ePerTutti


Appunti, Tesina di, appunto diritto

DIRITTO DI FAMIGLIA - IL CODICE DELL'UNITA' D'ITALIA - I RAPPORTI PATRIMONIALI TRA CONIUGI



ricerca 1
ricerca 2

DIRITTO DI FAMIGLIA



FAMIGLIA FONDATA SUL MATRIMONIO famiglia nucleare: è costituita dalla coppia e dagli eventuali li; famiglia allargata che comprende anche parenti e affini.


FAMIGLIA DI FATTO intesa quale convivenza di due partners ed eventualmente dei loro li naturali.


FAMIGLIA RICOMPOSTA i partners, coniugati o conviventi di fatto, coabitano assieme ai li nati da precedenti relazioni.




FAMIGLIA MONOPARENTALE un solo genitore convive con i li.


IL DIRITTO DI FAMIGLIA è quell'insieme di norme giuridiche che disciplina le relazioni tra coniugi, conviventi ed eventuali li.


IL CODICE NAPOLEONICO 1804 il matrimonio civile era l'unica forma di unione personale rilevante per lo Stato. Il marito ha il dovere di proteggere la moglie e la moglie di obbedire al marito. La moglie è obbligata a vivere con il marito e a seguirlo ovunque egli creda opportuna stabilire la sua residenza. Il marito è obbligato a tenere presso di sé la moglie e a somministrarle tutto ciò che è necessario ai bisogni della vita in proporzione alle sue sostanze e al suo stato. Autorizzazione maritale: la moglie non poteva stare in giudizio senza l'autorizzazione del marito; inoltre non poteva donare e acquistare né a titolo gratuito né a titolo oneroso. Era previsto il divorzio che poteva essere chiesto dal marito per adulterio della moglie e dalla moglie per adulterio del marito solo nel caso in cui il marito avesse portato l'amante nella casa famigliare; inoltre era previsto il divorzio consensuale; si poteva ricorrere al divorzio in ipotesi di eccessi, sevizie o ingiurie gravi di un coniuge verso l'altro e in caso di condanna a pena infamante. Il codice disciplinava, inoltre, la separazione personale, alternativa al divorzio per chi avesse ostacoli di origine religiosa. In materia di filiazione legittima vi era la presunzione di paternità, che poteva essere vinta attraverso l'azione di disconoscenza della paternità. L'adozione aveva esclusivamente la funzione di fornire un erede a chi non ne aveva; poteva adottare solo colui che avesse compiuto 50 anni e se l'adottato non aveva 25 anni era necessario il consenso dei genitori. Il padre esercitava la potestà sui li e poteva esercitare metodi di correzione molto incisivi. Potevano succedere solo i li legittimi. Il regime patrimoniale era quello della comunione.


IL CODICE DELL'UNITA' D'ITALIA il marito aveva il dovere di proteggere la moglie, di tenerla presso di sé e di somministrarle tutto il necessario per la vita in proporzione alle sue sostanze. La moglie doveva contribuire solo nel caso in cui il marito non potesse badare al mantenimento della famiglia. ½ era l'autorizzazione maritale. Non vi era il divorzio; era però ammessa la separazione personale, fondata sul criterio della colpa. ½ era la presunzione di paternità. La potestà sui li era assegnata al padre e il contenuto della potestà era molto ampio; il padre aveva l'amministrazione e l'usufrutto sui beni dei li minori. Il regime patrimoniale era quello della separazione, ma era consentito anche un accordo per la comunione. I beni dotali dovevano essere restituiti in caso di scioglimento del matrimonio. In materia di successioni, ai li naturali spettava la metà della quota spettante ai li legittimi e inoltre i li naturali dovevano essere riconosciuti; per i li non riconoscibili era previsto un diritto agli alimenti.


IL CODICE DEL 1942 abolizione dell'autorizzazione maritale. Introduzione del matrimonio concordatario che era celebrato dal ministro del culto cattolico ed è regolato integralmente dal diritto canonico, ma acquista effetti civili a seguito della trascrizione dell'atto nei registri dello stato civile. Il matrimonio è indissolubile. La moglie doveva seguire il marito, la sua condizione civile e prendeva il cognome di lui. Nella separazione l'adulterio del marito veniva considerato come causa di separazione solo se creava un grave danno alla moglie. Il coniuge colpevole della separazione non aveva diritto agli alimenti. Il regime legale era quello della separazione. In materia di filiazione vi era la presunzione di legittimità. I li naturali avevano diritto alla metà della quota spettante ai li legittimi in materia successoria. L'adozione aveva l'esclusiva funzione di dare un erede a chi non ne aveva. La potestà era esercitata dal padre.


IL DIRITTO DI FAMIGLIA NELLA COSTITUZIONE art. 29 Cost. : la famiglia quale società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull'eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell'unità familiare.

art. 30 Cost. : la legge assicura ai li nati al di fuori del matrimonio ogni tutela giuridica  e sociale compatibile con i diritti dei membri della famiglia. Il secondo comma stabilisce che nei casi di incapacità dei genitori la legge provvede a che siano assolti i loro compiti.

art. 31 Cost. : prevede l'impegno dello Stato alla protezione della maternità, dell'infanzia e della gioventù.


RIFORMA DEL DIRITO DI FAMIGLIA - l. 19 marzo 1975, n° 151 la riforma fu preceduta da alcune leggi speciali che hanno anticipato la sua entrata in vigore (legge sull'adozione e legge sul divorzio). Con la riforma del '75:

- è stata valorizzata la volontà dei coniugi all'atto della celebrazione del matrimonio;

- sono stati attribuiti eguali poteri ai coniugi, anche con riferimento alla potestà genitoriale;

- la separazione personale è stata svincolata dal criterio della colpa e subordinata al verificarsi di fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione del rapporto;

- la riforma ha introdotto la comunione dei beni e regolato l'impresa familiare;

- è stata equiparata sostanzialmente la filiazione legittima e naturale anche in sede successoria; è stato eliminato il divieto di riconoscimento ai li adulterini;

- sono state introdotte importanti innovazioni in materia di azioni di stato ( azione di disconoscimento della paternità e azione di dichiarazione giudiziale della paternità naturale).




IL MATRIMONIO


La legge non enuncia una definizione di matrimonio, di cui fornisce un'analitica disciplina. Il matrimonio- atto viene conurato come un negozio bilaterale, puro (cioè al quale non possono essere apposti termini e condizioni) e solenne, che consiste nella manifestazione di volontà, espressa con una certa forma e un determinato contesto da due soggetti di sesso diversi, diretta a costituire tra loro un rapporto giuridico personale, qualificato dall'ordinamento come matrimonio.


LA PROMESSA DI MATRIMONIO si identifica nel fidanzamento ufficiale. Essa sussiste quando ricorra una dichiarazione espressa o tacita, normalmente resa pubblica nell'ambito della parentela, delle amicizie e delle conoscenze, di volersi frequentare con l'intento serio di sposarsi. La promessa non obbliga a contrarlo né ad eseguire ciò che non si fosse convenuto per il caso di non adempimento. Tuttavia produce alcuni effetti giuridici, quali la restituzione dei doni e il risarcimento dei danni (artt. 90 e 91cc).


LE CONDIZIONI PER CONTRARRE MATRIMONIO - artt. 84- . -90cc sono i requisiti indispensabili per una valida stipulazione del matrimonio; la loro mancanza è motivo di invalidità. La dottrina distingue tre categorie di requisiti per contrarre matrimonio: 1) quelli necessari per l'esistenza giuridica dell'atto; 2) quelli prescritti come condizione di validità del matrimonio (impedimenti dirimenti); 3) quelli che ne condizionano la semplice regolarità (impedimenti impedienti).

ETA' la previsione di un'età minima per contrarre matrimonio è volta a garantire l'idoneità fisica e psichica dei nubendi, ossia l'attitudine al rapporto sessuale e alla procreazione, nonché la consapevolezza in merito agli obblighi matrimoniali e la capacità ad adempierli. L'età minima per contrarre matrimonio è 18 anni, 16 anni se emancipati.

L'INTERDIZIONE PER INFERMITA' DI MENTE a norma dell'art. 85 cc, l'interdetto per infermità di mente non può contrarre matrimonio. La ratio della norma risiede nell'esigenza di proteggere l'incapace.

LIBERTA' DI STATO l'art. 96 cc stabilisce che non può contrarre un matrimonio chi sia già vincolato da un precedente matrimonio.

LA PARENTELA, L'AFFINITA', L'ADOZIONE, L'AFFILIAZIONE impediscono legami matrimoniali in base all'art. 87 cc. La parentela, anche naturale, in linea retta all'infinito e in linea collaterale di secondo grado da luogo ad impedimenti non dispensabili (cioè non rimovibili dall'autorità giudiziaria); la parentela di terzo grado in linea collaterale - zio/a e nipote - è invece dispensabile (cioè può essere rimossa con autorizzazione giudiziale).

IL DELITTO art. 88 cc: sancisce il divieto di celebrare il matrimonio tra persone delle quali una sia stata condannata per omicidio consumato o tentato sul coniuge dell'altra.

DIVIETO TEMPORANEO DI NUOVE NOZZE art. 89 cc sancisce che la donna prima di contrarre un nuovo matrimonio deve aspettare almeno 300 giorni dalla morte del precedente coniuge o dal passaggio in giudicato della sentenza di divorzio o di cessazione degli effetti civili o di annullamento del precedente matrimonio. Questo termine di collega alla presunzione di concepimento in costanza di matrimonio.


LE FORMALITA' PRELIMINARI DEL MATRIMONIO: PUBBLICAZIONE il matrimonio deve essere di regola preceduto dalla pubblicazione, la cui mancanza non ne consente la celebrazione. La pubblicazione ha il duplice scopo di rendere conoscibile ai terzi l'intenzione delle parti di contrarre matrimonio per consentire la eventuale proposizione di opposizione e di avviare gli accertamenti dell'ufficiale di stato civile sull'inesistenza di impedimenti al matrimonio.


LE OPPOSIZIONI AL MATRIMONIO ne sono legittimati i genitori, e in loro mancanza gli ascendenti e i collaterali entro il terzo grado; in caso di tutela o curatela sono legittimati anche il tutore o il curatore. Se la causa di opposizione è costituita dal vincolo di un precedente matrimonio, la legittimazione è riconosciuta anche al coniuge del subendo; se la causa è la violazione del divieto di nuove nozze temporaneo, la legittimazione spetta ai parenti del precedente marito, e in caso di divorzio, anche al precedente marito. Se l'opposizione è stata  proposta da chi non ne ha facoltà, per causa ammessa dalla legge, il presidente del tribunale può, con proprio decreto, sospendere la celebrazione del matrimonio sino a che sia stata rimessa l'opposizione.


LA CELEBRAZIONE DEL MATRIMONIO il matrimonio ai sensi dell'art. 106 cc deve essere celebrato pubblicamente nella casa comunale. L'art. 110 cc prevede, tuttavia, che previo raddoppio del numero dei testimoni, la celebrazione possa tenersi anche in luogo diverso quando uno degli sposi, per infermità o per altri impedimenti, sia nell'impossibilità di presentarsi nella casa comunale. Il matrimonio viene solitamente celebrato davanti all'ufficiale dello stato civile al quale gli sposi hanno presentato la richiesta di pubblicazione. Immediatamente dopo la celebrazione l'ufficiale di stato civile compila l'atto di matrimonio, nel quale devono essere riportate anche le eventuali dichiarazioni delle parti circa il riconoscimento o la legittimazione di li naturali, o relative alla scelta della separazione dei beni. La funzione dell'atto del matrimonio è semplicemente quella di costituire la prova privilegiata nella dimostrazione dello stato coniugale.


LE SINGOLE CAUSE DI INVALIDITA' DEL MATRIMONIO possono essere:

invalidità derivanti da assenza delle condizioni per contrarre matrimonio;

invalidità derivanti da vizi del consenso;

simulazione;

matrimonio putativo;

matrimonio dell'incapace naturale.


INVALIDITA' DERIVANTI DA ASSENZA DELLE CONDIZIONI PER CONTRARRE MARIMONIO LA MANCANZA DI LIBERTA' DI STATO: il matrimonio celebrato in violazione dell'art. 86 cc può essere impugnato dal coniuge, dagli ascendenti prossimi, dal pubblico ministero e da coloro che abbiano un interesse legittimo e attuale.

I VINCOLI DI PARENTELA, AFFINITA', ADOZIONE E L'IMPEDIMENTO PER DELITTO il matrimonio contratto in violazione dell'art. 87 cc è invalido in quanto contrastante con il divieto di ordine pubblico dell'incesto. Occorre distinguere a seconda che l'impedimento sia dispensabile o meno: nel primo caso, l'azione non può essere proposta trascorso un anno dalla celebrazione del matrimonio, con conseguente effetto sanante del decorso del tempo sul vizio dell'atto; nel secondo caso, invece, l'invalidità è insanabile e la relativa azione imprescrittibile.

E' nullo anche il matrimonio celebrato in violazione dell'art. 88 cc: si tratta di una nullità insanabile ed imprescrittibile e la relativa azione può essere esercitata dai coniugi, dagli ascendenti prossimi, dal pubblico ministero e da coloro che hanno un interesse legittimo e attuale.

IL DIFETTO DI ETA' il matrimonio contratto dal minore o dal sedicenne non autorizzato, può essere impugnato dai coniugi, da ciascuno dei genitori e dal pubblico ministero.

IL MATRIMONIO DELL'INTERDETTO l'art. 119 cc prevede che il matrimonio di chi è stato interdetto per infermità di mente possa essere annullato a richiesta del tutore, del pubblico ministero e di tutti coloro che abbiano un interesse legittimo se, al momento del matrimonio era già pronunciata sentenza di interdizione passata in giudicato, oppure se l'interdizione è stata pronunciata posteriormente, ma l'infermità preesisteva al tempo del matrimonio.


IL MATRIMONIO DELL'INCAPACE NATURALE l'art. 126 cc prevede che possa essere impugnato da quello dei coniugi che prova di essere stato incapace di intendere e di volere, per qualunque causa anche transitoria, al momento della celebrazione del matrimonio. Se vi è stata coabitazione per un anno dopo che il coniuge incapace abbia recuperato la pienezza delle sue facoltà mentali, l'azione non può essere proposta. In mancanza di coabitazione, il termine di prescrizione è quello decennale, decorrente dalla celebrazione.


