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IL TIPO “LAVORO SUBORDINATO” - LA COSTITUZIONE DEL RAPPORTO - I CONTRATTI A TERMINE, FLESSIBILI E FORMATIVI

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CAPITOLO 1

IL TIPO “LAVORO SUBORDINATO”


Con il codice civile del 1942 si conclude il processo di tipizzazione del rapporto di lavoro subordinato e della relativa disciplina speciale. Alla subordinazione è affidata la funzione di contraddistinguere il rapporto tipico oggetto della disciplina speciale di quel diritto. In particolare è subordinata, ex art 2094 c.c., la prestazione che si svolge nell’oganizzazione del datore di lavoro alle dipendenze e sotto la direzione dello stesso.

In quest’articolo il codice disciplina un rapporto che a caratteristiche anomale data la posizione di supremazia di una della parti.

Il lavoro subordinato si dice ETERODETERMINATO poiché viene definito dal datore di lavoro.

La subordinazione deve consentire non solo la precisa delimitazione della fattispecie tipica rispetto ad altre, aventi pure ad oggetto attività in senso lato lavorativa, ma anche la riconduzione ad essa dello specifico rapporto da qualificare. Proprio per questo si mira a accertare la natura qualificata ella subordinazione.



In questo ambito rientra l’antica distinzione romana tra:

locatio operarum: aveva come oggetto un’attività lavorativa in quanto tale, avulsa dal risultato perseguito dal creditore con estraneità del debitore rispetto al rischio del risultato. (attività del lavoro)

locatio operis: specifico risultato di lavoro, consistente nel compimento di un’opera o di un servizio, con conseguente rischio a carico del debitore. (risultato del lavoro)

la sentenza n. 11594 della cassazione pronuncia che neanche la legge può definire una prestazione di lavoro subordinata o autonoma. È incostituzionale la legge che dispone del tipo e qualifica il rapporto. Il soggetto che può determinare la natura è il giudice operando ex post sui fatti.

Nel modello ideale di subordinazione esistono sempre determinate caratteristiche peculiari dette INDICI DI SUBORDINAZIONE. Questi indici sono stati enucleati dalla giurisprudenza rispetto alla ura prevalente del lavoratore subordinato. Il modello ideale prevede l’insieme di ttti questi indici che sono:

l’nserzione del lavoratore nell’organizzazione predisposta dal datore di lavoro

la sottoposizione alle attività direttive tecniche, al controllo e al potere disciplinare dell’imprenditore

l’esclusività della dipendenza da un solo datore

le modalità di retribuzione

il vincolo dell’orario lavorativo

l’assenza di rischio d’impresa

l’alterità dei mezzi (i mezzi di produzione non sono suoi)

l’operazione di qualificazione può solo consistere in un giudizio di approssimazione della fattispecie (metodo tipologico), che sta nella riconduzione al tipo legale delle situazioni concrete in cui è presente la parte maggiore o comunque più significativa delle caratteristiche riscontrabili nel modello socialmente prevalente di lavoratore subordinato visto dal legislatore.

Il giudizio di approssimazione comporta si stabilire se, malgrado l’assenza di taluni indici della subordinazione, l’assetto di interessi sotteso al rapporto da qualificare sia da ritenersi + vicino a qello espresso dal tipo di lavoro subordinato piuttosto che ad altri tipi. In questo caso fanno molta leva i poteri del datore di lavoro come quello di controllo.

Le difficoltà di qualificazione del rapporto hanno favorito l’inserimento tra gli indici, il criterio del NOMEN IURIS eventualmente attribuito dalle parti al rapporto.

Come detto dalla cassazione ai fini della qualificazione non si può prescindere dalla preventiva ricerca della volontà delle parti giacchè il principio secondo cui ai fini della distinzione in questione è necessario aver riguardato l’effettivo contenuto del rapporto stesso indipendentemente dal nomen iuris.

Per alleggerire il contenzioso in materia di qualificazione del raporto venne introdotto l’istituto della certificazione per tutti i contratti di lavoro. È una procedura volontaria con cui una commissione appositamente istituita presso gli enti bilaterali (soggetti prvati che nascono da iniziative comuni dei sindacati dei lavoratori e degli imprenditori come ad es. la cassa edile), le direzioni provinciali del lavoro, convalida la qualificazione che le parti danno al contratto. La commissione ha anche funzione di assistenza e consulenza.

La procedura ha ad oggetto tutti i contratti flessibili compresi quelli di somministrazione, rinunce e transazioni ex art 2113c.c. a conferma della volontà abdicativi e transattivi delle parti stesse; l’atto di deposito del regolamento interno delle cooperative e i contratti d’appalto.

Le parti devono redigere un’istanza comune e inviarla alla commissione. L’iniziativa è volontaria, non c’è nessun obbligo. La commissione determina fasi e scansioni temporali all’atto della costituzione tenendo presenti alcuni codici di buone pratiche che tuttavia non esistono ancora.

Tutto si deve concludere in 30 giorni dal ricevimento dell’istanza con atto motivato che contiene il termine e l’autorità a cui fare ricorso, con l’indicazione degli effetti civili, amministrativi e previdenziali.

La certificazione esclude la possibilità di ricorso in giudizio per la qualificazione del rapporto, salvo il cado si erronea qualificazione da parte della commissione. L’incontrovertibilità della certificazione vale sia nei confronti delle parti ma soprattutto nei confronti dei terzi come l’ispettorato del lavoro, l’inps ecc..

Gli effetti della certificazione permangono fino al momento in cui sia stato accolto, con sentenza di merito, uno dei ricorsi esperibili dalle parti o dai terzi. Una pronuncia di condanna ha effetti ex nunc. Contro la certificazione è ammesso anche il ricorso al TAR.

La certificazione inoltre può essere viziata quando vi è:

errore nella certificazione

deviazione dal contratto certificato

vizio del consenso

l’elemento della durata della prestazione può dare luogo a ure ibride come i prestatori formalmente autonomi ma di fatto dipendenti dal soggetto committente. Dal punto di vista normativo questi lavoratori risultano autonomi. Questa fattispecie lavorativa viene detta rapporto di lavoro parasubordinato.

Solo dagli anni 70 in poi la subordinazione ha potuto vantare l’appoggio di alcuni fondamenti normativi. L’art 409 cpc ha ricompreso tra le controversie ad essa relative anche i rapporti di agenzia , di rappresentaza commerciale e altri tipi di collaborazione che si concretino in un prestazione d’opera continuatica e coordinata, personale anche se non a carattere subordinato. Questa definizione è sfociata nella fattispecie della COLLABORAZIONE COORDINATA E CONTINUATIVA (CO.CO.CO.). il requisito della continuità non doveva implicare una molteplicità di incarichi ininterrotta nel tempo. La coordinazione era il collegamento funzionale del collaboratore con l’attività economica del committente. La prevalente personalità prevede che il mezzo di lavoro prevalente dev’essere la prestazione di lavoro messa a disposizione.

In questa tipologia contrattuale vi è la completa assenza degli indici di subordinazione.

Questo tipo di contratto veniva applicato un po’ a sproposito, per risolvere il problema si è scelta la trasparenza del contratto CO.CO.CO.

Dal punto di vista sostanziale della tutela, il lavoro parasubordinato non si differenzia da quello autonomo, la differenza sta ad esempio quando si parla di licenziamento dove questo tipo di contratto non riceve tutela forte ex art 18.

Con la riforma Biagi, legge 2762003 si è fatta chiarezza nei confusi rapporti tra subordinazione e autonomia con l’introduzione dei LAVORATORI A PROGETTO (CO.CO.PRO.). la ratio è quella di evitare l’utilizzazione delle COCOCO in funzione elusiva della legislazione posta a tutela del lavoro subordinato, attraverso la creazione di spazi anomali nella gestione flessibile delle risorse umane, c.d. trasparenza.

Ai sensi dell’art 61 del 276/2003 i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa ex art 409cpc evono essere riconducibili a uno o più progetti specifici (attività produttiva ben identificabile e funzionalmente collegata ad un determinato risultato finale) o programmi di lavoro (tipo di attività cui non è direttamente riconducibile un risultato finale) o fasi di esso determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del RISULTATO, nel rispetto del coordinamento con l’organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione dell’attività lavorativa.

Il progetto assolve alla funzione esenziale n un rapporto di lavoro autonomo di predeterminare il perimetro dell’obbligazione del collaboratore in modo tale da inibire al datore l’esecizio del potere di conformazione.

All’uscita della legge il termine di adeguamento è stato di 1 ANNO, al termine del quale scattava la sanzione e il contratto si considerava a tempo indeterminato e subordinato.

La sanzione scattava per 2 vizi del contratto:

vizio genetico che riguarda l’assenza del progetto, la sanzione è la conversione ex tunc del contrato a tempo indeterminato subordinato

vizio funzionale del rapporto, quando il contratto è a progetto ma il rapporto è subordinato. Il contratto è convertito ex nunc dal giudice in contratto a tempo ind. E sub.

Dalle disposizionei sul lavoro a progetto restano esclusi oltre alla pubblica amministrazione alcuni specifici rapporti come gli agenti e i rappresentanti di commercio, gli organi di amministrazione delle società, i fruitori di pensione di vecchiaia, professioni intellettuali, rapporti occasionali che costituiscono l’eccezione di carattere generale.

Per prestazione occasionale si intende un rapporto di durata massima non superiore a 30 giorni nel corso dell’anno con lo stesso committente, salvo che il compenso complessivamente percepito non sia superiore a 5000 euro, oltre questa soglia scatta il contratto a progetto.

Il contratto a progetto deve essere stipulato per iscritto ai fini della prova, deve contenere:

l’indicazione del progetto

la durata

il corrispettivo

le forme di coordinamento al committente

misure per la tutela della salute e sicurezza del collaboratore.

Onde evitare che scatti la sanzione bisogna superare la presunzione di subordinazione relativa che può essere vinta solo da rigorosa prova contraria.

Le pubbliche amministrazioni possono ancora utilizzare i contratti COCOCO, il problema è che questo ambito i COCOCO sono parificati ai dipendenti subordinati. Anche in ambito di associazione e lavoro sportivo e giornalistico, viene utilizzato il contratto COCOCO.

Per quanto riguarda l’associazione in partecipazione essa viene definita come il contratto con in quale l’associante attribuisce all’associato la partecipazione agli utili di un’impresa o di uno o più affari, verso il corrispettivo di un determinato apporto che l’opinione dominante assume possa consistere anche in una prestazione di lavoro. Questo non viene considerato rapporto subordinato poiché l’associato può esercitare un controllo sull’andamento aziendale e partecipando al rischio d’impresa non può conseguire utili di sorta, mentre l’associante è tenuto al rendimento del conto.

In caso di assenza di un’efettiva partecipazione del’associato all’impresa associante e di adeguate erogazioni a suo favore, il lavoratore ha diritto ai trattamenti contributivi, economici e normativi stabiliti dalla legge e dai contratti collettivi per il lavoro subordinato svolto nella posizione corrispondente al medesimo settore di attività o, in mancanza di contratto collettivo, a una posizione corrispondente secondo il contratto di settore analogo.

