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STORIA DEL DIRITTO ROMANO- SINTESI- IUS MORES COSTITUTUM - CARATTERE MISTO DELLA COSTITUZIONE ROMANA



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STORIA DEL DIRITTO ROMANO

SINTESI


IUS MORES COSTITUTUM


La caratteristica principale delle regole più antiche dei romani era L'ORALITA', ma nonostante questo, erano comunque rispettate, perché convinti della loro obbligatorietà. Queste regole erano chiamate REGOLE CONSUETUDINARIE O DI COSTUME. Esse, inoltre, erano accomnate da un apparato sanzionatorio ed erano proiezione dell'organizzazione sociale e politica.

L'organizzazione sociale originaria era di tipo GENTILIZIO, era formata, in pratica, da CLANS O GENS. Questi ultimi erano composti di gente che portava lo stesso nome ed erano un'organizzazione politica a sé stante.

L'organizzazione economica, invece, era di tipo AUTARCHICO: ogni gentilizio, cioè, provvedeva al suo sostentamento. Gli scambi tra gentilizi erano rari. LE REGOLE ERANO EMANATE DAI GRUPPI PIÙ POTENTI DELLA COLLETTIVITÀ, la quale doveva seguire, senza possibilità d'infrazioni, queste regole. Nonostante le regole di comportamento fossero espressione dei ceti dominanti, erano rispettate da tutti, sia perché tutta la collettività era convinta che rispettare quel determinato comportamento portasse ad una situazione di fortuna sociale, sia perché in esse c'era COMMISTIONE tra DIRITTO E SACRO, POTERE POLITICO E RELIGIONE: PROPRIO PER QUESTO MOTIVO L'INFRAZIONE D'UNA REGOLA ERA VISTA COME UN'OFFESA A DIO. La norma orale, però, non garantiva la certezza del diritto e l'imparziale applicazione della norma: L'ARBITRARIETÀ' E' UNA IMPORTANTISSIMA CARATTERISTICA DELLA NORMA CONSUETUDINARIA.

Le norme consuetudinarie o di costume (IUS MORES CONSTITUM =diritto fondato sui costumi) avevano alcune caratteristiche importanti:

C'è compenetrazione tra diritto e sacro (religio). Il valore degli atti magico rituali era molto presente anche nei rapporti più stretti (esempio della suocera)



E' UN DIRITTO FORMALISTICO. Si ha formalismo quando la forma ingloba in sé il momento della volontà: in altre parole, quando ai fini della validità di un atto è molto importante rimanere vincolati a ciò che si dice o a quello che si fa.

NEL FORMALISMO NON CONTA L'INTERNO VOLERE, MA LA MANIFESTAZIONE ESTERNA DELL'INTERNO VOLERE. IL FORMALISMO E' ASSOLUTO RISPETTO PER LA FORMA E PER LA GESTUALITÀ'. Il formalismo aveva grande importanza giuridica: un esempio molto importante è la MANCIPATIO. Rilevante è anche il fatto che se nei processi si sbagliava la formula, si perdeva la causa.

IL SENATO DIRIGEVA TUTTA LA VITA POLITICA, anche se il sistema aveva caratteri spiccatamente popolari. All'interno del senato, UN RUOLO DIRETTIVO AVEVA L'ÉLITE NOBILIARE PATRIZIO PLEBEA. I magistrati e i tribuni della plebe, che avevano la possibilità di PORRE IL VETO ad ogni atto magistratuale ,solitamente provenivano di qui.

LE MAGISTRATURE FURONO IL PRIMO ORGANO COSTITUZIONALE ed erano composte dalle magistrature supreme e quelle di livello più basso. Partendo dal livello più basso si ha: QUESTORI, EDILI, TRIBUNI DELLA PLEBE (che erano magistrati della sola plebe), PRETORI, CONSOLI.

I consoli, in particolare, prendono i poteri che prima erano del re e avevano

un generale potere di comando e determinate potestà, come arrestare, punire,

avevano potere giurisdizionale e

avevano anche il potere di presiedere le assemblee senatorie, convocare l'assemblea del popolo (che non aveva potere d'iniziativa) e

il potere di proporre le leggi durante le stesse assemblee.

LE ASSEMBLEE POPOLARI AVEVANO TRIPLICE FORMA: C'ERANO I COMIZI CURIATI, CENTURIATI E TRIBUTI.

IL COMIZIO CURIATO ebbe grande importanza nell'età regia, poi ha via via perso potere. LE CURIE ERANO ASSOCIAZIONI SACRALI CHE FUNZIONAVANO COME UNITÀ DI VOTO. Erano 30, divise in 10 tra le tre tribù gentilizie. FUNZIONE = prendeva parte all'inauguratio del re e, in età Repubblicana, si riuniva per la lex de imperio, con cui i magistrati, dopo essere stati eletti, ricevevano il riconoscimento formale del loro potere

IL COMIZIO CENTURIATO ERA LA PIÙ IMPORTANTE ASSEMBLEA DEL POPOLO ROMANO. Questo comizio aveva natura timocratica e l'esercito oplitico trovò la sua forma politica. Il popolo era diviso in 193 centurie. 170 erano ripartite tra le 5 classi censitarie, 5 dagli inermi e le restanti 18 comprendevano la cavalleria. Le classi dirigenti avevano   il potere assoluto, perché a loro erano assicurate 98 centurie: 80 di queste provenivano dalla prima classe censitaria (i possidenti di terre), 18 dai militari. Inoltre, L'ORDINE GERARCHICO DELLE CENTURIE ERA RISPETTATO NELLA PROCEDURA DI VOTO. Di conseguenza se la prima classe si accordava con le centurie dei cavalieri, disponevano della maggioranza assoluta. LA LEGGE PUBBLICA È UNA DELIBERAZIONE DELL'ASSEMBLEA CENTURIATA SU UNA PROPOSTA DI LEGGE FATTA DAI MAGISTRATI D'ALTO RANGO (SOPRATTUTTO CONSOLI). LA LEGGE PUBBLICA DEL POPOLO ROMANO È UNA ROGATIO DEL RANGO SUPERIORE ACCETTATA DAL COMIZIO CENTURIATO. Nel COMIZIO CENTURIATO SI ELEGGEVANO CONSOLI, PRETORI E CENSORI

IL COMIZIO TRIBUTO si fondava, invece, sulle tribù come distretti territoriali e i membri di ogni tribù formavano un'unità votante. Il numero definitivo delle tribù fu di 35. NEL COMIZIO TRIBUTO SI ELEGGEVANO I MAGISTRATI MENO ELEVATI, COME GLI EDILI CURULI E I QUESTORI.

COMIZIO CENTURIATO E COMIZIO TRIBUTO SVOLGEVANO LE STESSE FUNZIONI, QUALI QUELL'ELETTIVA, LEGISLATIVA E GIUDIZIARIA. A Roma, pero', la legge non si è presentata sempre in questo modo. Il suo conurarsi come deliberazione collettiva si ha solo al termine di un lungo processo. Nella fase più antica della città, probabilmente la legge era un comando unilaterale, pronunciato da chi aveva il comando, davanti all'assemblea curiata o centuriata. Solo in un secondo momento, la deliberazione del corpo civico ha occupato il posto di una ratifica pura e semplice. Inoltre, secondo un'antica consuetudine ogni legge era subordinata all auctoritas del senato; e la ratifica, prima di sire, si trasformò in un parere favorevole sulla proposta magistratuale. La legge, infine, rimane essenzialmente orale e anche quando subentra la scrittura, non si confonde con l'atto legislativo vero e proprio. Bisogna aspettare l'epoca tardo Repubblicana, perché il testo appare così rilevante da influire sull'idea di legge.

Nel "De Officis", scritto negli ultimi mesi del 44 a.C, Cicerone delineava un disegno della società. Essa si presentava come una piramide capovolta: c'era l'umanità intera, lo stato e infine la famiglia, considerata come la cellula minima di cui il singolo fa parte. Secondo Cicerone, il vincolo che tiene unita la società è la PAROLA E LA RAGIONE: con l'insegnare, l'apprendere, il discutere, il comunicare e il giudicare, esse tenevano uniti gli uomini e li riunivano in una sorta di società naturale. In questo tipo di società ci doveva essere la comunione di tutti i beni che la natura ha prodotto, ad eccezione, però, di quei beni che erano stati affidati dalla legge e dal diritto civile ai singoli, che erano del loro possesso esclusivo. Cicerone, inoltre, elenca I GRADI DELLA SOCIETÀ UMANA: partendo dall'intera umanità al grado più basso si trovava la gente appartenente alla stessa nazione, che ha quindi la stessa lingua; al grado più basso, c'era la gente appartenente alla stessa città, che ha in comune molte cose, tra cui templi, leggi, i tribunali, le norme consuetudinarie, le amicizie . al grado più basso si trova la famiglia.

NEL DE OFFICIIS CITTÀ' E MONDO S'INTEGRANO SECONDO UNA SCALA e questa nuova idea trasferisce sul piano etico il problema del dominio di Roma. Roma, infatti, alla fine del VI sec. a.C lottava ancora per la sopravvivenza, ma già 50 anni più tardi, il dominio di Roma si era esteso notevolmente, lasciando il posto ad una chiara volontà espansionistica. Essa non avrebbe voluto esercitare un dominio vero e proprio, ma piuttosto un protettorato sul mondo intero. Il disegno paneziano e ciceroniano della società sottintendeva tutti gli avvenimenti straordinari di quel tempo di cui POLIBIO fu testimone.

Ci fu, infatti, un cambiamento rivoluzionario, che non aveva eguali: per la prima volta, tutte le regioni della terra, in meno di 53 anni, caddero sotto un unico dominio. Secondo Polibio, tutto questo si ebbe grazie al CARATTERE MISTO DELLA COSTITUZIONE ROMANA. MONARCHIA, ARISTOCRAZIA E DEMOCRAZIA OPERANO INSIEME NEL CONTROLLO DELLO STATO. Secondo Polibio, la loro perfezione non escludeva il declino di questo sistema politico, poiché era sostenitore dell'idea che ogni costituzione avesse un suo ciclo: "si trasforma, decade e infine ritorna al suo punto iniziale". Ad ogni modo Polibio segnava l'acme della costituzione romana al tempo della guerra annibalica, periodo in cui si dimostrò ottima e perfetta, mentre il suo inizio lo aveva fatto risalire a 30 anni dopo la spedizione di Serse contro la Grecia. Quindi, la costituzione risalirebbe al tempo del DECEMVIRATO e della sua caduta. In Polibio non c'è un riferimento esplicito alle XII tavole, ma ce ne sarebbe uno implicito, vista l'importanza che attribuisce al decemvirato: e scrivere leggi era la funzione specifica di quella magistratura .

IL PRIMO ATTO NORMATIVO FONDAMENTALE, INFATTI, E' LA LEGGE DELLE XII TAVOLE. NEGLI ANNI 451 - 450 FURONO SOSPESE LE MAGISTRATURE SUPERIORI (CONSOLI) E FU NOMINATA UNA COMMISSIONE DI 10 UOMINI, I DECEMVIRI APPUNTO, CHE COMPOSERO LE LEGGI E LE CIRCONDARONO DI GARANZIE PER LA LORO APPLICAZIONE

LA VOLONTÀ PRECETTIVA DELLA COMUNITÀ' ROMANA SI ESPRESSE AL MEGLIO NELLE XII TAVOLE, tanto che Cicerone, nel De Legibus, sostenne che "solo ispirandosi alle XII tavole, imitandone lo stile e le parole (perché esse sono tanto più autorevoli quanto più sono antiche), si poteva ordinare le norme sul culto degli dei e sulle funzioni dei sacerdoti, sui sacrifici"LE XII TAVOLE, INSIEME AI LIBRI DEI PONTEFICI POSSONO ESSERE CONSIDERATE LA FASE PIÙ ARCAICA DELLO IUS CIVILE (ordinamento giuridico della città). L'intervallo temporale che corre tra le XII tav. e Cicerone non è negato. Le XII tavole sono sempre aride formule che disciplinavano la società romana nel V sec    A.C, ma tra passato e presente corre un filo continuo: l'ordinamento giuridico ha una forza PEDAGOGICA, nel senso che insegna a non agire con frode, a difendere la proprietà, a non ledere i diritti altrui, ma l'antichità contribuisce a rendere l'ordinamento giuridico inattaccabile, proprio in nome dell'autorevolezza delle parole antiche.

Oltre che Cicerone, anche Livio riprende il motivo ideologico delle XII tavole, cercando di stabilire un legame tra il nuovo e l'antico. Anche Livio concepisce le XII tav. come alla base di tutto il dir. pubblico e privato e percepisce il gioco di tradizione ed innovazione nel corso della storia dello ius civile, tanto che vede il periodo che parte dall'età regia fino agli anni centrali del V sec. come un susseguirsi di RES NOVAE.

