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Publio Afro Terenzio

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Publio Afro Terenzio nacque a Cartagine nel 195 a.C. e giunse a Roma come schiavo del senatore T. Lucano, dal quale fu liberato 'ob ingenium et formam' ('per ingegno e bellezza'). La sua vita si inserisce nel periodo di tempo compreso tra la fine della II guerra punica (201 a.C.) e l'inizio della III (149 a.C.) e si lega strettamente con la vicenda politica e culturale romana di quegli anni. Sulla vita di Terenzio abbiamo una biografia risalente a Svetonio: a questa attinse Donato, che la premise al suo commento delle commedie di Terenzio. Notizie biografiche, poi, si possono ricavare anche dai prologhi delle commedie stesse. A Roma egli divenne intimo di Scipione Emiliano e di Gaio Lelio, entrando quindi a far parte del circolo scipionico, del cui ideale di 'humanitas' si fece portavoce. La sua posizione di prestigio suscitò però l'invidia dei suoi contemporanei, soprattutto degli altri letterati. Sul conto di Terenzio, sorsero così calunnie e pettegolezzi: lo si accusava di plagio e di essere addirittura un prestanome dei suoi importanti protettori, i veri effettivi autori delle sue commedie (era infatti considerato disdicevole per un 'civis Romanus', impegnato politicamente, dedicare il proprio tempo alla composizione di commedie; le uniche attività a lui concesse erano l'oratoria o la storiografia). Da questa accusa, Terenzio si difende nel prologo della sua ultima commedia, l''Adelphoe'. Amareggiato dal complessivo insuccesso della sua produzione, ma anche evidentemente per diletto e soprattutto per studiare sul posto istituzioni e costumi greci da ritrarre nelle sue opere, Terenzio lasciò Roma nel 160 a.C. e volle fare un viaggio in Grecia e in Asia Minore, da cui però non fece più ritorno. Morì qualche anno più tardi, o a causa di una malattia, o a causa di un naufragio, oppure per il dolore procuratogli dalla perdita dei bagagli che contenevano molte commedie che aveva tradotto da originali di Menandro reperiti in Grecia. Di Terenzio ci sono pervenute, integralmente, 6 commedie "palliate" (cioè d'ambientazione greca), composte e rappresentate a Roma, di cui si conoscono, tramite le 'didascalie', l'anno e l'occasione del primo allestimento. Egli esordì nel 166 a.C. con una commedia, l' 'Andria' ('La ragazza dell'isola di Andro'). Nel 165, fece rappresentare una seconda commedia, l' 'Hecyra' ('La suocera'): il pubblico, dopo le prime scene, abbandonò il teatro, preferendo assistere ad una contemporanea manifestazione di pugili e funamboli; fu un fiasco clamoroso. Nel 163, fece rappresentare l' 'Heautontimorumenos' ('Il punitore di se stesso'). Nel 169 furono, invece, rappresentate ben 2 commedie: l' 'Eunuchus' ('L'eunuco') e il 'Phormio' ('Formione'). L' 'Eunucus' fu il più grande successo di Terenzio, perché è la sua commedia più simile alla comicità plautina. Nel 160, infine, durante i giochi funebri per celebrare la morte di Lucio Emilio Paolo, padre di Scipione Emiliano, Terenzio fece rappresentare la sua ultima commedia, l' 'Adelphoe' ('I fratelli'); nella stessa occasione tentò una seconda rappresentazione dell' 'Hecyra', ma anche questa volta il pubblico abbandonò il teatro, preferendo i gladiatori. Una terza rappresentazione avvenne durante i 'Ludi Romani' dello stesso anno e, finalmente, durò dall'inizio alla fine: il pubblico rimase in teatro grazie alla presenza di Ambivio Turpione, attore molto celebre di quel tempo. Terenzio operò una vera e propria 'riforma' nell'ambito del genere della palliata, ristrutturandolo dal punto di vista tecnico e introducendo in esso nuovi contenuti ideologici, in linea con le tendenze del circolo cui apparteneva. La sua carriera non fu certo facile come per Plauto, o almeno non ebbe lo stesso successo, perché la sua commedia non rispondeva ai gusti del grosso pubblico romano, non ancora pronto a un 'salto di qualità' di questa portata: quella di Terenzio era, infatti, una commedia che voleva trasmettere un messaggio morale estraneo alla mentalità romana abituata al teatro plautino, che interpretava i rapporti interpersonali come basati sull'inganno, sulla violenza e sulle prevaricazioni. In effetti il pubblico ideale di Terenzio era il pubblico colto (che coincideva, in pratica, con lo stesso 'circolo'), o sicuramente più raffinato di quello sboccato e 'plebeo' che applaudiva le opere di Plauto. Un pubblico, in breve, elitario, il cui ideale artistico è un'opera che riproduca nel migliore dei modi le preziosità dell'originale greco. Quattro delle 6 commedie terenziane si rifanno, infatti, ad originali menandrei (a riprova di ciò, anche se in senso dispregiativo, Cesare definì il commediografo 'dimidiatus Menander', ossia un 'Menandro dimezzato'): solo l''Hecyra' ed il 'Phormio' riprendono commedie di un altro autore, Apollodoro di Caristo, un commediografo greco di cui però non si conosce nulla. Rispetto a Plauto, le commedie di Terenzio presentano maggiore fedeltà ai modelli greci, ma si tratta sempre di una fedeltà relativa: anche Terenzio ricorreva infatti alla 'contaminatio'. Tuttavia, tale tecnica non consiste, <<come pure è parso a molti, in un'ibrida mescolanza di più commedie, ma nell'inserimento di scene desunte da altri drammi, all'interno di una commedia greca usata come modello>> [Monaco - De Bernardis]. Rispetto a Plauto, poi, Terenzio mantiene un'ambientazione rigorosamente greca, senza surreali intrusioni di usi e costumi romani. Altra notevole differenza con Plauto è quella relativa allo stile e al linguaggio: rimanendo coerente all'esigenza di raffinatezza del sofisticato circolo scipionico, egli evita rigorosamente espressioni popolari e volgari, ma utilizza, rifinendolo, il linguaggio della conversazione ordinaria. Quello di Terenzio è insomma uno stile e un linguaggio sobrio, naturale, all'insegna della compostezza, della semplicità e si adatta decisamente alla realtà che lo circonda. In Terenzio, inoltre, al centro della vicenda, troviamo amori ostacolati che alla fine si realizzano felicemente. Troviamo anche i soliti stereotipi: equivoci, inganni ecc. e i soliti personaggi: giovani innamorati, vecchi genitori ecc. Il topos del riconoscimento conclude 5 commedie su 6, mancando solo negli 'Adelphoe'. Sempre 5 su 6 si concludono con uno o più matrimoni: solo nell' 'Hecyra' troviamo il ristabilimento di una unione matrimoniale che era entrata in crisi a causa di equivoci e sospetti infondati. Terenzio tende poi, a suo modo, a complicare gli intrecci menandrei, inserendo nella commedia, accanto alla coppia principale, una seconda coppia. Gli 'adulescentes' spesso sono quindi due e sono due i 'senes'. Rispetto a Plauto, Terenzio costruisce i suoi intrecci con coerenza maggiore e con più credibilità, caratteristiche queste mancanti nell'altro, che puntava sull'efficacia comica della singola scena. Il genere comico era stato, con Plauto, un grande momento di intrattenimento popolare. Plauto divertiva e appassionava anche chi non fosse per nulla sensibile alle problematiche culturali, presenti nei testi originali che venivano adattati. Al suo pubblico non è richiesto alcuno sforzo di approfondimento e di meditazione: tutto è assorbito e bruciato dalle trovate comiche. Le trame offrono al pubblico un impostazione convenzionale di riferimento, senza che troppo si scavi nella psicologia dei personaggi in azione. Il teatro di Terenzio sottolinea l'interesse per la sostanza umana che è messa in gioco negli intrecci della commedia. Il difficile tentativo di Terenzio è usare un genere fondamentalmente popolare, per comunicare anche sensibilità ed interessi nuovi. Le vicende delle commedie terenziane attestano il progressivo distanziarsi dei gusti del pubblico di massa e dell'élite colta. Il teatro di Terenzio mette in scena gli ideali di rinnovamento culturale dell'aristocrazia scipionica. Larga parte della critica non ha mancato di sottolineare come Terenzio, più che alla rappresentazione psicologica dell'individuo, sembra interessarsi a quella del "tipo": il giovane innamorato, la ragazza a lui teneramente dedita, il padre tradizionalista e preoccupato per la felicità del lio. Ma anche se tipizzati, i personaggi terenziani sono spesso anticonvenzionali: la suocera per niente bisbetica, anzi pensosa della felicità della nuora, la prostituta moralmente migliore di tanta gente perbene, erano caratteri largamente innovativi rispetto alle abitudini del pubblico. La notevole riduzione delle trovate comiche,però, alienò a Terenzio le simpatie del grande pubblico. Come in Plauto, anche in Terenzio ritroviamo alcuni dei "topoi" tipici del teatro di Menandro



  • Il tema del riconoscimento, proprio quando si comincia a disperare di trovare una soluzione. (Terenzio: Andria, Heautontimorumenos; Menandro: Perikeiromsnh)
  • Il tema della donna sedotta da uno sconosciuto che si rivela poi essere il legittimo sposo. (Terenzio: Hecyra; Menandro: 'Epitrspontej )
  • Il tema dell'opposizione dei genitori al matrimonio dei li. (Terenzio: Heautontimorumenos; Menandro: 'Asp . j)
  • Il tema delle varie peripezie messe in atto dagli innamorati per potersi congiungere con le amate. (Terenzio: Eunuchus, Adelphoe; Menandro: DÚskoloj).