LE INVALIDITA' DERIVANTI DA VIZI DEL CONSENSO LA VIOLENZA: si tratta di violenza morale. Dal punto di vista soggettivo, la minaccia deve suscitare impressione su una persona normale e sensata; tale criterio astratto va contemperato dai criteri dell'età, del sesso e della condizione della persona i quali influiscono sulla valutazione della forza intimidatrice della minaccia. Legittimato all'azione è solo il coniuge il cui consenso è stato estorto con violenza. L'azione non può essere proposta se vi è stata coabitazione per un anno dopo che sia cessata la violenza. In mancanza di coabitazione, il termine di prescrizione è quello ordinario decennale.

IL TIMORE è un vizio invalidante qualora sia di eccezionale gravità e derivi da cause esterne allo sposo. E' definito come l'impulso psicologico che la percezione di un pericolo esercita sulla persona.

L'ERRORE con la riforma del 1975 accanto all'errore sull'identità della persona, si è introdotta la ura dell'errore essenziale sulle qualità personali dell'altro coniuge. E' essenziale che l'errore abbia avuto efficienza determinante nel procedimento formativo della volontà, nel senso che lo stesso non avrebbe prestato il suo consenso se le avesse esattamente conosciute. L'errore deve riguardare: 1) l'esistenza di una malattia fisica o psichica o di un'anomalia o deviazione sessuale, tali da impedire lo svolgimento della vita coniugale; 2) l'esistenza di una sentenza di condanna per delitto non colposo alla reclusione non inferiore a 5 anni; 3) la dichiarazione di delinquenza abituale o professionale; 4) la circostanza che l'altro coniuge sia stato condannato per delitti concernenti la prostituzione a pena non inferiore a 2 anni; 5) lo stato di gravidanza causato da persona diversa dal soggetto caduto in errore.


LA SIMULAZIONE art. 123 cc. Ricorre quando gli sposi abbiano convenuto di non adempiere gli obblighi e di non esercitare i diritti da esso discendenti. Presupposto fondamentale è l'esplicita e antecedente pattuizione tra i nubendi preordinata ad escludere la società coniugale una volta sposati; accordo dal quale emerga che i coniugi vogliano dar vita soltanto ad una apparenza di matrimonio. Se i simulanti vogliono però non dare attuazione ad alcuni aspetti del matrimonio non fondamentali non si è in presenza di simulazione. La legittimazione all'impugnazione del matrimonio spetta a ciascuno dei coniugi. L'azione non può essere proposta nel caso in cui i contraenti abbiano convissuto come coniugi successivamente alla celebrazione delle nozze, oppure, se non vi sia stata convivenza, decorso un anno dalla celebrazione stessa.


IL MATRIMONIO PUTATIVO è quel matrimonio invalido celebrato in buona fede da almeno uno dei coniugi che lo consideravano valido al momento della celebrazione. Pur essendo nullo produce ugualmente effetti in favore dei coniugi, o di uno di essi, e dei li; l'eccezione si giustifica per tutelare il coniuge in buona fede e la prole. Se il matrimonio è dichiarato nullo, gli effetti del matrimonio valido si producono in favore dei coniugi fino alla sentenza che pronunzia nullità, se però è solo una il coniuge in buona fede gli effetti sono validi solo per lui. Rispetto alla prole gli effetti del matrimonio valido si producono senza limitazioni temporali sia per i li nati durante il matrimonio, sia per quelli nati prima e riconosciuti all'interno di esso, quindi prima della sentenza di nullità. L'art. 129 cc stabilisce che quando le condizioni del matrimonio putativo si verificano rispetto ad ambedue i coniugi, il giudice può disporre a carico di uno di essi e per un periodo non superiore a tre anni, l'obbligo di corrispondere somme periodiche di denaro in proporzione alle sue sostanze, a favore dell'altro. L'art. 129 bis cc prevede che il coniuge al quale sia imputabile la nullità del matrimonio sia tenuto a corrispondere all'altro coniuge in buona fede, qualora il matrimonio sia annullato, una congrua indennità.


IL MATRIMONIO CONCORDATARIO è regolato in conformità del concordato con la Santa Sede e delle leggi speciali sulla materia. È regolato dal diritto canonico quanto alla celebrazione ed ai requisiti di validità, ed acquista effetti civili dal momento della celebrazione delle nozze, a seguito della trascrizione nei registri dello stato civile; il matrimonio rapporto è invece disciplinato interamente dal diritto statale. Subito dopo la celebrazione, il parroco o il suo delegato spiegherà ai contraenti gli effetti civili del matrimonio, dando lettura degli articoli del codice civile riguardanti i diritti e i doveri dei coniugi e redigerà, quindi, in doppio originale, l'atto di matrimonio nel quale potranno essere inserite le dichiarazioni dei coniugi consentite secondo la legge civile.


IL MATRIMONIO CELEBRATO DAVANTI A MINISTRI DEI CULTI AMMESSI NELLO STATO la disciplina è quella prevista nel codice civile per i matrimoni celebrati davanti all'ufficiale di stato civile, salvo quanto diversamente previsto dalla legge 24 giugno 1929 n°1159: tale legge prevede una disciplina generale relativa ai matrimoni di tutte le religioni diverse da quella cattolica.


IL MATRIMONIO CELEBRATO ALL'ESTERO i cittadini italiani possono celebrare il matrimonio in un paese straniero secondo le forme ivi stabilite, purché ricorrano le condizioni necessarie dettate dal codice civile agli articoli 84 e ss. Se i coniugi sono entrambi cittadini italiani, i loro rapporti sono regolati dalla legge italiana, diversamente dallo stato nel quale la vita matrimoniale è prevalentemente localizzata.


IL MATRIMONIO DELLO STRANIERO lo straniero può contrarre matrimonio in Italia ed in tal caso presentare il nullaosta dell'autorità competente del suo paese. In mancanza del rilascio del nullaosta, se ingiustificato, il tribunale può decidere di autorizzare il matrimonio. Anche lo straniero è soggetto alle disposizioni contenute nel cc agli art. 85, 86, 87, 88 e 89.




I RAPPORTI PERSONALI TRA CONIUGI


I DIRITTI E I DOVERI DEI CONIUGI l'art. 143 cc stabilisce che con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono gli stessi doveri; al secondo comma enumera i doveri reciproci che derivano dal matrimonio: FEDELTA', ASSISTENZA, COLLABORAZIONE, COABITAZIONE.


L'OBBLIGO DI FEDELTA' la fedeltà non può essere intesa limitatamente come "mero ius in corpus del coniuge a cui la fedeltà è dovuta", né come obbligo di esclusiva sessuale, ma va interpretata in senso ampio come "dedizione fisica e spirituale di un coniuge all'altro"; in questa prospettiva la nozione di fedeltà finisce col coincidere con quella della lealtà: l'obbligo di lealtà permane durante il temporaneo allontanamento di un coniuge dalla residenza famigliare, mentre si ha cessazione dell'obbligo una volta che sia stata emessa l'autorizzazione del presidente del tribunale a vivere separatamente.


L'OBBLIGO ALL'ASSISTENZA E ALLA COLLABORAZIONE l'obbligo di assistenza morale e materiale può essere interpretato, in una prospettiva generale, quale dovere dei coniugi di proteggersi a vicenda e di proteggere la prole. Più in particolare il profilo morale dell'assistenza riguarda il sostegno reciproco nell'ambito affettivo, psicologico e spirituale, il profilo materiale dell'assistenza riguarda invece l'aiuto che i coniugi, nella vita di tutti i giorni, debbono fornirsi reciprocamente. L'obbligo alla collaborazione richiede di operare per stabilire e mantenere le condizioni più adeguate all'unità e continuità del gruppo familiare attraverso l'individuazione concorde e la soddisfazione solidale dei bisogni comuni.


L'OBBLIGO DELLA COABITAZIONE E FISSAZIONE DELLA RESIDENZA FAMILIARE la coabitazione si riferisce all'abitare sotto lo stesso tetto, definizione che non va letta solo in chiave materiale in quanto si deve ritenere che il termine coabitazione voglia riferirsi al concetto di comunione di vita. nell'odierno sistema i coniugi fissano la residenza della famiglia secondo le esigenze di entrambi e quelle preminenti della famiglia stessa. L'art. 45 comma 1 cc stabilisce che ciascuno dei coniugi ha il proprio domicilio nel luogo in cui ha stabilito la sede principale dei suoi affari o interessi. Nel caso in cui i coniugi siano costretti a dimorare abitualmente nel luogo in cui hanno eletto il proprio domicilio, e dunque ad allontanarsi stabilmente dalla residenza comune, mancherà una residenza familiare in senso proprio: l'unità della famiglia non sarà comunque compromessa, almeno fino a quando permanga l'intento di dare vita ad una piena unione.


LA CONTRIBUZIONE AI BISOGNI DELLA FAMIGLIA la legge stabilisce che entrambi i coniugi sono tenuti a contribuire ai bisogni della famiglia e a mantenere, istruire ed educare la prole in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la propria capacità di lavoro professionale o casalingo. L'obbligo di contribuzione rimane per tutta la durata della convivenza e anche nel caso di allontanamento senza giusta causa.


LA RILEVANZA ESTERNA DELL'OBBLIGO DI CONTRIBUZIONE si tratta di stabilire se il coniuge che non sia intervenuto nella conclusione di un contratto stipulato tra l'altro coniuge ed un terzo per soddisfare esigenze della famiglia sia comunque responsabile nei confronti del terzo creditore per le obbligazioni sorte dal contratto. Normalmente il coniuge contraente è responsabile in prima persona, senza impegnare in alcun modo l'altro, anche quando l'obbligazione è diretta a soddisfare l'interesse della famiglia. Tuttavia un coniuge è responsabile delle obbligazioni assunte in suo nome dall'altro, oltre che nei casi in cui vi sia stato il conferimento di una procura espressa o tacita.


IL COGNOME DELLA MOGLIE E LA SUA CITTADINANZA l'art. 143 bis cc stabilisce che la donna aggiunge al proprio il cognome del marito. La moglie conserva il cognome del marito durante lo stato vedovile, finché non passi a nuove nozze. La legge stabilisce che la perdita del cognome del marito, in caso di nuove nozze o di divorzio, può essere evitata qualora la donna abbia particolari interessi meritevoli di tutela a conservare. L. 5 febbraio 1992 n° 9 attribuisce alla donna maritata con un cittadino straniero il diritto a conservare la cittadinanza italiana tranne esplicita rinuncia, anche se per effetto del matrimonio o mutamento di cittadinanza da parte del marito abbia acquistato una diversa cittadinanza.


L'ACCORDO DELL'INDIRIZZO E DELLA VITA FAMILIARE l'art. 144 cc stabilisce che i coniugi concordano tra loro l'indirizzo della vita familiare e fissano la residenza della famiglia secondo le esigenze di entrambi e quelle preminenti della famiglia stessa. L'odierno modello della vita famigliare si basa dunque su una direzione congiunta del gruppo, il che al contempo non esclude che in singoli, al suo interno, possano esercitare poteri volti a realizzare interessi della comunità. Art. 145 cc se i coniugi non raggiungono spontaneamente l'accordo possono ricorrere all'intervento di un terzo che è chiamato a svolgere un'attività di supporto a beneficio della famiglia i crisi. Entrambi i coniugi in caso di disaccordo possono richiedere l'intervento del giudice. La funzione primaria di tale intervento sembra quella di tutelare la famiglia i crisi, di impedire rotture irreparabili.


L'ALLONTANAMENTO DALLA RESIDENZA FAMILIARE l'art. 146 cc stabilisce che se uno dei coniugi si allontani senza giusta causa perde il diritto all'assistenza morale e materiale. L'allontanamento è tale se intenzionale e duraturo; inoltre vi sia o meno una giusta causa, occorre che la residenza familiare sia stata volontariamente concordata da entrambi i coniugi e che, pertanto, l'allontanamento non sia dovuto ad un dissenso, se pur sopravvenuto, circa la fissazione della stessa. Secondo le circostanze il giudice può ordinare il sequestro dei beni del coniuge che si è allontanato affinché non si sottragga all'obbligo di contribuzione e al mantenimento della prole. Pertanto il coniuge allontanatosi deve adempiere a tutti gli obblighi previsti dall'art. 143 comma 2 cc, tranne quello di coabitazione.


LA LEGGE SULLA VIOLENZA FAMILIARE artt. 342 bis e 342 ter il primo stabilisce che quando la condotta del coniuge o di un altro convivente è causa di grave pregiudizio all'integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell'altro coniuge o convivente, il giudice può adottare con decreto uno o più provvedimenti fra quelli espressamente individuati nell'art. 342 ter. , secondo cui è dato imporre al coniuge o al convivente responsabile dell'abuso, oltre che la cessazione della violenza, anche l'allontanamento dalla casa familiare, prescrivendogli altresì, se necessario, di non avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla vittima. Se il coniuge allontanato è colui che provvedeva alla famiglia, il giudice può imporgli il amento periodico di un assegno a favore dei familiari e le modalità di tale amento.







I RAPPORTI PATRIMONIALI TRA CONIUGI


LA COMUNIONE LEGALE è il regime legale dei rapporti patrimoniali tra coniugi, vigente in mancanza di diversa convenzione stipulata a norma dell'art. 162 cc. La comunione si instaura automaticamente all'atto del matrimonio, prima e indipendentemente dall'eventuale acquisto di beni, salvo che i coniugi non vi deroghino mediante specifica convenzione.

L'art. 186 cc sancisce espressamente che i beni della comunione rispondono per le obbligazioni contratte dai coniugi congiuntamente, non occorrendo che esse siano contratte per bisogni della famiglia. Nella comunione tra coniugi la comproprietà nasce come effetto legale, indipendentemente dal fatto che un solo coniuge abbia acquistato il bene, ovvero ne sia l'intestatario formale.


L'OGGETTO DELLA COMUNIONE è indicato dall'art. 177 cc. Possono coesistere tre distinte masse di beni:

i beni comuni, oggetto di comunione immediata;

i beni de residuo che divengono comuni, se esistenti, solo al momento dello scioglimento della comunione stessa;

i beni personali, dei quali viene conservata da ciascuno dei coniugi la titolarità esclusiva.