Le XII tavole hanno ricevuto, nel corso dei secoli, un'interpretazione tecnico - giuridica. Sono state, infatti, l'oggetto della prima opera sistematica della giurisprudenza romana. SESTO ELIO (III - II sec A.C.) scrisse TRIPERTITA, un'opera di commento suddivisa in tre parti, che si articolava in questo modo: testo della legge, interpretatio, moduli procedurali delle legis actiones. Quest'opera rispondeva al bisogno del ceto di governo che doveva appropriarsi della tradizione per costruire la propria cultura.

Nel trattato civilistico di QUINTO MUCIO SCEVOLA, invece, le XII tav. non sono l'oggetto specifico, ma gli istituti arcaici non vengono cmq ignorati.

SERVIO SULPICIO RUFO polemizzò a lungo con l'opera muciana.

Sulla stessa linea si muove LABEONE ed emerge il suo intento didascalico e la sua analisi linguistica del documento arcaico volta a fissare e controllare i criteri ermeneutici di portata generale e a chiarire le parole e le abitudini lontane, che con il tempo andarono perdute. Un sec e mezzo più tardi il filone letterario, che si occupava del commento delle XII tavole, sarà ripreso da GAIO.

NONOSTANTE GLI SVARIATI COMMENTI, LE XII TAVOLE NON ERANO VISTE COME UN TESTO SACRALE, MA PIUTTOSTO COME LEGGI CHE POTEVANO INVECCHIARE, MORIRE ED ESSERE SOSTITUITE DA LEGGI NUOVE. Lo stesso Labeone, che pur aveva dedicato un'opera alle XII tav., avvertì l'enorme distanza dall'editto pretorio, così come Sesto Cecilio Africano, il quale, sosteneva che leggi mutano secondo le circostanze e il caso, non rimangono mai nell'identica condizione. Anche Giuvenzio Celso era un profondo conoscitore del diritto antico, ma questo non gli impedì di metterlo in discussione ogni volta che ce n'era bisogno. Fra Antonino Pio e Marco Aurelio le XII tav. furono ancora oggetto di commento. LE XII TAV., QUINDI, SONO SOTTOPOSTE, DI VOLTA IN VOLTA O AD UN'OPERAZIONE ATTUALIZZANTE O AD UNA OPERAZIONE INVERSA, CHE LE RESTITUISCE AL LORO TEMPO. ANCHE SE LA DISTANZA STORICA E' AVVERTITA, PASSATO E PRESENTE CONTINUANO AD INTERAGIRE, perché l'antico è buono per lo stesso fatto di essere antico e quindi la tradizione assume una funzione precettistica, senza negare la consapevolezza della distanza temporale e del mutamento.

A ROMA, LA TRADIZIONE GIURIDICA RUOTA INTORNO ALLA LEGGE DELLE XII TAV

Le XII tavole s'inquadrano nelle lotte sociali del V sec. e sono il risultato di una profonda trasformazione costituzionale, quale appunto fu il cambiamento della forma di governo, che dai consoli passò ai DECEMVIRI.

QUESTA MAGISTRATURA STRAORDINARIA, SCELTA PER LA MAGGIOR PARTE TRA I PATRIZI, FU ISTITUITA NEL 451 E FU INVESTITA DI UNA FUNZIONE LEGISLATIVA. LA NOBILTÀ, QUINDI, CONCENTRAVA NELLE SUE MANI OLTRE CHE IL POSSESSO DELLA TERRA, ANCHE LA DIREZIONE PUBBLICA E L'AMMINISTRAZIONE DELLA GIUSTIZIA, ESCLUDENDO LA PLEBE DA QUESTE FUNZIONI.

LA PLEBE, però, AVEVA I SUOI MAGISTRATI: I TRIBUNI e GLI EDILI, che erano custodi dei templi; essa aveva la sua assemblea nel concilio organizzato per tribù .

Tuttavia, IL CETO PLEBEO ERA MOLTO DIFFERENZIATO AL SUO INTERNO: si passava dai contadini privi di terra ai commercianti, agli artigiani alle famiglie di notevole potenza economica (queste ultime ebbero un ruolo egemone nel conflitto politico). Gli strati contadini e borghesi erano quelli che avevano sofferto di più della mancanza di norme univocamente stabilite e universalmente accessibili e, quindi adatte all'amministrazione della giustizia; a completare il quadro c'era il fatto che questa giustizia era una giustizia aristocratica.

LA PLEBE SOSTENNE L'INIZIATIVA DI UNA LEGISLAZIONE SCRITTA. LA LEGGE COSTITUITA DIVENNE IL RISULTATO DEL COMPROMESSO POLITICO: le norme spesso, erano in contraddizione tra loro. C'erano, infatti, numerose norme che non erano a favore dei plebei (come la schiavitù per debiti e il divieto di contrarre matrimonio con i patrizi), ma ce n'erano altre di chiara ispirazione plebea. Per la civiltà antica la scrittura ha costituito un problema, perché non si riusciva a capire se essa era utile o no. Per questo motivo, alcuni vi scorgevano in essa un mezzo di progresso, altri un pericolo per l'educazione e la formazione intellettuale e per l'organizzazione politica.

ISPIRAZIONE DELLE XII TAV. = ISPIRAZIONE GRECA

Roma fu un'enclave barbara in un mondo ellenizzato almeno fino al II sec a.C, ma i rapporti con l'area greca erano molto più antichi. Fra il VI e il V sec, infatti, Roma non era proprio estranea al mondo greco. Si svolgeva, infatti, una notevole attività edilizia e si costruivano templi con l'opera di maestranze etrusche e della magna Grecia; anche quanto si sa sui culti e sulle tradizioni templari avvalorerebbero quest'ipotesi.

LA LEGISLAZIONE DELLE XII TAV. SI SVOLGE IN QUESTO QUADRO E L'ISPIRAZIONE GRECA E' SICURA. Il nesso tra le XII tav. e LE LEGGI DI SOLONE è un motivo che è portato avanti fino all'età tardo antica. Ci sono varie analogie tra i 2 sistemi di leggi che sono emersi da uno studio analitico. Si potrebbero rinvenire analogie tra le singole norme dei 2 sistemi, ma un dato certo è lo STILE. Questo, insieme con il VOCABOLARIO TECNICO, farebbero pensare ad un prestito della legislazione greca a quella romana, e cmq sia, l'idea stessa di raccolta giuridica è un'idea ellenica. UN ELEMENTO FONDAMENTALE CHE UNISCE I 2 FENOMENI LEGISLATIVI, LA LEGISLAZIONE SOLONICA E QUELLA DECEMVIRALE, E' IL LORO CARATTERE SPICCATAMENTE LAICO: questo significa che il legislatore non fa più da intermediario tra la divinità e i sudditi, MA E' LA STESSA CITTÀ' CHE SI MANIFESTA NELLA LEGGE, AUTODISCIPLINANDOSI. Ci sono, del resto, delle differenze tra le due legislazioni: mentre Solone, con le sue leggi, risollevò il paese dalla crisi economica e sociale, abolendo i debiti e la servitù e stabilendo un equilibrio della ricchezza, nelle XII tavole non c'è nulla di simile.

LE XII TAVOLE PREVEDEVANO IL MECCANISMO DELLA LORO MODIFICAZIONE, secondo il principio "che tutto ciò che il popolo da ultimo ha deliberato, deve considerarsi giuridicamente valido". Una prima applicazione di questo principio si ebbe con la LEGGE CANULEIA, emanata solo cinque anni dopo le XII tavole e che sanciva l'abolizione del divieto di contrarre matrimonio tra patrizi e plebei.

LE XII TAVOLE MOLTO PROBABILMENTE ANDARONO PERDUTE O DISTRUTTE NELL'INCENDIO GALLICO, AGLI INIZI DEL IV SEC. E NON FURONO PIÙ RICOSTITUITE. Il loro ricordo si trasmise oralmente da una generazione all'altra e attraverso una tradizione manoscritta verificabile su documenti d'archivio. La conoscenza che si ha al giorno d'oggi dipende dalle citazioni sparse in opere di giuristi, grammatici, retori e storici. Il testo noto non è più quello originario o almeno, non lo è in parte, perché commentatori e interpreti antichi riportarono alle XII tavole regole ed istituti che si sono formati più tardi e che trovarono in quelle tavole solo uno spunto; altre volte ci sono più versioni di una stessa norma.

MOLTI ATTI GIURIDICI ERANO GIÀ' DEI CONGEGNI VERBALI E GESTUALI STABILI PRIMA D'ESSERE ASSUNTI O RICHIAMATI NEL TESTO LEGISLATIVO. L'ESEMPIO STA NELLA MANCIPIUM E NEL NEXUM, CHE ERANO ATTI GIURIDICI NECESSARI PER TRASFERIRE UNA COSA DA UNA SFERA POTESTATIVA A UN'ALTRA O PER CREARE UN VINCOLO OBBLIGATORIO

IL MANCIPIUM (O MANCIPATIO) era un istituto giuridico intriso di formalismo. Aveva, infatti, il suo rituale: venditore e compratore si recavano davanti ad un portatore di bilance e a 5 testimoni. Il compratore toccava con una bacchetta di legno (il bastone era simbolo di grande potere tra gli antichi) la cosa da acquistare, pronunciando la formula vindicatoria solenne "AFFERMO CHE QUESTA COSA E' MIA SECONDO IL DIRITTO DEI QUIRITI". Il portatore di bilance aveva l'ufficio di pesare sulla bilancia il bronzo non monetato necessario per il prezzo. Dopodiché, si aveva il trasferimento della cosa dal venditore al compratore. Se la formula, però, era mal pronunciata, in virtù del formalismo, non c'era possibilità di correzione e non si aveva il passaggio di proprietà del bene. LA MANCIPATIO ATTUA UNO SCAMBIO TRA COSA E PREZZO, ma il fatto rilevante è che il vero protagonista di quest'istituto è l'acquirente, che pronuncia la formula che sancisce il passaggio di proprietà della cosa davanti al venditore, il quale assiste in silenzio e che in realtà si priva della proprietà di quella cosa. L'istituto si svolge su uno scenario sociale. Importante, infatti, nei negozi arcaici era LA VALENZA SIMBOLICA DI ALCUNI ELEMENTI:

IL PORTATORE DI BILANCE indicava la presenza dello Stato nell'atto di scambio che, super partes, garantiva che tutto fosse fatto secondo le antiche regole;

I 5 TESTIMONI (rigorosamente maschi) che assistevano al passaggio, documentavano gli esponenti dei 2 clan ai quali, compratore e venditore, appartenevano.

Nella struttura gentilizia, il modo di scambio non aveva solo valenza economica, ma aveva anche RILEVANZA POLITICA, perché significava DEPAUPERAMENTO DELL'INTERO CLAN DEL VENDITORE E PERDITA DI POTERE ECONOMICO in quanto il bene immobile aveva molto più valore del denaro (la mancipatio era fatta essenzialmente quando si vendevano le res mancipi, cioè quelle cose che avevano gran valore economico, come un fondo, gli schiavi, gli animali da soma e da tiro . ).C'era quindi una simbologia sociale e politica, tanto da diventare un atto metaeconomico. La mancipatio fu usata, con una sottile arte interpretativa da parte dei giuristi, per raggiungere fini diversi dalla compravendita: è il caso del MATRIMONIO CON MANO, dove il futuro marito acquistava la proprietà della futura moglie, la quale poteva liberarsene, allontanandosi per tre notti consecutive.

La formula vindicatoria, usata nella mancipatio, era alla base anche di altri 2 istituti: LA LEGIS ACTIO SACRAMENTO, che era un'azione giudiziaria, E LA IN IURE CESSIO, che era un negozio traslativo, modellato come finto processo sulla legis actio sacramento.

In particolare, l'IN IURE CESSIO ERA UNA LOTTA PROCESSUALE SIMULATA CON LA QUALE, DAVANTI AD UN MAGISTRATO, IL COMPRATORE RIVENDICAVA LA COSA, CON LA FORMULA VINDICATORIA E IL VENDITORE TACEVA, NON SI OPPONEVA. IL BENE PASSAVA NELLE MANI DEL COMPRATORE, CIOÈ DI CHI INTENTAVA LA CAUSA.

LA FORMULA AVEVA UN SIGNIFICATO MOLTO IMPORTANTE: PIÙ' CHE UN' AFFERMAZIONE DEL DIRITTO ERA LA CREAZIONE DEL DIRITTO.

Nel diritto arcaico c'era anche IL NEXUM, che era considerato come un istituto barbaro dal retore SESTO CECILIO. IL NEXUM, INFATTI, CONSISTEVA NELL'ASSOGGETTAMENTO DEL DEBITORE AL CREDITORE. ESSO SANCIVA LA SCHIAVITÙ' PER DEBITI: IL DEBITORE, CIOÈ', TRASFERIVA SE' STESSO NEL POTERE DEL CREDITORE, ATTUANDO UNA DIPENDENZA IMMEDIATA REALE O SIMBOLICA. Se il denaro non era restituito entro un dato termine, il creditore assumeva potere sul debitore. Il nexum era, molto probabilmente, come la mancipatio, un atto mediante il bronzo e le bilance e richiedeva la pronuncia di certe parole.

