La legalità-indirizzo riguarda i rapporti dell'attività amministrativa con gli atti di indirizzo politico, mentre la legalità-garanzia riguarda i rapporti dell'attività amministrativa con le leggi o almeno con atti normativi. La fonte principale del nostro ordinamento è la Costituzione. La Carta del 1948 rappresenta l'atto nel quale la nostra comunità nazionale mediante l'Assemblea Costituente, indica quelli che possono essere considerati i principali interessi pubblici. Essa può anche essere considerata l'atto di indirizzo politico fondamentale nel nostro ordinamento ed è in essa che si trovano i principali indirizzi.


In tal senso si impone il riconoscimento e la garanzia dei diritti inviolabili dell'uomo, si richiede l'adempimento dei doveri inderogabili rappresentati dalla solidarietà politica, economica e sociale e occorre che si rimuovano gli ostacoli di tipo socio-economico che possono limitare la libertà e l'eguaglianza dei cittadini impedendo il pieno sviluppo della persona e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Si tratta di principi contenuti in articoli che trattano le libertà personali e i diritti sociali. Per quanto concerne le libertà personali, si chiede all'amministrazione di non violarle, mentre per i secondi è necessario che l'amministrazione li attui rendendo disponibili per i cittadini beni e servizi. ½ è poi un altro gruppo di disposizioni molto importanti contenute nella Costituzione che riguardano le attività economiche. Vengono riconosciute la proprietà privata e la libertà d'iniziativa economica; è poi sancita la funzione sociale della proprietà e sono autorizzati interventi pubblici che possono limitare tali libertà fino a sottrarre settori di attività economica all'esercizio dell'iniziativa privata. Le libertà economiche e la tutela della concorrenza sono disciplinate anche dai Trattati europei. In relazione a quest'ultime disposizioni, si pongono problemi di compatibilità delle norme della Costituzione con quelle del diritto comunitario; infatti il TrCE appare più restrittivo nell'ammettere limitazioni alla concorrenza. Nel nostro sistema, se gli atti amministrativi sono ritenuti incostituzionali, devono conformarsi alla legge; solo il giudice che ritiene una legge incostituzionale può sospendere un giudizio richiedendo una decisione in merito alla Corte Costituzionale; l'amministrazione non può farlo. La legalità-garanzia si fonda sul meccanismo delle riserve di legge previsto dalla Costituzione a tutela delle libertà e del patrimonio dei cittadini. Infatti gli interventi "autoritativi" delle amministrazioni sono consentiti solo in casi limitati e sono ammissibili solo se sono previsti dalla legge. La maggior parte delle libertà personali è ammissibile solo per disposizione o con approvazione dell'autorità giudiziaria. Prima della Costituzione la fonte più importante nel nostro sistema era la legge statale in quanto atto proveniente dal Parlamento e rappresentante dell'insieme dei cittadini. La legge statale ha perso la sua preminenza per la grande ampiezza dell'ambito della potestà legislativa regionale acquistata dopo la riforma del Titolo V Cost. operata con la legge Cost. n. 3/2001. La potestà legislativa regionale concorrente e quella generale residuale possono essere in qualche caso limitate all'esercizio della competenza legislativa esclusiva statale. La fonte regionale, ovvero lo statuto, può considerarsi sopraordinato alle leggi regionali. In molti statuti regionali ci sono delle disposizioni che indicano obbiettivi prioritari dell'attività regionale proponendosi come atti contenenti indirizzi politici. La Corte Costituzionale stabilisce che lo statuto non può fissare tali indirizzi e ha negato alle relative disposizioni qualsiasi efficacia giuridica. Le leggi statali e quelle regionali devono rispettare i vincoli derivanti dal diritto comunitario e dalla Costituzione. Per quanto riguarda i regolamenti, il nuovo Titolo V della Cost. ha previsto nuove competenze. I regolamenti che possono svolgere funzioni di indirizzo politico sono quelli che il Governo può fare solo nelle materie di competenza legislativa esclusiva statale. I regolamenti governativi possono essere di diverso tipo a seconda dei loro rapporti con la legge. Nei regolamenti di esecuzione delle leggi e dei decreti legislativi le innovazioni sul piano dell'indirizzo politico dovrebbero essere ridotte al minimo dal momento che le loro disposizioni dovrebbero contenere norme dirette a consentire l'esecuzione di quanto già disposto da una legge o da una decreto legislativo. I regolamenti per l'attuazione e integrazione di leggi e di decreti legislativi si limitano a dettare norme di principio. I regolamenti indipendenti possono disciplinare solo materie nelle quali manchi la disciplina da parte di leggi o di atti aventi forza di legge. Nei regolamenti di delegificazione, l'esercizio della potestà regolamentare del Governo deve essere autorizzato da leggi che determinano le norme generali che regolano la materia e che dispongono l'abrogazione delle norme vigenti, con effetto dell'entrata in vigore delle norme regolamentari. Tale autorizzazione consente al Governo di emanare le norme regolamentari e di abrogare la legge che regola la materia per la quale è stato autorizzato il regolamento. Questo procedimento è detto di delegificazione in quanto operato da una legge ordinaria; il suo effetto permane fino a quando la legge non torni a disciplinare la materia; questi regolamenti sono deliberati dal Consiglio dei Ministri ed emanati con decreto dal PdR.