L'oggetto immediato della comunione legale si restringe agli acquisti compiuti durante il matrimonio e alle aziende gestite da entrambi i coniugi ovvero agli utili e agli incrementi derivanti dalla gestione comune. Da ciò deriva la definizione comunione legale come comunione degli acquisti.


LA COMUNIONE DE RESIDUO è quella forma anomala di comunione relativa a beni che divengono comuni per la parte che residua al momento dello scioglimento della comunione legale. La comunione de residuo comprende:

i frutti dei beni propri di ciascun coniuge percepiti e non consumati al momento dello scioglimento della comunione;

i proventi dell'attività separata di ciascun coniuge se allo scioglimento della comunione non siano stati consumati;

i beni destinati all'esercizio dell'impresa di uno dei coniugi costituita dopo il matrimonio e gli incrementi dell'impresa costituita anche precedentemente.

Dall'appartenenza dei beni in oggetto alla categoria della comunione de residuo discende che durante la vigenza del regime di comunione legale rimangono di proprietà di chi li percepisce e che l'amministrazione è affidata solo al coniuge proprietario.


LA COMUNIONE LEGALE E L'AZIENDA CONIUGALE art. 177 lett. d) cc : costituiscono oggetto della comunione immediata  le aziende gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio, mentre il secondo comma precisa che qualora si tratti di aziende appartenenti ad uno dei coniugi antecedentemente il matrimonio, ma gestite da entrambi, la comunione concerne solo gli utili e gli incrementi. Il dato essenziale, ai fini dell'inclusione nella comunione immediata - sia dell'azienda che degli utili e incrementi - è quello della gestione in comune.


I BENI PERSONALI sono esclusi dal regime di comunione i beni personali indicati all'art. 179 cc i cui frutti peraltro, sono oggetto di comunione differita. L'elencazione dei beni personali contenuta nella norma ha carattere composito; l'esclusione della contitolarità può aversi infatti in ragione del tempo dell'acquisto, del titolo; della destinazione economica del bene acquistato.

In relazione al tempo di acquisto, sono personali i beni dei quali ciascun coniuge era titolare prima del matrimonio.



In ordine al titolo dell'acquisto, risultano esclusi dalla comunione i beni acquistati per donazione o successione. È tuttavia consentito al donante e al testatore attribuire il bene alla comunione.

I beni di uso strettamente personale, indipendentemente dai mezzi con cui sono stati acquistati, sono personali in virtù della loro destinazione obiettiva, volta al soddisfacimento di esigenze personali del singolo coniuge.

Anche i beni che servono all'esercizio della professione sono caratterizzati da una particolare destinazione che ne giustifica l'esclusione dalla comunione, art. 179 lett. d).

Ancora, sono personali ai sensi dell'art. 179 lett. e) i beni ottenuti a titolo di risarcimento danni e la pensione attinente alla perdita parziale e totale della capacità lavorativa.

In ordine ai beni acquistati con il prezzo del trasferimento dei beni personali o con il loro scambio (art. 179lett. f) cc) si applica la regola per cui è personale il bene che provenga da un atto di scambio in senso ampio di una bene personale se al momento dell'acquisto ciò sia stato espressamente dichiarato.


L'AMMINISTRAZIONE DELLA COMUNIONE la legge conferisce ai coniugi di compiere disgiuntamente gli atti di ordinaria amministrazione e congiuntamente quelli di straordinaria amministrazione.

Sono atti di straordinaria amministrazione quelli idonei, almeno in astratto, ad apportare modifiche ala composizione o alla consistenza del patrimonio. Rientrano invece nell'ordinaria amministrazione quegli atti tendenti al normale godimento del bene ed alla sua conservazione. In caso di disaccordo il giudice può autorizzare un atto di disposizione del patrimonio che ritiene opportuno.


GLI ATTI COMPIUTI SENZA IL NECESSARIO CONSENSO l'art. 184 cc statuisce che gli atti compiuti da un coniuge senza il necessario consenso dell'altro coniuge e da questo non convalidati sono annullabili se riguardano beni immobili o beni mobili elencati nell'art. 2683 cc. Nell'ipotesi in cui uno dei coniugi non abbia prestato il consenso, viene operata una netta distinzione tra gli atti concernenti beni immobili o  mobili registrati, ai quali viene ricollegata l'annullabilità da azionarsi entro un anno dalla data in cui il coniuge ha avuto conoscenza dell'atto e comunque dalla trascrizione, da quella riguardante atti inerenti beni mobili, che restano validi ed efficaci, con la sola conseguenza del sorgere di un obbligo per il coniuge disponente di ricostituire la comunione o, qualora ciò non sia possibile, di are l'equivalente ad istanza dell'altro.


LA RESPONSABILITA' GRAVANTE SUI BENI DELLA COMUNIONE nell'ambito delle obbligazioni facenti capo ad un soggetto coniugato in regime di comunione legale, occorre distinguere tra obbligazioni riguardanti la comunione - rispetto alle quali i creditori possono soddisfarsi in via immediata sui beni oggetto della comunione - e obbligazioni personali di ciascun coniuge, per il cui adempimento il debitore risponde innanzitutto con i beni personali.

Nell'ipotesi in cui il credito rimanga insoddisfatto se il debito è della comunione e i beni di essa facenti parte non sono sufficienti a farvi fronte, i creditori potranno agire in via sussidiaria sui beni personali di ciascun coniuge nella misura della metà del credito. Se per contro il debito è personale, allorché i creditori non trovino di che soddisfarsi nel patrimonio dell'obbligato, potranno aggredire i beni della comunione fino al valore corrispondente alla quota del coniuge obbligato.


LA CESSAZIONE DELLA COMUNIONE art. 191 cc i casi che determinano lo scioglimento della comunione sono elencati all'art. 191 cc. La cessazione avviene nel caso di rottura del vincolo matrimoniale ( annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili), ed anche a seguito di dichiarazione di morte presunta o si assenza, di separazione personale, di separazione giudiziale dei beni, di mutamento convenzionale del regime e di fallimento di uno dei coniugi. La cessazione della comunione legale produce i seguenti effetti:

a) l'acquisizione nel patrimonio comune dei beni di cui agli artt. 177 lett. b) e c) e 178 cc.

b) L'applicazione ai beni comuni della disciplina della comunione ordinaria e conseguentemente la possibilità di compiere atti di disposizione sulla propria quota da parte dei coniugi

c)  L'inapplicabilità dell'art. 184 cc per gli atti compiti senza consenso

d) La nascita del diritto potestativo di domandare la divisione da effettuarsi secondo i dettami di cui agli artt. 192 e 194 cc

Lo scioglimento della comunione è soggetto a pubblicità, che varia in base alla causa che lo ha determinato.


LE CONVENZIONI MATRIMONIALI la convenzione è un atto di autonomia privata stipulato prima o dopo il matrimonio, anche con terze persone al fine di regolare il regime patrimoniale della famiglia in modo diverso da quello legale.

LA CAPACITA' DELLE PARTI: per stipulare le convenzioni matrimoniali è richiesta la capacità di agire.

LA FORMA E LA PUBBLICITA': le convenzioni matrimoniali debbono essere stipulate per atto pubblico sotto pena di nullità; la scelta del regime di separazione può anche essere dichiarata nell'atto di celebrazione del matrimonio. La pubblicità delle convenzioni, necessaria in quanto esse producono effetti anche verso i terzi, si realizza attraverso l'annotazione a margine dell'atto del matrimonio ed inoltre attraverso la trascrizione nei registri immobiliari.


LA COMUNIONE CONVENZIONALE quanto al tempo della stipulazione ed alla forma, alla comunione convenzionale si applicano i principi in materia di convenzioni matrimoniali. Per quel che riguarda il regime pubblicitario della comunione convenzionale è prevista l'annotazione a margine dell'atto di matrimonio e, ai sensi  e per gli effetti di cui all'art. 2847 cc, se la convenzione esclude determinati beni dalla comunione, la necessità altresì della sua trascrizione.

La comunione convenzionale può avere carattere meramente modificativo del regime legale, ovvero disciplinare un regime autonomo. Nel primo caso si avrà comunione a contenuto ampliativo. Nel secondo caso si avrà un autonomo regime, che, per concorde volontà negoziale, prescinderà da quello legale.


LA SEPARAZIONE DEI BENI il regime di separazione può essere scelto dai coniugi tramite un'apposita convenzione che dovrà rivestire la forma dell'atto pubblico a pena di nullità; tale convenzione è estremamente semplice: i coniugi possono infatti limitarsi a manifestare unicamente la scelta positiva per tale regime, senza ulteriori specificazioni.

Il regime di separazione si instaura, inoltre, in tutti quei casi in cui allo scioglimento del regime legale non si accomni lo scioglimento del vincolo coniugale: in particolare, a seguito della separazione giudiziale dei beni, della separazione personale, della dichiarazione di assenza, di fallimento.

IL GODIMENTO E L'AMMINISTRAZIONE DEI BENI l'art. 217 cc stabilisce che ciascun coniuge ha il godimento e l'amministrazione dei beni di cui è esclusivo titolare.

LA PROVA DELLA PROPRIETA' ESCLUSIVA SI UN BENE: l'art. 219 cc stabilisce che il coniuge può provare con ogni mezzo nei confronti dell'altro la proprietà esclusiva di una bene. I beni di cui nessuno dei coniugi può dimostrare la proprietà esclusiva sono di proprietà indivisa per pari quota di entrambi i coniugi.


IL FONDO PATRIMONIALE oggetto del fondo, ai sensi dell'art. 167 cc, possono essere sia beni immobili, sia mobili iscritti ad un pubblico registro, sia titoli di credito. L'art. 2647 cc prevede la trascrizione del fondo che abbia ad oggetto beni immobili, mentre l'art. 69 lett. b) del d.p.r. n° 396/2000 ne impone l'annotazione a margine dell'atto di matrimonio.

LA NATURA E LA COSTITUZIONE: il fondo patrimoniale dà luogo ad un patrimonio separato la cui destinazione è quella di far fronte ai bisogni della famiglia. Da un lato quindi il proprietario del fondo deve utilizzarlo per il raggiungimento di tali finalità, dall'altro non è aggredibile per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei a tali bisogni. Il fondo patrimoniale, che è compatibile sia con il regime di separazione che di comunione legale dei beni, costituisce dunque uno strumento per adempiere all'obbligo di contribuzione di cui all'art. 143 cc. LA CESSAZIONE DEL FONDO: è regolata dall'art. 171 cc, secondo il quale ne può costituire causa l'annullamento, lo scioglimento, o la cessazione degli effetti civili del matrimonio. In presenza di li minori, nonostante il verificarsi di una causa di scioglimento, il fondo perdura fino al compimento della maggiore età dell'ultimo lio. In tal caso il giudice può, oltre che dettare norme per l'amministrazione del fondo, anche attribuire ai li, in godimento o in proprietà, una quota di beni del fondo.




L'IMPRESA FAMILIARE


LA NATURA RESIDUALE DELLA DISCIPLINA in basa all'art. 230 bis cc, colui che presta la propria attività di lavoro in modo continuativo a favore di un imprenditore a lui legato da un vincolo di coniugio, parentela entro il terzo grado o affinità entro il secondo, gode di una complessiva posizione partecipativa che consta sia di diritti patrimoniali che di diritti amministrativo- gestori. Sotto il profilo economico il familiare ha diritto al mantenimento secondo la condizione patrimoniale della famiglia; egli, inoltre, in caso di buon andamento dell'attività impresa, ha diritto ad una quota di utili e di incrementi, anche in ordine all'avviamento, proporzionata alla quantità e qualità del lavoro prestato e partecipa ai beni acquistati con gli utili. Per quel che riguarda la gestione dell'impresa, l'art. 230 bis prevede l'adozione a maggioranza delle decisioni concernenti l'impiego degli utili e degli incrementi, nonché quelle inerenti alla gestione straordinaria, agli indirizzi produttivi e alla cessazione dell'impresa.


LA STRUTURA E IL FONDAMENTO DELL'IMPRESA FAMILIARE l'istituto dell'impresa familiare non conura un fenomeno di gestione collettiva dell'impresa, bensì un'ipotesi di collaborazione all'interno di essa. La norma di cui all'art. 230 bis cc si preoccupa unicamente di disciplinare il rapporto che si instaura tra due soggetti (il familiare e l'imprenditore) per effetto dello svolgimento di una prestazione di lavoro, senza con ciò interferire sulla imputazione dell'attività d'impresa. La titolarità dell'impresa rimane di pertinenza dell'imprenditore originario. È questi il soggetto che agisce sul piano dei rapporti esterni, assumendo il rischio inerente all'esercizio dell'impresa.


LE CARATTERISTICHE DELLA PRESTAZIONE DI LAVORO il lavoro effettuato all'interno dell'impresa può consistere in qualunque attività che possa formare oggetto di un rapporto di lavoro subordinato ovvero di un rapporto di lavoro autonomo.

Elemento essenziale ai fini dell'applicabilità della tutela offerta dall'art. 230 bis cc è la continuità, da parte del familiare, dell'attività prestata. Continuità significa regolarità e costanza nel tempo, senza tuttavia che ciò implichi necessariamente un impegno a tempo pieno.

I SOGGETTI possono partecipare all'impresa familiare il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo. In conformità alla affermata natura individuale dell'impresa familiare è l'imprenditore il c.d. titolare dell'impresa, il soggetto nei cui confronti deve sussistere il vincolo di coniugio, di parentela ovvero di affinità.


I DIRITTI PATRIMONIALI al partecipante all'impresa familiare spetta, in primo luogo, il diritto al mantenimento, commisurato alla condizione patrimoniale della famiglia.

Al familiare è inoltre riconosciuto il diritto a partecipare agli utili dell'impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell'azienda, anche in ordine all'avviamento.

Un ulteriore strumento di tutela della posizione lavorativa del familiare partecipante è costituita dal diritto di prelazione, riconosciuto al 5° comma in caso di divisione ereditaria o di trasferimento dell'azienda.


LE DECISIONI RISERVATE AI FAMILIARI l'art. 230 bis cc accorda ai familiari partecipanti un ruolo di rilievo, che come già evidenziato, si sostanzia nel potere di adottare a maggioranza le decisioni concernenti l'impiego degli utili e gli incrementi nonché quelle inerenti alla gestione straordinaria, agli indirizzi produttivi e alla cessazione dell'impresa.