Cmq Il giurista che aveva dialogato con Sesto Cecilio, ribatté che il nexum, che oggettivamente era crudele, era una misura necessaria in un mondo in cui il ricorso al credito era una cosa rara, perché contrarre debiti era considerato un disonore e quindi c'era assoluto rispetto della parola data.

La SPONSIO, INVECE, era molto diversa dal nexum, perché in essa NON ERA PRESENTE IL CORPO SOCIALE E, DI CONSEGUENZA, NON C'E' NEANCHE LA RATIFICA O IL CONTROLLO DI ESSO. ESSA SI CONURA, ALL'EPOCA DELLE XII TAV. COME UN CONTRATTO VERBALE MOLTO SEMPLICE: ESSA CONSISTE IN UNO SCAMBIO CONTESTUALE E SOLENNE DI DOMANDA E RISPOSTA, TRA IL FUTURO CREDITORE CHE INTERROGA E IL FUTURO DEBITORE CHE PROMETTE. Essa continua ad esistere anche oltre l'età antica, in un quadro mutato, mentre l'istituto del nexum se verso la fine del IV sec a.C.

ISTITUTI IMPORTANTI NEL DIRITTO ARCAICO ERANO: LA CONVENTIO IN MANUM, IL TESTAMENTUM CALATIS COMITIIS E L'ADROGATIO.

LA CONVENTIO IN MANUM era un istituto che accomnava il matrimonio. Con essa la donna usciva dalla famiglia agnatizia e SI SOTTOPONEVA COME LIA ALLA MANUS (ALLA POTESTÀ) DEL MARITO O DEL PATERFAMILIAS DI LUI. Ci sono tre forme di quest'istituto:

La COEPTIO

L'USUS Queste 2 forme rientrano nel diritto civile

LA CONFARREATIO. In questa forma, gli sposi si univano per mezzo dell'acqua e del fuoco, e del farro mischiato col sale (il farro era un cibo sacro, con cui ogni offerta aveva inizio). Gli sposi sedevano col capo velato su sgabelli uniti e coperti da pelle ovina. Poi si pronunciavano delle parole rituali davanti a 10 testimoni e molto probabilmente c'erano anche i più alti sacerdoti.

IL TESTAMENTUM CALATIS COMITIIS E L'ADROGATIO avevano un carattere mondano. In quest'istituto, così come nell'ADROGATIO, il pontefice massimo presiedeva l'assemblea delle curie. In questo tipo d'istituto, persone libere e non sottoposte si trasferivano nella potestà altrui CON UN LORO ATTO D'AUTONOMIA.

LA COSA COMUNE A QUESTI ISTITUTI E', COME SI E' DETTO, LA NATURA FORMALISTICA. La validità o la nullità del nexum e della mancipatio, dipende esclusivamente dalla loro forma. Il negozio o è valido o è nullo; quel che conta è l'adesione alle caratteristiche esterne (per esempio che una certa parola sia detta, o che sia compiuta una certa azione simbolica, il cui significato è stato fissato una volta per sempre).

FRA GLI ATTI FONDAMENTALI CHE SI COMPIONO PER REGOLARE I PROPRI INTERESSI E I MODI DI PROCEDURA PROCESSUALE C'È UN LEGAME SOTTILE. Le XII tavole dedicano al PROCESSO largo spazio.

PER IL MONDO ROMANO ARCAICO, IL PROCESSO E' UN SISTEMA DI LEGIS ACTIONES, ESECUTIVE O D'ACCERTAMENTO. Le legis actiones erano dette così o perché introdotte da leggi o perché ricalcate proprio sulle parole delle leggi, e quindi immutabili. LEGE AGERE E' "L'AGIRE MEDIANTE UN CONGEGNO VERBALE O RITUALE" E LO STESSO VALORE HA LA LEGIS ACTIO.

IL PROCESSO ARCAICO RICHIEDE DUNQUE, COME GLI ATTI DI AUTONOMIA PRIVATA, LA PRONUNCIA DI PAROLE SOLENNI O IL COMPIMENTO DI GESTI DEFINITI. LA PRESENZA DELLE PARTI E' NECESSARIA. AL MAGISTRATO SPETTA UN RUOLO DIRETTIVO.



LEGIS ACTIO ERA UNA SOLENNE AFFERMAZIONE DEL PROPRIO DIRITTO, CHE ERA COMPIUTA SOLITAMENTE DAVANTI AD UN MAGISTRATO.

LE LEGIS ACTIONES ERANO ESECUTIVA O D'ACCERTAMENTO E CE N'ERANO 5:

LEGIS ACTIO SACRAMENTI IN REM (d'accertamento)

LEGIS ACTIO PER IUDICIS ARBITRIVE POSTULATIONEM (d'accertamento)

LEGIS ACTIO PER CONDICTIONEM (d'accertamento)

LEGIS ACTIO PER MANUS INIECTIONEM (esecutiva)

LEGIS ACTIO PER PIGNORIS CAPIONEM (esecutiva)

LA LEGIS ACTIO SACRAMENTO prende il nome dal "sacramentum". Essa, nella fase antecedente le XII tav., con molta probabilità, risolveva immediatamente la controversia fornendole un mezzo di prova. Nella sua versione meno antica, il sacramentum si risolveva in una scommessa: LE PARTI SI SFIDAVANO A PAGARE ALL'ERARIO UNA SOMMA DETERMINATA DI DENARO, IN CASO DI SOCCOMBENZA. Anche in quest'azione c'è grande formalismo: chi rivendica il potere su una cosa, pone la mano su di essa, e compie poi il gesto di toccarla con la festuca, simulacro della lancia, pronunciando la formula vindicatoria.

LA LEGIS ACTIO PER IUDICIS ARBITRIVE POSTULATIONEM ha il suo momento caratteristico nella richiesta di un giudice o di un arbitro. VI SI RICORREVA PER FAR VALERE UN CREDITO DA STIPULAZIONE O QUANDO PIÙ' COEREDI INTENDEVANO DIVIDERE IL PATRIMONIO EREDITARIO O LA COSA COMUNE.

Anche nel processo, si riscontrano aspetti contraddittori: l'intervento del potere statuale non ha completamente abolito l'autodifesa E SPESSO IL POTERE PUBBLICO SEMBRA ESSERE MESSO IN SECONDO PIANO RISPETTO ALL'AGIRE DEL SINGOLO.

L'attore, per esempio, deve convocare in giudizio l'avversario, intimandogli di seguirlo davanti al magistrato e usando, a questo scopo, anche la forza, ma secondo le modalità rigorosamente stabilite. La sentenza, pronunciata contro il debitore inadempiente, LEGITTIMA IL CREDITORE ALLA MANUS INIECTIO, UN'AZIONE ESECUTIVA, CIOÈ, CHE PERMETTEVA AL CREDITORE DI VENDERE IL DEBITORE, ORMAI SUO SCHIAVO, AL MERCATO PER TRE VOLTE O VENDERLO IN TERRITORIO STRANIERO O, SE NON SI VENDEVA, I CREDITORI POTEVANO UCCIDERLO E TAGLIARLO IN PEZZI.

LA PIGNORIS CAPIO e' un'altra azione esecutiva. In questo tipo di azione, IL CREDITORE S'IMPADRONISCE EGLI STESSO, SENZA L'INTERVENTO O IL CONCORSO DI NESSUN ORGANO STATUALE, DI UN BENE CHE APPARTIENE AL DEBITORE, O PER INDURLO AD ADEMPIERE O, PER SODDISFARSI DEL CREDITO. Il processo era diviso in 2 parti: LA FASE IN IURE E LA FASE APUD IUDICEM.

Nella fase IN IURE, si fissavano con certezza i termini della controversia. Era necessaria la presenza delle parti e l'attore aveva il potere di convocare l'avversario davanti al magistrato (questo veniva chiamata IUS VOCATIO), anche con la forza, se ce ne fosse stato bisogno. In questa fase si svolgeva anche la LITIS CONTESTATIO, in cui veniva fissato l'oggetto del processo e impegnava le parti a risolvere la lite con la sentenza.

Nella fase APUD IUDICEM la presenza delle parti non era più necessaria e la sentenza era emessa a favore di chi era presente.

LA SOCIETÀ CHE SI RISPECCHIA NELLE XII TAV. È UNA SOCIETÀ FONDAMENTALMENTE AGRICOLA. La famiglia era patriarcale e agnatizia. La cognatio è la parentela tra persone che discendono l'una dall'altra o da un ascendente comune. Gli agnati sono invece parenti in linea maschile che furono soggetti alla potestà del di uno stesso capofamiglia.

NELLA FAMIGLIA IL PADRE AGISCE COME UN RE. Egli è il sacerdote e il giudice. Solo il pater familias è proprietario, ha un patrimonio e diviene titolare di diritti, può istituire un erede, essere parte in un processo e rispondere dei debiti che assume. Egli occupava il gradino più alto della scala IL PADRE, DUNQUE, NON E' SOLO IL CAPO POLITICO DELLA FAMIGLIA, MA E' ANCHE L'INTERPRETE DELLA CONSUETUDINE, L'ARBITRO DEI COSTUMI. EGLI VIENE ASCOLTATO CON DEFERENZA E CI SI RIVOLGE A LUI CON RISPETTO.

LA STRUTTURA DEL GRUPPO FAMILIARE CONDIZIONA IL REGIME SUCCESSORIO. E' da porre in rilievo anche il fatto che la solidarietà della famiglia tenda a conservarsi anche dopo la morte del capofamiglia. QUESTO SPIEGA IL "CONSORZIO" DEI FRATELLI COEREDI E L'INDIVISIONE DEL PATRIMONIO. Questo poteva costituirsi sia tra fratelli che, in modo imitativo e con un atto formale, tra estranei. La posizione patrimoniale dei fratelli, che prima erano sottoposti al potere del paterfamilias, non è separabile dalla loro posizione familiare. Quest'ultima giustifica la contitolarità del patrimonio e la rilevanza per tutti dell'agire di ognuno. Col passare del tempo, questo istituto sarà sostituito dalla societas.

Erano state stabilite varie norme per regolare i rapporti tra i fondi (l'albero inclinato dal vento doveva essere rimosso dal fondo altrui; se vi sono caduti dei frutti, è possibile raccoglierli . ). LE XII TAV. ERANO UN CODICE DI CONTADINI, IN QUANTO L'ECONOMIA ROMANA SI BASAVA FONDAMENTALMENTE SULL'AGRICOLTURA, MA ESSI AVEVANO ANCHE NOTEVOLI INTERESSI COMMERCIALI E FACEVANO LARGO USO DEL PRESTITO (a questo si ricollega la manus iniectio che, se pur un macabro istituto, ancorava le sue radici nella concezione di prestito come fenomeno eccezionale). Nel campo penale, però, le XII tavole mostrano ancora il loro primitivismo legislativo, perché, l'idea di una vendetta privata è basilare.

Un altro problema importante era quando il cittadino condannato o accusato, poteva compiere la PROVOCATIO AD POPULUM, CIOÈ' L'APPELLO AL POPOLO. L'intervento punitivo pubblico si aveva nei casi d'ALTO TRADIMENTO, DI ATTENTATO ALLE LIBERTÀ' CITTADINE E NEI DELITTI SACRALI MOLTO GRAVI, perché in questo caso il soggetto colpito era la comunità intera. Quando invece era il singolo, l'assassino che ha agito in maniera intenzionale è esposta alla vendetta della famiglia dell'offeso e il potere pubblico deve solo accertarne la colpevolezza, quando il reo non è stato colto in flagranza di reato.

Anche il ladro, se era sorpreso di notte e se in pieno giorno si era difeso con le armi, poteva essere ucciso. Nella disciplina delle lesioni fisiche, quando la lesione era grave, si prevedeva il taglione, ma molte ure criminose si ricollegano in maniera molto stretta alla vita contadina. Per esempio, se qualcuno, di notte, sottrae o distrugge il raccolto altrui, era impiccato, in sacrificio di Cerere; se qualcuno incendiava o la casa o i covoni di grano, il colpevole era prima fustigato e poi arso vivo. EMERGE ANCHE LA CREDENZA NELL'EFFICACIA DI ARTI E FORMULE MAGICHE. Queste si pronunciavano sia per danneggiare una persona, sia per impedire la maturazione delle spighe di grano o per renderle vuote, sia per punire. E' IL CASO DELL'OBVAGULATIO, che era un atto punitivo contro di colui che era stato testimone di un atto librale o di una controversia giudiziaria e non voleva testimoniare. Chi si vedeva rifiutata la testimonianza, poteva recarsi davanti la porta del testimone disubbidiente e pronunciarvi per tre giorni formule di maledizione o d'infamia.