Inoltre grande peso hanno in Menandro le donne come elementi che permettono la stabilità della società, fatto indubbiamente determinato anche dalla nuova attenzione, che si manifesta dal IV sec. per la famiglia piuttosto che per la politica; pensiamo ora alle commedie di Terenzio: in alcune le donne hanno un ruolo importantissimo, basti citare l'Hecyra. Altra differenza importante rispetto a Plauto e a Menandro è l'abolizione del prologo informativo: questi autori si servivano del prologo appunto per informare il pubblico dell'antefatto, anticipando spesso la conclusione; ciò metteva il pubblico nella condizione di seguire meglio la vicenda (il cui intreccio era spesso complesso) e lo rendeva superiore agli stessi personaggi della commedia. Terenzio trasforma, invece, il prologo informativo in un prologo a carattere 'critico' e letterario: nel prologo parla di sé, del suo modo di poetare e si difende dalle accuse che i suoi avversari gli rivolgono. A recitare il prologo, poi, non è neanche più un personaggio della commedia, ma un attore scelto apposta (la cosiddetta 'persona [= maschera] protatica'), che indossa un costume particolare. Tuttavia, Terenzio elimina il prologo informativo anche perché vuole che lo spettatore si immedesimi nel personaggio, vuole che il pubblico sia coinvolto emotivamente nelle vicende e provi le stesse emozioni dei personaggi. Inoltre vuole mascherare l'aspetto fittizio dell'evento teatrale, vuole che non venga mai interrotta l'illusione scenica: elimina, a tal riguardo, tutti i procedimenti 'metateatrali' a cui spesso ricorreva Plauto. Tutto ciò ha uno scopo preciso: mentre il sarsinate non perseguiva nessun fine morale o politico, ma tendeva solo a divertire, Terenzio, con le sue commedie, intende trasmettere un messaggio morale. <<Terenzio intende mantenere a tutti i costi la verosimiglianza: il suo pubblico, per tutta la durata del dramma, non deve pensare di essere a teatro, deve credere piuttosto di vedere una 'tranche de vie' [ . ]. Il suo dunque è un teatro 'naturalistico'>> [Monaco - De Bernardis]. Molto è stato discusso sul vero significato da dare al termine 'stataria', usato dallo stesso Terenzio per definire le proprie commedie: secondo alcuni, esso significherebbe che la sua non è commedia d'azione, ma esclusivamente psicologica,: ciò è vero, però, fino ad un certo punto, dato che - anche se certamente in tono minore rispetto a Plauto - le sue opere non rinunciano completamente al movimento scenico. Allora, sarebbe forse più esatto affermare che <<molto semplicemente commedia stataria è quella dove non ci sono scene movimentate, con inseguimenti, litigi e clamori, scene farsesche che sono tipiche del teatro comico popolare>> [Perelli]. Protagonista del teatro di Terenzio non è più il 'servus ', ma padri e li. Egli non ridicolizza i sentimenti d'amore dei giovani, ma li segue con partecipazione e simpatia. Anche i padri terenziani sono differenti da quelli plautini: sono disponibili al dialogo coi li e si preoccupano sinceramente della loro felicità più che del loro patrimonio o del veder affermata la propria autorità. Nel teatro di Terenzio, del resto, non esistono personaggi del tutto negativi: anche i servi sono spesso vicini ai padroni e partecipano ai problemi familiari; non tutte le cortigiane pensano ai propri interessi (è il caso di Bacchide nell' 'Hecyra'). Attraverso l'opera di Terenzio, il circolo scipionico 'divulgava' la propria, rivoluzionaria ideologia: anche grazie all'incontro diretto con la civiltà greca, gli intellettuali scipionici elaborarono e approfondirono un ideale di 'humanitas', ch'era una grossa novità nella cultura e nella stessa mentalità, tradizionali, dei Romani. Questo ideale fu inteso non soltanto come semplice traduzione del termine greco 'filantropia' (interesse per l'uomo), ma piuttosto come apertura dell'uomo verso i propri simili, al di là di ogni barriera sociale, nella coscienza della comune natura umana, seppur nella consapevolezza delle sue innumerevoli sfaccettature: l'individuo << non è più soltanto 'civis', ma soprattutto 'homo humanus'>> [Monaco - De Bernardis]. E', dunque, lo stesso messaggio che vuole trasmettere anche Terenzio: aprirsi agli altri, rinunciare all'egoismo, comprendere i propri limiti ed essere indulgenti nei confronti degli errori altrui: essere, in una parola, tolleranti e solidali. Chi si apre agli altri vive veramente da uomo fra gli uomini. E' questo il senso del famoso ed emblematico 'homo sum humani nihil a me alienum puto' ('sono uomo e niente di ciò che è umano considero a me estraneo'), contenuto nell' 'Heautontimorumenos'. Ecco che così i personaggi di questo autore sono veramente lontanissimi da quelli spregiudicati, egoisti e truffaldini di Plauto: i giovani di Terenzio, accanto ad un comportamento anche qui sovente scapestrato, presentano comunque tratti di maggiore consapevolezza e di disponibilità all'accettazione delle regole sociali; i vecchi non sono libidinosi ed invidiosi, ma tengono sinceramente al bene ed alla felicità dei li; i servi non sono scaltri promotori di truffe, oppure quando lo sono, agiscono in buona fede, per il bene dei giovani ed anziani padroni, con cui dividono guai, tristezze e felicità, quasi in un nucleo familiare 'allargato'. Infine, gli stessi 'milites' e le stesse cortigiane non sono lenoni lussuriosi vanagloriosi e approfittatori, o semplici donne di piacere avide di denaro, ma acquistano uno spessore di comprensione e di buona fede che li rendono uomini e donne come gli altri, casomai solo un po' più 'cocciuti' o sfortunati. <<L'amore domina, nel suo teatro: ma un amore fatto di comprensione, di sacrificio, di rinnegamento di sé: un amore che pone la soddisfazione più alta nel donare la felicità alla creatura amata>> [I. Lana]. Appare conseguente come la stessa comicità di Terenzio dovesse proporsi come altrettanto rivoluzionaria, in accordo col suo 'messaggio': una comicità nuova, che non consiste più nella battutaccia o nell'intrigo, ma che invece risiede più nel sorriso, talvolta compassionevole, sempre venato di riflessione e di meditazione, a tal riguardo, alcuni critici hanno definito, quello di Terenzio, un 'teatro pedagogico'.

Riassunto:

Il protagonista di questa commedia è il giovane Panfilo, lio di Lachete e di Sostrata. Egli sposa senza saperlo Filumena, lia dei vicini di casa, Fidippo e Mirrina; il ragazzo non sa però che la sua futura moglie è la stessa ragazza che tempo prima egli aveva violentato, mentre tornava a casa da una festa. Durante la colluttazione, le aveva anche strappato un anello, facendone poi dono alla sua amica Bacchide, giovane cortigiana. Dopo un po' di tempo dal matrimonio, Panfilo parte per Imbro. Al suo ritorno scopre che Filumena è tornata alla casa di sua madre, apparentemente a causa di un diverbio con la suocera, ma in realtà perché è incinta di un bambino di cui non si conosce il padre. Panfilo, dopo aver scoperto come stanno le cose, non vuole riprendersi in casa la moglie, ma non vuole neanche dare una motivazione alla sua decisione. Suo padre, Lachete, inizialmente dà tutta la colpa a sua moglie, Sostrata, ritenendola una suocera bisbetica (da qui il nome della commedia), in seguito però si convince che Panfilo sia ancora innamorato di Bacchide. Mentre la cortigiana tenta di discolparsi, Mirrina, madre di Filumena, riconosce per caso, al dito della cortigiana, l'anello che sua lia portava quando fu violentata. Così si viene a sapere che l'anello era stato strappato da Panfilo a Filumena, e poi era stato donato da lui a Bacchide. E finalmente Panfilo riprende in casa moglie e lio.


Atto primo

Scena prima

La commedia si apre con un dialogo fra la cortigiana Filotide, amica di Bacchide, e la vecchia Sira. Le due donne parlano della sorte di Bacchide e riflettono sul fatto che non esistano amanti, che rimangano fedeli alle cortigiane. Panfilo infatti, aveva più volte promesso a Bacchide che non si sarebbe mai sposato, per stare sempre vicino a lei, ma, alla fine, anche lui, nonostante sembrasse così sincero nelle sue promesse, si era accasato e aveva preso moglie.