La legislazione ha esteso al socio della coperativa alcuni istituti protettivi tipici del lavoro subordinato. La cooperativa si basa sul principio mutualistico: ovvero dine comune, che unifica gli interessi. La cassazione faceva prevalere il rapporto societario tranne quando la prestazione è totalmente estranea all’attività della cooperativa. Per la prestazione del socio di cooperativa la giurisprudenza non ha mai fatto ricorso alla presunzione di lavoro subordinato, ma anzi ha utilizzato la presunzione contraria, ritenendo la prestazione fornita alla stregua del principio mutualistico. La coesistenza tra un rapporto cooperativistico e un rapporto di lavoro subordinato è ammessa solo qualora l’attività del socio sia diversa ed estranea all’oggetto specifico dell’esercizio dell’impresa sociale.

La legge 142/2001 ha poi statuito in capo alle cooperative l’obbligo di definire il regolamento sulla tipologia dei rapporti di lavoro. L’interprete non potrà non adottare la presunzione di conformità di quel contenuto alla qualificazione attribuitagli dal regolamento.

Ai soci lavoratori subordinati si applicano lo statuto dei lavoratori, ad eccezione dell’art 18; il socio ha diritto a una retribuzione complessiva proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro prestato ed in ogni caso non inferiore ai minimi revisti per le prestazioni analoghe dalla contrattazione collettiva nazionale del settore o della categoria affine.

Per quanto concerne i diritti sindacali, il titolo III dello statuto dei lavoratori trova applicazione compatibilmente con lo stato di socio lavoratore.

CAPITOLO 2

LA COSTITUZIONE DEL RAPPORTO


Il rapporto di lavoro era considerato come una sottospecie di locazione.

Secondo l’idea corporativa, l’impresa invece si sostanzierebbe in una comunione di scopo tra datore e lavoratore destinata a esprimersi in un rapporto di lavoro organizzato su base gerarchica. Fonte del rapporto sarebbe l’inserzione del lavoratore dell’impresa.

Art 2104 c.c.: conura il potere gerarchico dell’imprenditore quale manifestazione del potere direttivo derivante dal contratto

Art 2106 c.c.: correla il potere disciplinare al potere direttivo

Un filone dottrinale ha centrato l apropria attenzione sull’organizzazione di lavoro come FONTE DI SITUAZIONI GIURIDICHE SOSTANZIALMENTE AUTONOME DAL CONTRATTO, fino al punto di negare la matrice contrattuale del rapporto.

Se malgrado la nullità o l’annullamento del contratto, si producono i normali effetti del rapporto di lavoro subordinato in dipendenza della sua materiale esecuzione, bisognerebbe riconoscere, per questa dottrina, che fonte di quel rapporto non è il contratto ma la prestazione di fatto dell’attività lavorativa.

La difesa della prospettiva contrattuale ha trovato pieno conforto nell’evoluzione legislativa, specie nello statuto dei lavoratori.

Il contratto di lavoro si differenzia dagli altri schemi negoziali di scambio per la rilevanza giuridica che, sul piano della causa è attribuita al profilo organizzativo. La matrice contrattuale è pacifica nell’ambito della pubblica amministrazione. Oggi:

l’assunzione nelle pubbliche amministrazioni avviene con contratto individuale di lavoro

i rapporti individuali sono regolati contrattualmente

le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro sono assunte dagli organi preposti con i poteri del privato datore di lavoro.

Art 2126 c.c. disciplina in materia di prestazione di fatto con violazione di legge;esso ha una funzione retrospettiva, in quanto, segnatamente con la semplice esecuzione non sorgono in capo al lavoratore l’obbligo di lavorare e in capo al datore l’onere di cooperare all’adempimento in funzione della retribuzione. I limitati effetti di quest’articolo si producono solo allorché sussista un contratto, sia pure invalido. Ciò non accade nell’ipotesi di lavoro prestato, cioè senza il consenso o addirittura contro la dichiarato volontà del datore.

La giurisprudenza tende però a presumere il consenso del dat0re.

Il contratto resta, dunque, sempre necessario perché abbia origine il rapporto di lavoro subordinato e trovi applicazione la relativa disciplina tipica. Occorre che le parti si accordino per operare uno scambio tra remunerazione e lavoro. In mancanza non si ha rapporto di lavoro subordinato tipico. Casi emblematici sono il lavoro gratuito, che difetta nello scambio; il lavoro invito domino, dove difetta l’accordo perché manca il consenso del datore.

In caso di illiceità dell’oggetto o della causa, il prestatore di lavoro potrà invocare esclusivamente la disciplina di diritto comune sull’ingiustificato arricchimento.

Qualora l’illiceità dipenda dalla violazione di norme poste a tutela del lavoratore egli avrà comunque diritto alla retribuzione pattuita. Un esempio può essere il lavoro minorile.

Infine vi è l’ipotesi di illiceità per contrarietà all’ordine pubblico.

Una considerazione è da fare riguardo all’art 2096c.c. che disciplina la clausola di prova. Ogni contratto di lavoro può prevedere un periodo di prova dal quale ciascuna delle parti può recedere senza obbligo di preavviso. Al termine del periodo di prova l’assunzione diviene definitiva e il periodi di prova viene computato ai fini dell’anzianità di servizio. L’assunzione del prestatore di lavoro per un periodo di prova deve risultare da atto scritto ad substantiam. Il patto di prova è strutturalmente finalizzato a valutare la capacità professionale e la complessiva personalità del lavoratore. Le parti sono tenute ad effettuare il previsto esperimento.

La durata massima della prova è stabilita dai CCNL in un max di 6 mesi. Il recesso da parte del datore di lavoro non richiede motivazione, ma il giudice può benissimo dichiarare linvalidità del recesso ex art 1345c.c. ogni qual volta il lavoratore dimostri che il recesso deriva da un motivo non attinente alla prova e quindi il motivo è illecito.

CAPITOLO 4

IL DECENTRAMENTO PRODUTTIVO


Decentrare in senso lato, vuol dire scorporare o commissionare a terzi pezzi del processo produttivo necessario per produrre il bene o il servizio proprio dell’attività di una certa impresa: sia che questo abbia luogo all’interno, con l’utilizzo sempre di altra azienda, la quale porta dentro la prima il proprio personale, esempio il distacco, la somministrazione di lavoro e l’appalto, sia che questo avvenga verso l’esterno, con ricorso ad altra azienda, o a lavoro a domicilio.

Il distacco consiste nell’invio di un dipenente presso un diverso datore con il permanere della titolarità del rapporto e dell’obbligo retributivo e contributivo in capo al primo anche se il lavoratore distaccato vene assoggettato al potere direttivo, di controllo ed eventualmente disciplinare del secondo datore.

Esso trova disciplina generale nell’art 30 dlgs 276/2003, non applicabile però alle pubbliche amministrazioni per le quali continuano a valere le ipotesi specifiche di comando o distacco di fonte legale o contrattuale, pre e post – privatizzazione.

La legge Biagi considera il distacco come ipotesi legittima di somministrazione di lavoro posta in essere da un soggetto che non esercita professionalmente l’attività di fornitura di lavoro altrui. L’oggetto della prestazione del lavoratore distaccato dev’essere determinato. Elemento di continuità con il passato è l’interesse proprio del datore distaccante che la norma richiede per conurare il distacco legittimo. Il requisito della temporaneità del distacco pare acquistare maggiore autonomia rispetto all’elaborazione giurisprudenziale precedente la quale ne aveva svalutato la portata.

I limiti al distacco sono:

1) il distacco che comporti un mutamento di mansioni deve avvenire con il consenso del lavoratore interessato

2) quando c’è un trasferimento a un’unità produttiva sita a più di 50 km da quella in cui il lavoratore è adibito, il distacco può avvenire solo per ragioni tecniche, organizzative, produttive e sostitutive.

Il dlgs 72/2000 garantisce ai lavoratori distaccati l’applicazione, durante il periodo del distacco, delle medesime condizioni di lavoro previste per i lavoratori che effettuano prestazioni lavorative subordinate analoghe nel luogo in cui i lavoratori distaccati svolgono la propria attività in posizione di distacco.

La disciplina del trasferimento dell’azienda o di una sua parte ad un terzo viene declinata in modo da garantire massima prosecuzione del rapporto di lavoro presso l’acquirente e da predisporre una forma di garanzia dei diritti dei lavoratori soggettivamente rafforzata, coinvolgendo sia il cedente che il cessionario dell’azienda nelle posizioni debitorie nei confronti dei lavoratori. Quando l’imprenditore cede l’azienda può decidere di trattenere alcuni beni tra cui anche il bene lavoro sottoforma dei dipendenti.

L’art 2112 c.c. è nato per garantire il mantenimento dei diritti dei lavoratori e la continuità dell’occuazione di fronte alla cessazione totale o parziale della struttura organizzativa che li occupa, oggi viene sovente utilizzato per ridimensionare ovvero dimettere da parte dell’imprendtore settori di attività. L’automatismo del passaggio dei lavoratori dall’acquirente di un ramo d’azienda viene infatti subito dagli stessi, che preferirebbe restare presso l’azienda cedente.

Sempre l’art 2112 dispone per il caso in cui l’alienante stipuli con l’acquirente un contratto di appalto la cui esecuzione avvenga utilizzando il ramo d’azienda oggetto di cessione, che appaltante e appaltatore siano obbligati in solido verso i lavoratori dipendenti dell’appaltatore entro il limite di un anno dalla cessazione dell’appalto. Importante in questo caso è il passaggio dell’attività ance solo gruppi di lavoratori.

Per trasferimento si intende qualsiasi operazione che comporti il mutamento della titolarità dell’azienda a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base del quale il trasferimento è attuato. I lavoratori seguono infatti l’attività e non il datore di lavoro. Non si può ammettere la presenza dei lavoratori senza attività, questa è una norma inderogabile.

È consentito all’imprenditore cedente di trasferire automaticamente i dipendenti addetti all’entità trasferita. Anche l’oggetto del trasferimento viene ampliato nel tempo. L’attuale formulazione allude al trasferimento di una attività economica organizzata (azienda) con o senza scopo di lucro, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità. La precedente norma prendeva spunto dal diritto commerciale che prevedeva lo spostamento dei beni aziendali in cui rientravano anche i lavoratori.

È rilevante ai fini dell’applicazione dell’art 2112, Anche la traslazione di un’attività realizzata solo mediante l’impiego di un insieme di lavoratori al’uopo organizzati senza il supporto di un apparato strumentale, a condizione che non si tratti di una mera sommatoria di prestazioni lavorative, e che l’attività traslata si caratterizzi per un amalgama organizzativo idoneo a trasformare i singoli lavoratori addetti in un insieme capace di sviluppare una autonoma iniziativa imprenditoriale al fine della produzione di un bene o di un servizio.