Nel mondo arcaico romano, accanto agli altri sacerdoti, C'ERANO I PONTEFICI. Ogni cerimonia religiosa privata o pubblica, era sottoposta al loro controllo. ESSI CONOSCEVANO IL SEGRETO DELLE MISURE E DEI NUMERI E FURONO PERCIÒ' INCARICATI

DI TENERE IL CALENDARIO DELLO STATO,

DI ANNUNZIARE AL POPOLO IL NOVILUNIO E IL PLENILUNIO E I GIORNI FESTIVI E

DI CURARE CHE OGNI ATTO RELIGIOSO O GIURISDIZIONALE AVVENISSE NEL GIORNO DEBITO.

CUSTODIVANO ANCHE LA STORIA DELLA CITTÀ' REGISTRANDO DI VOLTA IN VOLTA GLI AVVENIMENTI PIÙ' IMPORTANTI, CARESTIE ED ECLISSI DI LUNA O DI SOLE.

I PONTEFICI NON ERANO UNA CASTA SACERDOTALE, ERANO DEGLI ESPERTI E DEI TECNICI E SI OCCUPAVANO DI DIRITTO SACRO. IN ETA' REPUBBLICANA ERANO DEI CITTADINI INFLUENTISSIMI, DI ORIGINE PATRIZIA CHE, DOPO ESSERE STATI CONSOLI, DIVENTAVANO PONTEFICI. NON ERA RARO, INFATTI, CHE IL SACERDOZIO PONTIFICALE E LE MAGISTRATURE SI CONGIUNGEVANO NELLE STESSE PERSONE. SONO I PRIMI GIURISTI, NELLA SFERA UMANA E SACRALE. ESSI ERANO UOMINI LAICI CHE AVEVANO REGOLARE CARRIERA POLITICA E CHE CONFLUIVANO NEL COLLEGIO SACERDOTALE.

Tra la sfera umana e quella sacrale correvano dei legami strettissimi. Basti pensare che dal calendario dipendeva l'attività dei tribunali.

I pontefici, tuttavia, non intervenivano solo nella sfera del sacro; INTERVENIVANO, COME INTERPRETI E CONSIGLIERI, IN TUTTA LA VITA GIURIDICA. Questioni giuridiche potevano anche essere poste ad altri sacerdoti, ma i pontefici avevano il monopolio sul diritto privato e ne conservavano il segreto nei loro archivi.

IL SOLO MOMENTO COMUNICATIVO ERA COSTITUITO DAL RESPONSO, CIOÈ DAL CONSIGLIO TECNICO CHE VENIVA PRONUNCIATO CON LACONICITÀ' ORACOLARE. I cittadini vi ricorrevano quando dovevano concludere un negozio o avventurarsi in una controversia giudiziaria.

I RESPONSI DEI PONTEFICI DETERMINAVANO Od ORIENTAVANO L'AMMINISTRAZIONE DELLA GIUSTIZIA. Questo accadeva perché il responso assumeva una certa rilevanza, perché rilevante era colui che lo aveva pronunciato. Il responso, così, diventava vincolante ed esercitava una sorta di coartazione psicologica su colui che andava a chiedere il parere. IL PARERE AVEVA LO STESSO VALORE DELLA LEGGE, PERCHÉ' ERA MOLTO DIFFICILE NON SEGUIRE IL GIUDIZIO D'UNA PERSONA RILEVANTE IN UNA SOCIETÀ' FORTEMENTE GERARCHIZZATA.

SI È AFFERMATO CHE L'AMORE PER LA FORMA DOMINA SIA LA VITA RELIGIOSA, SIA QUELLA PUBBLICA, SIA QUELLA PRIVATA. LA FORMA, PERÒ, FACEVA PARTE DI UNA CULTURA ERMETICA ED ESOTERICA CHE SOLO I GIURISTI - SACERDOTI ERANO IN GRADO DI ELABORARLE E DI MANIPOLARLE.

L'IN IURE CESSIO, per esempio, si andò adattando via via a diverse funzioni, lontane dal campo della proprietà e dei diritti reali, come quello di costituire un rapporto associativo o di un'adozione, trasferire l'eredità deferita, acquisita o la tutela.

LA MANCIPATIO SI TRASFORMÒ IN UNA VENDITA SIMBOLICA, perché il prezzo non fu più ato al momento del rito, ma divenne un negozio, che serviva

per compiere una donazione o costituire una dote

o per garantire un debito

o per affidare una cosa in custodia

o per acquistare la potestà sulla moglie

o per disporre del proprio patrimonio in vista della morte.

Nel testamento mancipatorio, nella sua forma più arcaica, c'era un'effettiva alienazione dei beni e c'era una formula particolare che l'acquirente erede pronunciava. Nella sua forma meno arcaica, l'acquirente non occupa più la posizione di erede: egli è solo l'intermediario (dato che risulta dalle parole che rivolge all'alienante testatore). ORA L'ALIENANTE NON TACE, COME NELLA FORMA ORIGINARIA, MA PRONUNCIA UNA PROPRIA FORMULA.

Spesso i giuristi manipolavano, interpretavano e adattavano a nuove esigenze una norma fino a creare un nuovo negozio. E' il caso dell'EMANCIPATIO. PUNTO DI AVVIO ERA UNA NORMA DELLE XII TAVOLE, CHE STABILIVA CHE, SE IL PADRE ALIENAVA IL LIO PER 3 VOLTE, LA SUA POTESTÀ SU DI LUI SI SAREBBE ESTINTA. Si costruisce un meccanismo idoneo a liberare intenzionalmente il lio dal potere del padre, perché si presupponeva che la norma decemvirale sanzionasse un comportamento paterno abusivo. SERVIVANO A QUESTO SCOPO 7 ATTI FORMALI:

Il padre compiva tre mancipatio ad un estraneo che si prestava al gioco.

A ciascuna delle prime due vendite succede una manomissione da parte del compratore. Così il lio, liberato dal potere dell'acquirente estranea, ricade per 2 volte nella patria potestà. Solo con la terza vendita, secondo il precetto delle XII tavole, la patria potestà si estingue; ma il lio ora si trova nella sfera potestativa dell'acquirente estraneo.

Questo lo mancipa di nuovo al padre; questo acquista il lio nel suo potere, che non è più la patria potestà ormai estinta, ma il mancipium, il potere generico su cose e persone.

Con una terza e ultima manomissione, che il padre come titolare del mancipium può compiere (che si aggiunge alle 2 precedenti e alle 4 vendite), il lio non è più sottoposto neanche a questo suo nuovo titolo.

) vendita del padre al compratore 2) compratore manomette al padre 3)vendita del padre al compratore 4) compratore manomette al padre 5)vendita del padre al compratore = patria potestà si estingue, ma il lio ora è nella sfera potestativa del compratore. 6) Compratore lo vende al padre 7) padre (che ora ha solo potere di mancipium) manomette il lio = il lio è libero]

PERIODO REPUBBLICANO

Roma scoprì il mare molto tardi, a differenza di Cartagine che, già fra il VI e il V sec, era al culmine della sua potenza marittima e manteneva rapporti d'affari e d'alleanza con le città etrusche. Solo con il III o meglio con il II secolo (con la conquista dell'Italia e i primi dominii provinciali, la guerra annibalica e la sua fine), ROMA SI AFFERMÒ COME GRANDE POTENZA MERCANTILE NEL TRAFFICO MEDITERRANEO. Con la seconda vittoria su Cartagine, le attività commerciali e imprenditoriali ricevono uno slancio nuovo, favorite dalla massa di forza lavoro disponibile, dallo sfruttamento di miniere, dal crescere continuo delle fonti finanziarie e dalla circolazione di danaro. Ovviamente, quando si parla d'attività commerciali e imprenditoriali, si deve tenere conto che il commercio si svolgeva all'interno di un'aria ristretta e che si usciva da essa soltanto per lo scambio di beni di lusso o di semi lusso o di quei generi di prima necessità, come il ferro e il sale, che non si trovavano nella zona in cui ci si trovava. FONDAMENTO DELL'ECONOMIA ANTICA ERA L'AGRICOLTURA. A Roma non solo influisce molto sul vocabolario, ma anche sulla vita religiosa e politica. IL CONTADINO E' VISTO NON SOLO COME UN MODELLO ETICO, ma nel bonus agricola si identifica anche un soldato valoroso e il vir bonus.

IL MERCANTE, invece, è sì un uomo tenace e teso al guadagno, ma la sua vita e i suoi averi SONO ESPOSTI AD UN CONTINUO RISCHIO. LA MERCATURA SU VASTA SCALA NON VIENE DISPREZZATA, MA IL SUO SCOPO ULTIMO E' NELLA PROPRIETÀ DELLA TERRA.

Roma, dopo la vittoria della prima guerra punica, entrò in contatto con le varie civiltà e culture del MEDITERRANEO. QUESTO FECE SI' CHE NEL III SEC., MA PIÙ' NEL II A.C., IL MONDO E LA CULTURA ROMANA SUBISSERO UN PROCESSO DI PROFONDA ELLENIZZAZIONE. In particolar modo, dopo la battaglia di Pidna, che i romani vinsero sui Macedoni, la biblioteca di Perseo fu portata a Roma. Questo suscitò grande interesse per la cultura, per i nuovi generi (tragedie e commedie) e per nuove letture.

Ci fu un cambiamento totale, sia nei valori individuali (si abbandonò l'assoluto rispetto delle leggi), sia nel diritto.

LA SOCIETÀ' ROMANA, IN QUESTO PERIODO, HA UN VOLTO DIVERSO RISPETTO AL SUO PROFILO ARCAICO ED E' UN VOLTO CHE RESTERÀ STABILE FINO AL 2 SEC DELL'IMPERO.

AL VERTICE C'E' LA NOBILITAS, un'aristocrazia delle cariche nata dal pareggiamento patrizio plebeo. ESSA COSTITUISCE LO STRATO PIÙ ALTO DEL CETO SENATORIO. L'appartenenza alla nobilitas è EREDITARIA. VI APPARTENEVANO I PATRIZI E QUELLE FAMIGLIE NON PATRIZIE IN CUI UN ESPONENTE AVEVA RICOPERTO UNA CARICA PUBBLICA. QUEST'ULTIMA ERA DIVENTATO COSI' UN HOMO NOVUS E NON CESSAVA D'ESSERLO DURANTE IL CORSO DELLA SUA CARRIERA. SE RAGGIUNGEVA LA MAGISTRATURA CURULE, NOBILITAVA SE' STESSO E LA SUA FAMIGLIA PER SEMPRE (poi non bastò più l'edilità curule e la pretura ed alla fine IL CONSOLATO RIMASE IL SOLO PRESUPPOSTO INDISCUTIBILE PER LA QUALIFICA NOBILIARE. La nobilitas era divisa per gradi dal punto di vista della ricchezza e del prestigio, anche se LA SUA BASE ECONOMICA RIMANEVA SEMPRE IL POSSESSO FONDIARIO.

Accanto a questo ceto, c'era QUELLO DEGLI AFFARISTI, DEI BANCHIERI, DEGLI IMPRENDITORI E DEGLI APPALTATORI D'IMPOSTE (CHE SOLITAMENTE ERANO PROPRIETARI AGRICOLI). QUESTO VEDEVA, INVECE, NEL POSSESSO FONDIARIO, IL PUNTO D'ARRIVO DI TUTTI I LORO INVESTIMENTI. Nella tarda Repubblica questo ceto sarà chiamato CETO EQUESTRE. Il limite censitario minimo per entrare in questo ceto era 400.000 sesterzi: somma che permetteva solo ai migliori di accedere. Il termine nobile, così come quello di cavaliere, acquista un carattere ereditario.

Fra i GRUPPI SUBALTERNI, dopo la seconda guerra punica, IL NUMERO DEGLI SCHIAVI AUMENTA IN MODO CONSIDEREVOLE. LA PLEBE E' COSTITUITA SEMPRE MENO DI PICCOLI COMMERCIANTI E ARTIGIANI, E DI CONTADINI CHE COLTIVANO UN FONDO LORO. NELLA PLEBE CONFLUISCONO NULLATENENTI E CONTADINI IMPOVERITI. Essa vive nella città grazie ad elargizioni, sperando in occasioni di lavoro e sostenendo uomini politici disposti ad aiutarla.

IN QUESTO QUADRO NASCE IL DIRITTO COMMERCIALE ROMANO. ESSO E' UN RAMO SPECIALE DELL'ORDINAMENTO GIURIDICO ED E' UN COMPLESSO NORMATIVO SORTO PER I BISOGNI DEL TRAFFICO NELL'AREA MEDITERRANEA. Esso era utilizzato principalmente dai mercanti, ma era aperto anche ai cittadini e agli stranieri ed era libero dai vincoli formalistici del diritto civile.