I regolamenti ministeriali sono ammessi su espressa previsione della legge nelle materie di competenza dei Ministri i quali non possono dettare norme contrarie a quelle dei regolamenti emanati dal Governo. Vengono chiamati regolamenti anche fonti di livello regionale e degli enti locali. La potestà regolamentare regionale è quella che ha il più ampio ambito di esplicazione dopo la riforma del nuovo Titolo V Cost. dato che può riguardare tutte le materie eccetto quelle riguardanti la legislazione esclusiva statale. Il Presidente regionale viene eletto direttamente dai cittadini e può revocare i componenti della giunta. Il secondo comma dell'art. 114 stabilisce che i Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione. Nel primo comma di questo stesso articolo gli enti locali vengono equiparati allo Stato e alle Regioni in quanto anch'essi elementi che costituiscono la Repubblica. E' previsto che gli enti locali siano titolari di funzioni amministrative proprie e spetta allo Stato stabilire le funzioni fondamentali nell'esercizio della sua potestà legislativa esclusiva. Agli enti locali spettano anche altre funzioni che vengono conferite loro, con legge statale o regionale secondo le rispettive competenze. Gli enti locali hanno la potestà regolamentare ed adottano regolamenti che riguardano soprattutto gli aspetti organizzativi e dello svolgimento delle funzioni. I regolamenti dei pubblici poteri sono atti di indirizzo politico e fonti del diritto; ad essi si applicano i principi e le regole riguardanti l'amministrazione pubblica e sono sottoposti a quello che viene definito il regime degli atti amministrativi. I regolamenti degli apparati politici hanno contenuto essenzialmente tecnico e non svolgono funzioni di indirizzo politico nei confronti delle amministrazioni; non sono atti amministrativi. Un altro tipo di atto che ha natura di atto di indirizzo è la direttiva. Le direttive, per quanto concerne le attribuzioni del PdC, vengono da lui adottate per assicurare l'imparzialità, il buon andamento e l'efficienza degli uffici pubblici. I programmi invece sono atti amministrativi con i quali vengono esercitate funzioni regolatorie e talvolta indicano obiettivi che dovranno essere perseguiti dalle amministrazioni pubbliche, ad esempio i piani sanitari. I programmi possono essere anche gli atti fondamentali che vengono attribuiti alle competenze dei consigli comunali e provinciali.


PRINCIPI GENERALI DELL'AMMINISTRAZIONE PUBBLICA

L'amministrazione pubblica è caratterizzata da un particolare rapporto con la legge. Quest'ultima indirizza l'amministrazione che agisce utilizzando poteri autoritativi e svolge una funzione di garanzia nei suoi confronti. La particolare funzione che devono svolgere le amministrazioni sono caratterizzate da norme generali, criteri e regole alcune delle quali dettate direttamente dalla Costituzione; vengono definite principi generali. Secondo l'art. 97 Cost. i pubblici uffici devono essere organizzati in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione. Quello di imparzialità è un concetto che richiama la funzione del giudice il quale nel decidere le controversie tra persone con interessi opposti, deve applicare la legge senza preferire nessuna delle parti. L'attività amministrativa è completamente vincolata da norme così che il compito degli apparati amministrativi è quello di far rispettare delle regole; in questi casi per essere imparziale un'amministrazione deve tenere un comportamento il più possibile vicino a quello di un giudice. Per garantire l'imparzialità può risultare necessaria la massima indipendenza degli apparati amministrativi da quelli politici. L'imparzialità è connessa col principio di terzietà: le persone che agiscono per l'amministrazione non devono avere nelle vicende in cui sono chiamati ad intervenire interessi contrastanti con quelli curati dall'amministrazione, cioè non devono trovarsi in situazioni di conflitto di interessi. Il principio di imparzialità coincide anche con il principio di eguaglianza secondo il quale l'amministrazione non deve operare discriminazioni prive di un fondamento giustificativo. Quindi per garantire l'imparzialità è necessario che l'amministrazione pubblica deve essere attenta agli interessi di tutti cosicché le sue decisioni corrispondano ad una composizione dei diversi interessi.



La necessità di attuare l'imparzialità mediante la partecipazione dei diversi interessi non può essere intesa in senso assoluto in quanto la stessa disposizione normativa prevede anche il buon andamento dell'amministrazione e se i due principi fossero assolutizzati potrebbero venire a trovarsi in contraddizione insanabile; essi si limitano reciprocamente. Il fatto che gli interessati possano partecipare al provvedimento garantisce loro un vero e proprio contraddittorio e ciò può considerarsi l'attuazione del principio del giusto procedimento. Tale principio è indispensabile per il principio di imparzialità e viene affermato anche nel diritto comunitario. Il principio del buon andamento esprime l'esigenza di un'amministrazione efficace, efficiente ed economica. Un'amministrazione per essere efficace deve riuscire effettivamente a raggiungere gli obiettivi. Per essere efficiente deve impiegare il minimo dispendio di risorse per il perseguimento dei suoi scopi. Per essere economica deve procurarsi le risorse col minimo dispendio di mezzi. Il principio del buon andamento comporta che gli obiettivi posti alle amministrazioni e le regole che le riguardano dovrebbero essere formulate con precisione per rendere possibile la verifica del rispetto di questi principi. Le risorse devono essere impiegate nel modo migliore per ottenere buoni risultati e senza sprechi. Un altro importante principio sancito dall'art. 28 Cost. è quello della responsabilità secondo cui gli atti adottati dalle amministrazioni devono essere sanzionati in caso di violazione di diritti; in tali casi si estende loro la cosiddetta responsabilità civile. Quando vi è una responsabilità per i danni provocata dai funzionari e dipendenti alle amministrazioni pubbliche si ha la cosiddetta responsabilità amministrativa. Quando invece c'è una connessione con la gestione di denaro pubblico svolta dai funzionari e dipendenti di un'amministrazione pubblica, con i relativi obblighi di rendiconto, si ha la cosiddetta responsabilità contabile. Nell'art. 97 Cost. viene disciplinata la responsabilità dei funzionari la quale stabilisce che nell'ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari. Con questa disposizione normativa, la Costituzione, impone che si stabilisca come i funzionari devono rendere conto dei compiti che svolgono e a chi devono renderne conto. Si parla di responsabilità dirigenziale quando i dirigenti burocratici devono rendere conto del modo in cui svolgono le proprie funzioni agli apparati politici di Governo. Tale principio implica inoltre che l'operato dei funzionari delle amministrazioni deve essere valutato dai cittadini ed è in base a questa esigenza che si ispira un altro principio, il cosiddetto principio di trasparenza, secondo il quale tutti gli individui possono sapere e capire cosa succede all'interno delle amministrazioni pubbliche. La trasparenza viene assicurata mediante la pubblicità, l'obbligo di motivazione dei procedimenti e il diritto di accesso ai documenti amministrativi. Essa rappresenta un obiettivo delle amministrazioni pubbliche per quanto riguarda il loro utilizzo delle tecnologie dell'informazione. Nella giurisprudenza amministrativa italiana si fa frequente ricorso in modo implicito od esplicito alla cosiddetta ragionevolezza. Essa si riferisce a quel determinato modo di pensare che costituisce l'elemento unificante e caratterizzante della comunità e che è dato da caratteristiche storico-antropologiche comuni. Viene talvolta considerata un principio autonomo; altre volte viene collegata al principio di imparzialità in quanto considerata espressiva del divieto di trattamenti arbitrari visti come lesivi del principio di eguaglianza. Pretendere ragionevolezza significa considerare sufficiente ciò che può ritenersi attendibile secondo modi di ragionare condivisi in una comunità, tenendo conto della diversità dei problemi, delle situazioni, dei tempi e così via; d'altro canto la ragionevolezza o irragionevolezza di un'azione o di una decisione è definibile solo in relazione a un risultato consapevolmente o inconsapevolmente atteso. La ragionevolezza più che un principio sembra essere un criterio attraverso il quale si valuta il rispetto di norme o principi quando non sarebbe possibile o sarebbe troppo difficile raggiungere delle certezze. A tale criterio viene ricondotta la proporzionalità con la quale si tenta di adeguare una certa norma a un determinato risultato sulla base di regole che vorrebbero garantire il rigore del ragionamento in relazione al quale verrà presa una decisione. Le amministrazioni pubbliche sono tenute anche al rispetto di principi generali del diritto come la certezza del diritto, la buona fede, la correttezza e il legittimo affidamento.