Scena seconda

Camminando e conversando, le due donne incontrano Parmenone, schiavo di Lachete, il padre di Panfilo. Filotide, curiosa, chiede al servo di spiegarle la faccenda del matrimonio di Panfilo, perché lei, essendo appena giunta in città, non sapeva molto a riguardo. In un primo tempo Parmenone non vorrebbe parlare, ma alla fine, cedendo alle insistenze di Filotide, rivela la verità sul matrimonio. Panfilo, essendo molto innamorato di Bacchide, non aveva nessuna intenzione di sposarsi. Quand'ecco suo padre cominciò a pregarlo perché si accasasse, e mettesse su famiglia. All'inizio Panfilo rifiutò decisamente, ma il padre continuava a insistere, finché a Panfilo non sorsero dei dubbi. A furia di insistere, il vecchio riuscì infine a fidanzarlo con la lia del vicino. A Panfilo la cosa non parve molto grave, ma quando vide che le nozze ormai erano vicine e non più rimandabili, si diede alla disperazione. Tuttavia non poté fare più niente, e dovette portarsi a casa la sposa. Ma la prima notte non si unì a lei, e neanche la seconda; infatti aveva intenzione di restituirla al padre così come l'aveva ricevuta. Nel mentre si recava da Bacchide tutti i giorni; ma la cortigiana ormai era diventata molto fredda e distante, per cui Panfilo si era allontanato da lei e si era avvicinato a sua moglie, che era sempre stata cortese e gentile, e sopportava tutti i torti e le offese del marito. Frattanto, nella lontana isola di Imbro, era morto un vecchio parente, e l'eredità spettava per legge alla famiglia di Panfilo. Dunque il giovane dovette partire, seppur malvolentieri, perché ormai era innamorato di sua moglie. La giovane così, dovette restare da sola con la madre di lui, poiché il padre si era ritirato in camna da tempo, e veniva di rado in città. All'inizio sembrava che le due donne andassero abbastanza d'accordo, ma pian piano la ragazza cominciò ad allontanarsi dalla donna. Se per caso le si avvicinava, subito lei andava via, e cercava tutti i pretesti per non vederla. Alla fine sua madre la chiamò, con la scusa di una cerimonia religiosa, e lei tornò a casa sua. Dopo un po' di tempo Sostrata, la suocera, la mandò a chiamare ma lei si diede per malata, e, se la donna voleva andare a trovarla, non la facevano entrare trovando chissà quali scuse. Finito il racconto Parmenone riferisce che il vecchio padre di Panfilo, Lachete, avendo saputo la questione, era subito rientrato in città, ed era andato a parlare con il padre di lei, Fidippo, proprio il giorno prima. Detto questo Parmenone saluta le due donne e si allontana. Le due donne ricambiando il saluto, se ne vanno a loro volta.



Atto secondo

Scena prima

Nel frattempo a casa di Panfilo si svolge un diverbio fra Lachete e Sostrata. Lachete esce di casa seguito dalla moglie, accusandola di essere come tutte le altre suocere. È convinto infatti che Sostrata si sia comportata molto male con la nuora, fino a costringerla a scappare di casa. La donna si professa inutilmente innocente, mentre il marito continua ad accusarla di essere una donna insopportabile persino per una ragazza così paziente come la loro nuora, Filumena. Sostrata continua a dichiarare di non saperne nulla, ma Lachete non le crede comunque.

Scena seconda

A casa di Filumena, suo padre, Fidippo, esce dalla porta ed esclama, rivolgendosi alla lia, che si trova all'interno, che lui vorrebbe fare a modo suo, ma ha intenzione di seguire il suo cuore di padre, e lasciare agire la lia secondo i suoi capricci. In quel momento Lachete si accorge che il suo vicino e appena uscito di casa e gli si avvicina. Egli afferma di sentirsi molto offeso dal comportamento di Filumena. Infatti se la ragazza è veramente ammalata, non riesce a capire perché non possa essere curata a casa del suo sposo, e rimprovera Fidippo perché non interviene. Fidippo allora rivela che sua lia non vuole tornare assolutamente a casa del marito, almeno finché egli non tornerà dal suo viaggio. Così si rafforzano i dubbi di Lachete, che ora è convinto più che mai che l'allontanamento della giovane nuora non sia dovuto alla presunta malattia, ma proprio al caratteraccio di sua moglie Sostrata. I due uomini stabiliscono che tutto sarà deciso al ritorno di Panfilo dal suo viaggio, quindi si allontanano diretti al foro.

Scena terza

Sostrata, rimasta sola, continua a dichiararsi innocente, e ritiene che sia un'ingiustizia che tutti i mariti trattino le donne allo stesso modo, per colpa di poche che fanno sembrare detestabili tutte le suocere. Sostrata afferma di non comprendere il comportamento di Filumena, afferma infatti di averla sempre trattata con tutti i riguardi, proprio come se fosse stata sua lia, spera dunque che suo lio possa tornare presto a casa per risolvere la faccenda.


Atto terzo

Scena prima

Dal porto giunge Panfilo che è appena tornato dal suo viaggio, accomnato da Parmenone. Ha appena saputo della situazione, e si sta dirigendo verso casa sua, disperato, inveendo contro la cattiva sorte che lo aveva allontanato dal suo primo amore e ora gli negava anche il secondo. Parmenone cerca di consolarlo, facendogli notare che, ora che lui è tornato, questi guai, che sarebbero potuti diventare molto più gravi, si sarebbero risolti. Panfilo tuttavia non vuole essere consolato, ha paura per la sorte della sua amata, e teme che potrà trovarsi a dover decidere tra lei e sua madre, e a quel punto non saprebbe se scegliere il rispetto filiale o l'amore. I due, continuando a discutere, giungono alla casa di Panfilo, che ordina al servo di entrare ad annunciare il suo arrivo, quando all'improvviso, dalla casa di Filumena, giungono delle urla della ragazza. Panfilo spaventato, chiede a Parmenone che sta succedendo, e lo schiavo risponde che circolavano delle dicerie su una probabile malattia della giovane. Panfilo, che non ne sapeva nulla, disperato corre verso la casa della moglie, ed entra precipitosamente. Parmenone, dal canto suo, preferisce non seguire il padrone, perché teme di venir cacciato via, come era accaduto a Sostrata, perciò aspetta all'esterno della casa.

Scena seconda

A quel punto dalla casa di Panfilo esce Sostrata, preoccupata per le urla che ha sentito provenire dalla casa dei vicini. Sta per entrare quando Parmenone la ferma, e la invita ad aspettare, se non vuole essere scacciata come le volte precedenti. Sostrata si dispera perché non può vedere sua cognata, e insiste sul fatto che è seriamente preoccupata per la sua malattia, nonostante Filumena non la voglia vedere. Parmenone allora la rassicura dicendole che Panfilo è tornato, e che provvederà lui a sistemare le cose; Sostrata sembra tranquillizzarsi. In quel momento Panfilo esce dalla casa di Filumena, con il volto triste e le lacrime agli occhi e, dopo aver salutato la madre, le dice che sua moglie soffre di febbre giornaliera e sta molto male, quindi invita Sostrata ad aspettarlo in casa, e chiede a Parmenone di raggiungere i servi al porto per aiutarli a scaricare i bagagli.

Scena terza

Panfilo, rimasto solo, inizia a raccontare con dolore che cosa ha veduto dentro la casa di Filumena. Appena entrato, le serve lo avevano accolto con il sorriso sulle labbra, ma subito questo era stato sostituito da una smorfia di disappunto. Era ovvio infatti che Panfilo era arrivato in un momento inadatto. Si trovò a scoprire il perché di quell'accoglienza, anche troppo presto: entrato nella camera di Filumena, vedendo cosa stava succedendo, era fuggito via piangendo di dolore, subito seguito da Mirrina, la madre di lei, che cadendo in ginocchio si era messa a supplicarlo. Dapprima aveva spiegato al giovane che anni prima Filumena era stata violentata da un ragazzo per la strada, e per questo lei, sua madre, aveva dovuto far di tutto per nascondere la cosiddetta malattia della lia. Poi la donna aveva pregato Panfilo di non raccontare a nessuno le loro disgrazie, poiché lui solo poteva sapere, oltre a lei e a sua lia, che il bambino che stava nascendo non aveva padre. Filumena aveva infatti rivelato a sua madre, che il marito non si era unito a lei se non dopo due mesi, nonostante fossero sposati da sette. Mirrina allora aveva di nuovo pregato Panfilo di non rivelare niente, soprattutto a suo marito Fidippo. Se poi non avesse più voluto in casa la ragazza, lei sarebbe rimasta con i suoi genitori e non ci sarebbero stati problemi. Concluso il racconto, Panfilo decide che non può sottrarsi alle richieste di Mirrina, nonostante tutto. Dunque, avendo promesso di non parlare, decide che terrà per se la propria disperazione. Solo allora, scorge in lontananza Parmenone, che si avvicina con gli altri servi, e si ricorda che anche lo schiavo è al corrente del fatto che l'unione fra lui e Filumena era avvenuta solo dopo due mesi dal matrimonio; Parmenone dunque potrebbe capire, sapendo che Filumena sta partorendo, che il bambino non è di Panfilo. Il giovane allora pensa ad un pretesto per allontanarlo.