IL DIRITTO COMMERCIALE, CHE VIENE CHIAMATO IUS GENTIUM, NON STA SULLO STESSO PIANO DELLO IUS CIVILE

IL DIRITTO CIVILE, INFATTI, È UN ELEMENTO COSTITUTIVO DELLA CITTÀ E SI LEGA STRETTAMENTE SIA CITTÀ SIA AL CITTADINO, PERCHÉ SOLO IL CITTADINO NE PUÒ USUFRUIRE: LO STRANIERO NE È ESCLUSO E MANCA DI UNA TUTELA GIURIDICA, a meno che non ricorre ad un trattato internazionale, a un legame reciproco di ospitalità e di amicizia. IL DIRITTO CIVILE HA IN SE' UN CHE DI CONSUETUDINARIO E DI ANTICO.

IL DIRITTO COMMERCIALE, INVECE, E' ESTRANEO ALLA CITTÀ ED E' SOLO ACCOLTO DA ESSA.

ESSO SI FORMA DA UN INSIEME DI PRATICHE NELLA REALTÀ' MOBILE DEI TRAFFICI E DEGLI AFFARI. HA UNA VOCAZIONE UNIVERSALISTICA, CHE VA OLTRE I SINGOLI DIRITTI CITTADINI.

Per concludere un negozio di dir. commerciale non c'era bisogno che una delle parti fosse straniera, ma esso era aperto anche ai cittadini romani.

IL COMMERCIO ABOLÌ TUTTE LE FORME; se il formalismo aveva introdotto nel mondo arcaico una dimensione nuova, anche la sua crisi è il segno di un mutamento epocale.

GLI ANTICHI NEGOZI DEL DIR. CIVILE NON VENGONO ABBANDONATI, MA IL DIRITTO S'ARRICCHISCE DI NUOVI ISTITUTI. Nei negozi del diritto commerciale, come LA COMPRAVENDITA E LA SOCIETÀ', LA LOCAZIONE E IL MANDATO, LA PAROLA E' SOLO LO STRUMENTO O IL VEICOLO DELLA VOLONTÀ', NON UN DATO ASSOLUTO.

LA LOCATIO CONDUTIO è un contratto consensuale. In questo negozio IL LOCATORE SI OBBLIGA A METTERE A DISPOSIZIONE DEL CONDUTTORE UNA COSA; IL CONDUTTORE, DAL CANTO SUO, SI OBBLIGA A RESTITUIRLA, DOPO ESSERSENE SERVITO PER UN CERTO TEMPO. O DOPO AVERLA MANIPOLATA O TRASPORTATA NEL MODO CONVENUTO. AL LOCATORE SPETTA UNA SOMMA, LA MERCES.

IL MANDATUM è anch'esso un contratto consensuale; IL MANDATARIO E' OBBLIGATO A FARE GRATUITAMENTE UNA COSA NELL'INTERESSE E PER INCARICO DEL MANDANTE.

NELLA SOCIETAS i soci possono mettere in comune anche tutti i loro beni, come succedeva nel consorzio antico (vedi . 11); o perseguire scopi determinati, come l'esercizio di un'attività economica o di un singolo ramo del commercio. IL VINCOLO RECIPROCO NASCE DALLA VOLONTÀ' LIBERAMENTE ESPRESSA, NON DA UNO STATUS FAMILIARE (come nel consorzio dei fratelli coeredi).

NELL'EMPTIO VENDITIO c'è una cooperazione di scambio tra i soggetti. LO SCAMBIO E' IL FINE ULTIMO, NON IL SUO EFFETTO IMMEDIATO; COME EFFETTO IMMEDIATO, DOPO IL CONSENSO, SI PRODUCE UN VINCOLO OBBLIGATORIO TRA COMPRATORE E VENDITORE, CHE LI OBBLIGA A CONSEGNARE LA COSA E A PAGARE IL PREZZO. COSA E PREZZO NON SI TRASFERISCONO SUBITO DA UN SOGGETTO ALL'ALTRO. Non muta niente del mondo del visibile alla conclusione dell'emptio venditio. Lo scambio avviene in un momento successivo all'accordo. Il rapporto obbligatorio è sorretto dalla buona fede; ed è questa che determina e giustifica la tutela giurisdizionale.



NELLA COMPRAVENDITA romana vige "il principio della surrogazione": per esistere HA BISOGNO CHE IL PREZZO SI SOSTITUISCA ALLA MERCE NEL PATRIMONIO DEL VENDITORE E CHE L'INVERSO ACCADA NEL PATRIMONIO DEL COMPRATORE. QUESTO MOMENTO SI HA AL PAGAMENTO DEL PREZZO. In questo caso qualcosa cambia nel mondo del visibile. OGNI ACCORDO, IN VISTA DI QUESTO SPOSTAMENTO DA UN PATRIMONIO AD UN ALTRO, HA SOLO IL VALORE DI UN ACCORDO PRELIMINARE: NON SI CREA NESSUN RAPPORTO OBBLIGATORIO TRA COMPRATORE E VENDITORE.

Anche in questo caso opera la buona fede, come in genere accade in tutti i contratti di diritto commerciale, ed è la norma che fonda il vincolo e misura la responsabilità.

A Roma il diritto commerciale ottenne la tutela con L'ISTITUZIONE DEL PRETORE PEREGRINO.

IL PRETORE PEREGRINO, istituito all'incirca intorno al 242 a.C., AVEVA IL COMPITO D'AMMINISTRARE LA GIUSTIZIA TRA ROMANI E STRANIERI E FRA STRANIERI.

La sua giurisdizione determinò anche un'altra cosa molto importante: IL PROCESSO CHE SI SVOLGE NEL SUO TRIBUNALE NON E' IL FORMALISTICO DIRITTO ARCAICO, MA E' UN PROCESSO FORMULARE. ESSO CONSERVA LA DISTINZIONE IN 2 STADI (IN IURE E APUD IUDICEM), MA NON E' VINCOLATO AI RIGIDI MODULI DELLE LEGIS ACTIONES.

IL SUO STRUMENTO E' LA FORMULA, A CUI LE PARTI SI SOTTOPONGONO CON LA LITIS CONTESTATIO (accordo delle parti sulla formula).

Nel processo formulare, il processo d'istruzione del magistrato era ampio: NELLA FORMULA, INFATTI, IL MAGISTRATO RIASSUMEVA LA CONTROVERSIA, DOPO UN LIBERO DIBATTITO TRA LE PARTI DAVANTI A LUI. IN QUESTO MODO FORNIVA AL GIUDICE LO SCHEMA O IL PROGRAMMA PER LA DECISIONE. Anche il giudice era nominato dal pretore peregrino e aveva un ampio potere decisionale.

La nuova procedura entra anche nel tribunale del pretore urbano (pretore diverso dal peregrino, quello che originariamente era unico) e coesiste anche con la vecchia procedura delle legis actiones, ma tende gradualmente a sostituirla. I criteri formalistici tendono a sire e la prassi crea un nuovo ordinamento


IL DIRITTO PRETORIO

AL PRETORE, SIA URBANO CHE PEREGRINO, E' AFFIDATA UNA FUNZIONE NORMATIVA.

IL DIRITTO ONORARIO O PRETORIO O MAGISTRATUALE SI FORMA IN QUESTO MODO: ogni magistrato poteva emanare EDITTI, CIOÈ ORDINANZE O PROCLAMI O ANNUNCI DEL PIÙ VARIO CONTENUTO.

Questa facoltà ce l'avevano

I CONSOLI, nell'esercizio del potere militare e civile, per convocare comizi e riunire il senato

IL PRETORE URBANO E PEREGRINO,

GLI EDILI CURULI, che la esplicavano nelle liti di mercato,

I GOVERNATORI DELLE PROVINCE E I LORO QUESTORI.

All'inizio del suo anno di carica, IL PRETORE STABILIVA I CRITERI DELLA SUA GIURISDIZIONE: elencava i mezzi di tutela che si proponeva di applicare nel corso del suo ufficio, formule processuali . l'editto era comunicato oralmente al popolo dal pretore, il quale enunciava le regole che avrebbe osservato nell'esercizio della sua carica.

La pubblicazione scritta dell'editto avveniva nel Foro: così chiunque avesse voluto intentare una causa, avrebbe potuto mostrare la formula che avrebbe richiesto contro di lui. Spesso, però, l'editto non trovava realmente applicazione perché il magistrato, dopo aver esaminato il caso particolare, poteva decidere diversamente, secondo le circostanze

La durata dell'editto era annuale e teoricamente perdeva la sua efficacia nel momento in cui era eletto l'altro pretore e compilava un editto diverso; in realtà, spesso MOLTE NORME PASSAVANO DA UN EDITTO ALL'ALTRO e duravano molto di più dell'editto in cui erano state scritte. L'EDITTO, COSI', RIVELA IL SUO DINAMISMO e la sua forma definitiva si ebbe solo nell'età adrianea, quando il principe ordinò a SALVIO GIULIANO (l'EDITTO PERPETUO)di riordinarlo. Dell'opera di questo giurista non c'è pervenuto l'originale, ma la ricostruzione che ha fatto OTTO LENEL è considerata la definitiva. Si possono distinguere 5 SETTORI in cui la materia era divisa:

Introduzione della lite e il suo svolgimento davanti al magistrato = rientrano I VADIMONIA E LE IN INTEGRUM RESTITUTIONES.

AL VADIMONIUM si ricorreva quando il dibattito processuale davanti al magistrato non si esauriva in una sola sentenza. Il pretore autorizzava l'attore ad imporre al convenuto, per mezzo del vadimonium, la promessa di riire in tribunale ad una data certa. IL VADIMONIUM ERA L'INVITO A PRESENTARSI PER LA PRIMA FASE DEL GIUDIZIO, stabilendo il giorno, la data e il luogo. Il convenuto prometteva, con una stipulatio penale (obbligazione verbale), una summa vadimonii in caso d'inadempimento. L'IN INTEGRUM RESTITUTIO SERVIVA AL PRETORE PER REINTEGRARE UN SOGGETTO NELLA SUA PRECEDENTE SITUAZIONE GIURIDICA, quando un negozio era stato concluso da un minore di 25 anni o con l'uso della violenza

La giurisdizione ordinaria

I mezzi urgenti di tutela giuridica

L'esecuzione della sentenza e il processo fallimentare contro i debitori insolventi

Gli interdetti, le eccezioni processuali e le stipulazioni pretorie. GLI INTERDICTA ERANO ORDINI PRETORI DI NATURA AMMINISTRATIVA, che imponevano l'esibizione di cose o di persone, o la restituzione di cose o la distruzione di opere o l'astensione da determinati atti. Questi servivano per la tutela del possesso. C'erano poi le EXCEPTIONES, CHE ERANO CLAUSOLE DA INSERIRE NELLA FORMULA PROCESSUALE e di cui il giudice doveva tener conto; una volta accertate le circostanze descritte dal convenuto, che le exceptiones mettevano in rilievo, il giudice doveva assolverlo. C'erano, infine, le STIPULATIONES PRAETORIAE, CHE ERANO NEGOZI OBBLIGATORI, ALL'INTERNO DEI QUALI SI DELINEAVANO DELLE FORME D'AUTODIFESA CONSENSUALE ORDINATA DAL PRETORE. La loro era una funzione di garanzia. Il pretore poteva imporne la conclusione con vari mezzi: o con una DENEGATIO ACTIONIS o concedendo alla controparte una MISSIO IN POSSESSIONEM.

L'EDITTO, DUNQUE, NEGLI ULTIMI 2 SEC. DELLA REPUBBLICA E' UNO STRUMENTO EFFICACISSIMO DI PRODUZIONE NORMATIVA. IN ESSO IL PRETORE ACCOGLIE TUTTI I MEZZI DI DIFESA GIUDIZIARIA, sia quelli che rimandano all'antico diritto cittadino, sia quelli che riguardano i rapporti nuovi della prassi commerciale; ma, nello stesso tempo, ABBANDONA GLI ISTITUTI ANTIQUATI ORMAI DIVENTATI INAPPLICABILI. ( es. della vicenda delle XII tavole sul delitto di ingiuria: i 25 assi previsti come sanzione erano diventati troppo pochi. Fu sostituita da un giudizio recuperatorio, in cui il calcolo della pena era rimesso al giudice).

NEL PROGRAMMA EDITTALE SI TUTELANO INTERESSI CHE EMERGONO PER LA PRIMA VOLTA: ne sono esempi la disciplina del dolo e della violenza nell'esercizio dell'autonomia privata, il comodato, il deposito, la gestione degli affari altrui.

Sia il DEPOSITO (consiste nell'affidamento in custodia gratuita di una cosa con l'obbligo di restituirla a richiesta), sia il COMODATO (che è la concessione gratuita di una cosa per un uso determinato, dopo il quale, deve essere restituita integra al concedente), FURONO PROTETTI PRIMA DA UN'ACTIO IN FACTUM E POI DA UN'AZIONE DI BUONA FEDE. QUESTO ERA LO STRUMENTO PRETORIO Più RAPPRESENTATIVO E LA FORMULA SI RICHIAMAVA AL FATTO: CON L'ACTIO IN FACTUM IL FATTO ACQUISTA RILEVANZA GIURIDICA.