PRINCIPI E REGOLE COSTITUZIONALI DELLA TUTELA GIURISDIZIONALE   

I principi generali dell'amministrazione pubblica e i principi generali del diritto insieme alle regole che ne costituiscono l'articolazione e la integrazione e alle modalità della tutela giurisdizionale rappresentano gli elementi costitutivi del regime di diritto amministrativo. Per quanto attiene alle modalità particolari della tutela giurisdizionale, si ritiene che debbano trovare applicazione ma è possibile che in tale attività possa insorgere qualche dubbio. I privati nei confronti delle amministrazioni pubbliche e di qualsiasi altro soggetto possono vantare dei diritti soggettivi imponendo loro di rispettare la disciplina che costituisce attuazione degli specifici principi costituzionali. In una situazione nella quale un soggetto può disporre in modo autonomo del proprio bene mediante un contratto, gli interessati la cui richiesta non sia stata accolta sarebbero in una posizione di mera soggezione e i loro interessi non potrebbero essere tutelati dal momento che su un contratto intercorso tra altri soggetti, i terzi non possono avere parola; per quest'ultimi tale contratto è giuridicamente irrilevante. Il potere discrezionale di una pubblica amministrazione è soggetto ai principi generali e alla disciplina che li attua. I portatori di interessi potrebbero soddisfarli mediante l'esercizio di tale potere non trovandosi in una posizione di mera soggezione. Per interesse legittimo si intende la posizione giuridica di una pubblica amministrazione di scegliere un potere discrezionale in relazione ad un potere che può essere esercitato solo rispettando delle regole le quali non possono garantire con certezza la soddisfazione degli interessi dei portatori di interessi legittimi. Per interesse legittimo si intende anche la posizione del singolo protetta nei confronti di quella della pubblica amministrazione quando l'osservanza da parte di quest'ultima delle regole che ne disciplinano l'attività corrisponde a un interesse del singolo che si differenzia da quelli della generalità dei cittadini. Ad esempio, un individuo che partecipa a un concorso chiede che la pubblica amministrazione rispetti le regole che ne disciplinano lo svolgimento; se questa non rispetta tali regole, il concorsista può chiedere al giudice l'annullamento del concorso. Ci sono inoltre poteri dell'amministrazione che possono incidere su diritti soggettivi di cui i terzi sono già titolari, per esempio sottraendoli e trasferendoli ad altri, come avviene con l'esercizio del potere di espropriazione. Secondo alcune disposizioni della Costituzione, i diritti soggettivi hanno piena tutela giurisdizionale anche nei confronti delle pubbliche amministrazioni e tale tutela riguarda anche gli interessi legittimi. Si occupano di tale tutela i giudici ordinari e quelli amministrativi. Di regola i primi tutelano i diritti soggettivi, mentre i secondi tutelano gli interessi legittimi. In certi casi la legge prevede che i giudici amministrativi possono tutelare anche diritti soggettivi. Per quanto riguarda il potere di annullamento degli atti amministrativi, questo può essere di competenza sia dei giudici ordinari che dei giudici amministrativi.



















TERZO CAPITOLO: Amministrazione di regolazione


Le funzioni di regolazione sono quelle attività svolte dalle amministrazioni mediante l'esercizio del potere autoritario, che mirano al soddisfacimento degli interessi di una parte di soggetti limitando però il soddisfacimento degli interessi di altri soggetti, le libertà e i diritti di altri individui. Le posizioni giuridiche soggettive dei destinatari dei provvedimenti autoritativi vengono considerati interessi legittimi. Ad esempio l'obbligo che i mezzi di trasporto abbiano requisiti prestabiliti. Le funzioni di prestazione sono quelle funzioni svolte dalle amministrazioni volte ad assicurare ai soggetti prestazioni di vario genere. L'insieme di questi due tipi di funzione costituisce la ragione dell'esistenza delle amministrazioni e sono dette funzioni finali. Per svolgere le loro funzioni, le amministrazioni hanno bisogno di personale e di beni; esse non curano direttamente l'interesse del cittadino ma svolgono delle funzioni strumentali. L'amministrazione svolge inoltre funzioni ausiliarie, ovvero attività di consulenza e di controllo volte a favorire la buona qualità dell'amministrazione.