Il trasferimento di singole unità produttive dette rami d’azienda, è possibile purchè questo sia suscettibile di costituire un compiuto strumento di impresa. Il ramo d’azienda è definito anche come l’articolazione funzionalmente autonoma di unattività economica organizzata, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del trasferimento. L’autonomia funzionale del ramo d’azienda può sorgere anche solo al momento del trasferimento e non sussistere prima. Se non è possibile identificare il ramo d’azienda si può cedere il contratto di lavoro col consenso del lavoratore.

Con le modifiche del 2003 viene resa più facile l’esternalizzazione, ciò permette di sbloccare la sindacalizzazione per applicare la legge Biagi.

I lavoratori scelti per il trasferimento dovranno rispondere alla connessione professionale con la funzione produttiva ceduta. Il ramo d’azienda è scelto di comune accordo tra cedente e cessionario in sede di trasferimento purchè ci sia autonomia funzionale. Se vi sono tutti questi elementi qualificativi ex art 2112 il passaggio è automatico, altrimenti si entra nell’ipotesi della cessione dei singoli beni e dei singoli contratti di lavoro ex art 140 c.c. che postula il consenso del contraente ceduto.

L’art 2112 c.c. stabilisce determinate tutele nei casi di trasferimento:

conservazione dei diritti

continuità del rapporto di lavoro

solidarietà passiva in capo al cessionario in ordine ai crediti maturati dal lavoratore nel corso del rapporto con il primo datore.

Tutela del posto di lavoro: il trasferimento non costituisce motivo di licenziamento.

La morma garantisce ai lavoratori ceduti l’applicazione dei contratti collettivi che disciplinavano il rapporto di lavoro prima del trasferimento, conferendo a tali contratti collettivi una sorta di ultrattività di tipo soggettivo in deroga alle disposizioni sull’efficacia del contratto.

Se il cessionaro applica uno specifico contratto collettivo, tale disciplina prevale e sostituisce quella del contratto collettivo in precedenza applicato (EFFETTO SOSTITUTIVO). Questo funziona solo tra contratti collettivi dello stesso livello.

Una deroga alle garanzie in favore dei lavoratori si ha solo nel caso in cui ci sia ipotes di stato di crisi dell’azienda, in questo caso essa può ricorrere alla cassa integrazione. Se viene raggiunto un accordo sindacale anceh parziale ell’occupazione, le garanzie dei diritti vengono ristrette e spesso azzerate. I diritti dunque non vengono conservati.

Se entro 3 mesi dallo spostamento il lavoro subisce un mabiamento di mansione si possono dare le dimissioni per giusta causa, in questo caso il lavoratore riceverà l’indennità di preavviso.

Tutela particolare è riservata ai lavoratori inseriti in aziende con più di 15 lavoratori.

Cedente e cessionario devono comunicare x iscritto ai sindacati l’intenzione di trasferire l’azienda o un ramo almeno 25 giorni prima del perfezionamento dell’atto di rilevanza giuridica. FASE 1: INFORMAZIONE.

I sindacati entro 7 giorni dal ricevimento possono chiedere un confronto con susseguente esame congiunto con i soggetti sindacali richiedenti. FASE 2: ESAME CONGIUNTO, fase ideale per formare un contratto collettivo d’ingresso alla nuova azienda.

Il mancato rispetto degli obblighi di informazione rientra nell’ambito della CONDOTTA ANTISINDACALE ex art 28 Statuto dei lavoratori. La violazione non incide sulla validità della transazione, ma il giudice può decidere di invalidare il negozio giuridico in questione.


CAPITOLO 9

LE SOSPENSIONI DEL RAPPOSTO DI LAVORO


Sono considerate sospensioni del rapporto di lavoro:

lo sciopero

le aspettative e i diritti sindacali

le pause e i riposi

la sospensione per crisi aziendale

la sospensione per accordo tra le parti.

Altra classificazione avviene tra:

sospensione per motivi inerenti alla sfera del prestatore di lavoro

sospensione dipendente dall’impresa.

L’art 1207 c.c. disciplina questo tipo di fattispecie come la mora del creditore, da valutare in senso ampio come comportamento oggettivamente dipendente dal datore di lavoro. Nelle ipotesi di sospensione per cause dipendenti dal lavoratore, invece, la garanzia, riconosciuta nella maggior parte dei casi dall’art 2110 c.c., è quella di un’indennità previdenziale attribuita in conformità con l’art 38 Cost.

Nei casi di impossibilità della prestazione la regola generale del diritto civile è che il rapporto di estingue automaticamente se l’impossibilità è definitiva e totale, ovvero quando si prolunga nel tempo fino a far venir meno l’interesse del creditore al suo ricevimento. Nei casi di impossibilità temporanea si sospende il rapporto di lavoro ed è garantita la conservazione del posto di lavoro.

Le regole generali sui contratti prevedono che la sospensione dell’obbligazione, possa aversi solo consensualmente e non conseguire da una iniziativa unilaterale del soggetto interessato, come avviene nei casi di sciopero, permessi e aspettative.

L’opinione prevalente è che siano ammissibili solo le deroghe specificamente previste dalla disciplina legislativa o contrattuale e che queste siano tassative.


SOSPENSIONI PER CAUSE INERENTI AL LAVORATORE

Artt. 2110 – 2111 c.c. elencano i casi più rilevanti di sospensione per motivi attinenti alla sfera del lavoratore. Essi sono:

malattia

infortunio

gravidanza e puerperio

servizio militare

in tutti questi casi vi è il principio comune alla conservazione del posto di lavoro per il c.d. PERIODO DI COMPORTO. Il potere di recesso del datore di lavoro in questo periodo viene sospeso.

Tutti i periodi di assenza dal lavoro, tranne il servizio militare, vanno computati a tutti gli effetti nell’anzianità di servizio.

Per quanto riguarda la conservazione del reddito, il lavoratore ha diritto alla retribuzione per il periodo e nella misura stabilita dalla legge o dal CCNL. La regola non vale per il servizio di leva ed è differenziata a se conda che si parli di operai o di impiegati:

a) operai: ricevono un’indennità previdenziale posta a casico dell’INPS ma anticipata dal datore di lavoro

b)  impiegati: hanno diritto al mantenimento della retribuzione a carico del datore di lavoro, integrale per un certo periodo di tempo e parziale per un periodo successivo.

L’indennità è corrisposta  nella misura del 60% della retribuzione normale a partire dal 3° giorno dopo l’inizio della sospensione.

Di recente il legislatore ha riconosciuto anche al collaboratore a prgetto una protezione minima in caso di malattia, infortunio e gravidanza.

MALATTIA: affezioni morbose comportanti un’incapacità al lavoro.

In questo caso la conservazione del poto è garantita per periodi variabili, di solito a seconda dell’anzianità di servizio del lavoratore e con esclusione dei dipendenti in prova.

In caso di infortunio, la conservazione del posto perdura fino alla guarigione certificata dell’ INAIL. Se invece siamo nel caso della malattia professionale, finche il lavoratore riceve dall’INAIL i relativi indennizzi economici il posto viene conservato.

Malattia e infortunio sospendono il periodo di preavviso.

La contrattazione collettiva ha imposto al datore di lavoro di integrare in tutto o in parte la retribuzione agli operai fin dal primo giorno di malattia. Un tempo i primi giorni di malattia non venivano ati per scongiurare l’assenteismo sul posto di lavoro. Successivamente, la l.n.638/1983 ha imposto ai lavoratori l’obbligo di reperibilità in determinate fasce orarie, 10 – 12 e 17 – 19, salvo giustificato motivo, ai fini della visita medica. Se il lavoratore non è reperibile vi è la decadenza da ogni trattamento economico fino a 10 giorni e, solo nel caso in cui il lavoratore non venga trovato alla 2 visita, il dimezzamento della retribuzione. Questo tipo di sanzioni scattano indipendentemente dal fatto che il lavoratore sia malato o meno.

In caso di infortunio bisogna comunicare immediatamente al datore. Il termine è prolungato a 2 giorni in caso di malattia, per cui occorre un certificato di diagnosi da parte del medico curante.

Per le malattie brevi e reiterate vediamo la fattispecie del COMPORTO SECCO (riferito ad un unico episodio morboso) e del COMPORTO PER SOMMATORIA (malattia reiterata).

Il licenziamento è ritenuto legittimo se i vari episodi di malattia verificatesi entro un determinato periodo, sommati insieme , superino il periodo di comporto per sommatoria.

È previsto il godimento di CURE TERMALI in misura non superiore a 15 giorni all’anno, solo per esigenze terapeutiche e su prescrizione del medico specialista.

Per quanto riguarda GRAVIDANZA e PUERPERIO, vi è una tutela costituzionale di queste situazioni ex artt 31,2 e 37.

Nel mondo del lavoro entrambi i genitori sono ritenuti portatori di una essenziale funzione sociale, che si espande dalla fase biologica della procreazione sino alle fasi successive di crescita e di educazione dei li naturali, adottivi o affidatari.

Solo alla lavoratrice madre però è concesso il CONGEDO DI MATERNITà PRE – PARTO, con conseguente divieto di lavoro:

a) nei 2 mesi prima della presunta data del parto

b)  se il parto avviene oltre tale data, nel periodo tra la data presunta e la data effettiva.

Nel caso di complicanze della gravidanza o quando le condizioni di lavoro possono risultare pericolose per la salute della gestante e del nascituro, il congedo può essere anticipato.

Il CONGEDO POST – PARTO invece copre:

a) i 3 mesi successivi al parto

b)  gli ulteriori giorni non goduti prima del parto in caso di parto anticipato.

In totale quindi abbiamo 5 mesi di congedo. L’inosservanza di tali termini è punita penalmente con l’arresto fino a 6 mesi.

Le lavoratrici hanno comunque la possibilità di goderne secondo na modulazine diversa astenendosi dal lavoro un mese prima e recuperare tale mese nel periodo post parto, ove il medico lo autorizzi.

L’indennità giornaliera pari all’80% della retribuzione normale è a carico dell’INPS, ma è il datore ad anticiparla salvo successivo conguaglio. I periodi di congedo vanno computati nell’anzianità di servizio a tutti gli effetti.

È riconosciuto il prolungamento della maternità per le lavoratrici che si trovino alla fine disoccupate a causa di una sospensione, purchè tra l’inizio della sospensione e l’inizio del congedo siano passati più di 60 giorni. Questo anche quando la causa di sospensione sia dovuta a licenziamento per giusta causa o cessazione d’azienda.

Anche le lavoratrici parasubordinate iscritte all’INPS possono fruire di tale trattamento.

Per le lavoratrici a progetto vi è una proroga di 180 giorni della durata del contratto.

Leggi nazionali o regionali prevedono inoltre assegni di maternità, assegni per il nucleo familiare e per le famiglie con reddito limitato.

È nullo il licenziamento intimato alla lavoratrice nel periodo che va dall’inizio della gravidanza fino al compimento di un anno di età del bambino, salvo casi eccezionali.