LA STESSA COSA SUCCEDE PER LA GESTIONE DEGLI AFFARI ALTRUI.

FRA ISTITUTI CIVILISTICI E PRETORI SI PUÒ DETERMINARE UN VERO PARALLELISMO: SI PARLA DI PROPRIETÀ, OBBLIGAZIONI ED EREDITÀ PRETORIE OLTRE CHE DI PROPRIETÀ, OBBLIGAZIONI ED EREDITÀ CIVILISTICHE.

LA PROPRIETÀ PRETORIA (IN BONIS HABERE) = poiché nella compravendita il venditore era obbligato a trasferire solo il possesso della cosa, non la proprietà (questa si acquistava con l'usucapione, dopo 2 anni) e di garantirgliene il pacifico godimento, il compratore era esposto, finché non acquistava la proprietà, ad un'azione di rivendica da parte del venditore. NELL'EDITTO PERCIÒ, SI PREVEDEVA UNA ECCEZIONE CHE PARALIZZAVA UN'EVENTUALE RIVENDICA DA PARTE DEL VENDITORE: QUESTA ECCEZIONE ERA CHIAMATA EXCEPTIO REI VENDITAE ET TRADITAE, CHE TUTELAVA LA SITUAZIONE POSSESSORIA DEL COMPRATORE E CHE PERMETTEVA AL COMPRATORE DI PRETENDERE LA RESTITUZIONE DELLA COSA ANCHE DA UN TERZO CHE N'ERA VENUTO IN POSSESSO.

LE OBBLIGAZIONI PRETORIE = I rapporti obbligatori di diritto pretorio si modellano su quelli di diritto civile

L'EREDITA' PRETORIA = il pretore, con il nome BONORUM POSSESSIO, introduce un nuovo sistema successorio, che tiene conto dei vincoli di sangue e non solamente dei vincoli potestativi: erano presi in considerazione quindi anche i li emancipati e non solo quelli che erano sotto la potestà del defunto; ma erano presi in considerazione anche i parenti in genere, non solo i parenti collaterali in linea maschile. Quest'istituto non trascura neanche le reciproche aspettative patrimoniali dei coniugi. In un primo momento, c'erano la bonorum possessio secundum tabulas (secondo testamento) e quella sine tabulis (in mancanza di testamento). Solo alcuni decenni più tardi si definisce la bonorum possessio contra tabulas (contro il testamento).


Anche le formalità del testamento civilistico si riducono sul piano pretorio: perché sia valido, basta che 7 testimoni controllino la presentazione delle tav. testamentarie e appongano il loro sigillo.

IL DIRITTO ONORARIO SVOLGE, RISPETTO AL DIR. CIV., UNA FUNZIONE PRATICA, MA NON HA, COME IL DIRITTO CIVILE, UN'EFFICACIA IMMEDIATA ED AUTOMATICA, NON CREA RAPPORTI GIURIDICI DURATURI, MA SOLO MEZZI TEMPORANEI DI DIFESA GIUDIZIARIA PER SITUAZIONI DI FATTO CUI SI ATTRIBUISCE RILEVANZA GIURIDICA.

Già dalla fine del IV sec. era so un filone giurisprudenziale laico, che era cominciato con APPIO CLAUDIO CIECO e lo scriba edile GNEO FLAVIO.

IL MONOPOLIO DEL COLLEGIO PONTIFICALE VA VIA VIA SGRETOLANDOSI. Dall'inizio del III sec. a.C., attraverso un procedimento secolare, il potere dei pontefici sul diritto se.

AGLI INIZI DEL III SEC., INFATTI, TIBERIO CORUNCANIO, IL PRIMO PONTEFICE MASSIMO PLEBEO, RESE PUBBLICHE LE SEDUTE DEL COLLEGIO PONTIFICALE. DOPO CIO', ACCANTO AI GIURISTI PONTEFICI, SI TROVARONO GIURISTI LAICI

SACERDOZIO E PROFESSIONE GIURIDICA, dunque, SI SEPARANO: possono coesistere nella stessa persona, ma senza confondersi. Se prima solo un pontefice poteva essere un giurista, ora la competenza del diritto diventa un'importante qualifica ANCHE per la carica sacerdotale.

LA GIURISPRUDENZA LAICA E' UNA GIURISPRUDENZA ARISTOCRATICA, NOBILIARE O ALMENO SENATORIA. ESSA POTEVA APRIRE LA STRADA ALLA CARRIERA POLITICA, MA POTEVA ANCHE ESSERE UN RIFUGIO DOPO AVER PERCORSO LA CARRIERA POLITICA.

I giuristi Repubblicani erano degli uomini politici impegnati o in attività militari o in quelle civili. Proprio in queste attività civili si manifestava la virtus, che era un valore eminentemente aristocratico. Essa si concentra nella famiglia e si estende ad essa (se è una qualità propria dell'individuo). Questo valore, però, non rimane nella sfera interiore dell'uomo, ma si esplica anche in altri campi, come nel GOVERNO DELLO STATO. I giuristi Repubblicani, quindi, non dedicavano tutto il loro tempo al diritto, ma, almeno fino verso gli anni 60 - 50 del I sec. a.C., ricoprirono importanti cariche pubbliche.

AUTOREVOLE COME ESPERTO IN UN SETTORE RILEVANTE DEL SAPERE E DELLA VITA SOCIALE, IL GIURECONSULTO È AUTOREVOLE ANCHE COME UOMO DI GOVERNO. I 2 aspetti rimangono distinti, perché il giureconsulto agisce come un privato e la sua attività è autonoma rispetto alle cariche ricoperte di volta in volta, ma essi sono tra loro strettamente congiunti.

VERSO LA FINE DELLA REPUBBLICA IL NESSO TRA GIURISPRUDENZA E SERVIZIO DELLO STATO VIENE MENO, PERCHÉ I GIURISTI SI TENGONO LONTANI DALLA CARRIERA POLITICA (COME TREBAZIO TESTA).

IL GIURECONSULTO DELLA TARDA REPUBBLICA E' UN ESPERTO DI LEGGI E DI NORME CONSUETUDINARIE, CHE I CITTADINI OSSERVANO COME PRIVATI E IMPIEGA QUESTA COMPETENZA SIA PER DARE PARERI, SIA PER ALLESTIRE SCHEMI PROCESSUALI O NEGOZIALI. Queste sono le stesse funzioni che avevano in precedenza dei pontefici, ma svolte liberamente, senza più vincoli sacerdotali e sacrali. IL RESPONDERE, OSSIA IL COMUNICARE GRATUITAMENTE LA SOLUZIONE TECNICA DI UN QUESITO GIURIDICO, RIMANE IL COMPITO PIU' CARATTERISTICO DEI GIURISTI. Quello del giureconsulto è un consiglio tecnico, fondato sul sapere specialistico e può indirizzarsi a diversi destinatari.

ALLA BASE DEL CONSIGLIO GIURIDICO NON C'E' SOLO LA COMPETENZA, MA ANCHE L'AUCTORITAS DI CHI LO FORMULA: NON BASTA SOLO IL TALENTO A DETERMINARE IL PRESTIGIO DI QUALCUNO, MA C'E' ANCHE L'ORIGINE E LA POSIZIONE SOCIALE, I MERITI MILITARI E CIVILI E L'ETA' AVANZATA.

IL GIURECONSULTO OPERAVA IN CITTÀ. NELLA SUA CASA, SEDEVA SU UN SEGGIO ANTICO E DAVA ASCOLTO AI SUOI VISITATORI. La casa e il foro sono i luoghi privilegiati della sua professione. IL RESPONDERE E IL DOCERE SI COMPIONO INSIEME E IL RESPONSO E' ANCHE UNA CONGIUNTURA DIDATTICA. Coloro che insegnavano non avevano bisogno di dedicare un tempo particolare a questo compito, ma, nello stesso tempo, accontentavano sia quelli che volevano imparare, sia quelli che li consultavano.

La pratica del responso era anche UN EFFICACE STRUMENTO PROPAGANDISTICO, perché in un giro elettorale, il giureconsulto poteva mettere al servizio dei concittadini, la sua competenza. [VEDI PAG. 33]

IL GIURECONSULTO E' ANCHE PER VOCAZIONE CUSTODE, ARTEFICE E MANIPOLATORE DI FORMULE. NON HA BISOGNO DI ALCUN IMPIEGATO PUBBLICO PER PRONUNCIARLE, PERCHÉ E' EGLI STESSO A SUGGERIRLE; PUÒ ADATTARE LE FORMULE GIÀ IN USO AI BISOGNI NUOVI O PUÒ INVENTARNE ALTRE. Questo fu anche il compito degli antichi giuristi sacerdoti; compito che fu portato avanti almeno fino alla prima età imperiale, ma spogliato del suo primitivo formalismo (Sesto Elio, Manilio e Scevola furono inventori di formule. In particolare, Scevola, compose come pontefice massimo la formula che entrò a far parte del rito dell'adrogatio.).

ALL'INVENZIONE DI FORMULE COLLABORARONO I GIURISTI ORA COME CONSULENTI DELLE PARTI IN UNA CONTROVERSIA GIUDIZIARIA, ORA COME CONSIGLIERI DEL MAGISTRATO.

Una volta inventate e accolte nell'editto pretorio, le formule processuali diventavano strumenti di tutela disponibili per ogni cittadino che volesse farvi ricorso

C'è un aneddoto, che ha come protagonista Scipione Emiliano (una ura politica dominante sulla scena del suo tempo), che fa emergere questo dato importante riguardante l'attività dei giuristi del tempo: si racconta che alla fine del suo ufficio celebrava il rituale sacrificio espiatorio e lo scriba gli suggeriva la formula solenne della preghiera con la quale gli dei erano sollecitati a rendere migliori e più grandi le fortune del popolo romano. Scipione, subito dopo aver pregato che gli dei conservassero le fortune del popolo romano grandi come lo erano in quel momento, fece modificare la formula nei registri pubblici.

Importanti in questo brano sono i suoi aspetti formali: l'impiego, nella sfera costituzionale religiosa di una FORMULA SOLENNE consolidatasi nel tempo, l'intervento autorevole diretto a modificarla, la registrazione delle nuove parole nei libri pubblici. Alcune parti della formula risultavano intangibili, altre lo erano meno. Nel nostro caso non si adatta semplicemente un formulario alle circostanze, ma si fa di più: SI INTRODUCE UNA VARIANTE A FARE TESTO PER IL FUTURO.


DIRITTO, FILOSOFIA E ARTI LIBERALI.


SERVIO SULPICIO RUFO era un uomo coltissimo ed era un patrizio. La sua biografia intellettuale si può costruire grazie a Cicerone, suo grande amico. Servio, dopo aver frequentato le scuole di grammatica, andò in Grecia a studiare retorica e filosofia. Tracce di cultura di Cicerone rimangono nell'attività di giurista di Servio. Egli si dedicò all'oratoria, ma la lasciò presto per non essere secondo a Cicerone. I rapporti con Quinto Mucio Scevola furono molto burrascosi e questo è testimoniato dal fatto che Servio scrisse contro alcuni libri dello IURIS CIVILIS di Quinto Mucio. Ebbe un cursus honorum tranquillo fino alla pretura, ma ebbe qualche problema nel diventare console. Nel 61 a.C. si candidò al consolato, ma non ebbe successo: vinse le elezioni un generale, il quale in seguito fu accusato di brogli elettorali e fu difeso da Cicerone (che, in quanto difensore del generale, dovette andare contro Servio).Quest'avvenimento fece incrinare l'amicizia tra loro 2, ma in seguito tornarono amici. Nel 51 a.C., Servio si ricandidò e fu eletto console. Si trovò, quindi, nel mezzo delle guerre civili tra Cesare e Pompeo.

Servio fu un uomo molto colto e la sua cultura emerge dalla sua ricerca di giurista. La sua opera non è conosciuta direttamente, ma attraverso una raccolta di un suo allievo, ALFENO VARO, che fu un giurista della prima età imperiale.

SERVIO INAUGURA UNA NUOVA TENDENZA NELLO STUDIO DEL DIRITTO. EGLI, INFATTI, SVOLSE LA SUA ATTIVITÀ DI GIURISTA RESPONDENTE, MA LA SUA ATTIVITÀ FU CARATTERIZZATA DA UNA TENDENZA DI TIPO RAZIONALISTICO, CHE CONSISTE IN UN APPROCCIO DEL DIRITTO FONDATO SU STRUMENTI LOGICI, CHE PORTAVANO A COSTRUIRE UN SISTEMA DI REGOLE LOGICAMENTE FONDATO. Questo metodo accomnerà l'attività dei giuristi classici fino all'età adrianea e fu ripreso anche da Labeone.

SERVIO USA NON SOLO IL METODO DIALETTICO O PER GENERIS, MA ANCHE IL METODO ANALOGICO E L'ARGOMENTAZIONE PER ASSURDO: QUESTI SONO TUTTI METODI CHE HANNO DATO UNA SVOLTA IN SENSO SCIENTIFICO AL DIRITTO. LA GIURISPRUDENZA DIVENTA UNA SCIENZA.