Scena quarta

Parmenone sta arrivando dal porto con gli altri servi, discutendo con Sosia, uno di essi, delle avversità dei viaggi per mare; scorgendo Panfilo davanti alla porta, subito si allontana dagli altri e si dirige verso di lui, chiedendogli come mai si trovasse ancora lì davanti. Panfilo risponde che stava aspettando proprio lui, per mandarlo all'acropoli, dove aveva appuntamento con uno straniero di Micono, di nome Callidemide, che non avrebbe più potuto incontrare data la situazione. Parmenone fa notare al giovane che lui non ha mai visto questo straniero e che perciò non lo potrebbe riconoscere, incontrandolo. Allora Panfilo lo descrive come un tipo alto e grosso, riccio, rosso e bianco con una faccia da cadavere. Rassegnato, Parmenone si dirige all'acropoli.

Panfilo è sollevato, ma per poco, vede infatti suo padre Lachete e suo suocero Fidippo che si avvicinano.


Scena quinta


I due vecchi discutono sulla decisione di Filumena di tornare a casa non appena il suo sposo fosse tornato dal viaggio, e Lachete dice di aver sentito che suo lio era appena arrivato in città.

A quel punto vedono Panfilo che riflette su ciò che avrebbe detto e sulle spiegazioni che avrebbe dato a suo padre. I tre si incontrano e si scambiano i saluti, Lachete chiede a suo lio notizie sull'eredità lasciatagli da Fania, il loro parente di Imbro, la cui morte aveva imposto il viaggio di Panfilo. Il giovane risponde che non era rimasto niente delle ricchezze del cugino, poiché egli aveva vissuto serenamente la sua vita. Lachete allora, tentando di nascondere la verità al lio, gli dice che Fidippo aveva fatto chiamare sua lia il giorno prima, ma l'avrebbe rimandata immediatamente da Panfilo. Il ragazzo allora risponde che è già al corrente della vicenda, e sostiene che, se veramente Filumena è andata via di casa per colpa della suocera Sostrata, lui, trovandosi a scegliere tra l'amore e il rispetto filiale, avrebbe indubbiamente scelto l'ultimo, perciò non rivoleva in casa sua moglie. Lachete lodò il rispetto che Panfilo mostrava verso sua madre, ma tentò di convincerlo a ritornare sulla sua decisione. Panfilo però non ne volle sapere, e per non continuare a lungo quella discussione, si allontanò.

Rimasto con Fidippo, Lachete tentò di convincerlo a rimandare Filumena a casa del marito, ma Fidippo, dopo aver visto la reazione di Panfilo, disse che non sarebbe stato lui a pregarlo, ma che avrebbe lasciato a loro il compito di risolvere quella situazione, così detto si allontanò. Lachete allora, non sapendo cosa fare, decise di andare a sfogare il suo astio sulla moglie.





Atto quarto


Scena prima


A casa di Filumena, Mirrina esce, spaventata. Il marito infatti, sentendo i vagiti del bimbo, è entrato in camera della lia, e adesso la donna non sa come comportarsi con lui, e teme che possa sospettare la verità. Fidippo esce a sua volta di casa, irato con la moglie, che glia aveva tenuto nascosto il parto. Fidippo non capisce il perché del gesto della moglie e le chiede spiegazioni, accusandola di non volere Panfilo come genero, e di voler esporre il bambino a sua insaputa. Mirrina non risponde, preferendo che Fidippo sospetti qualsiasi cosa piuttosto che la verità. Allora il marito l'accusa di non aver mai sopportato Panfilo, perché frequentava una cortigiana, e la incolpa di tutta la faccenda, sostenendo che se lei non fosse stata così testarda, e se si fosse fidata del giovane, non sarebbe mai successo niente. Mirrina si dichiara innocente, pur non volendo che il marito capisca come sono andate le cose. Fidippo continua ad accusarla e decide di andare a riferire la notizia del parto ai vicini, così entra in casa e dà disposizioni ai servi perché il bambino non venga portato via da nessuno. Mirrina rimane sola, e si lamenta della sua sorte, temendo che Panfilo non possa più mantenere il segreto, vista la piega che hanno preso gli eventi. Non può neanche sapere chi è il padre del bambino, perché quando Filumena fu violentata, era notte, e al buio la fanciulla non poté vedere in faccia il suo aggressore, e non era neanche riuscita a strappargli di dosso qualche cosa, mentre lui le aveva sfilato dal dito un anello che portava.


Scena seconda


Sostrata esce da casa sua insieme a Panfilo. I due discutono sulla decisione che ha preso Panfilo di ripudiare sua moglie per rispetto verso sua madre. Ma Sostrata ritiene che dovrebbe essere lei a ritirarsi per far spazio alla nuora, e per far si che lei torni a vivere con Panfilo. Il giovane però rifiuta decisamente, e non vuole che sua madre se ne vada a vivere in camna col padre, per rinunciare alle sue amiche, ai parenti e alle feste. La discussione va avanti senza che Sostrata comprenda l'atteggiamento di suo lio, insistendo nel volersene andare, e senza che Panfilo

possa rivelare a sua madre il vero motivo che lo spinge a ripudiare sua moglie. Nel frattempo è giunto Lachete, che, avendo ascoltato in disparte la conversazione, loda la moglie per quella decisione, e la incita ad entrare in casa a prendere i bagagli che dovrà portare con sé. Panfilo però lo ferma protestando perché lui non ha ancora deciso la sorte della moglie. Il padre allora afferma che tutto è già stato deciso e a lui non resta altro da fare se non riprendersi la moglie. In quel momento vedono uscire di casa Fidippo.


Scena terza


Fidippo esce sulla soglia di casa, parlando con Filumena all'interno, dichiarandosi irato con lei e con sua madre. Lachete gli va incontro e gli dice che finalmente tutto è stato sistemato, Filumena potrà tornare con lo sposo e Sostrata se ne andrà via con lui. Fidippo allora rivela che non è stata Sostrata la causa della faccenda, ma sua moglie Mirrina, che voleva tenere nascosto il parto della lia. Panfilo, nell'udire la notizia, non sa più cosa inventare per non riprendersi in casa la moglie, così afferma che, poiché la moglie gli aveva tenuto nascosto il parto, non l'avrebbe ripresa in ogni caso, perché dopo ciò che era successo non sarebbero più andati d'accordo. Lachete però non può comprendere la caparbietà del lio, e insiste nel fargli notare che se non vuole la moglie almeno dovrebbe prendersi suo lio. Nel vedere però che Panfilo continua a non muoversi dalla sua decisione, finisce per accusarlo di intrattenere ancora rapporti con Bacchide, la cortigiana, e di frequentarla ancora nonostante tutto. Panfilo tenta più volte di discolparsi, ma non avendo argomenti a suo favore, alla fine è costretto a fuggire per non dover riprendere in casa sua moglie e il bambino. Fidippo e Lachete, vedendo la reazione di Panfilo, si convincono che effettivamente egli intrattenga ancora rapporti con la cortigiana, e Fidippo rivela che sua moglie aveva nascosto il parto proprio per questo timore. Così Lachete la manda a chiamare, mentre Fidippo va in cerca di una nutrice per il bambino.


Atto quinto


Scena prima


Bacchide esce di casa sospettosa, seguita da due serve, certamente Lachete ha in mente qualcosa se l' ha mandata a chiamare. Lachete le va incontro e le spiega il motivo per cui l' ha fatta chiamare, teme infatti che suo lio la frequenti ancora. Bacchide, nel sentire le accuse che le vengono rivolte, fa per andarsene indignata, ma Lachete la ferma, spiegandole che la suocera di Panfilo si era ripresa in casa la lia proprio perché temeva che vi fosse ancora una relazione fra il genero e Bacchide. La cortigiana allora giura solennemente che, da quando si era sposato, aveva allontanato Panfilo dalla sua casa. Lachete la invita ad andare a discolparsi a casa di Filumena, in modo tale che Mirrina possa rendersi conto della verità e dell'onestà delle sue parole. Bacchide allora accetta di fare questo gesto, cosa che nessuna della sua stessa condizione avrebbe mai fatto, e Lachete la loda per questo e da fiducia alle sue parole.


Scena seconda



Fidippo giunge accomnato dalla nutrice, gli si fa incontro Lachete seguito da Bacchide.

La cortigiana consegna a Fidippo le serve che l'avevano seguita, affinché le interroghi per provare la sua innocenza, ma Fidippo rifiuta sostenendo che bisognava piuttosto convincere Mirrina e Filumena della sua innocenza. Così, dopo una breve discussione, Bacchide decide di entrare in casa per convincere le due donne della sua innocenza, nonostante sia un po' impaurita per la possibile reazione di Mirrina e Filumena.