La gestione ordinaria che è quella che in modo più immediato si riflette sull'andamento dell'impresa, rimane affidata alla esclusiva competenza dell'imprenditore.


L'ESTINZIONE DEL RAPPORTO le cause di estinzione del rapporto di impresa familiare possono distinguersi a seconda che incidano sulla posizione di tutti i partecipanti o del singolo familiare.

     La decisione di cessare l'attività d'impresa o di trasferire l'azienda, così come il verificarsi del fallimento o della morte dell'imprenditore, determinano l'estinzione del rapporto con riguardo a tutti i familiari.

     Le cause di estinzione del rapporto che riguardano la persona del singolo partecipante:

  la sopravvenuta incapacità di prestare la propria attività di lavoro, a causa dell'età, di malattia o di infortunio;

  il decesso del familiare;

  il recesso del familiare che decide di far cessare la propria collaborazione, e lo può fare in qualsiasi momento.

L'imprenditore può estinguere il rapporto per giusta causa, altrimenti è tenuto a are una somma al familiare come risarcimento del danno.

L'art. 230 bis cc prevede che in seguito alla cessazione per qualsiasi causa vi debba essere una liquidazione in danaro.




LA CRISI CONIUGALE


LA SEPARAZIONE CONSENSUALE presuppone l'accordo dei coniugi di vivere separati e sulla regolamentazione dei rapporti reciproci e quelli con i li.

L'art. 158 comma 1 cc stabilisce che la separazione per solo consenso dei coniugi non ha effetto senza l'omologazione del tribunale: il giudice infatti esercita un controllo di legalità sugli accordi dei coniugi e ha il potere di rifiutare l'omologazione quando le decisioni in ordine all'affidamento dei li siano in contrasto con l'interesse di costoro.

L'omologazione potrà essere negata anche quando le decisioni relative ai coniugi siano lesive di principi fondamentali dell'ordinamento giuridico, quali il buon costume o l'ordine pubblico, ovvero contrastino con norme inderogabili.

CONTENUTO DELL'ACCORDO: la dottrina individua nell'accordo di separazione un contenuto necessario ed uno eventuale, ricomprendendo del primo la decisione di vivere separati e le pattuizioni che riguardano il mantenimento del coniuge e quello dei li, e nel secondo determinazioni di contenuto assai vario.

GLI ACCORDI NON OMOLOGATI: recentemente si è ammessa una piena autonomia dei coniugi nella stipulazione di accordi non sottoposti ad omologazione che per certi versi prevarrebbero addirittura su quello omologati.


LA SEPARAZIONE GIUDIZIALE oggi la separazione giudiziale può essere richiesta quando si verifichino, anche indipendentemente dalla volontà di uno dei coniugi, fatti tali da rendere intollerabile una prosecuzione della convivenza o da recare grave pregiudizio all'educazione della prole. È consentita la domanda anche da parte dello stesso coniuge che abbia posto in essere i fatti causa dell'intollerabilità della prosecuzione della convivenza o che abbiano recato grave pregiudizio all'educazione della prole.

LA PRONUNCIA DI ADDEBITO: l'art. 151 comma 2 cc nel pronunciare la separazione il giudice dichiara, dove ricorrano le circostanze e ne sia richiesto, a quale dei due coniugi sia addebitabile la separazione in considerazione del suo comportamento contrario ai doveri che nascono dal matrimonio.

LA VIOLAZIONE DEI DOVERI MATRIMONIALI:

     il dovere di fedeltà: oltre all'esclusività sessuale, si è arricchito di significato, ricomprendendo un impegno di devozione fisica e spirituale;

     la violazione del dovere di assistenza morale e materiale e del dovere di collaborazione;

   la violazione del dovere di coabitazione si ha quando non sussista la giusta causa di abbandono.


ALTRE FATTISPECIE DI INTERRUZIONE DELLA CONVIVENZA LA SEPARAZIONE DI FATTO: produce effetti assai limitati , costituisce una situazione produttiva di effetti particolari regolati da singole norme di legge.

La separazione di fatto è un impedimento all'adozione speciale.

Nel caso in cui sia iniziata almeno due anni prima del 18 dicembre 1970 rientra tra i casi per i quali uno dei coniugi può chiedere lo scioglimento del matrimonio.

LA SEPARAZIONE TEMPORANEA: stabilisce l'art. 126 cc che quando è proposta domanda di nullità del matrimonio il tribunale può su istanza di uno dei coniugi ordinare la loro separazione temporanea durante il giudizio, anche d'ufficio se ambedue i coniugi o uno di essi sono minori o interdetti.


LO SCIOGLIMENTO E LA CESSAZIONE DEGLI EFFETTI CIVILI DEL MATRIMONIO SEPARAZIONE: determina la sola attenuazione del vincolo coniugale, identifica una situazione di crisi familiare che può alternativamente sfociare nella ripresa della convivenza o nel suo definitivo venir meno.

IL DIVORZIO: consacrando l'irreversibile frattura del consorzio familiare, comporta lo scioglimento del matrimonio o la cessazione dei suoi effetti civili e la perdita dello status di coniuge.

L'art. 149 cc stabilisce che lo scioglimento del matrimonio può avvenire per morte di uno dei coniugi e negli altri casi previsti dalla legge.

Secondo il disposto degli artt. 1 e 2 della legge n° 898/1970 il giudice pronuncia lo scioglimento del matrimonio civile ovvero la cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario quando accerta che la comunione materiale e spirituale tra i coniugi non può essere mantenuta o ricostituita per l'esistenza di una delle cause previste nell'art. 3.


LE CAUSE DI DIVORZIO

     LA SEPARAZIONE LEGALE costituisce senz'altro la causa statisticamente più frequente di scioglimento del matrimonio. Il divorzio può essere domandato da uno dei due coniugi quando sia stata pronunciata, con sentenza passata in giudicato, la separazione giudiziale, ovvero sia stata omologata la separazione consensuale. Affinché sia pronunciata la sentenza di divorzio è inoltre necessario che la separazione si sia protratta ininterrottamente da almeno un triennio.

     LE CAUSE DI NATURA PENALE. L'art. 3 comma 1 l. n° 898/1970 raggruppa una serie di ipotesi che, in ragione della condanna di uno dei coniugi in sede penale, legittimano la domanda di divorzio dell'altro. Condizione comune alle diverse ipotesi è che la condanna sia avvenuta dopo la celebrazione del matrimonio e che la sentenza sia passata in giudicato prima della proposizione della domanda di divorzio. Sono dunque cause di scioglimento del matrimonio le condanne:

  all'ergastolo ovvero ad una pena superiore a quindici anni;

  a qualsiasi pena detentiva per il delitto di: incesto, violenza carnale, atti di libidine, ratto a fine di libidine;

  a qualsiasi pena per omicidio volontario di un lio ovvero per tentato omicidio a danno del coniuge o di un lio;

  a qualsiasi pena detentiva, con due o più condanne per i delitti di: lesione personale, violazione degli obblighi di assistenza familiare, maltrattamenti in famiglia o verso i fanciulli e circonvenzione di persone incapaci, in danno del coniuge o di un lio.

     ANNULLAMENTO, DIVORZIO O NUOVO MATRIMONIO CELEBRATO ALL'ASTERO. La circostanza in cui uno straniero ottenga all'estero sentenza di annullamento o scioglimento del matrimonio o contragga un nuovo matrimonio, legittima il coniuge italiano a proporre domanda di divorzio.

     MATRIMONIO NON CONSUMATO: una ulteriore causa di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio è l'inconsumazione.

     LA RETTIFICAZIONE DELL'ATTRIBUZIONE DI SESSO è un'ulteriore causa di divorzio.


LA DISCIPLINA PROCESSUALE il divorzio contenzioso su domanda unilaterale: presenta una struttura processuale sostanzialmente analoga a quella della separazione giudiziale.

IL DIVORZIO A DOMANDA CONGIUNTA: si svolge con il rito camerale, caratterizzato dalla presentazione di una domanda di divorzio nelle forme di un ricorso congiunto dei coniugi in cui essi indicano le condizioni tra loro pattuite al fine di regolamentare i rapporti con i li, nonché i loro rapporti patrimoniali. Il tribunale, dopo avere sentito i coniugi, verificata l'esistenza dei presupposti di legge e valutata la rispondenza delle condizioni all'interesse dei li, decide con sentenza.




GLI EFFETTI DELLA SEPARAZIONE E DEL DIVORZIO NEI RIGUARDI DEI CONIUGI


GLI EFFETTI PERSONALI DELLA SEPARAZIONE la legge, nel disciplinare gli effetti della separazione giudiziale tra i coniugi, si riferisce esclusivamente ai rapporti patrimoniali, ed in particolare al mantenimento ed alla somministrazione degli alimenti, mentre nulla dice circa i rapporti personali, effettuato quanto disposto dall'art. 156 bis cc circa l'uso del cognome maritale.

A seguito della separazione, restano sospesi tra i coniugi, tutti i reciproci doveri derivanti dal matrimonio, salvo l'obbligo di assistenza patrimoniale.


L'ASSEGNO DI MANTENIMENTO l'art. 156 cc dispone che il giudice stabilisce a vantaggio del coniuge cui non sia addebitabile la separazione, il diritto di ricevere dall'altro coniuge quanto necessario al suo mantenimento, qualora non abbia adeguati redditi propri. L'entità di tale somministrazione è determinata in relazione alle circostanze ed ai redditi dell'obbligato.

Nel valutare i bisogni del coniuge economicamente debole e il reddito di quello forte, occorre considerare anche profili non economici, quali l'età, la salute e soprattutto la capacità di lavoro, vale a dire l'attitudine del coniuge di provvedere al proprio mantenimento, svolgendo un lavoro adeguato alle proprie capacità professionali.

Secondo la giurisprudenza eventuali elargizioni non meramente saltuarie, ma continuative e protratte nel tempo, ricevute da parenti o dal convivente more uxorio, concorrendo a formare reddito, debbano essere valutate ai fini della concreta determinazione dell'assegno di mantenimento.


GLI STRUMENTI A GARANZIA DELL'ADEMPIMENTO DEGLI OBBLIGHI DI CARATTERE PATRIMONIALE l'art. 156 cc dispone al comma quarto che il giudice che pronuncia la separazione può anche imporre al coniuge obbligato a prestare idonea garanzia reale o personale dell'adempimento dei suoi obblighi. La garanzia può naturalmente essere rappresentata da un pegno o da un'ipoteca che siano adeguati, per il loro valore, all'ammontare degli obblighi, ma è considerata ammissibile anche una cauzione o una fideiussione prestata da persona solvibile o da una banca.

In caso di inadempienza, su richiesta dell'avente diritto, il giudice può disporre il sequestro di parte dei beni del coniuge obbligato e ordinare ai terzi, tenuti a corrispondere anche periodicamente somme di denaro all'obbligato, che una parte di esse venga versata direttamente agli aventi diritto.


LA RICONCILIAZIONE è l'accordo che interviene tra i coniugi diretto a far cessare o ad impedire il sorgere dello stato di separazione. Gli effetti della separazione possono far essere cessati con un'espressa dichiarazione dei coniugi, oppure con un comportamento non equivoco incompatibile con lo stato di separazione.


GLI EFFETTI PERSONALI DEL DIVORZIO il principale effetto del divorzio è il riacquisto per ciascun coniuge della libertà di stato. Nessun effetto invece produce il divorzio sulla cittadinanza italiana acquisita a seguito del matrimonio da parte del coniuge straniero. La donna perde il diritto all'uso del cognome del marito che aveva aggiunto al proprio a seguito del matrimonio, salvo che non dimostri che il conservarlo corrisponda ad un apprezzabile interesse proprio o dei li.


L'ASSEGNO DI DIVORZIO è la somministrazione periodica o una tantum di un assegno a favore del coniuge economicamente più debole. La legge indica una serie di criteri che il tribunale deve considerare nell'erogazione dello stesso: le condizioni dei coniugi, le ragioni della decisione, il contributo personale ed economico apportato da ciascuno di essi alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ciascuno e di quello comune e del reddito di entrambi, elementi tutti da valutarsi in rapporto alla durata del matrimonio.

Il presupposto fondamentale per l'erogazione dell'assegno è costituito dallo squilibrio reddituale tra i coniugi, per effetto del quale uno di essi, privo di mezzi adeguati al proprio mantenimento si trovi nell'impossibilità transitoria o permanente di procurarseli.

L'obbligo di corresponsione dell'assegno cessa se il coniuge beneficiario passa a nuove nozze.

LE CARATTERISTICHE DELL'ASSEGNO la riforma del 1987 ha introdotto all'art. 5 comma 7 l'obbligo per il tribunale di disporre un criterio di adeguamento automatico dell'assegno, almeno con riferimento agli indici di svalutazione monetaria. Adeguamento che tuttavia, in caso di palese iniquità può essere escluso con decisione motivata.

Per quanto attiene alle modalità di liquidazione dell'assegno di divorzio vi è l'alternativa fra la corresponsione periodica e la corresponsione in un'unica soluzione, che può avvenire si mediante il amento di una somma di denaro, sia mediante il trasferimento di diritti reali su beni mobili e immobili.


GLI ACCORDI TRA I CONIUGI IN VISTA DEL DIVORZIO la dottrina maggioritaria non concorda con la giurisprudenza  osserva che un eventuale accordo di carattere patrimoniale ha solo lo scopo di abbreviare il procedimento anticipando un evento che, in presenza delle condizioni legali, è comunque inevitabile, cosicché non è possibile parlare di commercio di status.

In relazione ai patti in vista dell'annullamento del matrimonio la Cassazione ha assunto una posizione del tutto diversa ridendoli validi.

IL DIRITTO DEL CONIUGE DIVORZIATO AD UNA PERCENTUALE DELL'INDENNITA' DI FINE RAPPORTO l'art. 12 bis attribuisce al coniuge titolare dell'assegno di divorzio che non sia passato a nuove nozze il diritto ad una quota dell'indennità di fine rapporto percepita dall'altro coniuge all'atto di cessazione del rapporto di lavoro, anche se l'indennità viene a maturare dopo la sentenza. Tale percentuale è pari al quaranta per cento dell'indennità totale riferibile agli anno in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio.