POTERI AUTORITARI E GARANZIE RELATIVE

Con il termine autoritatività o autoritarietà viene indicato un complesso di poteri che riguardano la funzione di regolazione. Alcuni poteri dell'amministrazione si caratterizzano per la loro imperatività. Ad esempio secondo il codice della strada, un veicolo non può superarne un altro ad un certo limite di velocità. Quando l'amministrazione impartisce l'ordine mediante un atto unilaterale con il quale manifesta la propria volontà, ottiene l'effetto giuridico di far sorgere l'obbligo per i soggetti di non circolare ad una velocità superiore al limite da essa indicata, obbligo per il quale potrà imporne il rispetto mediante controlli e sanzioni. Per stabilire se un provvedimento sia di natura autoritativa, è necessario esaminare il consenso degli interessati affinché certi tipi di atti possano raggiungere i propri effetti. Gli effetti di un provvedimento che costituisce manifestazione di un potere imperativo si realizzano nonostante la volontà contraria del destinatario, e se pure il consenso di quest'ultimo ci fosse non avrebbe comunque rilevanza. Nei rapporti tra privati invece, per ottenere gli effetti di un provvedimento imperativo è indispensabile un accordo ed è necessario il consenso della parte la cui libertà risulta limitata in quanto i privati sono posti in una posizione di reciproca eguaglianza, e di norma l'ordinamento non attribuisce efficacia giuridica ad atti che pretendono di incidere nella sfera giuridica di altri. Nei pochi casi in cui la legge lo preveda, tale effetto verrà ottenuto attraverso un provvedimento giudiziale. Quindi per essere considerato imperativo, è necessario che si prescinda dal consenso di chi ne subirà gli effetti. L'amministrazione pubblica esercita inoltre un altro tipo di potere definibile come autoritativo, ed è quello dell'esecutorietà dei provvedimenti amministrativi. Nei rapporti tra privati, il creditore ha il dovere di accertare l'esistenza di un'obbligazione nei suoi confronti mediante una sentenza del giudice. Soltanto dopo la pronuncia della sentenza, che costituisce un titolo esecutivo ed è il presupposto necessario per l'intervento coattivo, il creditore può ottenere l'uso della forza per costringere il debitore ad adempiere l'obbligazione (esecuzione forzata). Ciò avverrà a conclusione di un nuovo procedimento svolto sotto il controllo del giudice, detto esecutivo, a garanzia che la forza venga usata in modo corretto e senza eccessi. Se invece un privato ha un'obbligazione nei confronti di un'amministrazione pubblica, che può essere sorta con l'emanazione di un provvedimento imperativo ed egli non provvede ad adempiere, può avvenire che l'amministrazione pubblica ricorra all'esecuzione forzata senza chiedere al giudice che venga pronunciata una sentenza per far accertare l'effettiva esistenza dell'obbligazione, giacché il provvedimento viene considerato esecutivo, e neanche per ottenere l'uso della forza per costringere il debitore ad adempiere, giacché il provvedimento viene considerato esecutorio. L'esecutorietà e l'esecutività del provvedimento amministrativo, vengono denominate forme di autotutela dell'amministrazione pubblica, nel senso che mentre un privato deve chiedere l'intervento del giudice per ottenere la tutela che gli serve, una pubblica amministrazione quando i suoi poteri autoritari sono giunti fino all'esecutorietà del provvedimento può fare da sé.

Infatti secondo l'art. 21 -ter LPA le pubbliche amministrazioni possono imporre coattivamente l'adempimento degli obblighi nei loro confronti nei casi e con le modalità stabiliti dalla legge. Inoltre il provvedimento costitutivo degli obblighi dovrà indicare il termine e le modalità dell'esecuzione da parte del soggetto obbligato. L'esecutorietà può talvolta indurre in equivoci. Un equivoco potrebbe essere quello di credere che di fronte a provvedimenti esecutori il cittadino sia privo di tutela giurisdizionale. Infatti è compito del cittadino ,quando l'amministrazione pubblica emana un provvedimento imperativo, di rivolgersi al giudice affinché ne verifichi la conformità alla legge e proceda al suo annullamento nel caso in cui l'atto non sia conforme alla legge. Inoltre il cittadino può chiedere al giudice di sospendere l'esecuzione del provvedimento ancor prima che ne sia verificata la conformità nel caso possano derivargli danni gravi e irreparabili. Un altro equivoco potrebbe essere quello di credere che l'esecutorietà possa darsi esclusivamente in relazione a un provvedimento imperativo. Un ulteriore equivoco si potrebbe avere se si citasse l'esecutorietà in riferimento agli effetti reali di un provvedimento imperativo; infatti ha senso parlare di esecutorietà solo con riferimento ad atti che abbiano effetti obbligatori perché quanto agli effetti reali gli atti sono evidentemente auto-esecutivi. Altre manifestazioni di autoritarietà possono considerarsi l'annullamento d'ufficio e la revoca, che vengono chiamati provvedimenti di secondo grado in quanto hanno per oggetto altri provvedimenti. La revoca è un provvedimento con il quale, mediante una decisione unilaterale, si può eliminare un atto facendone venir meno l'efficacia e dunque sacrificando gli interessi e le posizioni giuridiche fondate sull'atto stesso. Secondo un'opinione tradizionale, i provvedimenti amministrativi possono essere revocati quando un dato provvedimento dovesse risultare non più conforme all'interesse pubblico, e in tal caso gli eventuali interessi che son stati soddisfatti dal provvedimento verrebbero sacrificati con una decisione unilaterale. Secondo il principio di tipicità dei provvedimenti amministrativi autoritativi, è la legge che individua gli atti che possono avere effetti autoritativi, i loro effetti, in presenza di quali presupposti possono essere presi e quali organi possono emanarli e con quale procedimento. La legge prende queste decisioni in base al contesto nel quale le amministrazioni pubbliche devono agire. L'ordinamento prevede la possibilità dell'emanazione delle cosiddette ordinanze contingibili ed urgenti, cioè di provvedimenti che possono essere emanati solo in caso di urgenza e possono disporre solo in relazione alla situazione contingente, e che quindi dovrebbero intervenire in situazioni impreviste e imprevedibili per fronteggiare le esigenze più immediate. Il principio di tipicità viene inoltre attuato quando ad esempio il campo d'azione dell'amministrazione è caratterizzato da problemi tecnici complessi e in continua evoluzione, se la competenza a prendere tali provvedimenti sia attribuita ad organismi competenti in materia, e se le finalità da questi perseguite sono chiare. Secondo il cosiddetto principio di nominatività, si ritiene che se per certi provvedimenti è possibile la deroga ad alcuni aspetti del principio di tipicità deve sempre trattarsi di provvedimenti nominati cioè previsti. Secondo il principio di proporzionalità, il potere deve essere esercitato in modo che si abbia il minor sacrificio degli interessi dei destinatari. In base a questo principio, i provvedimenti autoritari devono essere idonei al raggiungimento del fine, devono essere effettivamente necessari a questo fine e non devono incidere sulle situazioni giuridiche soggettive in misura superiore a quella indispensabile in relazione al fine stesso. Mentre la tipicità può operare positivamente anche soltanto in senso formale assicurando comunque la giustiziabilità del provvedimento, la proporzionalità ha invece una portata sostanziale. La particolare attenzione che viene posta attualmente sulla proporzionalità, può spiegarsi con la difficoltà di rispettare esattamente la tipicità; i due principi si integrano in modo reciproco. Viene considerato un aspetto della proporzionalità, il criterio di semplicità, ovvero l'esigenza di evitare restrizioni delle libertà non necessarie e l'imposizione di adempimenti burocratici evitabili. Tale esigenza viene espressa nell'art. 1 c. 2 LPA secondo il quale la pubblica amministrazione non può aggravare il procedimento se non per straordinarie e motivate esigenze imposte dallo svolgimento dell'istruttoria. Nella LPA sono state dettate altre disposizioni normative con l'obiettivo di semplificare l'attività amministrativa; è previsto inoltre che il Governo presenti annualmente un disegno di legge di semplificazione.