Scena terza


Parmenone ritornando dall'acropoli, dove l'aveva mandato Panfilo, si lamenta di quella giornata così movimentata, e del tempo sprecato a cercare lo straniero di Micono, senza averlo trovato. Arrivato sulla porta di casa vede Bacchide uscire dalla porta del vicino e la chiama accostandosi a lei. Bacchide, vedendolo, lo manda in cerca di Panfilo, e gli affida un messaggio da portargli: Mirrina ha riconosciuto un anello che Bacchide porta al dito, e che le era stato donato da Panfilo, quell'anello apparteneva a Filumena.

Parmenone si avvia alla ricerca di Panfilo, rassegnato, perché per quel giorno non aveva avuto un momento di pausa.

Bacchide, rimasta sola, spiega come si sono svolti i fatti.

Recandosi a casa di Filumena, indubbiamente le aveva reso un grande favore.

Circa dieci mesi prima, Panfilo era giunto da lei nel cuore della notte, ubriaco, con quell'anello in mano. Dopo le continue richieste e insistenze di Bacchide, alla fine aveva confessato di aver violentato una donna per strada, e di averle rubato quello stesso anello. Ora, non appena Mirrina aveva visto quell'anello al dito di Bacchide, l'aveva riconosciuto subito, perché era l'anello di Filumena, e aveva chiesto a Bacchide come mai lo portasse lei. Così Bacchide le aveva raccontato tutta la storia, e finalmente tutta la faccenda era stata risolta. Il lio di Filomena era di Panfilo, poiché la ragazza da lui violentata in quella notte, era la stessa che aveva poi sposato, ovvero proprio Filumena.

Bacchide è felice di aver tolto a Panfilo un peso così grande, grazie al gesto che ha fatto per discolparlo dalle accuse che gli erano state rivolte. La cortigiana non è più in collera con il giovane, perché, come ammette, se da una persona si sono avuti tanti piaceri, è giusto sopportare anche qualche dispiacere.


Scena quarta


Panfilo giunge insieme a Parmenone dalla strada della piazza, è immensamente felice per la notizia portata dallo schiavo, anche se Parmenone non comprende il perché di tanta felicità. Per essere sicuro dell'informazione ricevuta, Panfilo si fa ripetere il messaggio, e lo schiavo ripete nuovamente che Mirrina aveva riconosciuto nell'anello di Bacchide, un anello che era appartenuto a Filumena. Panfilo, al colmo della gioia, vorrebbe premiare Parmenone, ma questi non capisce perché dovrebbe essere premiato per non aver fatto nulla.

Discutendo in questo modo, i due giungono finalmente davanti alla casa di Filumena, dove Bacchide aspetta il loro arrivo. Panfilo e Bacchide si salutano cordialmente, come buoni amici, e il giovane chiede alla cortigiana se qualcuno fosse al corrente dell'accaduto, ma Bacchide lo rassicura, dicendo di non aver rivelato niente a nessuno, e Mirrina da parte sua aveva detto a Fidippo di credere al giuramento di Bacchide, e che perciò per lei Panfilo non aveva alcuna colpa.

Parmenone chiede spiegazioni, ma Panfilo non gli rivela niente, anche se sembra che lo schiavo abbia ugualmente intuito qualcosa. Parmenone ammette di aver fatto più bene quel giorno, ad occhi chiusi, di quanto non ne avesse fatto fino a quel momento mettendocela tutta.

Panfilo e lo schiavo entrano in casa di Fidippo, e Bacchide in casa sua.

Il cantore si rivolge al pubblico e lo invita a fare un bell'applauso.

PERSONAGGI

La ura di Sostrata è una delle più caratteristiche del teatro Terenziano, non per niente la commedia Hecyra la Suocera, prende il nome dal suo personaggio. Non si può certo dire che il personaggio di Sostrata sia il più importante della commedia, sebbene sia quello che da luogo agli eventi. Eppure per il pubblico romano, abituato a personaggi tipizzati e quindi piuttosto simili come caratterizzazione, doveva essere una bella novità trovare una suocera gentile e disponibile nei riguardi della nuora, come appunto Sostrata, che proprio per questo risulta il personaggio più evidente, e quello che fa risaltare il tema del ribaltamento dei ruoli e della fuoriuscita dagli schemi convenzionali, tipico delle commedie di Terenzio. Sostrata è una donna che viene accusata dal marito di aver causato, con il suo presunto brutto carattere, l'allontanamento della nuora dalla casa del marito; tuttavia la donna, durante il corso della commedia, si professa più volte innocente, e anzi, uscendo dallo schema proprio del suo personaggio, si sacrifica addirittura, arrivando persino a decidere di andar via di casa, per far posto alla nuora, e per far si che essa possa ritornare. Viene trattata molto male dal marito, che non la considera diversa dalle altre suocere, e la incolpa di tutta la vicenda, scaricando su di lei tutte le sue frustrazioni e le sue preoccupazioni. Alla fine della commedia però, il personaggio di Sostrata è pienamente riscattato, e lo spettatore, che progressivamente si rende conto dell'effettiva natura della donna, è indotto a prenderla in simpatia, e a elogiarne la bontà. Sostrata dunque è il personaggio di cui si serve Terenzio per indurre a riflettere sui pregiudizi sociali, e sulla tipizzazione dell'individuo all'interno della società; la donna rappresenta l'esempio lampante del ribaltamento dei ruoli sociali, anche perché con lei, la ura della donna viene finalmente vista sotto una luce positiva, mentre fino allora il teatro aveva sempre dato una connotazione negativa ai ruoli femminili. Con Terenzio quindi, se quella misoginia che era stata tipica del teatro plautino; in questo Terenzio si dimostra nuovamente un autore moderno e soprattutto interessato ai problemi sociali e all'abolizione delle distinzioni fra diversi gruppi all'interno della società.




L'altro personaggio meglio caratterizzato all'interno della commedia, è senza dubbio quello della cortigiana Bacchide. Si tratta infatti di un altro personaggio che esce fuori dal suo schema classico: Bacchide non è più una meretrice avida, volta esclusivamente a tutelare i propri interessi, anzi, è una donna sensibile, sinceramente innamorata del giovane Panfilo, e quindi ben disposta ad aiutarlo, dopo essere venuta a conoscenza della situazione in cui si è venuto a trovare. Con Bacchide, ritroviamo anche il tema del sacrificio, presente anche in Sostrata; la cortigiana infatti è disposta addirittura a presentarsi in casa della moglie di Panfilo, per discolparlo dalle accuse che gli erano state rivolte, e, come lei stessa ripete più volte, nessun'altra donna sua pari, avrebbe mai fatto una cosa del genere, andando persino contro i propri interessi. Ma questa non è l'unica sorpresa che rivelala donna, infatti Bacchide è anche il personaggio risolutore della faccenda, è grazie al suo intervento che viene messa in luce la verità su come sono andate realmente le cose. Anche nel caso di questo personaggio si passa dunque, dalla connotazione puramente negativa che aveva avuto la ura della meretrix fino ad allora, ad una connotazione del tutto positiva, e non solo, lo spettatore può persino arrivare a compatire la sorte della ragazza, che, dopo essere stata abbandonata da Panfilo, nonostante tutte le promesse del giovane di restare sempre accanto a lei, decide comunque di mettere da parte l'amarezza e aiutarlo a cavarsi fuori dai guai nonostante tutto. Bacchide rappresenta quindi, insieme a Sostrata, un'altra ura grazie alla quale l'autore capovolge i ruoli e rifiuta gli stereotipi, Bacchide in sostanza, nonostante il suo lavoro, si comporta come una donna per bene, disponibile e coscienziosa, alla fine della commedia è dunque un personaggio che senza dubbio si merita le simpatie e anche la riconoscenza del pubblico.


Un personaggio sempre molto interessante è quello dell' altra suocera, Mirrina. Anche nell'Hecyra, Terenzio, come di consueto, inserisce due coppie di senes, per complicare ulteriormente l'intreccio della vicenda, che del resto in questo caso è già abbastanza complicata di per sé. Mirrina, così come Sostrata, viene presentata inizialmente come la classica ura della suocera che non sopporta il proprio genero, e trova qualunque pretesto per disfarsene. Inizialmente inoltre, sembra anche una madre autoritaria, che non lascia decidere da sé sua lia, la quale dal canto suo non si muove dall'ombra della madre e le obbedisce in tutto, tutto il contrario di Sostrata che invece è dolce e soprattutto premurosa verso il lio. La vera Mirrina però, non si scopre a poco a poco, così come avviene per l'altra suocera, ma la cosa accade all'improvviso, quasi senza che lo spettatore abbia il tempo di rifletterci sopra. Il vero personaggio emerge infatti, quando Panfilo scopre il parto della moglie, solo allora si comprende che Mirrina in realtà vuole solo l'interesse della lia, ed è disposta a tutto purché la reputazione di Filumena resti quella di una buona moglie e di una brava ragazza. Anche in questo caso però, è presente la ura del marito, Fidippo, che si presenta molto simile a quella di Lachete, marito di Sostrata: anche lui scarica tutte le colpe sulla moglie, che d'altra parte non si difende, per evitare che si scopra la verità su sua lia. Anche Mirrina risulta essere, come i due personaggi precedenti, una vittima dei pregiudizi, ma anche lei alla fine si riscatta, anche se il marito rimane convinto della sua colpevolezza.