IL DIRITTO ALLA PENSIONE DI REVERSIBILITA' in assenza di un coniuge superstite avente i requisiti per la pensione di reversibilità, si prevede infatti che l'ex coniuge, se non passato a nuove nozze, e solo in quanto titolare di un assegno di divorzio, abbia diritto alla pensione di reversibilità, sempre che il rapporto da cui trae origine il trattamento pensionistico non sia anteriore alla sentenza. Qualora invece sussista un coniuge superstite la pensione di reversibilità e gli altri assegni sono ripartiti fra coniuge superstite e coniuge divorziato titolare di un assegno, in base alla durata dei rispettivi rapporti matrimoniali.


LE GARANZIE IN ORDINE ALLA CORRESPONSIONE DELL'ASSEGNO la disciplina delle garanzie e degli strumenti di esecuzione coattiva degli obblighi patrimoniali stabiliti dal tribunale in sede di divorzio è sostanzialmente analoga a quella prevista nella separazione. In particolare, all'art. 8 comma 1 si prevede la possibilità per il giudice di imporre all'obbligato di prestare l'idonea garanzia reale o personale qualora sussista il pericolo che questi si sottragga all'adempimento degli obblighi di cui agli artt. 5 e 6. La sentenza costituisce inoltre titolo per l'iscrizione dell'ipoteca giudiziale ai sensi dell'art. 2818 cc.


LE CONSEGUENZE SUCCESORIE la pronuncia di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio determinano il venir meno dello status di coniuge e conseguentemente la perdita dei diritti successori ad esso inerenti. In caso di morte dell'ex coniuge, il tribunale, però, può riconoscere all'altro, se titolare di un assegno di cui all'art. 5 e qualora versi in stato di bisogno e non sia passato a nuove nozze, un assegno periodico a carico dell'eredità; detto assegno deve essere determinato tenendo conto dell'importo di quelle somme, dell'entità del bisogno, dell'eventuale pensione di reversibilità, delle sostanze ereditarie, del numero e della quantità degli eredi e delle loro condizioni economiche.






GLI EFFETTI DELLA SEPARAZIONE E DEL DIVORZIO NEI RIGUARDI DEI LI


Mentre gli effetti della separazione e del divorzio fin ora esaminati sono nettamente diversificati, con riferimento all'affidamento dei li minori il legislatore detta una disciplina pressoché unitaria dei provvedimenti che li riguardano. L'affidamento della prole nella separazione e nel divorzio è disciplinato da due disposizioni: l'art. 155 cc e l'art. 6 l. n° 898/1970, come sostituito dalla l. n° 74/1987 che hanno la medesima ratio e tendenzialmente anche il medesimo contenuto.


I CRITERI PER L'AFFIDAMENTO DEI I il giudice della separazione, dichiarando a quale dei coniugi i li siano affidati, stabilisce misura e modo in cui l'altro coniuge contribuisce al mantenimento, istruzione ed educazione, nonché le modalità di esercizio dei suoi diritti nei loro confronti.

Risulta difficile indicare in concreto i quali siano i criteri in cui il giudice dovrà attenersi nel decidere sull'affidamento. Nella prassi giudiziaria è stata quindi individuata una serie di criteri in negativo:

     è irrilevante l'eventuale addebito della separazione a carico di uno dei coniugi;

     non possono ravvisarsi elementi ostativi nell'affidamento nell'instaurata convivenza da parte di uno dei genitori quando la prole sia stata ben accolta nella nuova famiglia;

     l'infermità mentale a meno che non sia grave o legata ad alcolismo o tossicodipendenza o da situazioni patologiche non proibisce l'affidamento;

     sono irrilevanti le convinzioni religiose ai fini dell'affidamento.


LA POSIZIONE DI UN CONIUGE NON AFFADATARIO il genitore cui siano affidati i li, salvo diversa disposizione del giudice, ha l'esercizio esclusivo della potestà su di essi; tuttavia le decisioni di maggior interesse per i li sono adottate congiuntamente da entrambi. In ogni caso il genitore cui i li non siano affidati ha il diritto e il dovere di vigilare sulla loro istruzione ed educazione, e può ricorrere al giudice quando ritenga che siano state prese decisioni pregiudizievoli al loro interesse.

Il diritto di visita è la modalità con cui il genitore non affidatario esercita i suoi diritti e doveri nei confronti dei li. Le limitazioni apportate all'esercizio al diritto di visita del genitore risultano spesso giustificata da gravi motivi, legati per lo più a pregressi comportamenti del genitore pregiudizievoli al benessere psico-fisico del minore.

Per quanto attiene ai provvedimenti di natura patrimoniale, il giudice deve determinare il contributo del genitore non affidatario alle spese di mantenimento, istruzione ed educazione della prole. La capacità economica del genitore obbligato deve essere valutata con riferimento al suo patrimonio complessivo.

Si tratta in genere di un assegno periodico che il coniuge obbligato è tenuto a corrispondere direttamente all'affidatario.

L'obbligo di mantenimento non cessa quando il lio abbia raggiunto la maggiore età, ma quando egli si sia reso autonomo economicamente.

L'adempimento in un'unica soluzione dell'obbligo a favore del lio è ammesso, ma non libera definitivamente il genitore dall'obbligo poiché, se la somma viene mal amministrata e termina prima del tempo, il genitore sarà nuovamente obbligato a contribuire al mantenimento.


LE DIVERSE TIPOLOGIE DI AFFIDAMENTO in base all'art. 155 cc l'affidamento viene dichiarato dal giudice a favore dell'uno dell'altro coniuge. Esistano vari tipi affidamento:

     L'AFFIDAMENTO ALTERNATO comporta che il minore venga affidato a periodi prefissati a ciascun genitore, il quale in tale periodo esercita in via esclusiva e indipendente dall'altro la potestà sui li;

     L'AFFIDAMENTO CONGIUNTO è la situazione in cui entrambi i genitori esercitano in comune la potestà sui li, i quali vengono educati e cresciuti sulla base di un unico e concorde progetto, idoneo ad assicurare una maggiore responsabilizzazione dei genitori e una presenza più incisiva nella vita del lio;

     L'AFFIDAMENTO ORDINARIO che prevede la potestà esclusiva dell'affidatario e un intervento del genitore non affidatario limitato alle sole decisioni di maggior interesse.


LA REVISIONE SUCCESSIVA DEI PROVVEDIMENTI i coniugi hanno diritto di chiedere in ogni tempo la revisione delle posizioni concernenti l'affidamento dei li, l'attribuzione dell'esercizio della potestà su di essi e delle disposizioni relative alla misura e alle modalità del contributo. La revisione presuppone un mutamento delle circostanze in base alle quali i provvedimenti sono stati emessi.


L'ASSEGNAZIONE DELLA CASA FAMILIARE il potere del giudice di disporre l'assegnazione della casa familiare al coniuge affidatario è previsto dall'art. 155 cc comma 4 e dall'art. 6 comma 6 della l. n° 898/1970, disposizioni che non hanno un contenuto del tutto omogeneo.


LA FAMIGLIA RICOMPOSTA si parla di famiglia ricomposta o riconosciuta con riferimento alla convivenza di una coppia nella quale almeno uno dei partner sia divorziato e vi sia la presenza dei li dell'uno e/o dell'altro coniuge o partner. Si realizza così una complessa trama di rapporti molto più articolata di quelli scaturenti dalla famiglia nucleare classica. Si realizza la coesistenza del genitore biologico e di quello sociale, il che accentua i potenziali conflitti tra gli interessati.

Lo step-parent può, in basa ad una particolare forma di adozione, adottare il lio del proprio coniuge, ma è necessario il consenso del genitore biologico.

Attraverso gli accordi, gli interessati, con mera rilevanza interna possono stabilire obblighi di mantenimento del lio a carico dello step-parent oppure riconoscere la facoltà di esercitare poteri educativi nei suoi riguardi.

Lo step- child non ha diritti successori nei confronti dello step- parent.




LA FAMIGLIA DI FATTO


La convivenza more uxorio rimane in Italia ancora priva di disciplina giuridica organica. Un riconoscimento indiretto alla famiglia di fatto viene disposto dall'art. 327 bis comma 2 cc, che attribuisce l'esercizio della potestà sul lio naturale ad entrambi i genitori che lo abbiano riconosciuto, se conviventi.

In assenza di una disciplina legislativa, la stessa terminologia utilizzata nel corso del tempo per indicare questa realtà si è modificata in sintonia con i mutamenti del costume e degli atteggiamenti dei giuristi: da concubinato a convivenza more uxorio a famiglia di fatto. In termini negativi, ciò che sicuramente distingue la famiglia di fatto dalla famiglia fondata sul matrimonio è la costituzione di quest'ultima attraverso un atto formale, laddove la prima sorge spontaneamente in assenza di qualsiasi formalizzazione pubblica. In termini positivi, invece, si valorizza l'affectio quale elemento di caratterizzazione della convivenza.


I RAPPORTI PERSONALI E PATRIMONIALI TRA CONVIVENTI quelli che sono obblighi legali per i coniugi, nella famiglia di fatto sono invece espressione dell'autonomia dei conviventi; peraltro l'osservanza di regole analoghe a quelle in base alle quali l'art. 143 cc organizza l'insieme dei rapporti coniugali, costituisce un vero e proprio indice oggettivo necessario per qualificare una certa situazione come famiglia di fatto.

Il "dovere" relativo alla somministrazione delle prestazioni riconducibili all'assistenza materiale e dei contributi necessari al soddisfacimento delle comuni esigenze di vita, oggi la giurisprudenza le riconduce all'istituto dell'obbligazione naturale.

In ordine ai rapporti patrimoniali si esclude l'applicazione del regime di comunione legale dei beni. Il convivente che lavora nell'impresa dell'altro non è tutelato dall'art. 230 bis.


LA CESSAZIONE DELLA CONVIVENZA è opinione ormai consolidata, tanto in dottrina quanto in giurisprudenza, che non vi sia alcun obbligo di risarcire il danno causato dalla rottura del menage a carico del convivente che abbia unilateralmente deciso di porre termine alla relazione  in quanto convivenza more uxorio si caratterizza quale rapporto fondato sulla libertà e spontaneità dei comportamenti.

Il convivente non ha diritto all'assegnazione della casa familiare e non ha neanche diritti successori a meno che non vi sia un testamento.

Il partner ha diritto al risarcimento del danno morale per morte dell'altro convivente nella specie avvenuta a seguito di un incidente stradale.


LA CESSAZIONE DELLA CONVIVENZA E I PROVVEDIMENTI RIGUARDANTI I LI nel caso in cui la coppia convivente entra in crisi, la scelta per l'affidamento dei li spetta al giudice in conformità a quanto disposto nell'ultima parte del secondo comma dell'art. 317 bis cc. In particolare al tribunale per minorenni spetterà ogni decisione circa la scelta del genitore affidatario della prole, mentre il tribunale ordinario resta competente per ogni situazione concernente il mantenimento dei li. Nella prassi, l'intervento del giudice minorile non si limita all'attribuzione della potestà; si registrano con sempre maggiore frequenza decisioni dirette a regolare, con riguardo ai li, le conseguenze della cessazione del rapporto di convivenza, analogamente per quanto previsto per i casi di separazione e di divorzio. L'esigenza di tutelare l'interesse dei li a continuare a vivere nell'abitazione familiare anche dopo la rottura della convivenza dei genitori ha giustificato l'assegnazione della casa familiare in favore del genitore affidatario, pur in assenza di una specifica materia.

Si ritiene che il genitore naturale affidatario della prole possa giovarsi delle garanzie previste a tutela dei crediti di mantenimento nell'ambito della separazione e del divorzio.


I CONTRATTI DI CONVIVENZA la dottrina ha individuato nel contratto uno strumento parzialmente idoneo a coniugare le esigenze di libertà ed autonomia che la convivenza esprime con le istanze di tutela individuale di ciascuno dei conviventi. Si parla al riguardo di contratti di convivenza, convenzione che i partners possono stipulare allo scopo di regolare gli aspetti patrimoniali del loro rapporto. È necessaria la capacità di agire dei conviventi. Per quanto riguarda il contenuto il contratto è nullo se contiene le pattuizioni relative agli aspetti personali, quali la fedeltà, l'assistenza morale, la collaborazione e la coabitazione.

La pattuizione di prestazioni di carattere economico per il periodo successivo alla cessazione della convivenza è ritenuta valida, quantomeno se il fine è quello di assistenza o di soccorso al convivente in condizioni di maggiore difficoltà economica.

In relazione alla forma valgono i principi generali in materia di contratto.

Diverso è il problema della forma ai fini della prova: i contratti di convivenza richiedono che l'accordo risulti da atto scritto.


LE COPPIE OMOSESSUALI la materia risulta difficile e molto varia poiché cambia da stato a stato:

     in Danimarca la registrazione dell'unione produce i medesimi effetti giuridici del matrimonio, salvo quanto previsto in materia di adozione e di potestà dei genitori; tale modello è stato seguito in Norvegia, Sa, Islanda, Olanda e Germania;

     in Belgio, Catalogna e Francia le normative si basano sulla parificazione rispetto alle coppie di conviventi;

     in Olanda oggi è possibile che due persone dello stesso sesso contraggano matrimonio;

     la giurisprudenza italiana in tema di coppie omosessuali è, allo stato, alquanto scarna. Ci sono state alcune pronunce che hanno equiparato la convivenza tra due persone dello stesso sesso alla convivenza more uxorio.




L'ACCERTAMENTO DELLO STATO DI FILIAZIONE LEGITTIMA


LO STATO DI LIO LEGITTIMO li legittimi sono quelli generati dai coniugi in circostanza di matrimonio. I presupposti della legittimità della filiazione legittima sono i seguenti:

     matrimonio dei genitori;

     parto della moglie;

     concepimento in costanza di matrimonio;

     paternità del marito.