Per evitare di mascherare i licenziamenti con le dimissioni del lavoratore, ci dev’essere la convalida delle dimissioni da parte della direzione provinciale del lavoro. Questo vale sia per la madre che per il padre.

Il diritto al RIENTRO prevede:

la conservazione del posto di lavoro

il diritto alle stesse mansioni svolte in precedenza

il diritto a rimanere nella stessa unità produttiva.

Il CONGEDO DI PATERNITà funziona invece solo per i 3 mesi post – parto, per quei casi gravi come morte o infermità mentale della madre, affidamento esclusivo del bambino al padre.

Un congedo di 3 mesi con relativa indennità, può essere chiesto dalla lavoratrice che abbia adottato o ottenuto in affidamento un bambino italiano di età inferiore a 6 anni o uno straniero fino a 18. il divieto di licenziamento si applica fino ad un anno dall’ingresso del minore nel nucleo familiare.

I CONGEDI PARENTALI spettano invece ad entrambi i genitori per un massimo di 10 mesi complessivi all’anno per ciascun bambino nei suoi primi 8 anni di vita.

Il congedo parentale può essere goduto contemporaneamente o separatamente dai genitori.

Per questa disciplina i genitori hanno diritto ad un’indennità pari al 30% della retribuzione fino al 3 anno di vita del bambino e er un periodo complessivo massimo di 6 mesi; dal 3 anno l’indennità è dovuta solo se il reddito individuale del genitore è basso. Tutti i periodi sono computati in anzianità di servizio.

La lavoratrice madre o in alternativa l lavoratore padre di minore con handicap grave hanno diritto al prolungamento fino a 3 anni del congedo parentale.

Per i lavoratori subordinati, i riposi giornalieri sono di 2 ore al giorno per il primo anno di vita del lio. In caso di parto plurimo il tempo raddoppia.

Entrambe i genitri ma in maniera alternata possono asentarsi dal lavoro per le malattie del lio previo certificato, nei primi 3 anni del lio per tutta la durata della malattia, dai 3 agli 8 anni fino a un max di 5 giorni all’anno. In caso di ricovero del lio viene interrotto il periodo di ferie.

Il rifiuto e l’opposizione a tali diritti sono puniti con sanzioni amministrative ed è nullo il licenziamento causato dalla domanda o dalla fruizione di congedo parentale.

CAPITOLO 13

LE GARANZIE DEI DIRITTI DEL LAVORATORE


Una particolare attenzione è rivolta alle tecniche giuridiche attraverso le quali l’ordinamento impone o garantisce tali contenuti di disciplina e l’effettvità delle situazioni giuridiche da questi derivanti.

L’intervento garantistico si realizza altresì attraverso discipline miranti a circondare di cautele e condizioni il verificarsi di vicende oggettivamente estintive dei diritti del lavoratore; assicurando ai crediti di lavoro adeguate priorità all’interno dei crediti privilegiati; proteggendo i diritti del lavoratore nei confronti delle iniziative di terzi e rafforzando la garanzia di taluni crediti alla cui soddisfazione sono chiamati soggetti distinti dal datore di lavoro.

La quasi totalità delle discipline legislative del rapporto di lavoro è inderogabile da parte dell’autonomia privata.

Questi vincoli rigorosi che attengono alla determinazione del regolamento del rapporto di lavoro si riflettono poi sll’intero svolgimento del rapporto incidendo sui negozi di dismissione posti in essere dal prestatore di lavoro.

L’art 2113 c.c. si occupa espressamente dlle rinunce e transazioni del lavoratore a diritti derivanti da norme inderogabili di legge, comminando per esse la sanzione dell’invalidità che consiste nell’annullabilità, dal momento che, essa può essere fatta valere solo entro un termine di decadenza.

L’articolo suddetto è una norma aggiuntiva rispetto al regime generale. Secondo una teoria oggettivistica, si reputa di poter individuare nella particolare rilevanza dei diritti ricompresi nell’art 2113 l’esigenza di sottrarre anche al titolare di questi la possibilità di disporne, cioè non solo per la tutela del singolo, ma anche per la salvaguardia dell’interesse collettivo dei lavoratori.

All’impugnazione del negozio è legittimato solo il lavoratore. Il termine di decadenza decorre dalla data di cessazione del rapporto di lavoro o dalla data della rinunzia o della transazione, se intervenute dopo l’estinzione del rapporto medesimo. La originaria previsione del codice civile viene novellata nel 1973 che estende l’ambito applicativo della norma sotto il profilo soggettivo anche ai lavoratori parasubordinati, e sotto il profilo oggettivo, anche ai diritti derivanti da disposizioni inderogabili degli accordi e dei contratti collettivi.

Questione a se stante è la QUIETANZA A SALDO: dichiarazioni sottoscritte dal lavoratore alla cesazione del rapporto, nelle quali il dipendente afferma di aver ricevuto il amento di ogni spettanza e di non aver più nulla da pretendere.

Se successivamente tale convinzione dovesse rivelarsi erronea, egli ben potrà rivendicare i propri diritti anche oltre il termine di 6 mesi e la quietanza potrà fungere solo da prova di quanto già percepito.

L’ultimo comma del 2113 sottrae le conciliazioni intervenute in sede giudiziaria al regime di invalidità previsto per le rinunzie e transazioni afferenti i diritti del lavoratore derivanti da norme inderogabili. Ragione di tale delega è ravvedibile attraverso un filtro rappresentato dall’intervento del giudice, che depura la rinunzia e la transazione di segno negativo riconducibili allo stato di soggezione del lavoratore in singolo.

L’intervento dell’organizzazione sindacale non deve risolversi in una mera formalità, ma deve corrispondere a requisiti di reale effettività, nel senso dell’apprestamento di una adeguata assistenza al lavoratore nella conclusione dell’accordo transattivi, mirante a fargli acquisire adeguata consapevolezza del negozio che compie.

CAPITOLO 5

LA PRESTAZIONE DI LAVORO: MANSIONI, QUALIFICHE E CATEGORIE


La prestazione di lavoro si basa su un’obbligazione specifica del lavoratore. Un’obbligazione di comportamento. La prestazione di lavoro deve vedersi indicare:

l tipo di attività

la durata

il luogo di svolgimento della prestazione

il tipo di attività è indicato dalla MANSIONE del lavoratore. In relazione a questa si stabiliscono QUALIFICA e CATEGORIA. L’individuazione delle mansioni del lavoratore esiste nell’impresa o nell’unità produttiva. La specificazione dei compiti di volta in volta richiesti al lavoratore rientra nel potere direttivo del datore di lavoro, che lo esercita tramite i suoi collaboratori appartenenti alla linea gerarchica.

La QUALIFICA è una variante semantica delle mansioni in quanto individua un raggruppamento di queste ure professionali.

Le qualifiche sono a loro volta raggruppate in entità classificatorie più ampie: le CATEGORIE. Il legislatore all’art 2095c.c. individua 3 categorie: OPERAIO, IMPIEGATO  e DIRIGENTE, a cui si è aggiunta la categoria dei QUADRI. Nel linguaggio di CCNL i termini qualifica e categoria sono invertiti.

La distinzione tra impiegato e operaio va inbase alla partecipazione e alla collaborazione all’attività. una vecchia distinzione voleva che l’impiegato fosse colui che svolge attività professionale con funzioni di collaborazione. L’impiegato era colui che collaborava all’attività organizzativa e agiva in sostituzione dell’imprenditore.

Il superamento della distinzione è arrivato nel 973 con l’unificazione dei metodi di classificazione e di valtazione retributiva del lavoro realizzata con il famoso INQUADRAMENTO UNICO. Questo avviene con una graduatoria che porta al passaggio da operaio a impiegato. Le differenze residue rimangono solo in merito al periodi di prova e di preavviso + corti per gli operai.

I DIRIGENTI invece sono considerati l’alterego del datore di lavoro preposto alla direzione di aree aziendali.

Il rapporto di specialità dei dirigenti può essere visto da 2 ottiche differenti:

a) specialità negativa: i dirigenti sono sottratti all’applicazione di una serie di norme protettive in materia di orario di lavoro, limiti all disciplina del lavoro a termine, limiti al licenziamento. Nell’ultimo caso non occorre infatti una giustificazione per il licenziamento del dirigente che gode solo di una forma di tutela arbitrale.

b)  Specialità positiva: i dirigenti godono di condizioni più favorevoli rispetto agli impiegati riguardo alla retribuzione, al preavviso e ai cd FRINGE BENEFITS come l’auto aziendale, il telefonino, la casa . hanno inoltre un trattamento previdenziale + favorevole.

Il riconoscimento della qualifica dirigenziale rende applicabile la disciplina contrattuale, ma non basta per rendere applicabile la disciplina legale speciale. I giudici hanno cercato di tenere separata la qualificazione di dirigente ai fini legali da quella ai fini contrattuali con la QUALIFICA CONVENZIONALE DI DIRIGENTE. Queste sono ure strategiche all’interno delle imprese a cui viene data la qualifica di dirigene ma non hanno né i poteri né le responsabilità, vengono detti anche PSEUDODIRIGENTI.

La tendenza verso l’espansione della categoria ha indotto parte della dottrina a porre in discussione questa ura.

I QUADRI sono lavoratori che pur non appartenenti alla categoria dei dirigenti, svolgono funzioni con carattere continuativo di rilevante importanza ai fini dello sviluppo e dell’attuazione degli obiettivi dell’impresa. La legge affida alla contrattazione collettiva il compito di stabilirne i requisiti di appartenenza in relazione a ciascun ramo di produzione. In merito a queta fattispecie c’è da sempre un contenimento della categoria confermata dalla Corte Costituzionale. infatti i quadri non hanno mai avuto un vero e proprio riconoscimento sindacale.

L’individuaizone delle mansioni si determina alla stregua delle intese intercorse fra le parti. È il principio di c.d. contrattualità delle mansioni. L’inidividuazione delle mansioni e della qualifica avviene di norma secondo la tipologia definita dalla contrattazione collettiva ed è influenzata in modo decisivo dalla posizione professionale del lavoratore,dalle condizioni organizzative dell’azienda e del mercato del lavoro. Il punto di riferimento per valutare la qualifica saranno le mansioni effettivamente svolte.

I criteri di classificazione e di gerarchia sono fissati dalla contrattazione collettiva senza indicazioni legislative. Base della valutazione sono le mansioni oggettive dedotte nel raporto, non le caratteristiche professionali del lavoratore. Queste infatti rientrano nell’ambito della qualifica soggettiva che è priva di rilevanza giuridica.

Niente vieta che un lavoratore provvisto i una certa qualificazione professionale sia assunto n mansioni e qualifiche diverse, anche inferiori. Il titolo di studio è rilevante in determinati settori.

Le mansioni possono essere POLIVALENTI o PROMISCUE quando sono a cavallo tra qualifiche diverse.

Mansioni e qualifica individuano l’oggetto della prestazine dovua dal lavoratore e di consegenza tratti essenziali del suo trattamento a cominciare da quello economico.la qualifica costituisce la posizione giuridica fondamentale del lavoratore da cui deriva una erie di diritti e doveri inerenti al rapporto di lavoro.