L'ultimo personaggio femminile, il più importante forse perché è su di esso che si basa la vicenda, e anche quello meno caratterizzato, è quello di Filumena. La ura di Filumena non e mai sulla scena, anche se la bravura di Terenzio riesce comunque a evocarne la presenza fisica. Filumena appare come una giovane donna, in tutto sottomessa alla madre, ma anche al marito, così come si conveniva ad una ragazza perbene. Si tratta forse del personaggio che più si avvicina alla tipizzazione dell'individuo: la buona moglie, descritta dagli altri personaggi come una ragazza modesta, sensibile, obbediente e paziente. Quest'ultima è proprio la qualità che crea un evidente controsenso: se Filumena è talmente paziente da sopportare le offese di Panfilo, come potrebbe non sopportare il presunto caratteraccio di Sostrata? Ma naturalmente nessun pubblico potrebbe badare a questo particolare, preso dalla trama della storia, e poi è un fatto che serve a far notare maggiormente che, essendo così paziente, Filumena non poteva certo essere in astio per il caratteraccio di Sostrata, e perciò doveva essere successo qualcosa di diverso per farla allontanare dalla casa del marito, insomma, questo è uno dei controsensi volutamente inserito dall'autore, per far capire anche indirettamente al pubblico, che indubbiamente doveva essere successo qualcosa di grave per far cambiare così improvvisamente il carattere di Filumena. Ma naturalmente è una fatto che potrebbe intuire solo il pubblico, già a conoscenza della trama, e non chi prende parte alla vicenda, come i tre con suoceri o Panfilo.

Lo schiavo Parmenone è il personaggio maschile che assume il carattere più positivo, rispetto agli altri tre personaggi. In tutta questa vicenda il suo ruolo è curioso. Egli prende parte in modo attivo alle vicende dei padroni, verso i quali dimostra affetto e comprensione, ma è anche totalmente all'oscuro degli eventi di cui si fa partecipe. È l'unico che, in quanto confidente di Panfilo, è a conoscenza dell'importante particolare che Panfilo non aveva toccato la moglie nei primi tempi del matrimonio, per cui sarebbe stato in grado di trarne le logiche conseguenze, ma resta totalmente all'oscuro dell'evento della nascita, per volontà dello stesso Panfilo, che sa perfettamente che il servo impiccione e pettegolo, potrebbe rovinare tutti i suoi piani e quelli di Mirrina. Parmenone è delegato al ruolo di informatore, ma in realtà è il personaggio meno informato di tutti, questo perché nel momento cruciale, quando Panfilo scopre la nascita del bambino, viene mandato via dalla scena con un pretesto, e non tornerà se non alla fine del quinto atto, investito del ruolo dell'intermediario ignaro di tutto: è infatti affidato a lui l'incarico di riferire a Panfilo il particolare risolutore dell'anello, ma egli è del tutto inconsapevole del senso del suo messaggio, poiché ne ignora il contesto, ed è il primo a stupirsi degli effetti benefici di ciò che annuncia. Parmenone inoltre, è anche dotato di grande umanità e di acuta sensibilità, ma sconta la sua pigrizia col correre inutilmente di qua e di là (è anche servus currens) e l'eccessiva curiosità col rimanere sempre all'oscuro degli avvenimenti intercorsi durante la sua assenza. La battuta finale riassume efficacemente il suo ruolo nella commedia. È dunque un personaggio dai contorni ben definiti al quale è legata piuttosto l'espressione del comico che un ruolo propositivo nello sviluppo dell'azione; d'altra parte le caratteristiche che lo individuano rispetto allo stereotipo del servo tradizionale permettono già di definire bene il suo carattere



Panfilo è il protagonista maschile della commedia. L'evento scatenante delle vicende è proprio il viaggio che Panfilo intraprende per recarsi ai funerali di un cugino, sulla lontana isola di Imbro. Proprio per questo infatti Panfilo è costretto a lasciare la moglie sola in casa con la madre. Al suo ritorno però, Panfilo si trova a dover affrontare la brutta piega che hanno preso gli eventi in sua assenza.

Durante il corso della commedia Panfilo si rivela come un giovane dal carattere molto dolce e sensibile, al punto che, quando scopre il parto della moglie, scappa via dalla casa dei suoceri, in lacrime. Senza dubbio viene rafurato come un giovane continuamente subissato dalle avversità della sorte, che, come afferma lui stesso, lo aveva allontanato dal suo primo amore, e ora gli negava anche il secondo. Panfilo è un ragazzo molto premuroso, ed è un lio rispettoso, non sa infatti come far comprendere ai propri genitori che non ha nessuna intenzione di riprendersi in casa la moglie, senza doverli ferire, in questa sua decisione però, si mantiene assolutamente fermo, e irremovibile, non vuole cedere in alcun modo, ma, come soluzione ai suoi problemi, sceglie sempre la via della fuga. Panfilo insomma non ha il coraggio di affrontare le difficoltà, e in questo, così come nel preoccuparsi continuamente per nulla e nel cercare il sostegno di Parmenone, si rivela essenzialmente ancora un ragazzo poco maturo, che non sa prendersi le proprie responsabilità. Proprio per questo lato del suo carattere, Panfilo assume una connotazione leggermente negativa, che verrà accentuata dal fatto che non sarà certo lui a risolvere i suoi problemi, e inoltre, alla fine della commedia, non vorrà neanche rivelare ai propri genitori come sono andate realmente le cose, probabilmente per la paura di una loro reazione, se venissero a sapere in che circostanza è stato concepito il lio di Filumena.



Il personaggio di Lachete è uno dei personaggi negativi di questa commedia.

Infatti incolpa sua moglie Sostrata, di aver causato l'allontanamento della nuora. E l'accusa persino di essere come tutte le altre suocere, egoista e ingiusta verso la nuora. Così dicendo si rivela senza dubbio come un individuo ancora convinto di certi pregiudizi, e continua a prestar fede ad essi anche quando viene a sapere del parto di Filumena. Dopo aver saputo che, a quanto pare, Mirrina ha nascosto il parto perché non si fida del genero, continua a pensare che questa sia una prerogativa comune a tutte le suocere. Lachete però esce in qualche modo da questa sua connotazione negativa quando manda a chiamare Bacchide, dichiara infatti, dopo aver ascoltato la ragazza, di essere sicuro della sua sincerità, e in questo almeno esce dalla sfera del pregiudizio e del luogo comune. Fondamentalmente però Lachete continua a rappresentare la mentalità chiusa e in un certo senso discriminante, di chi è assolutamente certo di vivere in una società di individui che si comportano tuttiallo stesso modo. Inoltre alla fine Lachete non esce da questa sua convinzione, perché, per volere di Panfilo, non viene informato dei reali avvenimenti, e perciò non può comprendere fino a che punto si sia sbagliato, attribuendo a tutte le donne, sua moglie e la sua con suocera comprese, un carattere tendenzialmente volto a soddisfare il proprio interesse. Proprio per questo Lachete può anche essere inteso come il personaggio che rappresenta il teatro degli stereotipi e del pregiudizio, prima dei cambiamenti imposti da Terenzio e prima delle novità da lui introdotte, volte ad abolire definitivamente il pregiudizio sociale.




Il personaggio di Fidippo è molto simile a quello di Lachete. Sono entrambi personaggi negativi. Così come Lachete, anche Fidippo non esita ad incolpare la moglie per la piega che hanno preso gli eventi, inoltre la accusa di non volere Panfilo come genero per il suo passato con Bacchide. Non è affatto interessato alla sorte della lia, e non prega Panfilo di riprenderla in casa, vuole solo che il giovane decida cosa fare di sua moglie, e non si impegna per risolvere la questione, ma lascia che la risolvano gli altri.

Il personaggio di Fidippo non è ben caratterizzato, appare in scena il più delle volte per invitare Panfilo e Lachete a prendere una decisione riguardo a Filumena, e del resto, prima che ritorni Panfilo, non ostacola la decisione di Filumena di non tornare a casa se non dopo il ritorno del marito. Tuttavia il suo intervento è decisivo per la vicenda, è lui infatti che scopre che Filumena ha partorito, ed è sempre lui a rivelarlo ai con suoceri, mettendo ulteriormente nei guai Panfilo, che non sa più che scusa trovare per non riprendersi in casa la moglie. Anche Fidippo alla fine della commedia, come Lachete, resta convinto che sia stata la moglie la causa di tutto, anche lui quindi, rimane chiuso nella sua mentalità, e resta convinto del fatto che le donne si comportino sempre tutte allo stesso modo.



COMMENTO La commedia, secondo la didascalia di apertura, fu rappresentata varie volte.