Nel diritto comunitario, una direttiva sui servizi nel mercato interno stabilisce che gli Stati membri devono esaminare le procedure e le formalità relative all'accesso ad un'attività di servizi e al suo esercizio. Nel caso in cui quest'ultime non siano semplici, gli Stati membri devono provvedere a semplificarle.


TIPOLOGIE DI PROVVEDIMENTI AUTORITATIVI E RELATIVE POSIZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE

Vi sono provvedimenti autoritativi individuali e generali; i primi riguardano individui, i secondi riguardano gruppi nel loro insieme. Tra i provvedimenti generali più importanti ci sono i cosiddetti provvedimenti conformativi ovvero che hanno effetti imperativi consistenti nella definizione del contenuto di un diritto in termini di poteri e facoltà del suo titolare. Per tali provvedimenti non ci sono problemi di esecutorietà in quanto per provvedimenti di questo genere non si richiede una separata attività di esecuzione. Anche se i provvedimenti conformativi incidono su diritti preesistenti, viene riconosciuta la tutela degli interessi legittimi. Fanno parte di tali provvedimenti, i regolamenti che sono atti normativi dotati di generalità ed astrattezza. Ve ne sono alcuni il cui contenuto è essenzialmente tecnico e ad essi si applica il regime degli atti amministrativi. Sono provvedimenti conformativi anche i piani o anche detti programmi. Sono atti generali non astratti in quanto si riferiscono a situazioni attuali e concrete. Talvolta i piani sono costituiti da un insieme di prescrizioni contestuali che si integrano in modo reciproco e che sono tenute insieme da una determinata coerenza rispetto ad un obiettivo. Tra i piani ci può essere un rapporto gerarchico nel senso che le prescrizioni di un piano potrebbero essere tenute a rispettare le prescrizioni di un piano di un livello superiore. Ai piani ci si può anche riferire utilizzando il termine programma ma quest'ultimo può essere usato in riferimento ad un insieme di prescrizioni volte a coordinare delle attività rispetto ad un obiettivo. Vengono ritenuti provvedimenti generali conformativi, i provvedimenti che stabiliscono le tariffe dei servizi di pubblica utilità o i livelli di qualità che questi devono possedere, e vengono ritenuti generali in quanto riguardano l'insieme degli utenti dei servizi e dei fornitori. Per quanto riguarda i provvedimenti individuali possono avere effetti conformativi i provvedimenti relativi per esempio, alla tutela del paesaggio; infatti sono previsti dei piani paesaggistici con i quali l'intero territorio viene sottoposto a una specifica normativa. Sono previsti inoltre che possano essere emanati dei provvedimenti che conformano diritti di proprietà, e che anche le cosiddette autorizzazioni che rientrano nei provvedimenti individuali possono avere effetti conformativi. I provvedimenti ablatori o privativi producono effetti imperativi che consistono nel privare un soggetto di un diritto senza il suo consenso. L'oggetto dell'ablazione può riguardare diritti reali, patrimoniali o personali. I provvedimenti ablatori personali, privano i soggetti di poteri inerenti le loro libertà costituzionali o inerenti i diritti alla persona. Essi sono costituiti dagli ordini i quali possono avere un contenuto positivo e che perciò vengono detti comandi. Ad esempio l'obbligo sanitario di sottoporsi a una vaccinazione. Possono avere anche un contenuto negativo e in tal caso son detti divieti. Ad esempio quelli attinenti alla circolazione stradale. Non tutte le libertà sono oggetto di ablazione in quanto vige la riserva di provvedimento giudiziario. Per questi provvedimenti vi è il problema dell'esecuzione, ma l'esecutorietà viene esclusa in quanto si è in mancanza di previsione legislativa delle ipotesi e delle modalità. I provvedimenti ablatori reali incidono su diritti patrimoniali. Sono tali quelli che incidono su diritti reali estinguendoli, privandoli oltre un certo limite del contenuto o costituendone nuovi su cosa altrui. Il più noto dei provvedimenti ablatori reali è l'espropriazione per pubblica utilità il cui effetto consiste nel privare coattivamente un soggetto di un diritto, attribuendone la titolarità ad un altro soggetto. Secondo la disciplina originaria, tale provvedimento veniva preso da un prefetto su richiesta del soggetto che doveva realizzare l'opera, dopo che con la dichiarazione di pubblica utilità veniva riconosciuta la necessità di realizzarla. Il soggetto a cui favore veniva pronunciata l'espropriazione doveva versare un'indennità di espropriazione, ovvero una somma di denaro corrispondente al valore di mercato del bene espropriato. Attualmente non viene più fatta la dichiarazione di pubblica utilità in quanto è implicita nella destinazione di un suolo ad un uso pubblico da parte di un piano urbanistico.