Alla fine degli anni 60 si è adottato l’INQUADRAMENTO UNICO che prevedeva:

il superamento della divisione tra operai e impiegati

riduzione del numero di categorie contrattuali di inquadramento.

Questa classificazione si realizzò attraverso declaratorie generiche non dissimili da quelle precedenti con un’esemplificazione delle singole mansioni tipiche.

Per verificare la congrueza tra mansioni concrete del singolo e la relativa classificazione interviene il CONTROLLO GIUDIZIALE.

Il datore di lavoro detiene un potere detto JUS VARIANDI che consiste nella facoltà di modificare le mansioni del lavoratore oltre l’ambito convenuto. Tale particolarità è sempre stta giustificata anch’essa con le esigenze flessibili dell’organizzazione del lavoro, che richiedono spesso delle modifiche non prevedibili per la loro eccezionalità. La prima disciplina fu stabilita all’art.2103 c.c., che definì le condizioni di esercizio. Nella versione originaria lo jus variandi era riconoscito all’imprenditore salvo diversi accordi, in quanto il suo esercizio corrispondesse alle esigenze dell’impresa e non importasse una diminuzione della retribuzione e un mutamento sostanziale della posizione del lavoratore. Unico limite è l’invariabilità in peus della retribuzione.

L’art 2103 dava la possibilità anche di una variazione in peius purchè di fosse il consenso del lavoratore.

L’art 13 dello Statuto dei lavoratori riformula il vecchio art 2103 c.c. sono moltissime le cause se questa fattispecie perché va a toccare la professionalità del lavoratore.

Le modifiche in orizzontale sono ammesse dal nuovo art.2103 solo per le mansioni equivalenti svolte con carattere di stabilità, senza alcuna diminuzione della retribuzione. In giudizio è una valutazione fatta dal giudice.

La norma mira alla tutela della professionalità del lavoratore.

Il giudizio sull’equivalenza delle mansioni risulta da + elementi. Uno dei quali è l’eguaglianza della retribuzione. L’equivalenza è dunqe essenzialmente equivalenza professionale. Tale requisito mira a garantire il lavoratore da ogni depauperamento del suo patrimonio professionale. L’equivalenza professionale va accertata consideranto il complesso delle attitudini e delle capacità acquisite dal lavoratore, ovvero il bagaglio di perizia ed esperienza che costituisce il suo patrimonio professionale.

I caratteri di equivalenza sono l’autonomia, al responsabilità, i poteri e le peculiarità.

Si valuta sempre la mansione principale e questa è una valutazione dinamica della capacità professionale potenziale del lavoratore, derivatagli dalla sua ormazione culturale di base dell’abilità tecnica acquisita attraverso l’esperienza.

In ipotesi di violazione del precetto normativo il lavoratore può richiedere, oltre alla dichiarazione di nullità dell’atto e la condanna alla reintegra, anche il risarcimento del danno da dequalificazione. In questo caso abbiamo uno svuotamento delle mansioni; un peggioramento delle mansioni con sottrazione dei compiti.

Gli accordi nulli a cui si riferisce la norma sono queli individuali e collettivi che realizzano comunque un risultato vietato dalla norma ad esempio l’adibizione a mansioni inferiori.

Lo spostamento a mansioni inferiori per soddisfare un interesse qualificato del lavoratore è un modo per evitare il licenziamento, comunque giustificato da ragioni oggettive ad esempio quando lo stesso prestatore non si apiù abile a svolgere il lavoro originario per invalidità sopravvenuta.

Non esclude la variazione consensuale rispetto a mansioni e a posizioni professionali diventate inagibili per invalidità incolpevole o per modifiche oggettive della struttura aziendae. Sembra necessario accertare la sopravvivenza effettiva di una situazione che non consenta vie alternative ragionevolmente praticabili dal datore di lavoro.

In questo ambito rientra lo spostamento delle lavoratrici madri temporaneamente a mansioni non pregiudizievoli alla loro salute, con conservazione della retribuzione precedente. analogamente i lavoratori divenuti invalidi, per infortunio o malattia, durante il rapporto di lavoro non possono essere licenziati nel caso in cui possano essere adibiti a mansioni anche inferiori.

Il legislatore prevede inoltre uan graduatoria per l’assegnazione a mansioni diverse da quelle svolte (inferiori) per i lavoratori eccedenti in alternativa al licenziamento collettivo, per messa in mobilità o per riduzione di personale. Questi sono detti ACCORDI DI DEQUALIFICAZIONE e sono possibili solo con accordo sindacale.

La mobilità verso l’alto in un’azienda p sempre possibile. Lo svolgimento di mansioni superiori protratto per + di 3 mesi rende ireversibile lo spostamento. La norma è diretta  evitare pratiche fraudolente. Questa è la c.d. PROMOZIONE AUTOMATICA che passa con provvedimento del giudice e non vale per il lavoro nel settore pubblico per cui occorre sempre il consenso.

Per Il periodo continuativo e i casi di cumulo bisogna valutare se il cumulo dei 3 mesi viene interrotto per motivi strumentali.

Quando l’adibizione alle mansioni superiori viene disposta per sostituire un lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto: malattia, infortunio, maternità, servizio militare, ma anche permessi, aspettative pubbliche, sindacali previsti per legge o contratto, con onere della prova a carico del datore.

L’eccessione è motivata dall’esigenza di non vanificare il diritto del lavoratore assente di ritornare al proprio posto dopo il periodo di sospensione. Tanto è vero che molti contratti prevedono la promozione automatica quando il lavoratore sostituito non sia adibito alle precedenti mansioni; e forse la stessa conclusione può derivarsi in via interpretativa.

CAPITOLO 11

I CONTRATTI A TERMINE, FLESSIBILI E FORMATIVI


Al contratto di lavoro subordinato po’ essere apposto un termine. L’ordinamento ha per lungo tempo valutato con sfavore il contratto a tempo determinato. Nel vecchio art 2097 veniva reputato contratto a tempo indeterminato il contratto il cui termine non risultasse dalla specialità del rapporto (esigenze tipiche del conratto) o da atto scritto. La l. n. 230/1962 ha abrogato la norma irrigidendo la disciplina. La nuova norma prevedeva la forma scritta e la sussistenza di ipotesi tassative come le attività stagionali, la sostituzione di lavoratori assenti, opere e servizi predeterminati a carattere straordinario o occasionale.

1987 la nuova legislazione rimanda alla CCNL i casi per il ricorso al contratto a termine. successivamente con il Pacchetto Treu del 97 vengono mitigate le proroghe e i rinnovi. Nel 2000 con referendum viene abrogata la legge del 62 per contrasto con le normative comunitarie. La direttiva europea 70/99 liberalizza l’apposizione del termine e conserva alcune specifiche garanzie della precedente disciplina. Questa direttiva scaturisce da un dialogo sindacale a livello europeo e viene recepita originariamente in un contratto collettivo firmato solo da CISL e UIL. Nel 2001 con la L. n. 368 viene stabilita la normativa sui contratti a termine come disciplina quadro.

Il dlgs 368/2001 conserva il principio della forma scritta per la validità, sancendo che l’apposizione del termine deve risultare, direttamente o indirettamente da atto scritto, con la precisazione che devono essere indicate per iscritto anche le relative RAGLIONI GIUSTIFICATRICI. Sono esclusi dalla previsione i rapporti puramente occasionali non superiori a 12 giorni.

Viene meno il numero chiuso delle ipotesi, sostituito dalla sussistenza di più generiche ragioni di carattere tecnico, ,produttivo, organizzativo o sostitutivo. Qesto viene comunemente detto il CAUSALONE che liberalizza il contratto a termine in merito alle ragioni giustificatrici.

Sussiste però la c.d. CLAUSOLA DI CONTINGENTAMENTO un limite quantitativo rispetto al numero di lavoratori da assumere, la cui individuazione è rimessa ai CCNL.

L’art 3 del dlgs 368/2001 pone tassativi divieti di assunzione a termine in caso di:

sostituzione di scioperanti

trattamento di integrazione salariale nc orso

imprese inadempienti all’obbligo di valutazione dei rischi

unità produttive interessate nel semestre precedente da licenziamenti collettivi di lavoratori impegnati nelle stesse mansioni.

Qualora manchi il requisito di forma o di sostanza oppure vengano violati i divieti suddetti, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato fin dall’origine. Siccome la sanzione non è scritta alcuni tendono a far valere anche la nullità del contratto.

Il termine del contratto può essere prorogato previo consenso del lavoratore, una sola volta e per la stessa attività lavorativa cuisi riferisce il contratto, purchè sussistano ragioni oggettive, anceh se diverse da quelle originarie, e la durata complessiva del rapporto non superi i 3 anni di durata iniziale.

Se il raporto continua di fatto oltre la scadenza del termine inizialmente fissato o successivamente prorogato, esso si considera a tempo indeterminato, con una dovuta distinzione:

si considera a t.i. a partire dal 20 giorno se il contratto è inferiore a 6 mesi

si considera a t.i. a partire dal 30 giorno se il contratto è superiore a 6 mesi

nel periodo intermedio il datore è tenuto a corrispondere una maggiorazione della retribuzione pari al 20% fino al 10 giorno e pari al 40% per ogni giorno successivo. Questo viene detto PERIODO DI TOLLERANZA MONETIZZATA.

Il lavoratore è riassunto a termine con SOLUZIONE DI CONTINUITA’ entro:

10 giorni se il contratto è di durata fino a 6 mesi

20 giorni se è superiore a 6 mesi

Oltre questi termini, Il secondo contratto riconsidera a tempo indeterminato. Se si tratta di 2 assunzioni successive a termine senza soluzione di continuità, il rapporto si riterrà a tempo indeterminato dalla data di stipulazione del primo contratto.

Il legislatore tace invece sulla questione del recesso ante tempus dal conratto a tempo determinato, con la conseguenza che il medesimo verrà considerato illegittimo salvo giusta causa a garanzia della tendenziale stabilità del vincolo contrattuale fino alla scadenza del termine.

Il recesso datoriale ante tempus privo di giusta causa è fonte di risarcimento commisurato alle retribuzioni maturate fino alla scadenza.

Il legislatore ha escluso dal campo di applicazione particolari rapporti lasciando in vita alcune discipline speciali. Nella sfera del lavoro temporaneo rientranol’apprendistato, il contratto di inserimento, lo stage e il lavoro a termine in agricoltura. Tra le discipline speciali si segnalano le norme sull’impiego a termine di lavoratori in mobilità, con anticipo fino a un mese dalla loro assunzione.

Anche per i dirigenti è confermata la possibilità di impiegoa termine per un periodo massimo di 5 anni. Dopo 3 anni è libero di dimettersi. Questa categoria è esclusa dal campo di applicazione del decreto.

Tra i contratti flessibili rientrano:

il lavoro a tempo parziale

il lavoro ripartito

il lavoro intermittente.