L'INSEGNAMENTO NELLA TARDA REPUBBLICA


LA SCRITTURA DEI LIBRI DOVEVA ESSERE FUNZIONALE ALL'APPRENDIMENTO DEL DIRITTO ed infatti tra la fine del III sec. e la metà del II a.C., CI FU UNA FIORITURA DEL MANUALE.

POMPONIO, parlando di SERVIO SULPICIO RUFO, racconta che egli si diede allo studio del diritto, individuando 2 LIVELLI: QUELLO ISTITUZIONALE (ISTITUTIO, ossia la preparazione elementare) E QUELLO DELL'INSTRUCTUS (ossia di preparazione superiore). Si ipotizzano, però, in età neroniana, almeno 3 livelli di istruzione, stabilendo, nella tarda Repubblica, un rapporto tra insegnamento e letteratura giuridica.

LA PRIMA FASE DELL'ISTRUZIONE GIURIDICA ERA L'INSTITUTIO, cioè la preparazione istituzionale, elementare. L'insegnamento era affidato a giuristi esperti, ma non di grande valore giuridico e neanche di alto grado sociale. I MANUALI PIÙ DIFFUSI ERANO QUELLI DI QUINTO MUCIO SCEVOLA E DI GIUNIO BRUTO. Di quest'ultima si sa che era in forma dialogica: egli spiega al lio i rudimenti del diritto privato.

LA SECONDA FASE ERA QUELLA DELL'ADDESTRAMENTO DEGLI STUDENTI AL COMMENTO DI TESTI LEGISLATIVI, SENATOCONSULTI, ATTI DI AUTONOMIA PRIVATA. Questa fase era importantissima, perché erano spiegate tutte le tecniche di interpretazione di un testo e questa conoscenza tecnica ampliava le tecniche difensive di un avvocato. In questa seconda fase lo studente si serviva di tutto ciò che aveva imparato nelle scuole di retorica. Servio Sulpicio Rufo, compose un'opera di commento all'opera del pretore urbano ed era un'opera di chiara intonazione didattica.

Come TERZA FASE C'ERA L'ADDESTRAMENTO ALLA DISCUSSIONE GIURIDICA. QUESTA ERA LA FASE PIÙ ALTA DELL'INSEGNAMENTO, in quanto si insegnava ad affrontare in concreto un caso giuridico. Molto probabilmente questa fase era diretta da giuristi di più alto potere culturale. In questa fase il giurista faceva riferimento a tecniche di interpretazione e a forme argomentative tratte dalla retorica. LA GRAMMATICA, LA RETORICA E LA FILOSOFIA RIENTRAVANO NEL TIROCINIO DI QUALSIASI PERSONA COLTA.

Molto probabilmente, i giuristi si avvicinarono alla filosofia, ma solo per diletto e la tennero da parte nel loro lavoro giuridico; questo perché la giurisprudenza è senza dubbio una disciplina specialistica, ma questa specializzazione non vuol dire isolamento e si determina in un quadro complesso, dove convivono scelte umanistiche e scelte tecnico - razionalistiche.

Molteplice fu anche la cultura di MARCO ANTISTIO LABEONE. Fu allievo di TREBAZIO e, come il suo maestro, non divenne mai un oratore. IL DIRITTO FU IL CAMPO SPECIFICO DEI SUOI STUDI, MA ANCHE LE ALTRE ARTI LIBERALI EBBERO GRANDE RILIEVO. Approfondì la grammatica e la dialettica, ma anche la letteratura più antica e creò un legame indissolubile tra la ricerca linguistica e quella giuridica. Fu anche antiquario e archeologo.

IL DIRITTO, NEL MONDO ROMANO, SI E' EVOLUTO FINO AD AUTORAPPRESENTARSI IN UNA LETTERATURA.

IL "DE IURI CIVILI" DI QUINTO MUCIO SCEVOLA, IN 18 LIBRI, FU IL PUNTO DI ARRIVO DELLA TRADIZIONE CIVILISTICA E, NELLO STESSO TEMPO, LA BASE DEL SUO SVILUPPO.



QUINTO MUCIO SCEVOLA, lio di Publio, E' CONSIDERATO DA POMPONIO COME COLUI CHE PER PRIMO TRATTO' IL DIRITTO "PER GENERA". Il procedimento non era del tutto nuovo, perché Manio Manilio lo aveva già utilizzato (definì il nexum come tutto ciò che si compie attraverso il rituale del bronzo e della bilancia e nel quale è da comprendere anche la mancipatio. Questa era la definizione, nella quale ci sono 2 diversi istituti insieme. Il bronzo e la bilancia è il momento di sintesi, perché questi 2 elementi sono comuni ad entrambi gli istituti e poi si ha il momento della distinzione del nexum e della mancipatio), ma ora acquista un nuovo significato. Si è cercato di dare una spiegazione a questo giudizio di Pomponio.

IL GIUDIZIO DI POMPONIO SI PUÒ' SOLO SPIEGARE COL FATTO CHE POMPONIO AVESSE SIMPATIA IDEOLOGICA PER QUINTO MUCIO, MENTRE ERA SPESSO CONTRO SERVIO SULPICIO RUFO. Di conseguenza, POMPONIO NON FU OBIETTIVO NEL SUO GIUDIZIO, MA SI LASCIO' INFLUENZARE DALLE SUE ADESIONI INTELLETTUALI.

QUESTO METODO DIALETTICO, O PER GENERIS, CONSISTEVA IN 3 MOMENTI: 1) MOMENTO DELLA DISTINZIONE; 2) MOMENTO DELLA SINTESI 3) MOMENTO DELLA DEFINIZIONE.

CON QUESTO METODO SI PARTIVA DALLA RILEVAZIONE DELLE COSE DIVERSE, POI SI INDIVIDUAVA IL MOMENTO DI SINTESI, OSSIA LE COSE IN COMUNE, INFINE SI PASSAVA ALLA DEFINIZIONE

La riduzione dialettica del sapere giuridico tramandato era un fatto molto importante in una società di notabili. Nei giuristi romani non conta solo la conoscenza sicura dei principii guida, ma era anche importante sapere annodare il nuovo all'antico, alle vecchie forme giuridiche quelle di nuova creazione, ma il fatto rilevante è che   QUINTO MUCIO SCEVOLA non usò un ordine logico, dialettico, MA UN ORDINE STORICO, CIOÈ PRENDE GLI ISTITUTI ALLA LORO ORIGINE PER SEGUIRNE GLI SVILUPPI (Un esempio si ha quando Quinto Mucio avvicina il contratto di società, che era un istituto nuovo, a quello più antico del consorzio dei fratelli coeredi, privo di rilevanza ai suoi tempi, accomunandoli sotto la generale nozione di societas).

LA SCELTA DEL METODO STORICO DI MUCIO PUÒ ESSERE UN RIFLESSO DEL SUO CONSERVATORISMO POLITICO, DEL SUO ESSERE ATTACCATO ALLA TRADIZIONE, ALLA STORIA PIÙ ANTICA DI ROMA.

Il periodo in cui egli vive è un periodo di forti tensioni politiche tra conservatori e democratici. Fu ucciso in un attentato dai democratici.

L'IDEA DI MUCIO ERA QUELLA DI UN MODELLO DI DIRITTO INCENTRATO SULLA FAMIGLIA E SULLA PROPRIETÀ TERRIERA; MODELLO CHE ERA ANDATO IN CRISI A CAUSA DELL'ESPANSIONISMO E DELL'IMPERIALISMO DI ROMA.

QUINTO MUCIO ERA UN GIURISTA ORMAI LONTANO DALLA TRADIZIONE PONTIFICALE, MA IN QUALCHE MODO LA CONTINUAVA.

C'è un frammento di Pomponio, che testimonierebbe questo: in questo brano si racconta che Servio andò a consultare Quinto Mucio, ma non riuscì a capire quello che Mucio gli rispose sul problema giuridico; perciò lo interrogò una seconda volta, ma non riuscì ancora a comprendere. Allora Quinto Mucio lo rimproverò aspramente, sostenendo che era vergognoso per un patrizio, un nobile, un oratore, ignorare il diritto di cui si occupava.

Il fatto che Servio non intende per 2 volte quello che Quinto Mucio gli risponde al suo quesito è sintomatico e fa pensare AD UN ATTEGGIAMENTO ORACOLARE DA PARTE DI QUINTO MUCIO. FORSE QUEST'ULTIMO CONSIDERAVA IL MOMENTO TECNICO-ARGOMENTATIVO DEL RESPONSO COME UN MOMENTO CHE DOVESSE RIMANERE NASCOSTO; E SOLO IL PARERE, NELLA SUA FORMULAZIONE NUDA E CRUDA, DOVEVA VENIRE ALLA LUCE. Il rimprovero rivolto a Servio fa pensare anche che Quinto Mucio aderisse alla concezione di giurisprudenza ed eloquenza strettamente unite.

Per capire quale fosse il rapporto tra LEGES E IURA, ossia tra norme poste dalla città attraverso i suoi organi costituzionali e norme consuetudinarie, il punto di vista platonico e quello aristotelico sono molto importanti.

Per PLATONE le leggi devono essere mutevoli, per adeguarsi alla razionalità e alla coerenza cosmica di cui solo il filosofo è il solo interprete. Le leggi consuetudinarie, invece, si trovano in una posizione mediana tra le leggi scritte e quelle che lo saranno, perché una volta che diventano costume, avviluppano le leggi scritte e ne costituiscono una cintura difensiva. per platone quindi l'ordinamento giuridico e' modificabile, ma questa sua caratteristica non esclude il senso della tradizione.

Secondo ARISTOTELE, invece, e' la legge che deve governare e i governanti devono subordinarsi ad essa e diventarne i custodi. Essa però lascia ai magistrati la possibilità di emendarle e impone loro di giudicare e amministrare secondo il parere più giusto. Per Aristotele, in uno stato ci sono sia le leggi scritte e sia quelle leggi consuetudinarie, che sono le più importanti e trattano materie più importanti delle leggi scritte.

il punto di vista di cicerone, che riduce e svaluta la legge come modo di formazione del diritto, è condiviso da molti nella cultura tardo-repubblicana.

Per CICERONE, delle norme che costituiscono il diritto, alcune entrarono a far parte della consuetudine per ragioni di utilità; alcune, approvate dalla consuetudine, o apparse davvero utili, ebbero una conferma nelle leggi. Considera, inoltre, il diritto consuetudinario quello che il lungo trascorrere del tempo consolida con il consenso di tutti e senza il ricorso alla legge.

IN QUESTI 3 PUNTI DI VISTA, LA LEGGE APPARE MOLTO LIMITATA NELLA SUA ATTITUDINE INNOVATIVA. ESSA PUÒ SOLO CONFERMARE UN DIRITTO GIÀ ESISTENTE O PUÒ MUOVERSI AL DI FUORI DI ESSO QUANDO LO IMPONGONO MOTIVI DI UTILITÀ

LA GIURISPRUDENZA VIENE MESSA IN PRIMO PIANO, perché E' IN GRADO DA SOLA DI TROVARE IL CRITERIO RISOLUTIVO DI UN PROBLEMA PRATICO, MENTRE LA LEGGE ERA CONSIDERATA NECESSARIA SOLO QUANDO IL PROBLEMA PRATICO NON E' RISOLUBILE ALTRIMENTI DALLA GIURISPRUDENZA.

Questa diffidenza per le leggi è spiegabile col fatto che esse erano una moltitudine per gli uomini che dovevano osservarle ed era difficile tenerle tutte sott'occhio; non si potevano facilmente conoscere, perché era incerto il modo di pubblicarle e non se ne aveva nessuna raccolta. Solo quelle più importanti ricevevano un'affissione pubblica e perpetua.

L'EDITTO PRETORIO era congeniale alla mentalità della giurisprudenza, perché esso appariva uno statuto in formazione.. Questo perché l'editto che avevano di fronte i giuristi dell'ultima Repubblica, ma anche i giuristi dell'età augustea, aveva sì i suoi nuclei fondamentali certi e le sue linee sistematiche ferme, ma molte norme avevano un'origine recente e quindi erano molto frequenti gli apporti correttivi o innovativi. Solamente in un secondo momento, dopo la revisione giulianea voluta da Adriano, si riconosce in esso un testo definitivo. L'itinerario della bonorum possessio ce ne da la prova. L'editto, infatti, ha una validità annuale: è, in sé per sé, un testo effimero, ma può essere ripreso dal magistrato successivo e quindi l'editto può trasferire il suo contenuto al nuovo editto che lo segue, sicché quel contenuto sembra acquistare una diversa giuridicità.