Il provvedimento può essere preso anche dal soggetto che acquisisce il bene espropriato e l'indennità di espropriazione è determinata in misura inferiore al valore di mercato del bene. L'espropriazione ha efficacia reale ed ha effetti obbligatori. La giurisprudenza ritiene non eliminabili gli effetti di provvedimenti ablatori illegittimi, dando vita a un istituto privo di fondamento legislativo, la cosiddetta occupazione acquisitiva sulla cui base si ha l'effetto dell'acquisto della proprietà e si è tenuti al risarcimento del danno. Un altro provvedimento ablatorio ad effetti reali è la requisizione. Il motivo di interesse generale che ne deve costituire il presupposto deve essere una situazione di emergenza di tipo militare, come una guerra, o di tipo civile, come un cataclisma. Le requisizioni riguardano beni immobili dei quali viene normalmente sottratto l'uso, e beni mobili dei quali viene sottratta la proprietà. Per quanto attiene all'istituto della prelazione su beni culturali, se un bene viene ritenuto d'interesse storico o artistico secondo l'apposito procedimento è oggetto di compravendita tra privati; le parti sono tenute a notificare il contratto all'amministrazione competente che può esercitare il diritto di prelazione acquistando essa stessa il bene al prezzo convenuto tra le parti. I provvedimenti ablatori obbligatori fanno sorgere imperativamente delle situazioni obbligatorie. Trovano la loro fonte nell'art. 23 Cost. che consente l'imposizione di prestazioni personali o patrimoniali. I provvedimenti più importanti di questa categoria sono quelli che impongono tributi i quali comportano il amento di una somma di denaro. Ci sono inoltre le cosiddette precettazioni, cioè provvedimenti che impongono la prestazione di un'attività lavorativa. I provvedimenti sanzionatori sono quelli che hanno una funzione punitiva o affittiva con lo scopo di infliggere una punizione in relazione a dei comportamenti che sono ritenuti meritevoli di pena. Ad esempio le sanzioni pecuniarie come le ammende per la violazione del codice della strada. Le posizioni giuridiche soggettive rilevanti in quest'ambito sono i diritti soggettivi. Alla categoria dei provvedimenti sanzionatori appartengono anche quelli che svolgono una funzione ripristinatoria. I provvedimenti caratterizzati da questa funzione mirano a rimediare alle conseguenze derivanti da comportamenti contrastanti con la legge in modo da assicurare comunque il raggiungimento degli obiettivi voluti dall'ordinamento. Hanno funzione sanzionatoria anche le revoche di provvedimenti aventi effetti favorevoli, come per esempio in caso di inosservanza delle condizioni apposte ad un'autorizzazione. Per i provvedimenti sanzionatori vi è l'esigenza dell'esecutorietà. I provvedimenti autorizzatori riguardano provvedimenti detti appunto autorizzazioni o per i quali sono usati termini diversi come licenze, abilitazioni, nullaosta, permessi, dispense o ammissioni. Solitamente per autorizzazione si intende un provvedimento che rimuove un limite all'esercizio di un diritto. Quindi la norma che richiede un'autorizzazione necessità di una sorta di assenso di un'amministrazione allo svolgimento di un'attività considerata ammissibile dal diritto. L'autorizzazione viene considerata un istituto che consente a una pubblica amministrazione di conoscere i programmi e le attività dei cittadini prima che queste abbiano un principio. Questi provvedimenti consentono di verificare se esistono i presupposti e i requisiti per i quali la legge dà il diritto al privato di svolgere un'attività programmata, esercitare poteri conformativi nei casi in cui la legge lo preveda ed esercitare poteri ablatori. Il rilascio dell'autorizzazione avviene esclusivamente previa verifica dei presupposti e dei requisiti previsti dalle leggi; ci possono essere però due ipotesi. La prima è che l'effettuazione di tale verifica costituisca un'operazione conoscitiva a risultato certo. L'autorizzazione si innesta su un'attività amministrativa di tipo accertativa ed è implicito in essa un atto dichiarativo. Inoltre è previsto un contingentamento, ovvero un numero chiuso delle autorizzazioni che possono essere rilasciate. Per stabilire quali richieste di autorizzazione accogliere occorre fare delle graduatorie. La seconda ipotesi è che si debba effettuare una verifica a risultato non certo. Le autorizzazioni che richiedono queste verifiche vengono chiamate abilitazioni o accreditamenti. Ad esempio si hanno atti autorizzativi di questo tipo quando è prescritto che chi intende svolgere certe attività deve essere in possesso di certi requisiti di idoneità tecnica. In questo caso l'autorizzazione svolge una funzione di verifica preventiva del possesso. Talvolta è possibile che l'amministrazione competente per l'autorizzazione scelga le modalità con cui l'attività deve essere svolta, definendo poteri e facoltà riguardanti il diritto che si vuole esercitare in occasione del rilascio dell'autorizzazione.

Altre volte è possibile che la legge attribuisca all'amministrazione il potere discrezionale di decidere se un'attività può essere svolta o sia da evitare; quest'ultimo caso porterà effetti ablatori. Ci son stati casi nei quali anche in Italia, è stata messa in discussione l'esigenza dell'intervento regolatorio, e conseguentemente sono state attuate delle politiche di deregolazione cioè volte a ridurre le limitazioni alle libertà dei privati. Si è constatato che le attività di regolazione contrastavano con i principi di proporzionalità e semplicità, e ciò ha avuto come effetto degli interventi legislativi diretti alla semplificazione. La d.i.a. detta anche dichiarazione di inizio attività, è un istituto al quale si fa ricorso quando il rilascio degli atti dipenda solo dall'accertamento dei presupposti e dei requisiti previsti dalla legge, o da atti amministrativi a contenuto generale e non sia previsto alcun limite per il rilascio degli atti stessi. Tale disposizione prevede delle eccezioni per gli atti in relazione ai quali si può verificare più di frequente la necessità di operare valutazioni tecnico-discrezionali, ad esempio atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all'immigrazione e così via. La più nota variante della d.i.a. è la cosiddetta d.i.a. edilizia. Gli interessi legittimi pretensivi sono quelli per la cui soddisfazione si pretende l'esercizio del potere amministrativo a favore dell'interessato, mediante il rilascio dell'autorizzazione, atto considerato avente un effetto "accrescitivo" per l'interessato. Quando non vi è alcun potere discrezionale dell'amministrazione al rilascio dell'autorizzazione, l'interessato ha fin dall'inizio un diritto. Può accadere che ci siano degli interessi di terzi che contrastano con quelli di chi richiede il rilascio dell'autorizzazione. L'ordinamento tutela sia gli interessati che i controinteressati. La tutela degli interessi legittimi, ovvero la tutela delle posizioni giuridiche coinvolte, consiste nella possibilità di ottenere dal giudice amministrativo l'annullamento dell'atto illegittimo e il risarcimento del danno. Le autorizzazioni si contrappongono alle concessioni; quest'ultime sono dei provvedimenti con i quali l'amministrazione fa acquistare al concessionario un diritto. Possono essere traslativi o costitutivi. Con i primi l'amministrazione attribuisce al concessionario qualcosa che esisteva già nella sua sfera giuridica e glielo trasferisce, come ad esempio le concessioni di uso di beni pubblici. Con i secondi, al concessionario viene attribuito un diritto che non preesisteva nella sfera giuridica dell'amministrazione ma essa ha comunque il potere di costituire. Alle concessioni costitutive la d.i.a. non si applica. La maggior parte delle concessioni hanno natura contrattuale, e vengono definiti concessioni-contratto. Le sovvenzioni sono concessioni traslative con finalità economiche che talvolta la legge definisce provvidenze. Di solito il termine sovvenzioni si utilizza per indicare le erogazioni di denaro pubblico in favore di imprese le quali possono avere l'obiettivo di favorirne la sopravvivenza nonostante la loro debolezza economica e di incoraggiare certe produzioni o la produzione di certe aree geografiche; in tal caso si parla di incentivi. Gli atti che prevedono tali erogazioni sono di natura autoritativa, anche se solo indirettamente. Infatti non hanno effetti imperativi per i destinatari, ma li hanno nei confronti dei soggetti che appartengono alla stessa categoria economica che sono esclusi, limitando la loro libertà d'iniziativa economica. Le sovvenzioni pubbliche sono considerate dal diritto comunitario "aiuti di Stato". La LPA detta una specifica disciplina sulla modalità di applicazione del principio di imparzialità per quanto attiene alle sovvenzioni. Infatti la concessione di sovvenzioni, è subordinata alla predeterminazione e alla pubblicazione dei criteri e delle modalità cui le amministrazioni devono attenersi da parte delle amministrazioni stesse. I provvedimenti dichiarativi acquistano importanza come presupposto di un altro atto che produce effetti nei confronti di terzi; in tal caso si avrà un verbale delle attività svolte e dei risultati ottenuti, come ad esempio il verbale dell'esame di guida che costituisce il presupposto per il rilascio della patente. Questi provvedimenti possono avere anche un rilievo autonomo costituendo il presupposto per una serie indefinita di atti. In tal caso si avrà un'attestazione o un certificato come ad esempio un titolo di studio. Talvolta un atto dichiarativo ha per presupposto altri atti dichiarativi, per esempio il certificato degli esami sostenuti da uno studente universitario che ha per presupposto i verbali delle prove d'esame. Un atto dichiarativo può anche essere contestato dando la prova contraria., o può determinare una certezza legale, il cui contenuto può essere contestato solo con lo specifico procedimento giurisdizionale della "querela di falso".