Mentre le prime due circostanze sono comprovabili dagli atti dello stato civile e dalla dichiarazione resa avanti l'ufficiale di stato civile in sede di redazione dell'atto di nascita; la data del concepimento e la paternità, di per sé incerte, vengono invece determinate attraverso le presunzioni dettate agli artt. 231 e 232 cc:

     il matrimonio può essere civile, ovvero religioso con effetti civili. Non è necessario che il matrimonio sia valido, poiché all'art. 128 cc gli effetti del matrimonio valido si producono anche rispetto ai li nati o concepiti durante il matrimonio dichiarato nullo;

     in ordine all'accertamento della maternità in primo luogo deve mettersi in risalto che non necessariamente la donna che ha dato alla luce un lio ne risulterà giuridicamente la madre. Nell'atto di nascita sono individuati il luogo, il mese, il giorno e l'ora della nascita, le generalità, la cittadinanza e la residenza dei genitori legittimi, nonché di quelli che richiedono la dichiarazione di riconoscimento di filiazione naturale. Sono altresì indicati il sesso del bambino e il nome che gli viene dato;

     l'art. 231 cc stabilisce che il marito è padre del lio concepito durante il matrimonio; si tratta di una presunzione in forza della quale la paternità del lio nato da donna coniugata viene attribuita per legge, senza che sia necessaria alcuna dichiarazione da parte del marito, né tanto meno una concreta ricerca dell'effettiva paternità.

Giusta quanto disposto all'art. 232 cc si presume concepito durante il matrimonio il lio nato quando siano trascorsi centoottanta giorni dalla celebrazione del matrimonio e non ne siano ancora trascorsi trecento dall'annullamento, dallo scioglimento o dalla cessazione degli effetti civili del matrimonio.

L'art. 233 cc prevede che il lio nato prima che siano trascorsi centoottanta giorni dalla celebrazione del matrimonio è reputato legittimo se uno dei coniugi o il lio stesso non ne disconoscono la paternità.


LA PROVA DELLA FILIAZIONE LEGITTIMA l'art. 236 cc stabilisce che la filiazione legittima si prova con l'atto di nascita iscritto nei registri dello stato civile. L'atto di nascita prova legalmente la filiazione legittima e dunque fornisce la prova di tutti gli elementi che la costituiscono.

L'art. 237 cc dispone che il possesso di stato risulta da una serie di fatti che nel loro complesso vengono a dimostrare le relazioni di filiazione e di parentela tra una persona e la famiglia cui pretende di appartenere. Le ure del possesso di stato e dell'atto di nascita differiscono dal punto di vista strutturale, in quanto la prima si riassume in un'insieme di fatti che a loro volta devono essere provati, mentre la seconda è prova documentale.


LE AZIONI DI STATO LEGITTIMO con l'espressione azione di stato si definisce l'azione con la quale si chiede al giudice una pronunzia sullo stato della persona.

Le azioni di stato legittimo disciplinate dalla legge sono:

     l'azione di riconoscimento della paternità;

     l'azione di contestazione della legittimità;

     l'azione di reclamo della legittimità.

Dalle azioni di stato si distinguono le azioni di rettificazione degli atti dello stato civile, queste ultime differenti dalle prime in quanto essenzialmente rivolte alla correzione di errori materiali e ad integrare atti incompleti.


IL DISCONOSCIMENTO DELLA PATERNITA' è diretta a privare il lio dello stato di legittimità attribuitogli in forza degli artt. 231, 232, 233 cc.

Le azioni di disconoscimento della paternità sono due:

     l'una disciplinata dall'art. 233 cc consente il disconoscimento del lio nato prima che siano trascorsi 180 giorni dalla celebrazione del matrimonio;

     l'altra, di cui all'art. 235 cc si esercita nell'ipotesi di lio concepito - in forza della presunzione di legge  -durante il matrimonio.

Sono legittimati ad agire oltre al marito anche la madre e il lio. L'esercizio di tale azione è subordinato a due presupposti:

  la nascita del lio

  l'esistenza del titolo di stato di lio legittimo.

L'art. 235 cc consente l'azione di disconoscimento nei seguenti casi:

    se i coniugi non hanno coabitato nel periodo compreso tra il 300° e 180° giorno prima della   nascita;

    se durante il tempo predetto il marito era affetto di impotenza anche solo di generare;

    se nel detto periodo la moglie ha commesso adulterio o ha tenuto celata al marito la propria   gravidanza e la nascita. Questa ipotesi deve essere accomnata da prove del DNA.


LA DISCIPLINA DELL'AZIONE il termine di decadenza per esercitare l'azione di disconoscimento della paternità è disciplinato dall'art. 244 cc:

   la madre deve proporre l'azione entro sei mesi dalla nascita del lio;

   il marito può disconoscere il lio nel termine di un anno, che decorre dal giorno della nascita quando egli si trovava al tempo di questa nel luogo in cui è nato il lio, oppure il giorno del suo ritorno nel luogo in cui è nato il lio o in cui è la residenza familiare se egli al tempo della nascita era lontano;

   l'azione può essere promossa dal lio entro un anno dal compimento della maggiore età o dal momento in cui viene successivamente a conoscenza dei fatti che rendono ammissibile il disconoscimento.

La sentenza che accoglie l'azione travolge lo stato di legittimità del lio con effetto retroattivo.


LA CONTESTAZIONE DI LEGITTIMITA' l'azione di contestazione di legittimità è diretta a far dichiarare l'inesistenza dello stato di legittimità dal soggetto contro cui è rivolta. Presuppone in capo al lio un titolo di stato di filiazione legittima o di un possesso di stato.

L'azione può essere esercitata attaccando uno dei seguenti presupposti di legittimità:

     esistenza o validità del vincolo matrimoniale dei genitori;

     effettività del parto della donna indicata come madre dall'atto di nascita;

     corrispondenza tra l'identità del nato e quella risultante dall'atto di nascita;

     concepimento in matrimonio.


RECLAMO DI LEGITTIMITA' art. 249 cc. I presupposti per il reclamo di legittimità sono:

     la mancanza dell'atto di nascita o del possesso di stato;

     pur esistendo l'atto di nascita, che il lio risulti come ignoto;

     pur esistendo l'atto di nascita, che il lio sia stato iscritto sotto falso nome per cui i genitori non sono quelli indicati nell'atto.




L'ACCERTAMENTO DELLO STATO DI FILIAZIONE NATURALE


IL RICONOSCIMENTO DEL LIO NATURALE è un atto unilaterale, spontaneo e irrevocabile del genitore - da effettuarsi nell'atto di nascita o nell'apposita dichiarazione posteriore alla nascita o al concepimento nelle forme indicate dall'art. 254 cc in forza del quale un soggetto dichiara la propria maternità o paternità nei confronti di una determinata persona.

L'art. 258 comma 1 cc dispone che il riconoscimento non produce effetti che riguardo al genitore da cui fu fatto, salvo i casi previsti dalla legge.

Secondo quanto disposto dall'art. 250 cc è ammesso il riconoscimento del lio adulterino.

Il riconoscimento del lio naturale può essere effettuato solo dal genitore, che deve avere la capacità legale di agire. È ammesso il riconoscimento anche al minore emancipato.

La legge prevede espressamente che è impugnabile il riconoscimento fatto dall'interdetto giudiziale mentre l'interdetto legale può procedere validamente al riconoscimento.

La legge richiede, quali condizioni di efficacia del riconoscimento rispettivamente l'assenso del lio ultrasedicenne, ovvero se infrasedicenne il consenso del genitore che prima lo ha riconosciuto; solo per il minore di 16 anni non riconosciuto è possibile un riconoscimento immediatamente efficace.

L'art. 250 comma 4 cc, sul presupposto che il riconoscimento deve rispondere all'interesse del lio, dispone che il consenso del genitore che per primo ha riconosciuto il lio infrasedicenne, non possa essere rifiutato nell'ipotesi in cui sussista l'interesse del minore.

L'art. 251 cc stabilisce il divieto di riconoscimento di li nati da persone tra le quali esiste un vincolo di parentela, anche naturale in linea retta all'infinito, oppure in linea collaterale nel secondo grado ovvero un vincolo di affinità in linea retta. Il divieto non opera nel caso in cui i genitori all'epoca del concepimento, ignorando il vincolo tra essi intercorrente, fossero in buona fede; ovvero allorquando sia stato dichiarato nullo il matrimonio dal quale deriva l'affinità. Quando uno dei due genitori era in buona fede, il riconoscimento del lio spetta solo a lui.

L'art. 253 cc fissa il principio dell'inammissibilità di un riconoscimento in contrasto con lo stato di lio legittimo o legittimato in cui la persona si trova.


LA FORMA DEL RICONOSCIMENTO il primo comma dell'art. 254 cc dispone che il riconoscimento del lio naturale è fatto nell'atto di nascita, oppure con apposita dichiarazione, posteriore alla nascita o al concepimento, davanti all'ufficiale dello stato civile o davanti al giudice tutelare o in un atto pubblico o in un testamento, qualunque sia la forma di questo.

L'atto di riconoscimento è pubblicato attraverso l'iscrizione nei registri dello stato civile separatamente dalla dichiarazione di nascita.


L'IMPUGNATIVA DEL RICONOSCIMENTO PER DIFETTO DI VALIDITA' l'art. 263 cc stabilisce che il riconoscimento può essere impugnato per difetto di veridicità dell'autore del riconoscimento da colui che è stato riconosciuto e da chiunque vi abbia interesse; l'azione è imprescrittibile. L'art. 264 cc disciplina l'impugnazione per ipotesi di minore età ed interdizione del lio, stabilendo in alcuni casi la nomina di un curatore speciale.

Il falso riconoscimento può essere effettuato in buona fede, ovvero in malafede; la consapevolezza della non veridicità del riconoscimento non è di ostacolo all'ammissibilità dell'impugnazione, senza limiti di tempo.

L'IMPUGANTIVA DEL RICONOSCIMENTO PER VIOLENZA E INCAPACITA' art. 265 cc. L'impugnazione può essere domandata entro un anno dal giorno in cui la violenza è cessata, mentre se autore del riconoscimento è un soggetto minore, entro un anno dal raggiungimento della maggiore età. Si ritiene che la violenza sia causa di annullamento del riconoscimento  anche quando proviene da un terzo, mentre non rilevano né il timore reverenziale, né la minaccia di far valere un diritto.

L'art. 266 cc dispone che il riconoscimento può essere impugnato dall'interdetto giudiziale, mentre non è consentita l'impugnazione per incapacità naturale.


LA DICHIARAZIONE GIUDIZIALE DI PATERNITA' E MATERNITA' art. 270 cc. Che l'azione per ottenere la dichiarazione giudiziale sia promossa dal lio, riguardo al quale è imprescrittibile, in caso di morte prima dell'azione, questa può essere promossa dai discendenti legittimi, legittimati o naturali riconosciuti, entro due anni dalla morte, mentre l'azione promossa dal lio, se egli muore, può essere proseguita dai discendenti legittimi, legittimati o naturali riconosciuti.

In ordine all'accertamento giudiziale della maternità naturale, la legge ribadisce che la maternità è dimostrata provando l'identità di colui che si pretende essere lio e di colui che fu partorito dalla donna che si assume essere la madre.

Relativamente alla prova della paternità naturale, la legge, nel consentire all'attore di fornirla con ogni mezzo, in primo luogo autorizza il giudice a considerarla raggiunta tutte le volte in cui si verifichi una delle fattispecie previste dalla legge.

È ammessa la prova della azione del DNA che però non può essere imposta al presunto genitore.

La sentenza che dichiara la filiazione naturale produce gli effetti del riconoscimento. Con la sentenza stessa il giudice può anche dare i provvedimenti che stima utili per il mantenimento, l'istruzione, l'educazione e per la tutela degli interessi patrimoniali del lio. Il genitore che abbia provveduto  da solo mantenimento del lio minore riconosciuto ha diritto ad ottenere dall'altro il rimborso di quanto sarebbe stato a carico di quest'ultimo, a partire dalla nascita.


LA FILIAZIONE NON RICONOSCIBILE la condizione del lio non riconoscibile è regolata da combinato disposto degli artt. 278 279 cc.



La legge, attuando appieno la formula costituzionale, attribuisce anche ai li non riconoscibili il diritto al mantenimento, all'istruzione e all'educazione, e, una volta raggiunta la maggiore età,  agli alimenti, ricorrendo allo stato di bisogno.

In sede successoria, ai li privi di stato viene riconosciuto il trattamento enunciato nell'art. 580 cc che stabilisce che ai li naturali aventi diritto al mantenimento, all'istruzione e all'educazione spetta un assegno vitalizio pari all'ammontare della rendita della quota di eredità alla quale avrebbe diritto, se la filiazione fosse dichiarata o riconosciuta.


LA LEGITTIMAZIONE DEL LIO NATURALE il codice civile prevede due diverse forme di legittimazione per susseguente matrimonio dei genitori del lio naturale, o per provvedimento dell'autorità giudiziaria. Il susseguente matrimonio dei genitori ha l'effetto di legittimare automaticamente e indipendentemente dalla volontà dei coniugi i li nati anteriormente ad esso. La legittimazione per provvedimento del giudice è prevista per i casi in cui vi sia l'impossibilità ovvero gravissimo ostacolo alla legittimazione  per susseguente matrimonio.

Ai sensi dell'art. 284 cc la legittimazione può essere concessa con provvedimento del giudice se, oltre a corrispondere all'interesse del lio, concorrono altre condizioni indicate dalle norma.





IL RAPPORTO GENITORI-LI


L'art. 30 Cost. stabilisce che è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare la prole, anche se nata fuori dal matrimonio: il dovere-diritto del genitore ad un rapporto col lio - in cui si compendia la triade mantenimento, istruzione, educazione - viene affermato incondizionatamente, così come, al terzo comma, è riconosciuta ai li nati fuori dal matrimonio ogni tutela giuridica e sociale compatibile con i membri della famiglia legittima.


IL DIRITTO A CRESCERE NELLA FAMIGLIA il diritto a crescere nella famiglia pone specifici problemi con riferimento alla filiazione naturale, particolarmente nel caso in cui il lio naturale sia riconosciuto da un genitore unito in matrimonio. Al riguardo l'art. 252 comma 1 cc stabilisce che il tribunale per minorenni, valutate le circostanze, decide in ordine all'affidamento del minore e adotta ogni altro provvedimento per la tutela del suo interesse morale e materiale.