La prima rappresentazione si svolse ai Giochi Megalesi, sotto gli edili curuli Sesto Giulio Cesare e Gneo Cornelio Dolabella, durante il consolato di Gneo Ottavio e Tito Manlio, ma non fu portata a termine, perché, in contemporanea alla rappresentazione, si svolse un incontro di pugili e lo spettacolo di un funambolo.

La menzione degli edili curuli e dei due consoli permette di datare la prima rappresentazione dell'Hecyra al 165 a.C.

La seconda volta la commedia venne rappresentata nel 160 a.C. , insieme con l'ultima commedia di Terenzio l'Adelphoe, ai giochi funebri in onore di Lucio Emilio Paolo, padre di Scipione l'Emiliano, protettore di Terenzio, ma anche questa volta non ebbe successo, poiché il pubblico preferì ad essa l'esibizione dei gladiatori.

La terza volta finalmente, sotto gli edili curuli Quinto Fulvio e Lucio Marcio, la commedia fu rappresentata durante i 'Ludi Romani' per intero ed ebbe successo: il pubblico rimase in teatro grazie alla presenza di Lucio Ambivio Turpione, un attore molto conosciuto in quel periodo.

A dispetto dell'accoglienza piuttosto fredda ricevuta alle sue prime rappresentazioni, l'Hecyra, è certamente uno dei capolavori del teatro di Terenzio. Con quest'autore, infatti, il teatro non è più solo un pretesto di divertimento, ma diventa l'occasione per conoscere più a fondo se stessi e per riflettere.
La commedia ha il suo centro nella ura di Sostrata, la suocera, che dà appunto il nome alla commedia. La donna è ingiustamente accusata di aver fatto fuggire la nuora dal tetto coniugale, ma il suo comportamento smentisce il luogo comune della suocera egoista e maligna nei confronti della nuora. Sostrata rappresenta, insieme alla cortigiana Bacchide, l'esempio del ribaltamento dei ruoli sociali e delle convenzioni.
La commedia è totalmente incentrata su questioni sociali, quali il senso della famiglia e il decoro. E' evidente che Terenzio ha scritto questa commedia senza l' intenzione di divertire il proprio pubblico, bensì col proposito di creare un'opera che facesse prima di tutto riflettere lo spettatore. Per la quasi totale assenza di comicità, essa è poco piaciuta ai contemporanei, mentre, proprio perché si tratta di una commedia incentrata su temi importanti, è ritenuta al contrario - dai critici odierni - la più moderna ed innovatrice di quest'autore.

Profonda è anche l'analisi dei personaggi, che non si limitano a seguire lo stereotipo del giovane, o della cortigiana o del vecchio, così come accadeva nelle commedie plautine. A riprova di ciò sta il personaggio di Bacchide, la cortigiana, che va addirittura contro i suoi interessi nel prestare aiuto a Panfilo, semplicemente perché è sinceramente affezionata al giovane e per questo vuole la sua felicità.

La commedia è preceduta in apertura da due prologhi.

Il primo è relativo alla seconda rappresentazione, poiché la prima volta la commedia fu rappresentata senza prologo. In esso viene presentato il titolo della commedia e si prega il pubblico di ascoltarla attentamente.

Il secondo prologo si riferisce alla terza rappresentazione. Generalmente il prologo veniva recitato da un ragazzo, ma in questo caso è lo stesso Ambivio Turpione a presentarsi sulla scena, nelle vesti dell'avvocato della difesa. Egli in effetti difende l'opera di Terenzio, così come aveva fatto con altre commedie prima di questa, ricordando che, alle prime rappresentazioni la commedia era passata in secondo piano rispetto ad altre esibizioni, prega il pubblico di seguire attentamente e di fare silenzio, perché, nonostante la commedia non fosse mai stata applaudita, si trattava senza dubbio di un opera d'arte, degna di essere vista e apprezzata.


La commedia è preceduta, oltre ai due prologhi, anche da un sommario del grammatico     C. Sulpicio Apollinare, che illustra i fatti mettendo al corrente della situazione che si è venuta a creare con il matrimonio tra Panfilo e Filumena.

Subito dopo inizia finalmente la commedia, che si apre con un dialogo fra Filotide, una cortigiana amica di Bacchide, e la vecchia Sira, le due donne compaiono solo in questa prima scena, e non verranno più citate nel resto della commedia, sono quindi i cosiddetti personaggi protatici, vale a dire che servono esclusivamente a introdurre la scena.

In questo atto viene illustrata la situazione iniziale, la cortigiana Bacchide è stata abbandonata da Panfilo, che ha preso moglie. La situazione viene spiegata meglio con l'ingresso in scena dello schiavo di Panfilo, Parmenone, che nella commedia rappresenta il servus currens, ossia colui che porterà il messaggio che garantirà il lieto fine della commedia. Parmenone si rivela in questa scena, come un servo piuttosto pettegolo, poiché riferisce alle due donne curiose, i retroscena del matrimonio di Panfilo.

Il giovane era stato convinto a sposarsi dalle insistenze di suo padre Lachete, ma in realtà era ancora perdutamente innamorato di Bacchide, e probabilmente avrebbe continuato a frequentarla, se la stessa cortigiana non l'avesse allontanato. Dopo il matrimonio, per i primi mesi, Panfilo non aveva toccato la moglie e aveva continuato a frequentare Bacchide, finché lei non lo aveva allontanato definitivamente.

Il fatto che Panfilo non si fosse unito a Filumena se non dopo due mesi, mentre al tempo della commedia i due erano sposati da sette mesi, è un particolare di notevole importanza per comprendere le vicende. Di questo fatto sono a conoscenza solo lo stesso Panfilo, Filumena, la madre di lei, Mirrina, e Parmenone, lo schiavo. Solo loro dunque possono sapere che il lio di Filumena non può essere di Panfilo, perché nato dopo cinque mesi dalla loro unione. I due suoceri invece, e anche la stessa Sostrata, non possono sapere che Panfilo non si era unito a Filumena la prima notte di nozze, e quindi non potevano sospettare che il lio non fosse suo, infatti, visto che era nato dopo sette mesi dal matrimonio, il bambino poteva benissimo essere nato settimino.

Comunque, riprendendo la vicenda, essendo stato allontanato da Bacchide, alla fine Panfilo aveva avuto modo di conoscere la moglie e di innamorarsi di lei. Tuttavia, la sorte non era stata benevola con lui, infatti, la morte improvvisa di un parente, lo costringe a partire, lasciando la moglie sola in casa con la madre, Sostrata, poiché il padre si era da tempo trasferito in camna e veniva di rado in città. Da principio i rapporti fra Filumena e la suocera sembrano essere buoni, ma poi Filumena comincia ad allontanarsi da Sostrata e a non volerla vedere, fino addirittura a trasferirsi a casa della madre.

Le malelingue attribuiscono quest'allontanamento della nuora al caratteraccio della suocera, ed ecco che e il tema del luogo comune e della tipizzazione dell'individuo: Sostrata è una suocera, e le suocere, com'è noto, odiano le nuore, e naturalmente ciò è valido anche per Filumena, che, essendo nuora, odia sua suocera. Naturalmente la verità sull'episodio viene a galla solo alla fine, ma anche durante lo svolgimento della commedia, Sostrata dimostra di avere un carattere differente da quello che le viene assegnato: è sinceramente preoccupata per la salute della nuora, e per la sua presunta malattia, esce quindi dal classico schema della suocera bisbetica, anzi si dimostra premurosa e attenta alle esigenze di Filumena. Non è molto chiara invece la caratterizzazione della ragazza, ma il motivo è dato dal fatto che Filumena non e mai in scena, anche se la bravura di Terenzio riesce ad evocare continuamente la sua presenza fisica. Tuttavia la ragazza non sembra intenzionata a ferire i sentimenti di Sostrata, ma vuole starle lontano semplicemente per evitare che la suocera si accorga che è incinta, anche se questo risulterà chiaro solo più avanti nella commedia. Indubbiamente però la ura della donna risulta essere la più importante in questa opera, basti ricordare per esempio che sarà proprio una donna, Bacchide, che con il suo intervento risolverà l'intricata situazione. Il fatto che la protagonista di questa commedia sia una donna inoltre, si contrappone decisamente all'atteggiamento che avevano assunto le commedie, per esempio in Plauto, nei confronti del mondo femminile, in Plauto infatti troviamo solo ure femminili negative, mentre solitamente la ura positiva e risolutrice è quella dello schiavo, questo sottolinea in modo evidente la tendenza del tempo a considerare la donna come una ura inferiore e sempre interessata, e da questo punto di vista il teatro di Terenzio costituisce una vera rivoluzione.

Riprendendo il filo del racconto, si arriva al momento in cui Parmenone rivela alle sue interlocutrici, che il padre di Panfilo, Lachete, è tornato in città per risolvere la faccenda della nuora che se n'è andata di casa.