Quest'ultimi sono considerati atti autoritativi, ma vengono considerati più semplicemente un privilegio dell'amministrazione con il quale essa si sottrae al controllo del giudice. Tali atti danno origine inoltre a vari problemi giuridici come quelli connessi alle dichiarazioni sostitutive dette anche autocertificazioni, rilasciate dalle amministrazioni. Anche gli enti privati possono rilasciare dei certificati. In alcuni casi la legge prevede che i certificati concessi da organismi privati, possono essere equiparati ad atti pubblici, e il possesso di questi certificati costituisce un requisito necessario per l'emanazione di un atto amministrativo. Un provvedimento amministrativo ad efficacia durevole può essere revocato; gli effetti dell'esercizio del potere di revoca determinano l'inidoneità del provvedimento revocato a  produrre ulteriori effetti. Il ritiro di un atto legittimo attributivo di diritti o vantaggi è inammissibile; ciò sembra essere a parere del diritto comunitario un carattere comune degli Stati membri. Gli atti ad efficacia istantanea, sono atti la cui attività è destinata a giungere ad una conclusione in un certo periodo di tempo. Talvolta la legge ha stabilito l'irrevocabilità di questi provvedimenti ancor prima che abbiano avuto un principio di esecuzione. L'organo che emana l'atto è lo stesso che prende il provvedimento di revoca. Quest'ultimo è ammesso in caso di motivi di interesse pubblico, in caso di mutamento della situazione di fatto o in caso di una nuova valutazione dell'interesse pubblico originario. La legge stabilisce che l'amministrazione ha l'obbligo di provvedere all'indennizzo dei pregiudizi eventualmente subiti dai soggetti interessati. L'indennizzo viene concepito come ristoro di tutti i danni che possono derivare dal venir meno degli effetti del provvedimento anche se questo sembra voler limitare le categorie dei soggetti che possono reclamare un indennizzo. In certi casi l' indennizzo deve corrispondere al massimo al danno emergente. Il recesso unilaterale dai contratti della pubblica amministrazione è ammesso nei casi previsti dalla legge o dal contratto.


MODELLI ORGANIZZATIVI E RAPPORTO POLITICA-AMMINISTRAZIONE

Le funzioni di regolazione vengono esercitate attraverso degli apparati, riconducibili a due modelli dominanti: quello ministeriale o politico-burocratico, e quello delle amministrazioni indipendenti o tecnocratico. Gli apparati del primo modello svolgono regolazioni tradizionali che riguardano per esempio l'ordine e la sicurezza pubblica. Gli apparati del secondo modello sono competenti per regolazioni che richiedono decisioni consistenti nell'attuare indirizzi politici molto generali trovando il corretto equilibrio tra interessi contrapposti attraverso la risoluzione di problemi tecnico-economici complessi. I ministeri sono 18 apparati caratterizzati da stretti rapporti organizzativi che intercorrono al loro interno tra gli apparati politici detti anche organi di governo, e gli apparati burocratici detti anche dipartimenti o direzioni generali, in modo da garantire che le competenze attribuite in via esclusiva a quest'ultimi siano esercitate nel rispetto degli indirizzi impartiti dagli organi di governo. I ministri hanno varie competenze: esercitano le funzioni di indirizzo politico-amministrativo definendo gli obiettivi e i programmi da attuare, adottando atti che rientrano nello svolgimento di queste funzioni e verificando la rispondenza dei risultati dell'attività amministrativa e della gestione agli indirizzi impartiti. Interpretano e applicano gli atti normativi e gli indirizzi. Definiscono obiettivi, piani, priorità e direttive generali per l'azione amministrativa e la gestione. Individuano risorse da destinare alle varie finalità e la loro ripartizione fra gli uffici burocratici di maggior livello. Spettano loro nomine, designazioni, e la definizione di criteri generali per quanto riguarda aiuti finanziari a terzi e di tariffe, canoni e simili oneri a carico di terzi. Per l'esercizio di queste funzioni i ministri si avvalgono di uffici di diretta collaborazione mediante i quali sono collegati con le strutture burocratiche. I dirigenti sono responsabili dell'attività amministrativa e adottano atti e provvedimenti amministrativi compresi quelli che impegnano l'amministrazione verso l'esterno. Sono competenti anche per quanto concerne la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo.