L'eliminazione del divieto di riconoscimento dei li adulterini ha poi reso necessaria una riconsiderazione della disciplina riguardante l'inserimento del naturale nella famiglia legittima del genitore che l'ha riconosciuto; art. 252 cc. La norma distingue a seconda che il riconoscimento sia avvenuto durante il matrimonio o prima di esso; se il lio naturale è stato riconosciuto durante il matrimonio il suo inserimento nell'ambito della famiglia legittima può essere autorizzato dal tribunale per minorenni, a condizione che non sia contrario all'interesse del minore stesso, che sia accertato il consenso del coniuge e dei li legittimi che abbiano compiuto i sedici anni e siano conviventi, nonché dell'altro genitore che abbia effettuato il riconoscimento; se invece il lio naturale è stato riconosciuto prima del matrimonio, il suo inserimento nella famiglia legittima non è soggetto ad autorizzazione giudiziale, ma subordinato al solo consenso del coniuge e a quello dell'altro genitore.

L'art. 252 comma 2 e 4 cc richiede, sia per il lio riconosciuto durante il matrimonio che per quello riconosciuto anteriormente, il consenso dell'altro genitore all'inserimento della famiglia legittima; in quest'ultimo caso il rifiuto non impedisce al tribunale di concedere l'autorizzazione ove esso risulti contrario all'interesse del minore.


IL COGNOME al nato da unione legittima viene imposto il cognome del marito, secondo una norma consuetudinaria frutto della radicata tradizione sociale per cui la famiglia legittima deve avere un unico cognome.

I criteri per determinare il cognome da attribuire al lio naturale sono dettati all'art. 262 cc. Qualora il riconoscimento avvenga in tempi diversi, la regola è quella della priorità di riconoscimento successivo da parte del padre, di assumere il cognome paterno in aggiunta o in sostituzione a quello materno.


AZIONE DI CONTESTAZIONE O DISCONOSCIMENTO la perdita del cognome paterno non avviene in modo automatico, ma è condizionato da una scelta del lio in tal senso., poiché il cognome non è solo un simbolo di appartenenza, ma è anche un elemento che determina  la personalità dell'individuo.


LA POTESTA' DEI GENITORI è quell'insieme di doveri-poteri finalizzato alla crescita spirituale e fisica del lio, da esercitarsi nel rispetto delle sue capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni.

Il legislatore assegna ai genitori il compito di seguire il lio affinché egli dia forma alla propria struttura personale, e non più quello di uniformarne la personalità ad astratti modelli comportamentali, più o meno generalmente condivisi.

L'attuazione del principio paritario, relativamente alla potestà dei genitori, ha subito alcuni temperamenti al fine di evitare il coinvolgimento dei minori nelle possibili crisi della vita coniugale. In particolare viene attribuito al padre il potere di adottare provvedimenti urgenti ed indifferibili in caso di incombente pericolo di grave pregiudizio per il lio, mentre è riconosciuto ad entrambi i genitori la facoltà di adire disgiuntamente il giudice.

L'inizio della potestà si colloca in un momento precedente alla nascita, poiché i genitori hanno il potere di rappresentare il nascituro, quello di accettare per lui eredità e donazioni. La fine della potestà si ha con il raggiungimento della maggiore età o dell'emancipazione.


IL DOVERE DI MANTENIMENTO in base all'art. 30 Cost. è il primo obbligo dei genitori, deve essere commisurato ai redditi, alla consistenza del patrimonio ed alla idoneità lavorativa e professionale dei genitori. L'obbligo in esame si differenzia da quello alimentare sotto vari aspetti:

     la prestazione dovuta a titolo di mantenimento ha un contenuto più esteso non essendo limitata al soddisfacimento dei bisogni elementari di vita, ma comprende anche ogni altra spesa necessaria per arricchire la personalità del beneficiario;

     il mantenimento non è subordinato allo stato di bisogno del beneficiario e discende automaticamente dalla posizione del singolo all'interno della famiglia, a prescindere da qualunque altro presupposto;

     l'onerato per essere esonerato deve dimostrare, oltre alla mancanza di mezzi, anche l'incolpevole impossibilità di procurarseli.

Il coniuge che abbia integralmente adempiuto l'obbligo di mantenimento  dei li, pure per la quota facente carico all'altro coniuge, è legittimato ad agire iure proprio nei confronti di quest'ultimo per il rimborso di detta quota anche per il periodo anteriore alla domanda.

In caso di inadempimento, potranno trovare applicazioni le limitazioni della potestà previste negli artt. 330 e 333 cc e potrà anche giungersi alla dichiarazione dello stato di adattabilità se dovesse conurarsi la condizione di abbandono del minore.

L'obbligo non viene meno con la maggiore età, ma perdura finché i li non siano in grado di inserirsi nel mondo del lavoro.

Nel caso in cui i genitori non siano in grado di mantenere i li la legge stabilisce che gli ascendenti legittimi e naturali in ordine di prossimità sono tenuti a fornire ai genitori i mezzi necessari per l'adempimento dei loro doveri.


IL DOVERE DI ISTRUZIONE all'interno della famiglia i li devono essere istruiti nelle forme e nei limiti connaturati alle possibilità dei genitori, e, nello stesso tempo, deve essere consentito loro di esercitare il proprio diritto all'istruzione in una sede diversa da quella familiare. Per quanto attiene ai genitori, occorre evidenziare come la responsabilità per l'istruzione dei li fino a quattordici anni venga sanzionata dall'art. 731 cp, che punisce chiunque, rivestito di autorità o incaricato della vigilanza sopra un minore, ometta senza giusto motivo di impartigli o di farsi impartire l'istruzione elementare (da estendersi anche a quella media alla luce dell'art. 34 Cost.).


IL DOVERE DI EDUCAZIONE l'art. 147 cc privilegia il soggetto nei cui confronti deve essere realizzata la funzione educativa, obbligando i genitori a tenere conto delle capacità, dell'inclinazione e delle aspirazioni dei li.

Nella Costituzione risulta che alla famiglia deve essere riconosciuta piena libertà nella scelta dei criteri e dei mezzi educativi ritenuti più idonei. La libertà educativa incontra un primo limite nei principi fondamentali dell'ordinamento risultanti dalle disposizioni costituzionali e dalla legislazione penale, dalle quali si evince una sorta di minimo etico imprescindibile per una convivenza civile.

La giurisprudenza di merito ha da tempo riconosciuto un dovere dei genitori di rispettare le scelte dei li, soprattutto con riferimento allo studio, alla formazione professionale, all'impegno politico-sociale, alla fede religiosa.


I DOVERI DEI LI VERSO I GENITORI L'art. 315 cc prevede che in capo al lio ci sia il dovere di rispettare i genitori, sia quello di contribuire, in relazione alle proprie sostanze e al proprio reddito, al mantenimento della famiglia finché convive con essa.


L'ABBANDONO DELLA CASA FAMILIARE l'art. 318 cc sancisce il dovere del lio di non abbandonare la casa dei genitori e riconoscere in capo a questi ultimi il potere di richiamarlo anche ricorrendo, se necessario, al giudice tutelare. Il genitore, dunque, potrà ricondurre all'abitazione familiare il lio allontanatosi anche ricorrendo alla coercizione fisica; conseguentemente, persino i comportamenti che integrano i reati di cui all'art. 605 cp (sequestro di persona) e 610 cp (violenza privata) dovrebbero in linea di principio ritenersi scriminati dall'esercizio di tale diritto.


GLI IMPEDIMENTI DI UNO DEI GENITORI l'art. 317 cc contiene due distinte norme: la prima prevede che in caso di impedimento di uno dei genitori, la potestà venga esercitata in modo esclusivo dall'altro e in tale eventualità il trasferimento dell'esercizio esclusivo della potestà in capo al coniuge non impedito avviene ipso iure, senza necessità di alcun provvedimento da parte del giudice; la seconda si occupa invece di disciplinare l'esercizio della potestà qualora, a seguito della separazione personale, dell'annullamento o della cessazione degli effetti civili del matrimonio, il lio sia stato affidato ad uno dei genitori.


L'ESERCIZIO DELLA POTESTA' NELLA FILIAZIONE NATURALE da combinato disposto degli artt. 317 bis e 261 cc è dato ricavare la disciplina della potestà nei casi di filiazione naturale. L'esercizio del potere spetta al genitore che abbia effettuato il riconoscimento e nel caso in cui entrambi i genitori abbiano proceduto al riconoscimento ad ambedue se conviventi o al solo genitore con cui il lio convive; infine, qualora manchi il presupposto della convivenza, la potestà è esercitata da quello dei genitori che per primo abbia riconosciuto il lio. Il giudice, nell'esclusivo interesse del minore, può disporre diversamente e può anche nominare un tutore, escludendo entrambi i genitori dall'esercizio della potestà.

Le disposizioni in materia di potestà non sono generalmente ritenute applicabili alla prole irriconoscibile, ossia al lio che abbia agito per il mantenimento, l'istruzione e l'educazione.


IL CONTROLLO GIUDIZIARIO SULLA POTESTA' il legislatore ha previsto nel caso in cui il genitore trascuri o violi i suoi doveri o abusi dei suoi poteri o tenga comunque una condotta pregiudizievole nei confronti del lio, la possibilità di predisporre, ai sensi dell'art. 330 e 333 cc, le misure necessarie ad assicurare al minore un'effettiva tutela del suo interesse.

Quando i genitori non esercitano adeguatamente tale ufficio nell'interesse del lio, il giudice può privarli della potestà, dettando prescrizioni o addirittura sostituendosi ad essi al fine di assicurare al minore il soddisfacimento pieno dei suoi diritti. Lo strumento dell'allontanamento del soggetto abusante consente al giudice di proteggere il minore senza sradicarlo dal contesto familiare. L'art. 334, infine, nel caso in cui il patrimonio del minore sia male amministrato, prevede che il tribunale possa rimuovere uno o entrambi i genitori dall'amministrazione, provvedendo in quest'ultimo caso a nominare un curatore.


LA DECADENZA DELLA POTESTA' E LA SUA REINTEGRAZIONE il giudice può pronunciare la decadenza della potestà quando il genitore viola o trascura i doveri ad essa inerenti o abusa dei relativi poteri con grave pregiudizio del lio.

     In giurisprudenza la decadenza dalla potestà genitoriale è stata comminata rispetto al genitore separato non affidatario che ometta di tenere presso di sé i li per determinati periodi di tempo.

     La decadenza della potestà genitoriale può inoltre essere conseguente all'irrogazione di una condanna penale nei casi previsti dalla legge. La decadenza determina l'effetto di sospendere tutti i diritti-doveri connessi alla potestà, salvo l'obbligo di mantenimento.

L'art. 332 cc stabilisce che il giudice possa reintegrare nella potestà il genitore che ne è decaduto, quando cessate le ragioni per le quali la decadenza è stata pronunciata.


I PROVVEDIMENTI PREVISTI DALL'ART. 333 CC quando il comportamento di uno o di entrambi i genitori non sia tale da richiedere una pronuncia di decadenza della potestà, ma appaia comunque pregiudizievole nei confronti del lio, l'art. 333 cc consente al giudice di adottare, secondo le circostanze, i provvedimenti che ritenga opportuni, compreso, se necessario, l'allontanamento del minore dalla casa familiare. Tali provvedimenti sono comunque evocabili in qualsiasi momento dal tribunale quando siano venuti meno i motivi per cui erano stati emanati.


LA RAPPRESENTANZA E L'AMMINISTRAZIONE l'art. 320 cc stabilisce che i genitori o il genitore che esercita in via esclusiva la potestà, rappresentano i li nati e nascituri in tutti gli atti civili e ne amministrano i beni. L'esercizio dei poteri di rappresentanza e amministrazione è governato dal principio di partecipazione paritaria ossia partecipano entrambi i genitori. Sono esclusi dalla rappresentanza i c.d. atti personalissimi.

La funzione sostitutiva dei genitori concerne non solo i nati ma anche i nascituri.

Gli atti di straordinaria amministrazione, oltre che richiedere la partecipazione congiunta dei genitori, non possono essere compiuti se non per la necessità o l'utilità evidente del lio, e solo dopo l'autorizzazione del giudice tutelare. Qualora i genitori non vogliano ovvero siano nell'impossibilità di compiere uno o più atti nell'interesse del lio che eccedano l'ordinaria amministrazione, può essere nominato un curatore speciale che provveda al compimento di tali atti.

Dovranno ritenersi invalidi gli atti compiuti senza la prescritta autorizzazione del giudice tutelare. L'annullamento potrà inoltre allorquando sia stato posto in essere da uno solo dei genitori un atto per il quale è prevista la partecipazione congiunta, ovvero allorché i genitori abbiano agito in conflitto di interessi; infine, nell'ipotesi in cui l'atto sia stato compiuto direttamente dal minore.


L'USUFRUTTO LEGALE l'art. 324 cc dispone che i genitori esercenti la potestà hanno in comune l'usufrutto dei beni del lio.

L'art. 326 comma 2 cc: i frutti dei beni del lio sono sottratti all'esecuzione forzata dei creditori personali del titolare dell'usufrutto legale che siano a conoscenza dell'estraneità del debito contratto ai bisogni della famiglia.

L'art. 324 comma 3 cc indica alcune categorie di beni sottratte all'usufrutto legale:

     quelli che il lio ha acquistato con i proventi del proprio lavoro;

     quelli lasciati o donati al lio per intraprendere una carriera, un'arte o una professione;

     i beni lasciati o donati con la condizione che uno o entrambi i genitori esercenti la potestà non ne abbiano l'usufrutto;

     i beni pervenuti al lio per legato, eredità o donazione e accettati nell'interesse del lio contro la volontà dei genitori esercenti la potestà.

Il genitore che passi a nuove nozze conserva l'usufrutto legale sui beni del lio, con l'obbligo però di accantonare tutto ciò che eccede le spese sostenute per quest'ultimo.

Al genitore naturale cui compete l'esercizio della potestà spetta anche l'usufrutto legale sui beni del lio.




LA FECONDAZIONE ASSISTITA


LA FECONDAZIONE ARTIFICIALE OMOLOGA consiste nell'utilizzazione del liquido seminale del marito, eventualmente trattato per evidenziarne la capacità riproduttiva. Questa tecnica è in linea di massima socialmente accettata e ritenuta meritevole di tutela giuridica, in quanto soddisfa il desiderio di coppie sterili di avere li del proprio sangue. In questo caso sussiste una perfetta coincidenza tra verità biologica e verità giuridica, cosicché non vi sono ostacoli  a che il lio nato consegua lo stato di lio legittimo.