Il dlgs 276/2003 disciplina 3 tipologie di contratti:

a orario ridotto

a orario modulato

a orario flessibile

tutti e 3 questi contratti consentono un uso flessibile della forza lavoro sotto il profilo temporale.

La crescita del lavoro a tempo parziale (PART – TIME) è costante in tutti i paesi sviluppati. Il PT è regolato in modo puntuale dal dlgs 61/2000 e consiste in una tecnica imperniata su un’autorizzazione della contrattazione collettiva.

L’art46 della 276/2003 definisce il lavoro PT comel’orario di lavoro fissato dal contratto individuale che risulti inferiore all’orario normale di lavoro, 40 ore settimanali. La legge quindi non ci da un limite di ore e si parla di contatto PT anche con una riduzione di sole 2 ore settimanali. Nel settore pubblico il PT è un diritto del lavoratore. Questo perché rimira al risparmio di risorse. Anche per i dirigenti pubblici ci può essere PT salvo che non siano medici.

La stessa norma sopra accennata definisce 3 varianti di PT:

orizzontale: la riduzione è prevista sull’orario normale giornaliero

verticale: l’orario giornaliero rimane pieno ma limitato a periodi determinati nell’arco della settimana o del mese o dell’anno.

Mista

Il conratto PT deve avere la forma scritta ab probationem, con l’indicazione della durata della prestazione lavorativa e della collocazione temporale dell’orario riferito a giorno, settimana, mese o anno. In difetto di prova può essere dichiarata la conversione giudiziale del contratto di lavoro da PT a tempo pieno, ma solo con valore ex nunc.

La durata della prestazione di lavoro PT può variare in aumento ma solo in presenza di certi requisiti. Il lavoro eccedente a seconda della tipologia di contratto prende diversi nomi:

lavoro supplementare se siamo in un PT orizzontale. Se previsto nel CCNL il lavoratore non può rifiutarsi di prestare lavoro supplementare. Sempre i CCNL stabiliscono le ore massime di lavoro effettuabili. È possibile che vengano previste maggiorazioni sulla retribuzione oraria globale.se non c’è CCNL è obbligatorio il consenso del lavoratore. L’eventuale rifiuto non giustifica il licenziamento.

Clausole elastiche e lavoro straordinario nel PT verticale e misto.

Le CLAUSOLE FLESSIBILI stabiliscono il potere del datore di variare la collocazione temporale della prestazione lavorativa a tempo parziale rispetto a quella inizialmente concordata. Le clausole flessibili a differenza di quelle elastiche possono essere apposte su ogni tipo di PT.

In un PT verticale la clausola flessibile pu prevedere lo spostamento del turno di lavoro dalla mattina al pomeriggio, la clausola elastica può prevedere l’aumento di 2 ore di lavoro. L’apposizione delle clausole flessibili richiede il consenso del lavoraore con un ospecifico patto scritto.

Con a riforma del 2003 prevede:

la forma scritta dl patto di flessibilità

l’eventuale assistenza sindacale

la possibilità di rifiutare il patto

il diritto al preavviso (2 giorni)

compensazioni specifiche, stabilite dal CCNL

non c’è più il diritto di ripensamento.

Esplicitamente consentita è la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale purchè vi sia l’accordo delle parti e questo venga convalidato dalla direzione provinciale del lavoro.

Per la trasformazione inversa da PT a tempo pieno, ex riforma 2003, il diritto di precedenza è rinviato ad una clausola eventuale del contratto individuale; inoltre perde i previdenti criteri di preferenza e di priorità, aumentand le discrezionalità del datore di lavoro.

Vige il principio di non discriminazione per cui il lavoratore a tempo parziale non dev’essere trattato diversamente dal lavoratore a tempo pieno.

Il LAVORO RIPARTITO o JOB SHARING è uno speciale contratto dilavoro subordinato con il quale 2 lavoratori assumono in solido l’adempimento di un’unica e identica obbligazione lavorativa. Per le sue caratteristiche, il contratto sembra destinato a lavoratori legati da forti vincoli di solidarietà personale. Viene anche definito lavoro a coppia.

Ogni lavoratore resta personalmente e direttamente responsabile dell’adempimento dell’intera obbligazione lavorativa nei limiti previsti dal legislatore. Le parti devono concordare la quantità e la collocazione temporale della propria attività lavorativa. I lavoratori hanno la facoltà di modificare consensualmente la ripartizione dell’orario e di sostituirsi a vicenda. Nel qual caso il rischio della impossibilità della prestazione per fatti attinenti all’uno impone all’altro di adempiere per l’intero. In caso di impedimento di entrambi.

l’impossibilità temporanea può estinguere l’obbligazione quando perduri tanto tempo da far cessare l’interesse del creditore della prestazione.

Il contratto di questo tipo dev’essere stipulato in forma scritta ai fini della prova. In assenza di contratti collettivi si applica la disciplina relativa al lavoro subordinato.

Il rapporto cessa per dimissioni o licenziamento di uno dei 2 lavoratori a meno che il datore non converta il contratto al dipendente che resta. Il licenziamento interessa contemporaneamente entrambe i lavoratori.

Il LAVORO INTERMITTENTE o JOB ON CALL è il contratto con cui un lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoro che ne può utilizzare la prestazione lavorativa in modo intermittente, se e quando decida di farlo. Può essere con o senza OBBLIGO DI DISPONIBILITA’ del lavoratore. Nel caso in cui l’obbligo ci sia, la clausola accessoria dev’essere esplicitata dal lavoratore. Un contratto di questo tipo può essere stipulato anche a tempo determinato. Questo lavoro è consentito per lo svolgimento di prestazioni di carattere discontinuoo intermittente secondo le esigenze individuate dai CCNL. Ne possono beneficiare i giovani fino a 25 anni, i disoccupati o lavoratori in mobilità con + di 45 anni. Il contratto va stipulato in forma scritta ai fini della prova. Il lavoratore non è titolare di alcun diritto riconosciuto ai lavoratori subordinati.

Sostituisce il contratto di formazione e lavoro il CONTRATTO D’INSERIMENTO che è diretto a categorie deboli di lavoratori come i giovani tra i 18 e i 29 anni o i disoccupati di lunga durata fino a 32 anni. La condizione per stipulare un simile contratto è la definizione di un progetto individuale di inserimento, finalizzato a garantire l’adeguamento dele competenze professionali del lavoratore stesso al contesto lavorativo. La causa può essere considerata mista se è prevista una fomazione professionale. La forma è scritta a pena di nullità e la durata dev’esser compresa tra i 9 e i 18 mesi. Il vantaggio per il datore di lavoro sono una serie di incentivi economici come la possibilità di inquadrare il dipendente sino a 2 livelli inferiori alla categoria spettante.

CAPITOLO 12

IL LAVORO NELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI


Nel decennio dal 1992 al 2003 avviene la privatizzazione del pubblico impiego.  Con questa riforma si prevedel’applicabilità al rapporto dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni del codice civile e delle leggi sul raporto di lavoro subordinato nell’impresa, tra cui lo statuto dei lavoratori.

La peculiarità dell’interesse perseguito dal datore di lavoro pubblico determina fino a tempi assai recenti l’attrazione della disciplina del rapporto di lavoro nell’area pubblicistica: se la p.a. in generale può esercitare poteri autoritativi nei confronti di tutti i consociati, a maggior ragione si deve ammettere che possa esercitarli nei confronti dei pubblici dipendenti. Il dipendente pubblico resta estraneo al modello della locatio operarum.

In precedenza, il rapporto traeva origine non da un contratto, ma da un atto amministrativo unilaterale: L’ATTO DI NOMINA. Le prerogative di cui il dipendente godeva trovano causa nell’esigenza di garantire le condizioni necessarie al miglior esercizio delle funzioni pubbliche.

La legge 93 del 1983 legge quadro sul pubblico impiego valorizza per la prima volta la logica dello scambio, con l’incalzare delle richieste di contenimento della spesa pubblica e l’esigenza di una nuova riforma.

Fra il 1992 e il 1993 il parlamento e il governo varano la c.d. privatizzazione del rapport pubblico. Le varie fasi della privatizzazione sfociano in una sequenza di decreti definitivamente confluiti nel decreto legislativo 165/2001 definito Testo Unico del Pubblico Impiego.

Le disposizioni del 165/2001 costituiscono principi fondamentali ai seinsi dell’art117 cost. per le ragioni a statuto ordinario, mentre solo i principi desumibili dall’art2 della l 421/92 costituiscono norme fondamentali di riforma economico – sociale per le ragioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e Bolzano. Il passaggio dalla giurisdizione dal giudice amministrativo al giudice ordinario sta nel fatto che nei confronti della p.a. il dipendente pubblico non vanta interessi legittimi, ma di diritti soggettivi, tutelati dalla giurisdizione ordinaria.

DIRIGENZA PUBBLICA: personale di più elevata posizione all’interno delle amministrazioni, investito di proprie attribuzioni in ordine all’organizzazione e all’esercizio delle attività aministrativo – gestorie.

L’elemento qualificante del riassetto della dirigenza consiste nella CONTRATTUALIZZAZIONE del rapporto di lavoro dirigenziale, che separa il contratto di lavoro il conferimento dell’incarico. Fondamentale è la separazione dei rapporti tra dirigenti e organi politici.

La nuova disciplina prevede un processo circolare in 3 fasi:

gli organi di indirizzo forniscono le direttive

gli organi burocratici agiscono in piena autonomia x raggiungere gli obiettivi posti dai primi

gli organi di indirizzo verificano l’andamento dell’attività dei dirigenti.

Il dirigente si trasforma da burocrate a manager avvicinandosi al ruolo del settore privato.

Ai dirigenti spetta l’adozione degli atti e provvedimenti amministrativi compresi tutti gli atti che impegnano l’amministratore verso l’esterno, nonché la gestione finanziaria, tecnica ed amministrativa mediante autonomi poteri di spesa, organizzazione delle risorse umane e strumentali e di controllo. I dirigenti sono responsabili della gestione e dei relativi risultati egli organi di direzione politica verificano la rispondenza dei risultati della gestione e delle direttive generali impartite si da chiudere l’indicato processo circolare. Tute queste attribuzioni possono essere derogate solo espressamente a opera di specifiche disposizioni di legge.

La categoria dei dirigenti pubblici si articola in 2 fasce:

dirigenti di uffici generali che intrattengono rapporti direttamente con gli organi di governo

dirigenti tout court, che comprende tutti gli altri.

Alla qualifica di dirigente di ruolo si accede con concorso pubblico per esami o per corso - concorso selettivo di formazione bandito dalla scuola superiore della p.a. che ammette la partecipazione di soggetti esterni oltre a quella di dipendenti pubblici con una congrua anzianità di servizio in qualificate posizioni funzionali.

Il vincitore stipula un contratto individuale costitutivo dl rapporto di lavor subordinato a tempo indeterminato. Questo rapporto di lavoro segue lo schema dato dai CCNL.

Con la riforma del 2002 viene istituita l’area della vicedirigenza dove viene fatto confluire il personale laureato con anzianità quinquennale in qualifiche minori. A questi soggetti i dirigenti possono delegare alcune loro competenze.