Questo fa capire che LA DURATA DELLE NORME PRETORIE DIPENDEVANO DALLA RILEVANZA CHE ESSE AVEVANO RAGGIUNTO NELLA LORO STESSA APPLICAZIONE PRATICA. ARBITRA DI QUESTA RILEVANZA ERA LA GIURISPRUDENZA, IL CETO PROFESSIONALE CHE COLLABORA ALLA POLITICA LEGISLATIVA DELLA CLASSE DIRIGENTE CON L'INDISPENSABILE CONSIGLIO TECNICO E NE CONDIZIONAVA LE SCELTE. FRA GIURISPRUDENZA E ATTIVITÀ NORMATIVA PRETORIA C'E' UNO STRETTO LEGAME.

Una volta divenute stabili, sulle norme pretorie si forma la LETTERATURA. Il fine CHE SI PROPONE è quello di fornire delucidazioni su di esse attraverso un'analisi giuridico linguistica, di individuarne il contenuto e di ampliare la LORO sfera applicativa.

La differenza tra l'editto e la legge è che le norme dell'editto sono sempre modificabili e perfezionabili ed è quindi sempre soggetto ad un continuo esame critico. La critica fu uno degli strumenti della giurisprudenza con cui svolgeva il suo controllo su una fonte normativa di primaria importanza: gli esperti, oltre che collaborare a comporlo, si erano riservati anche la facoltà di criticare l'editto. La magistratura pretoria si preoccupava di creare le norme e di garantirne la loro applicazione, anche se erano comunque norme precarie. Per farle diventare norme che continuano nel tempo, si doveva sperimentare l'utilitas, la ratio, e l'aequitas.

IL RESPONSO E' IL PARERE CHE RISOLVE TECNICAMENTE UN QUESITO GIURIDICO. ESSO ORIENTA I COMPORTAMENTI DEI PRIVATI, LE SCELTE NORMATIVE DEI MAGISTRATI E LE SCELTE DEI GIUDICI

NELL'ETA' TARDO - REPUBBLICANA, INFATTI, IL RAPPORTO TRA RESPONSO E GIUDIZIO (RESPONDERE E IUDICARE) E' IMPORTANTE QUANTO NELL'ETA' CLASSICA.

I RESPONSI SI TROVAVANO NON SOLO NEI CATALOGHI RETORICI, MA ANCHE IN QUELLI TECNICO GIURIDICI: ESSI STAVANO ACCANTO ALLE LEGGI.

Gaio, per esempio, parlava di responsi come di pareri e di opinioni di coloro che furono autorizzati a produrre il diritto. Diceva anche che se i pareri dei giuristi erano univoci, i principi giuridici affermati, venivano considerati alla stregua di una legge; se così non fosse stato, il giudice era libero di orientarsi tra le varie soluzioni proposte

LA DIMENSIONE FONDAMENTALE DEL RESPONSO ERA L'ORALITA'. Certo, il mondo romano non ignorava la realtà testuale del diritto: la legge e il programma del pretore se non nascevano come testi, lo diventavano nel loro processo formativo; sono testi anche i libri giuridici. IL DIRITTO, TUTTAVIA, SFUGGE, IN QUESTO PERIODO, AD UNA PIANIFICAZIONE LEGISLATIVA O CODIFICATORIA. LA GIURISPRUDENZA HA LE SUE RILEVANTI MANIFESTAZIONI LETTERARIE, MA AGISCE ANCHE SUL PIANO DELL'ORALITÀ.

Il consiglio era solo oralmente formulato, così come la trasmissione ai discepoli di un corpo di dottrine: esso non era irrigidito dalla ina scritta, ma era trasmesso attraverso IL DIALOGO, LA CONVERSAZIONE E PERFINO MEDIANTE UN CONFRONTO COMPETITIVO TRA LE VARIE OPINIONI.

Sebbene, però, il responso fosse un atto prettamente orale, spesso la redazione di un documento era indispensabile. Era il caso dei responsi, che erano chiesti per dirimere una controversia giudiziaria. In questo caso si seguivano 2 vie: o era lo stesso giurista che scriveva al giudice o il privato interrogante si assicurava, per mezzo di testimoni, di dimostrarne il carattere autentico.

Nel momento in cui il responso era pronunciato, NON AVEVA BISOGNO DI ESSERE MOTIVATO, MA LE ARGOMENTAZIONI E MOTIVAZIONI ERANO RESE NECESSARIE SE IL CASO E IL RESPONSO VENIVANO TECNICAMENTE DISCUSSI (la consultatio poteva dar luogo ad una disputatio). Questo poteva accadere o per una curiosità di un ascoltatore o per l'esigenza di controbattere un avversario o per altri svariati motivi.

DALLA PRATICA CONSULTIVA NASCEVA LA LETTERATURA, anche se non c'era un passaggio immediato dall'una all'altra. Talvolta la tradizione dei responsi è solo orale (è il caso dei responsi "memorabili" di TIBERIO CORUNCANIO). Nella versione scritta il responso può conservare almeno qualche segno della sua origine orale. Per esempio, i libri giuridici di CATONE O DI MARCO GIUNIO BRUTO, NON AVEVANO ELIMINATO DEL TUTTO I NOMI DEGLI INTERROGANTI. IL MOTIVO DI QUESTO RISIEDEVA NEL FATTO CHE SI VOLEVA RIPRODURRE QUANTO PIÙ FEDELMENTE POSSIBILE IL CASO ACCADUTO, E NON SI VOLEVA DARE UNA VISIONE FALSA DELLA QUAESTIO E DEI SUOI MOTIVI.

OVVIAMENTE IL RESPONSO POTEVA TROVARE NELLA SUA FORMA LETTERARIA UNA COMPIUTA DECANTAZIONE SCIENTIFICA.

E' quello che accade nell'antologia serviana DI ALFENO VARO, CHE VIENE CHIAMATA PER LA PRIMA VOLTA "DIGESTA". Quest'opera ci è nota attraverso la Compilazione giustinianea, ma i commissari imperiali non ebbero in mano l'opera originale di 40 libri, ma 2 sue epitomi, una di GIULIO PAOLO e l'altra anonima.

Nei DIGESTA DI ALFENO VARO SI APPLICA IL METODO "PER GENERIS", usato anche da Manilio per la definizione del nexum. Quella che usarono e fu un'interpretazione più libera e scientificamente orientata, e che detrassero dalla cultura greca. Era un metodo usato nei trattati scientifici e Publio Mucio Scevola, Manio Manilio e Marco Giunio Bruto lo applicarono al diritto. La stessa cosa fece Alfeno Varo.

Nei "Digesta" (raccolta d'opere del maestro) prende in considerazione un CASO DI SCIPPO. E' difficile che in un testo giuridico sia descritta una disavventura notturna, ma questo accade in quest'antologia.

PRIMO CASO: Alfeno racconta che un tavernaio mise una lucerna su una pietra; un tale passando, la rubò. Il lucernaio, lo inseguì, reclamando la lucerna. Il ladro cominciò a percuotere con una frusta l'oste. La lite crebbe e l'oste cavò un occhio al ladro. IL QUESITO ERA: DI CHI E' LA COLPA? Il giurista distingue tra le varie ipotesi:

Se il tavernaio avesse cominciato per primo la colluttazione (ma non lo ha fatto), la colpa sarebbe stata sua e non del ladro.

Se, invece, il ladro avesse colpito l'oste con la frusta per difendersi da un danno più grave, la colpa sarebbe dell'oste, che avrebbe risarcito il danno.

Se l'oste avesse cavato l'occhio non intenzionalmente, la colpa sarebbe stata del ladro, che aveva colpito per primo con la frusta e non dell'oste.

Ci troviamo di fronte ad un caso di responsabilità per danni. Il testo lo si può intendere in un duplice senso: si può pensare che Alfeno si volesse riferire alla LEGGE AQUILIA, riconducibile al III sec. A.C.. Essa definiva la responsabilità di chi avesse ucciso o ferito schiavi o animali, e distrutto o danneggiato cose inanimate, ma postulava anche la condizione servile della persona su cui si compie l'atto delittuoso. Certo è che se la persona in questione era una persona libera, è improbabile che Alfeno o Servio, pensassero ad un'applicazione analogica della legge.

E' però possibile un'altra lettura. Si potrebbe supporre che il discorso, più che al danno aquiliano, si riferisca al delitto d'ingiuria e all'azione che ne deriva.

LA COSA RILEVANTE DI QUESTO BRANO E' IL FATTO CHE EMERGE LA STRUTTURA TRIADICA DEL RESPONSO: C'ERA 1) LA DESCRIZIONE DEL CASO , 2) LA FORMULAZIONE DEL QUESITO E POI 3) IL RESPONSO.


SECONDO CASO: In un altro frammento di Alfeno Varo si racconta che sulla salita del Campidoglio, alcune mule trainavano due carri a pieno carico; i mulattieri si sforzavano di sostenere da dietro il primo carro, ma questo cominciò a retrocedere. I mulattieri che erano tra i 2 carri, si tolsero e il secondo carro, urtato da quello che lo precedeva, arretrò e travolse uno schiavo. IL QUESITO ERA: CONTRO CHI, IL PROPRIETARIO DELLO SCHIAVO DOVEVA AGIRE IN GIUDIZIO? Le varie ipotesi erano:

Se i mulattieri che sostenevano il primo carro si fossero volontariamente allontanati e quindi le mule non fossero più riuscite a sostenere il peso, il proprietario dello schiavo potrebbe agire in giudizio contro i mulattieri, in base alla legge Aquilia

Se invece fossero state le mule ad indietreggiare, perché  non riuscirono a sostenere il peso, l'azione sarebbe esperibile contro il proprietario delle mule

Se, invece, né le mule, né gli uomini fossero responsabili della morte dello schiavo, il proprietario di quest'ultimo non potrebbe agire in giudizio contro di nessuno.

Nel suo discorso razionale, emerge molta dialettica, cosa che Servio conosceva bene. Essa insegna a dividere in parti un oggetto intero, a chiarire ciò che è oscuro, insegna a riconoscere le ambiguità e a distinguerle e ad ottenere un criterio su cui giudicare il vero e il falso e a stabilire quali conseguenze discendono e quali no da certe premesse.

Questi 2 brani si articolano in uno scenario cittadino, ma questo poteva anche essere quello dei traffici marittimi.

L'INTENTO DEI RESPONSI È INSIEME PRATICO E DIDASCALICO. Non sempre il responso era un monologo. Spesso il giureconsulto ragiona in pubblico, magari circondato di allievi, che lo ascoltano; ma il responso come forma letteraria poteva anche includere vicende dove intervenivano altre voci.


TERZO CASO: In un altro brano, tratto sempre dal Digesto di Alfeno, si proponeva il caso di giudici, nominati per giudicare una stessa causa, che, dopo aver presenziato alla maggior parte delle sedute di una causa, sono esonerati e altri giudici prendono il loro posto. IL QUESITO E': IL GIUDIZIO E' LO STESSO O CAMBIA, COL CAMBIARE DEL COLLEGIO GIUDICANTE? La problematica verte sul tutto e sulla parte. Servio risponde che anche se tutti i giudici cambiassero, il giudizio rimarrebbe lo stesso. Aggiunge anche che questo non è l'unico caso in cui, cambiando le parti, non cambia il tutto, ma ce ne sono tanti altri. COMINCIANDO IL RAGIONAMENTO ANALOGICO, (che è un altro metodo che Servio usa, oltre a quello "per generis") dice che se morissero tutti i legionari, non cambierebbe né la legione, né il suo concetto; la stessa cosa avviene se si considera il popolo romano: in 100 anni la gente cambia, ma, nel corso dei tempi, ci sarebbe stato sempre un popolo romano. La stessa cosa vale per una nave, che rimarrebbe sempre la stessa anche se i pezzi sono sostituiti. A questi esempi si può aggiungere l'esempio del collegio dei giudici, il cui concetto non cambia se cambia una parte di essi o tutti. Poi USA IL RAGIONAMENTO PER ASSURDO (altro metodo usato da Servio) e sostiene che se pensiamo che mutando le parti, muta anche la cosa in questione, allora dovremmo dedurre che anche noi esseri umani saremmo continuamente diversi. Riprende qui la teoria atomistica degli antichi filosofi greci, che pensavano che dal nostro corpo si staccassero degli atomi e che fossero sostituiti dagli altri. Poiché così non è, anche se le parti cambiano, il tutto rimane sempre lo stesso. Infine conclude che fino a che la forma di una cosa rimane identica, anche la cosa continua ad essere la stessa.

Servio usa un METODO DOGMATICO, usa, in pratica, tutte le tecniche di ragionamento per dimostrare l'esattezza del pensiero formulato.

IN QUESTO BRANO IL RAGIONAMENTO PER ANALOGIA SI COMBINA CON IL RAGIONAMENTO PER ASSURDO, CHE, INSIEME AL RAGIONAMENTO PER GENERIS, CONTRIBUIRONO A DETERMINARE LA RIVOLUZIONE.SCIENTIFICA NELL'AMBITO DEL DIRITTO E A FARE DELLA GIURISPRUDENZA UNA "SCIENZA GIURIDICA" .


























































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