LA FECONDAZIONE ARTIFICIALE ETEROLOGA la Corte di Cassazione ha stabilito che in tema di fecondazione assistita eterologa, il marito che ha validamente concordato o comunque manifestato il proprio preventivo consenso alla fecondazione assistita della moglie con seme di donatore ignoto non ha azione per il disconoscimento della paternità del bambino concepito e partorito in esito a tale inseminazione.


LA MATERNITA' SURROGATA vede una donna assumersi l'obbligo di portare a termine una gravidanza per conto di una coppia sterile alla quale si impegna poi a consegnare il bambino; la donna che si presta a condurre a termine la gravidanza può essere fecondata con il seme del marito oppure può ricevere l'impianto di un embrione già concepito in vitro; nel primo caso si tratta di maternità surrogata, nel secondo di affitto del ventre.

È comunque legittimo il rifiuto della madre portante di non dare seguito all'accordo e, quindi, che le sia consentito di denunciare il lio come proprio.

La giurisprudenza italiana ne ha affermato la contrarietà all'ordine pubblico e al buon costume.



L'ADOZIONE E L'AFFIDAMENTO



L'AFFIDAMENTO DEI MINORI l'affidamento, nel disegno del legislatore, costituisce un rimedio destinato ad operare per un periodo limitato di tempo. Affinché l'affidamento possa essere disposto occorre che a causa di circostanze di carattere transitorio, i genitori del minore non siano in grado di offrirgli le cure che gli necessitano. L'affidamento viene disposto a favore di una famiglia o di una persona singola. Solo qualora ciò non sia possibile, può farsi luogo all'inserimento del minore in una comunità di tipo familiare, o in un istituto di assistenza pubblico o privato.

Nel caso in cui i genitori esercenti la potestà abbiano manifestato il consenso dell'affidamento (c.d. affidamento consensuale), questo viene disposto dal servizio sociale locale, sentito il minore che abbia compiuto dodici anni, ed anche il minore di età inferiore in considerazione della sua capacità di discernimento. Il provvedimento del servizio sociale viene poi reso esecutivo con provvedimento del giudice tutelare.

Qualora invece il consenso dei genitori manchi, l'affidamento può essere disposto dal tribunale per i minorenni (c.d. affidamento contenzioso).


L'ADOZIONE DI MINORI l'adozione rappresenta un rimedio estremo cui fare ricorso solo quando la famiglia d'origine non possa offrire al minore quel minimo di cure e di affetto che sono indispensabili per una crescita sana ed equilibrata.

L'adozione è consentita solo nei confronti dei minori dichiarati in stato di adattabilità.

La legge stabilisce che gli aspiranti adottanti siano uniti in matrimonio da almeno tre anni e che fra loro non ci siano separazioni neanche di fatto. La legge, a parte in casi particolari, non ammette l'adozione di una persona singola.

Altro requisito dell'adottante è l'età: deve essere superiore a quella dell'adottato di almeno 18 anni, mentre la differenza massima di età è stata portata a 45 anni.

Sotto il profilo sostanziale di richiede che i coniugi siano affettivamente idonei e capaci di educare, istruire e mantenere i minori che intendono adottare.

L'adozione legittimamente viene pronunciata al termine di un complesso procedimento che si snoda attraverso 3 passaggi: la dichiarazione dello stato di adottabilità, l'affidamento preadottivo e il provvedimento di adozione.

Prima di emanare i singoli provvedimenti, vi è l'obbligo di ascoltare il minore che abbia compiuto i dodici anni; mentre il minore infradodicenne, può essere sentito in considerazione della sua capacità di discernimento.

Se durante l'affidamento preadottivo uno dei coniugi muore o diviene incapace, l'altro coniuge può comunque domandare che l'adozione venga pronunciata a favore di entrambi: in tal caso l'adozione, per il coniuge deceduto, produce effetto dalla data di morte anziché dal momento in cui la sentenza diventa definitiva. Se durante l'affidamento preadottivo i coniugi si separano, l'adozione può essere pronunciata nell'esclusivo interesse del minore, a favore di entrambi o di uno solo, qualora venga avanzata istanza in tal senso.

La sentenza definitiva, trascritta nell'apposito registro tenuto presso la cancelleria del tribunale, viene inoltre annotata a margine dell'atto di nascita dell'adottato: in forza di tale pronuncia l'adottato diviene lio legittimo degli adottanti assumendone e trasmettendone il cognome; vengono meno, per contro, tutti i rapporti con la famiglia d'origine, salvi i divieti matrimoniali.

L'adozione non è suscettibile di revoca.


L'ADOZIONE DEI MINORI NEI CASI PARTICOLARI si differenzia dall'adozione legittimante, oltre che per un più ristretto ambito applicativo, per la previsione di requisiti meno rigidi per gli aspiranti adottanti e per la maggiore semplicità del procedimento. Le peculiarità di tale ura riguardano soprattutto gli effetti, che sono più limitati, non importando un'interruzione dei rapporti fra l'adottato e la sua famiglia d'origine -  verso cui l'adottato mantiene tutti i diritti e doveri - né la creazione di rapporti di parentela con i parenti dell'adottante.

Inoltre, non è necessaria la sussistenza di uno stato di abbandono in capo al minore di cui trattasi.

L'adozione particolare può essere pronunciata a favore:

     di persone coniugate o singole unite al minore da un vincolo di parentela entro il sesto grado o da preesistente rapporto stabile e duraturo qualora il minore sia orfano;

     del coniuge qualora il minore sia lio (anche adottivo) dell'altro coniuge;

     di persone coniugate o anche di persone singole, quando si tratti di minore orfano affetto da handicap;

     di persone coniugate o anche di persone singole, nell'ipotesi in cui vi sia la constatata impossibilità di procedere all'affidamento preadottivo.

È comunque vietata l'adozione del proprio lio naturale.

Il giudice competente a pronunciarsi è il tribunale per minorenni del distretto in cui si trova il minore, che, ai fini della pronuncia deve verificare la sussistenza dei presupposti richiesti e valutare se l'adozione realizzi il preminente interesse del minore: a questo fine il tribunale dispone l'effettuazione di adeguate indagini.

È richiesto il consenso dell'adottante e dell'adottando che abbia compiuto 14 anni. Se l'adottando ha compiuto 12 anni deve essere comunque sentito; se ha meno di 12 anni deve essere sentito in base alla sua capacità di discernimento.

Occorre altresì l'assenso dei genitori e del coniuge dell'adottando.

Per effetto della pronuncia di adozione, gli adottanti acquistano la potestà sul minore ed assumono l'obbligo di mantenerlo, istruirlo ed educarlo; ad essi spetta altresì l'amministrazione dei beni dell'adottato, ma non l'usufrutto legale. L'adottato assume il cognome dell'adottante e lo antepone al proprio. L'adottato acquista anche i diritti successori spettanti ad un lio legittimo.


L'ADOZIONE INTERNAZIONALE si fa riferimento ad ogni ipotesi in cui gli adottanti abbiano nazionalità diversa da quella dell'adottato.

Il lungo iter che conduce all'adozione di un minore straniero residente all'estero si apre con una dichiarazione di disponibilità che gli adottanti devono presentare al tribunale per minorenni del luogo in cui risiedono. Nel caso di italiani residenti all'estero il tribunale competente è quello in cui si trovava la loro ultima residenza in Italia oppure il tribunale per minorenni di Roma. Il decreto di idoneità viene trasmesso, unitamente alla documentazione e alla relazione, alla commissione per le adozioni internazionali e all'ente autorizzato cui i coniugi hanno dato l'incarico di curare la procedura. Una volta pronunciata l'adozione da parte dell'autorità straniera, affidando il minore agli adottanti, l'ente straniero informa subito la commissione e i servizi dell'ente locale e chiede che venga autorizzato l'ingresso in Italia del minore.

Il provvedimento straniero di adozione produce nostro ordinamento effetti legittimanti, ma è previsto che il tribunale per i minorenni effettui una serie di controlli. Se il controllo ha esito positivo, il tribunale ordina la trascrizione del provvedimento straniero nei registri dello stato civile, a seguito della quale il minore acquista altresì la cittadinanza italiana.

Qualora invece l'adozione debba perfezionarsi dopo l'arrivo del minore in Italia, il tribunale per minorenni riconoscerà il provvedimento straniero come affidamento preadottivo, fissandone la durata in un anno: trascorso tale termine provvederà a pronunciare l'adozione, se riterrà la permanenza del minore all'interno della famiglia che lo ha accolto rispondente al suo interesse. Al minore straniero che venga a trovarsi in stato di abbandono nel nostro paese, si applicano le disposizioni italiane in materia di adozione, di affidamento e di provvedimenti necessari in caso di urgenza.


IL DIRITTO DELL'ADOTTATO A CONOSCERE LE PROPRIE ORIGINI la nuova legge stabilisce l'obbligo a carico dei genitori adottivi di informare il minore sulla propria condizione di lio adottivo, nei modi e nei termini da loro ritenuti più opportuni.

È riconosciuta poi ai genitori adottivi, nel caso in cui vi sia un comprovato motivo, la possibilità di sapere chi sono i genitori biologici del minore. Una volta che il minore abbia raggiunto la maggiore età, può ottenere le informazioni in discorso, previa istanza al tribunale per minorenni, quando vi siano gravi e comprovati motivi attinenti alla sua salute psico-fisica. Solo dopo il compimento del 25° anno di età l'accesso alle informazioni sulla famiglia d'origine prescinde da qualsiasi presupposto.

Ci sono alcune ipotesi in cui l'accesso non è mai consentito:

     il caso in cui l'adottato non sia stato riconosciuto dalla madre al momento della nascita;

     il caso in cui anche un solo genitore abbia chiesto di non essere menzionato o abbia acconsentito all'adozione a condizione di rimanere anonimo.


L'ADOZIONE DEI MAGGIORENNI soddisfa l'interesse dell'adottante, privo di discendenti legittimi o legittimati, ad acquisire un lio cui trasmettere il proprio cognome e le proprie sostanze. Fra l'adottante e l'adottato deve intercorrere una differenza di età di almeno 18 anni. Nessuno può essere adottato da più di una persona, a meno che gli adottanti non siano coniugi. È vietato adottare i propri li nati fuori dal matrimonio.

Affinché l'adozione possa essere pronunciata occorre il consenso dell'adottante e dell'adottato. Occorre altresì l'assenso dei genitori dell'adottando e l'assenso del coniuge dell'adottante e dell'adottando che non sia legalmente separato. Il tribunale, previa verifica della convenienza dell'adozione per l'adottando, si pronuncia con sentenza, dalla cui data decorrono gli effetti dell'adozione. Gli effetti dell'adozione dei maggiorenni sono i medesimi dell'adozione particolare.




L A PARENTELA E L'OBBLIGO ALIMENTARE


LA PARENTELA E L'AFFINITA' la parentela è il legame di sangue che unisce persone discendenti da un medesimo stipite. L'intensità del vincolo va determinata tenendo conto di due elementi: la linea è il grado con riferimento al primo; sono parenti in linea retta le persone che discendono dall'una e dall'altra mentre sono parenti in linea collaterale coloro che hanno un ascendente comune, ma che non discendono l'uno dall'altro.

Il grado è l'intervallo generazionale che separa tra loro due o più soggetti; nella linea retta per ogni generazione si computa un grado, ma si deve escludere lo stipite; nella linea collaterale, il computo deve essere eseguito effettuando la somma dei gradi che intercorrono tra ognuno dei due parenti e il comune ascendente, il quale deve essere escluso dal computo.

Il vincolo di parentela non viene riconosciuto dalla legge oltre il sesto grado, salvo che per alcuni effetti specialmente determinati.

La parentela viene tradizionalmente distinta in legittima, che intercorre tra individui legati da un vincolo di sangue scaturente dalla generazione in costanza di matrimonio, e naturale, basata sul solo legame di sangue.

La parentela è produttiva di effetti patrimoniali e non patrimoniali. Tra i primi vanno menzionati: la successione necessaria, legittima e l'obbligo agli alimenti; tra i secondi: l'impedimento a contrarre matrimonio, idoneità a ricoprire il ruolo di tutore, legittimazione a proporre istanza di intermediazione o inabilitazione, e non riconoscibilità dei li incestuosi.

L'affinità è il vincolo che unisce un coniuge ai parenti dell'altro coniuge. Anche l'affinità è computata in virtù della linea e del grado, in quanto nella linea e nel grado in cui taluno è parente di uno dei coniugi, egli è affine dell'altro coniuge.


GLI ALIMENTI l'obbligo alimentare, al cui adempimento sono tenuti determinati soggetti indicati dalla legge, consiste nella prestazione, a favore di colui che versa in stato di bisogno, dei mezzi necessari per vivere; il diritto alimentare ha carattere personale, è indisponibile (cioè non può essere ceduto), il beneficiario non può rinunciarvi. Questo diritto inoltre è imprescrittibile, impignorabile, insequestrabile, nonché insuscettibile di entrare a far parte della massa fallimentare.

Il sorgere dell'obbligo alimentare è legato alla sussistenza di presupposti determinati, il primo dei quali, di natura soggettiva, è rappresentato dal particolare legame di parentela o riconoscenza, che deve unire alimentando e obbligato; gli altri presupposti, di carattere oggettivo sono lo stato di bisogno in cui deve trovarsi chi avanza la pretesa alimentare e la disponibilità economica di chi deve soddisfarla.


I SOGGETTI TENUTI ALL'OBBLIGO ALIMENTARE l'art. 433 cc, oltre ad individuare i soggetti tenuti all'obbligo alimentare, stabilisce anche l'ordine, di carattere progressivo, in cui ciascuno di essi è chiamato ad adempiervi.

Il coniuge è il primo sul quale grava l'obbligo di prestare gli alimenti.

Obbligati agli alimenti, subito dopo il coniuge, sono i li legittimi, legittimati, naturali o adottivi, e in mancanza di costoro, i discendenti prossimi anche naturali. La successiva categoria di obbligati sono i genitori. All'obbligo alimentare sono tenuti anche determinati affini (generi, nuore e suoceri); infine, sono tenuti agli alimenti i fratelli.







Privacy

© ePerTutti.com : tutti i diritti riservati
:::::
Condizioni Generali - Invia - Contatta