Nel conferimento dell’incarico si assiste alla scissione tra stipulazione del contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato e conferimento dell’incarico a termina.

È possibile che i dirigenti di ruolo non assumano la titolarità di alcun ufficio dirigenziale, sia che la titolarità di un ufficio venga attribuita a soggetti non inseriti nel ruolo di dirigenti.

Il conferimento dell’incarico è un atto unilaterale che individua l’oggetto dell’incarico e gli obiettivi da conseguire, nonché la durata dell’incarico stesso.

Il dlgs 165/2001 prevede la regola dello SPOIL SYTEM ovvero la cessazione delgi incarichi di funzione dirigenziale al variare della comine politica.

La revoca può avvenire in oltre in altre 2 ipotesi:

risoluzione del rapporto

caso di responsabilità dirigenziale: esito di un procedimento di valutazione annuale, svolto in contraddittori con il dirigente e compiuto sulla base dei risultati del controllo di gestione. Questo porta al mancato rinnovo dello stesso incarico e nei casi + gravi la revoca dell’incarico fino al recesso.

In caso di licenziamento c’è la possibilità di ricorrere ad un collegio di conciliazione, che pone a carico dell’amministrazione un’indennità supplementare se il recesso è ingiustificato. In caso di mobilità ai dirigenti si applica la comune normativa in materia di mobilità per passaggio diretto nei limiti dei posti disponibili.

L’accesso all’impiego avviene tramite reclutamento. I processi di assunzione sono coperti da riserva di legge e sottoposti a disciplina pubblicistica. Sono possibili deroghe alla disciplina dei contratti solo per espressa previsione di legge.

Il reclutamento può avvenire per:

a) procedura selettiva per accertare la professionalità richiesta (CONCORSO)

b)  richiesta numerica con avviamento degli iscritti ad apposite liste redatte da uffici provinciali (LISTE DI COLLOCAMENTO) per le qualifiche medio – basse per le quali è richiesta solo la scuola dell’obbligo

c)  richiesta numerica o nominativa dei disabili iscritti in liste speciali di collocamento.

i soggetti disabili possono comunque partecipare a tutti i concorsi per il p.i. sono infatti abrogate le norme che prevedono la sana e robusta costituzione fisica.

Per quanto riguarda gli stranieri possiamo dire che i cittadini comunitari vengono trattati alla stregua ei cittadini italiani.

L’assunzione avviene con contratto individuale di lavoro, il datore può anche avvalersi di contratti flessibili o atipici.

Per quanto riguarda il part time si usa in questo settore per contenere la spesa pubblica ed è revista in molti casi la trasformazione automatica da tempo pieno a parziale a domanda del lavoratore, con diritto di ottenere il ritorno al tempo pieno alla scadenza di 2 anni dalla trasformazione. Non vale la regola dela conversione del contratto da tempo determinato o indeterminato come accade nel settore privato in caso di difformità contrattuali.

Anche nel settore pubblico è inserito lo jus variandi, che trova giustificazione nell’esigenza di permettere alla p.a. di controllare sempre, attraverso procedure concorsuali  e selettive, l’accesso a qualifiche superiori da parte dei dipendenti.

Non sono individuati rapporti certi di equivalenza all’interno di un medesimo livello retributivo, è il giudice che stabilisce l’equivalenza tra mansioni.

La specialità più rilevante riguarda l’assegnazione a mansioni superiori. Lo jus variandi in melius non discrezionale viene limitato a 2 ipotesi tassative:

vacanza di posto in organico, per un periodo non superiore a 6 mesi, prorogabili a 12

sostituzione di dipendente asente con diritto alla conservazione del posto per tutto il periodo di assenza, escluse le ferie. La modifica temporanea deve avvenire solo per mansioni proprie della qualifica immediatamente superiore.

L’adibizione a mansioni superiori da diritto al trattamento economico e normativo corrispondente all’attività svolta, non conferisce mai il diritto all’attribuzione definitiva della qualifica corrispondente.

In materia retributiva, l’assetto realizzato è in gran parte coerente con il settore privato, sia con riguardo all’applicazione dei principi costituzionli di sufficienza e proporzionalità, sia riguardo al sistema delle fonti. Secondo l’art 45 dlgs 16/2001 il trattamento economico fondamentale ed accessorio è definito dai contratti collettivi.

Al fine di monitorare e contenere la spesa pubblica, le risorse disponibili per i contratti collettivi nazionali e integrativi vengono determinate a monte del procedimento contrattuale attraverso gli strumenti di finanza pubblica, le dinamiche retributive devono essere contemperate con l’esigenza di bilancio degli enti. Un’eccezione rilevante riguarda la parità di trattamento contrattuale e comunque trattamenti non inferiori a quelli previsti dai rispettivi CCNL.

La struttura retributiva è data dal trattamento economico fondamentale e una retribuzione accessoria definita dai CCNL e collegata alla produttività e diretta a compensare il lavoro svolto in condizione di disagio o di rischio per la salute.

Per quanto riguarda il TFR la disciplina viene estesa al meccanismo di calcolo della liquidazione della l. 297/82.

La prificazione con i dipendenti privati è destinata a operare pienamente per i lavoratori pubblici che risultano neo – assunti al 31 dicembre 2000: il loro trattamento di fien rapporto è in toto assoggettato all’art 2120 c.c. per i dipendenti assunti dopo tale data c’è il diritto di opzione in merito al trattamento da applicare. Per i dipendenti in servizio al 31/12/2000 TFR e Fdi pensione sono un binomio inscindibile. Il TFR viene liquidato dall’INPDAP. Tra il TFR e le indennità di fine lavoro erogate dal pubblico impieco ci sono alcune differenze:

il TFR si computa in base a un sistema di tipo additico ed è un credito maturato per quote annuali esigibile solo ala conclusione del rapporto di lavoro.

L’indennità di buonuscita e l’indennità di premio di servizo sono prestazioni che poggiano su un sistema di computo di tipo moltiplicativo, si fa riferimento all’ultima retribuzione, e vengono erogate da un ente assicuratore terzo rispetto ai soggetti del rapporto di lavoro stesso.

Il potere disciplinare è conurato come potere privatistico della p.a. datore di lavoro. Sin dai primi interventi legislativi in tema di pubblico impiego la materia disciplinare è stata dotata di una certa organicità. La materia è regolata dall’art 55 dlgs 165/2001 che contiene una disciplina parzialemente derogatoria rispetto a quella vigente nel settore privato, applicabile a tutti i dipendenti della p.a.

Gli obblighi del pubblico dipendente sono obblighi volti a garantire l’esatto adempimento della prestazione dovuta che non coinvolgevano in alcun modo la sfera privata del dipendente.

Le infrazioni e la loro entità sono stabilite dal codice disciplinare nel rispetto dei limiti stabiliti dalla legge e in particolare del criterio di proporzionalità. Al predetto codice deve essere data idonea pubblicità mediante affissione in un luogo accessibile a tutti.

Non possono + essere disposte sanzioni che comportino mutamenti definitivi del rapporto e la multa non può essere disposta per un importo superiore a 4 ore di retribuzione base e la sospensione del servizio e della retribuzione per più di 10 giorni, individuando così una tipologia legale delle sanzioni. Sono ammesse sanzioni diverse e + gravi di quelle previste nel settore privato come la sospensione fino a 6 mesi con parziale privazione della retribuzione.

Per Il licenziamento disciplinare non si pongono problemi conosciuti nel settore privato circa la tutela in caso di licenziamento disciplinare illegittimo.

Salvo il caso in cui le sanzioni da applicare si identifichino con l rimprovero verbale o scritto, ad irrogarle non è il capo della struttura, ma su segnale di questo, un apposito ufficio per i procedimenti disciplinari, competente per ogni fase del procedimento ed individuato in ciascuna p.a.

È l’ufficio competente per i procedimenti disciplinari che fa tutto: contesta l’addebito al dipendente, istruisce il procedimento e applica la sanzione; al capo della struttura resta solo il compito di segnalazione. La contestazione deve avvenire per iscritto e come per il settore privato si dispone di un audizione a difesa del dipendente assistito da un rappresentante di associazione sindacale o procuratore.

Vi sono poi una serie di termini per la procedura:

l’audizione a difesa entro 1 gg dalla convocazione

nei successivi 15 gg la p.a. deve applicare la sanzione

i provedimenti disciplinari + gravi del rimprovero verbale non possono essere applicati prima che siano trascorsi 5 giorni dalla contestazione per iscritto del fatto che vi ha dato causa.

Una novità è il c.d. patteggiamento al fine di una pronta definizione dei procedienti e di una deflazione del contenzioso in materia disciplinare. Se il dipendente consente è possibile l’applicazione di una riduzione ridotta che non sarà + suscettibile di impugnazione, ne il via giudiziale né in via arbitrale.

Nel corso di una procedura arbitrale la sanzione resta sospesa, mentre solo la p.a., diversamente dal dipendente, ha l’obbligo di conformarsi alla decisione del collegio. Per la p.a. è un obbligo di immediata esecuzione del provvedimento, a prescindere da una successiva impugnazione.

Se i CCNL non hanno istituito apposite procedure di conciliazione e arbitrato, le sanzioni disciplinari possono essere impugnate dal lavoratore.

Ulteriore profilo di specialità è la regolazione legislativa dei rapporti tra process penale e procedimento disciplinare per i dipendenti delle amministrazioni pubbliche. Con la legge 97/2001 viene ristabilito un rapporto di pregiudizialità degli esiti del processo penale sul procedimento disciplinare, sia in caso di condanna che di assoluzione del dipendente, introducendo nuove misure cautelari obbligatorie. In certi casi la condanna in sede penale può comportare l’applicazione da parte del giudice penale della pena accessoria dell’estinzione del rapporto di lavoro.

Per quanto riguarda il RECESSO, esso veniva previsto nei casi di:

dispensa dal servizio del lavoratore incapace

collocamento a riposo in caso di riduzione dell’organico

decadenza per perdita dei requisiti di assunzione

destituzione per reati di particolare gravità.

Il dlgs 165/2001 fa rinvio generale al codice civile e alle leggi del rapporto subordinato per quanto riguarda il LICENZIAMENTO, estendendo integralmente l’applicabilità dello statuto dei lavoratori al settore pubblico. Anche in fase di estinzione il rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici è assimilato a quello dei privati. Le fattispecie estintive confluiscono nelle categorie della giusta causa e del giustificato motivo soggettivo e oggettivo.

Un regime di maggior favore continua ad esserci in ragione del fatto che, in caso di licenziamento illegittimo, trova sempre applicazione la tutela reale a prescindere dal numero dei lavoratori occupati.

CAPITOLO 6

DILIGENZA, OBBEDIENZA, FEDELTA’, LUOGO E DURATA DEL LAVORO.