Si arriva così al secondo atto, nel quale Lachete e Sostrata hanno una lunga discussione, nella quale il marito accusa la moglie di essere stata scortese verso la nuora, ma non solo, Lachete afferma persino che tutte le donne in questo sono uguali, ossia tutte le suocere e tutte le nuore si odiano vicendevolmente, e nessuna è estranea a questo comportamento. Questo dialogo serve a marcare in modo ancora più netto la tipizzazione e il pregiudizio nei confronti di tutte le donne, e quindi sarà utile a Terenzio per il fine che si propone, ossia abbattere le barriere sociali e far comprendere che tra un individuo e un altro vi sono notevoli differenze, e soprattutto, il dialogo fra Sostrata e Lachete, così come il toccante monologo nel quale Sostrata si professa innocente, serve a far comprendere l'umano che c'è in ogni persona e che la rende profondamente simile e strettamente legata agli altri membri della società in cui vive.

Sempre nel secondo atto e in scena il padre di Filumena, Fidippo, anche lui, come Lachete, ha gli stessi pregiudizi riguardo alla propria moglie, ma questo lato del suo carattere viene evidenziato in seguito, per ora appare solamente come un uomo che vuole fare gli interessi della sua famiglia, perciò appoggia momentaneamente Filumena nella sua decisione di voler attendere suo marito a casa della madre.

La scena però viene a cambiare una seconda volta, in conseguenza dello stesso agente che l'aveva fatta mutare per la prima volta, vale a dire il viaggio di Panfilo.

Infatti, all'inizio del terzo atto, Panfilo torna dal suo viaggio, e ciò sconvolge i piani di Mirrina, madre di Filumena, che sperava di poter tenere nascosta a lungo la gravidanza della lia, per non metterla in cattiva luce nei confronti dei parenti.

Riflettendo però la cosa potrebbe sembrare un controsenso.

Come detto prima i parenti non potevano sospettare che il lio non era di Panfilo, e quindi se avessero saputo del parto, avrebbero creduto che fosse il lio di Panfilo, nato settimino, l'unico che avrebbe potuto svelare l'arcano era Parmenone, il servo, che però probabilmente avrebbe taciuto e non avrebbe rivelato niente, o lo stesso Panfilo, quando fosse tornato dal viaggio.

In ogni caso, Mirrina non vuole che si sappia del parto, mentre invece Panfilo, appena arrivato, riesce a scoprire subito come stanno le cose.

Preoccupato per la presunta malattia della moglie, va a casa sua, e scopre di che male si trattava veramente. Naturalmente il giovane, non appena vede che Filumena sta partorendo, capisce immediatamente che non può trattarsi di suo lio, perché, se fosse stato suo, non sarebbe potuto nascere prima di altri due mesi.

Mirrina lo prega di non rivelare a nessun altro che sua lia ha partorito un lio di cui non si conosce il padre, e Panfilo promette. Questa è una delle scene più importanti della commedia, perché Mirrina rivela soprattutto che sua lia è stata violentata da uno sconosciuto, che le ha sottratto un anello, lo stesso anello che alla fine risolverà tutta la faccenda.

Quindi, uscendo dalla casa, Panfilo trova ad aspettarlo il servo Parmenone, che lo aveva accomnato fino a lì dal porto, e la madre, che era accorsa sentendo le grida della nuora. Racconta a questi che Filumena soffre di una grave febbre, e manda Parmenone al porto e sua madre in casa. Poi inizia il toccante monologo dove Panfilo rivela al pubblico l'accaduto, facendo emergere dal monologo il suo carattere; alla fine del lungo monologo, ritorna il servo Parmenone, e vedendolo, Panfilo pensa che possa intuire dai vagiti, che Filumena ha partorito, ma poiché lo schiavo sa anche che il bambino non potrebbe essere di Panfilo, il giovane decide di evitare che scopra il parto, e lo invia a sbrigare un affare inesistente, in modo tale che il servo stia lontano dalla casa di Filumena, e infatti non irà più in scena se non nel quinto atto.

Intanto, ritroviamo Fidippo, padre di Filumena, che conversa con Lachete, padre di Panfilo, sull'imminente ritorno di quest'ultimo. I due giungono davanti alla casa di Filumena, dove appunto si trova Panfilo, che ha deciso che non può riprendere in casa la moglie, dopo che ha partorito un bambino non suo.

I due vecchi naturalmente non devono sapere che Filumena ha partorito, perché altrimenti, non sapendo che il lio non è di Panfilo, lo costringerebbero ad allevarlo e a riprendersi in casa la moglie, così come infatti succederà in seguito.

Panfilo perciò utilizza come scusa per il ripudio di sua moglie, il fatto che in realtà lei non può sopportare sua suocera, appunto Sostrata. Fidippo dal canto suo, anche se un po' irato con Panfilo, lascia decidere a lui se ripudiare o tenere la moglie, facendogli notare che però lei si era sempre comportata bene con lui, e dunque si allontana.

La scusa di Panfilo sembrerebbe plausibile, se non fosse che Sostrata, per ricompensare il lio del rispetto che porta verso di lei, preferendola alla moglie, e anche per lasciar vivere in pace i due giovani, decide di trasferirsi in camna con Lachete. Il marito naturalmente la loda per questa decisione, ma Panfilo cerca tutti i pretesti per far sì che la madre non parta, perché non vuole riprendersi in casa Filumena.

Ma a questo punto, a complicare ulteriormente la vicenda, interviene Fidippo.

Egli infatti, dopo essersi allontanato dagli altri, si avvia verso casa sua, ma, sentendo i vagiti del bimbo, entra in camera della lia e scopre il parto.

Fidippo però, insieme a Sostrata e a Lachete, fa parte delle persone che non sanno che il lio non può essere di Panfilo, e quindi inizialmente non comprende perché Mirrina abbia nascosto il lieto evento.

Poi però si convince del fatto che la moglie non volesse avere Panfilo come genero, perché probabilmente non si fidava di lui a causa del suo passato con Bacchide.

E qui ritorna il tema del pregiudizio per le donne: così come Lachete aveva accusato sua moglie di comportarsi male con la nuora, anche Fidippo accusa sua moglie di non sopportare il genero. La cosa che però lascia un po' di perplessità, è il fatto che alla fine i due suoceri non vengono informati di come stanno realmente le cose, e quindi rimangono convinti di non aver accusato a torto le rispettive mogli. Restando dunque nella sfera del pregiudizio sociale, i due, vengono ad assumere una connotazione negativa agli occhi dello spettatore, e assumono il ruolo di individui gretti rinchiusi nelle loro convinzioni, dalle quali non usciranno mai.

I piani di Mirrina comunque, vengono totalmente mandati all'aria. Fidippo rivela anche ai due con suoceri dell'evento inaspettato, scaricando la colpa di tutto sulla moglie.

La rivelazione causa ulteriori problemi a Panfilo, che, ora che i tre suoceri sono al corrente del parto, sarà costretto a riprendersi in casa la moglie.

Per evitare che questo accada, il giovane tenta di trovare un'altra scusa, e trova come pretesto il fatto che la moglie gli ha tenuto nascosto il parto. Questa volta però Lachete non la trova una scusa valida, e accusa il lio di non voler riprendere la moglie perché ancora innamorato di Bacchide, Panfilo, non sapendo cosa rispondere, fugge.

Questo però rinforza i sospetti di Lachete e Fidippo, che mandano a chiamare Bacchide.

Si convincono però che sia innocente, e la inviano a discolparsi presso Filumena e Mirrina, poiché sono convinti che Mirrina non voglia Panfilo come genero, proprio perché a suo parere, egli frequenta ancora la cortigiana.

Si arriva così allo scioglimento finale dell'intricata vicenda.

Mirrina, parlando con Bacchide, si accorge che l'anello che la cortigiana porta al dito, è lo stesso che portava Filumena la notte in cui fu violentata, lo stesso anello che le era stato strappato dal suo aggressore. Bacchide così rivela che quell'anello le era stato donato da Panfilo, che le aveva raccontato di averlo strappato ad una ragazza che aveva violentato per strada, mentre stava tornando, ubriaco, da una festa. Si scopre che il bambino è di Panfilo stesso, e che la ragazza che aveva violentato, altri non era se non la stessa che poi aveva sposato, vale a dire Filumena.

Il messaggio viene fatto recapitare a Panfilo dallo schiavo Parmenone, appena tornato, poiché era stato a sbrigare il falso affare di Panfilo, che aveva occupato tutta la giornata.

Lo schiavo, costretto a correre da una parte all'altra per tutta la durata della commedia, sbriga così l'ultima commissione che gli viene affidata, e porta a Panfilo il messaggio dell'anello riconosciuto, senza comprenderne il significato. Si meraviglia della felicità del padrone, e sembra quasi che abbia afferrato qualcosa della vicenda, anche se alla fine ammette di aver fatto più bene quel giorno senza sapere cosa stesse facendo, di quanto ne avesse mai fatto quando ne era cosciente.

Così si chiude la scena finale, tutta giocata sul dubbio se Parmenone abbia o meno capito l'importanza degli eventi di cui si è reso partecipe.

Molte cose tuttavia rimangono in sospeso, e non si sa se alla fine tutti saranno resi partecipi di come si sono realmente svolte le vicende.

E finalmente il cantore, rivolgendosi al pubblico, lo invita a fare un bell'applauso.





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