I ministri non possono revocare, riformare, riservare, e adottare provvedimenti o atti di competenza dei dirigenti; in caso di inerzia o ritardo da parte del dirigente, il ministro può costituire un apposito organo che provveda a quanto doveva essere fatto nel caso in cui fissato un termine perentorio l'inerzia permanga o via un'inosservanza tale da pregiudicare l'interesse pubblico. I dirigenti formulano proposte ed esprimono pareri al ministro nelle materie di loro competenza, e devono inoltre riferirgli sulle attività svolte e in tutti i casi in cui lo stesso ministro lo richieda. Il ministro propone al PdC il conferimento degli incarichi di direzione degli uffici di livello dirigenziale generale con l'indicazione degli obiettivi da conseguire, delle priorità, dei piani e dei programmi definiti nei propri atti di indirizzo. In genere gli incarichi dirigenziali vengono attribuiti a persone già dipendenti dello Stato con la qualifica di dirigenti. Tali incarichi sono rinnovabili e sono a tempo determinato per una durata idonea al conseguimento degli obiettivi prefissati la quale non può essere inferiore ai tre e superiore ai cinque anni. I dirigenti sono soggetti alla cosiddetta responsabilità dirigenziale che comporta l'impossibilità del rinnovo dell'incarico qualora non portino a termine gli scopi prefissati e nel caso di inosservanza delle direttive generali imputabili al dirigente. Nei casi estremi si giunge anche alla revoca dell'incarico e al recesso dell'amministrazione dal rapporto di lavoro. Questi provvedimenti vengono presi su parere conforme di un comitato di garanti formato da un magistrato della Corte dei conti, da un esperto designato dal PdC e da un dirigente eletto tra i colleghi. Alcuni ministeri prevedono una ura di livello superiore rispetto a quella dei dirigenti: i segretari generali o capi dipartimento. Essi hanno compiti di coordinamento e i secondi anche di direzione e controllo delle attività dei dirigenti generali. Sono nominati con decreto del PdR previa deliberazione del CdM su proposta del ministro competente. I loro incarichi cessano 90 giorno dopo l'insediamento del nuovo governo così come quelli dei dirigenti nominati all'esterno delle amministrazioni. Certi ministeri prevedono le agenzie, strutture organizzative che svolgono attività di carattere tecnico-operativo e talvolta di tipo regolatorio. Hanno maggiore autonomia rispetto alle direzioni in termini di bilancio, fino al possesso della personalità giuridica ma rimangono tuttavia al servizio delle amministrazioni pubbliche. Ciò che non deve mancare è un'apposita convenzione tra il direttore generale dell'agenzia e il ministro competente per la definizione dei fini attribuiti, dei risultati attesi e delle risorse finanziarie utilizzabili.

Venivano considerate anche le amministrazioni pubbliche peculiari i cui organi di vertice non siano direttamente o indirettamente espressione di rappresentanza politica ed era stabilito che queste amministrazioni dovevano adeguare i propri ordinamenti al principio della distinzione tra indirizzo politico e controllo, e attuazione e gestione. Alla stessa disposizione erano collegate le autonomie locali, delle regioni e delle province autonome. Dopo la riforma del Titolo V della Costituzione soltanto la materia ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali, appartiene alla potestà legislativa dello Stato, e l'ordinamento degli uffici, non ricade più nell'ambito della legislazione concorrente delle Regioni che possono esercitare in materia la loro potestà statutaria e la loro potestà legislativa generale residuale. Per quanto riguarda l'organizzazione degli enti locali la legge n. 142 del 1990 aveva anticipato la distribuzione delle competenze tra organi di governo e organi burocratici secondo il principio della distinzione tra indirizzo e gestione. Nei Comuni più grandi è prevista la ura del direttore generale; per tutti gli enti locali è previsto il segretario i cui compiti non sono sempre chiaramente separabili da quelli del direttore generale. Agli enti locali è attribuita la potestà statutaria secondo i principi fissati dalla Costituzione.

Le funzioni degli apparati tecnico-burocratici ai quali si riferisce la denominazione di amministrazioni indipendenti consistono soltanto di indirizzi politici generali di regola risultanti direttamente dalle leggi o dalla Costituzione. Alla categoria delle amministrazioni indipendenti rientrano il Garante per la protezione dei dati personali, l'autorità garante della concorrenza e del mercato, l'autorità d regolazione di servizi di pubblica utilità dell'energia elettrica e del gas, e l'agenzia per la garanzia delle comunicazioni.


Il garante per la protezione dei dati personali è stato istituto per garantire che il trattamento dei dati personali si svolga nel rispetto dei dritti, libertà fondamentali e dignità delle persone fisiche con particolare riferimento alla riservatezza e identità personale per garantire i diritti delle persone giuridiche e di ogni altro ente o associazione. L'AGCM è stata istituire con la funzione di impedire che nel mercato nazionale si verifichino intese restrittive della libertà di concorrenza, di abusi di posizione dominante e di concentrazioni. L'AEEG è stata istituita con la finalità di garantire la promozione della concorrenza e dell'efficienza. L'AGcom è disciplinata dalla stessa legge dell'AEEG, la legge n. 481 del 1995. In tutti questi casi si è in presenza d organi collegiali che operano con piena autonomia di giudizio e valutazione e che non sono destinatari degli indirizzi degli apparati politici di governo se non in termini generali o in via eccezionale. I loro membri sono scelti tra persone di notoria indipendenza che abbiano ricoperto incarichi istituzionali di grande responsabilità e rilevo. Le competenze e le modalità di nomina dei componenti sono diverse ma tutte volte ad evitare che la decisione spetti al Governo o alla sola maggioranza parlamentare. Per il primo organismo alle nomine, per la durata di 4 anni con un'unica possibilità di conferma e senza previsione di revoca, si provvede con elezione di due membri da parte della Camera e due da parte del Senato con voto limitato. Per il secondo alle nomine, per la durata di 7 anni senza possibilità di conferma e senza previsione di revocabilità, si provvede con determinazione adottata d'intesa dal Presidente della Camera dei Deputati e dal Senato della Repubblica. Per il terzo alle nomine, per la durata di 7 anni senza possibilità di conferma e senza previsione di revocabilità si provvede con decreto del PdR previa deliberazione del CdM su proposta del Ministro competente. Per l'ultimo alla nomina del presidente si provvede con le modalità precedenti mentre i commissari sono eletti dal Senato e dalla Camera in numero di 4 ciascuno con voto limitato a 2.

















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