Diligenza e obbedienza concorrono a individuare il contenuto della prestazione di lavoro, cioè i doveri del lavoratore subordinato. La diligenza cui si riferisce l’art.2104 c.c., come l’art.1176 c.c. per le obbligazioni in genere, rapresenta il criterio di misura della prestazione dovuta al lavoratore. Il primo parametro utilizzato dall’art.2104 indica la diligenza richiesta al lavoratore è la natura della prestazione dovuta.l’interesse dlla produzione nazionale è abrogato in quanto concernente il regime corporativo.

La prestazione dovuta dal lavoratore va rapportata, oltre che ai caratteri dell’attività lavorativa in senso stretto, alle particolari esigenze dell’organizzzazione in cui il rapporto si inserisce.

Il secondo comma del suddetto articolo prevede l’obbligo di obbedienza in relazione all aposizione di soggezione del lavoratore correlata al potere direttivo del datore. Consiste nell’obbligo di eseguire le disposizioni. Tale obbligo comprende tutti i comportamenti necessari a rendere la prestazione di lavoro ragionevolmente integrabile nell’organizzazione dell’impresa, ad esempio i comportamenti imposti dalle disposizioni attinenti alla convivenza nell’azienda, alla tutela del patrimonio e alla sicurezza deli impianti.

Lo statuto dei lavoratori si pone a favore del processo di spersonalizzazione del rapporto di lavoro tale da ridimensionare gli aspetti di soggezione giuridica del prestatore.

Oltre tali limiti specifici, sul dovere di obbedienza influiscono anche le modifiche introdotte nella organizzazione dell’impresa in seguito alla evoluzione dei rapporti tra le parti collettive verificatasi negli ultimi decenni con il sostegno legislativo. Questa è una razionalizzazione dell’esercizio discrezionale dei poteri con l’introduzione di margini crescenti di autonomia dei lavoratori. Tutti elementi che circoscrivono l’area di mera soggezione del lavoratore anche nel rapporto individuale.

L’art 2105 c.c. conura a carico del lavoratore semplici comportamenti omissivi, integrativi della prestazione principale del lavoratore.

I due obblighi principali sono quello della CORRETTEZZA e della BUONA FEDE. principalmente obbligazioni di non fare sono finalizzati alla tutela di un interesse del datore. Ci sono in oltre i c.d. OBBLIGHI DI PROTEZIONE:

obbligo di non concorrenza: implica l’astensine del lavoratore da ogni atto di concorrenza che arrechi danno all’impresa. Esso ha durata solo per la durata del rapporto, se si intende farlo permanere anche dopo la fine del rapporto, si stila un PATTO DI NON CONCORRENZA che deve esere redatto in forma scritta.

obbligo di riservatezza: consiste nel mantenere il c.d. SEGRETO AZIENDALE ovvero tutte le notizie di carattere organizzativo e produttivo conosciute dal dipendente, vietandone la divulgazione in via assoluta. Escluse sono le conoscenze e le competenze acquisite dal lavoratore nello svolgimento del proprio lavoro.

Nei casi delle aziende di tentenza questo tipo di obbligo è esteso all’ambito ideologico personale.


IL LUOGO DELLA PRESTAZIONE

L’art 13 sello statuto dei lavoratori non prende in considerazione gli spostamenti del lavoratore ma solo quelli da un’unità produttiva all’altra.

Il suddetto articolo disciplina solo il trasferimento definitivo del lavoratore. Viene esclusa la TRASFERTA che si distingue dal trasferimento per il suo carattere di provvisorietà.



LA DURATA : misura della prestazione dovuta dal lavoratore. La quantità effettiva di prestazione normalmente dovuta è segnata dalla disciplina dell’orario di lavoro inteso in senso ampio, cioè non solo come orario giornaliero, ma come tempo complessivo di lavoro nella giornata, nella settimana, nell’anno, con esclusione delle pause periodiche.

La disciplina legislativa e contrattuale del tempo di lavoro è storicamente rivolta a limitarne la durata massima. Le crisi economiche e le innovazioni tecnologiche hanno fatto emergere con particolare forza l’esigenza di riduzioni di orario e nuovi regimi non più a fini protettivi ma come misura per fronteggiare la crescente disoccupazione. Il processo di integrazine europea ha sollecitato le nuove disposizioni in materia. L’intervento del legislatore ha per obiettivo la flessibilità del lavoro in chave di maggior competitività per le imprese.

L’art 13 pacchetto treu ha stabilito la riduzione dell’orario massimo NORMALE di lavoro da 48 a 40 ore settimanali; limite che andava ad aggiungersi a qello giornaliero di 8 ore.

Il legislatore ha riproposto la facoltà a favore dei contratti collettivi di stabilire una durata minore rispetto a quella legale e di riferire l’orario normale alla durata media delle prestazioni lavorative per periodi ultrasettimanali non superiori all’anno.

La determinazione della durata massima di lavoro è demandata ai contratti collettivi, che devono rispettare il limite legale di 48 ore per ogni periodo di 7 giorni, da calcolarsi come media in un arco temporale non superiore a 4 mesi.

Il dlgs 66/2003 esclude i periodi di ferie annue e i periodi di assenza per malattia, nonché le ore di lavoro straordinario se i lavoratori hanno beneficiato, su autorizzazione concessa dalla contrattazione collettiva. Non c’è + il riferimento alla durata della giornata di lavoro.

Un limite alla durata della giornata può comunque essere ricavato dalla norma sul riposo giornaliero. La durata della giornata lavorativa non può superare le 12.50 ore.

Il dlgs 66/03 ha reso derogabile lo stesso diritto alle 11 ore di riposo per i dirigenti e le altre categorie privilegiate.

I limiti stabiliti dal legislatore si riferiscono al lavoro effettivamente svolto. Viene fornita una nuova nozione di orario di lavoro: qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività e delle sue funzioni. Nozione delimitata dall’esclusione delle soste di lavoro di durata non inferiore a 10 minuti non recuperati e del tempo occorrente per recarsi al lavoro. Viene escluso anche il tempo impiegato per raggiungere il luogo della trasferta, quello per la timbratura del sectiunellino e per indossare gli indumenti da lavoro.

Sono considerate a tutti gli effetti parte integrante dell’orario di lavoro le pause riconosciute dalle norame in materia di sicurezza e salute dei lavoratori addetti ai videoterminali, ovvero 1 minuti ogni 120 minuti di applicazione al videoterminale.

Rientrano nell’orario di lavoro anche i periodi nell’ambito die quali il lavoratore sta a disposizione dell’impresa essendo comunque obbligato a restare sul luogo di lavoro.

Per a modifica dell’estensione dell’rario si nega l’esistenza di un potere unilaterale del datore, rchiedendo la genuinità dell’assenso del lavoratore. Egli è comunque limitato alle 40 ore settimanali, oltre il quale scatta il regime dell’orario straordinario. La regolamentazione generale dell’orario di lavoro si applica a tutti i settori di attività pubblici e privati.

Fanno eccezione all’applicazione del dlgs 66/03 alcune attività tassativamente elencate:

il personale scolastico

le forze di polizia

le forze armate

il lavoro della gente di mare

il personale di volo dell’aviazione civile

rientrano invece nal campo di applicazione della normativa generale in materia di orario di lavoro, ma non soggiacciono all’applicazione del limite normale settimanale di orario: i lavori agricoli, le industrie di ricerca e coltivazione degli idrocarburi, i commessi viaggiatori, i giornalisti professionisti.

Non sono sottoposti né al limite settimanale normale né a quello settimanale massimo i lavoratori la cui durata dell’orario per caratteristiche dell’attività svolta non è misurata o redeterminata e può essere determinata dai lavoratori stessi; come ad esempio i lavoratori del settore liturgico o nel lavoro a domicilio.

LAVORO STRAORDINARIO: lavoro prestato oltre l’orario normale settimanale.

La facoltà attribuita al datore di ampliare la durata del lavoro ordinario è vista con sfavore dal legislatore, il ricorso al lavoro straordinario dev’essere contenuto. Il lavoro straordinario deve essere contenuto entro il limite massimo settimanale di 48 ore calcolate come media. Entro tale limite i CCNL ne regolano le modalità di esecuzione. Il ricorso al lavoro straordinario è ammesso solo se la richiesta del datore è corredata dal consenso del lavoratore e nel limite massimo annuale di 250 ore. Il lavoro straordinario può esere richiesto per esigenze tassativamente determinate:

esigenze tecnico – produttive per le quali non si può assumere un altro lavoratore

casi di forza maggiore x cui la mancata esecuzione di prestazioni di lavoro può dare luogo a un pericolo grave

eventi particolari come fiere, mostre e manifestazioni collegate all’attività produttive.

Il datore per le unità produttive che occupano + di 10 dipendenti ha l’obbligo di informare la direzione provinciale del lavoro in caso di lavoro straordinario.

Il lavoro straordinario dev’essere computato a parte e compensato con maggiorazioni retributive la cui determinazione è rimessa alla contrattazione collettiva.

Quando il CCNL prevede ad esempio 37 ore, tra le 37 e le 40 ore non si applica il lavoro straordinario ma il lavoro supplementare.

LAVORO NOTTURNO: lavoro non compreso in regolari turni periodici che va retribuito con una maggiorazione rispetto al lavoro diurno (art2108c.c.). il periodo notturno è quel periodo di almeno 7 ore consecutive comprendenti l’intervallo fra la mezzanotte e le 5 del mattino. Il lavoratore notturno è considerato colui che svolte in via non eccezionale:

3 ore del suo tempo di lavoro giornaliero

Una certa parte del suo orario di lavoro normale

Qualsiasi lavoratore che svolga lavoro notturno per un minimo di 80 giorni lavorativi all’anno.

L’orario di lavoro dei lavoratori notturi non può superare le 8 ore complessive nel periodo di 24 ore.

Ai CCNL è affidata l’eventiale definizione delle riduzioni dell’orario di lavoro o dei trattamenti economici indennitari nei confronti dei lavoratori notturni.

Il dlgs 66/03 prevede una serie di obblighi procedurali in merito come l’onere del datore di inforamre e consultare le RSA e le RSU riguardo l’introduzione del lavoro notturno. L’art 14 del suddetto decreto impone na serie di accertamenti sanitari a favore dei lavoratori notturni almeno 2 volte all’anno. Il lavoratore inidoneo verrà assegnato al lavoro diurno.

La legislazione ha sancito il divieto di adibire lavoratori assunti con contratto di apprendistato al lavoro notturno. Viene estesa la disciplina del dlgs66/03 agli apprendisti maggiorenni. analogo divieto è a favore delle donne. Divieto assoluto di svolgimento del lavoro notturno per le donne in gravidanza e fino al compimento di un anno di età del bambino. Altre ipotesi riguardano la lavoratrice madre di un lio di età inferiore a 3 anni o alternativamente il padre convivente con la stessa. L’esonero è facoltativo per i soggetti che hano a carico un soggetto disabile.

Esiste altresì il regime dei TURNI AVVICENDATI corrispondenti a qualsiasi metodo di organizzazione del lavoro anche a squadre in case al quale dei lavoratori siano successivamente occupati negli stessi posti di lavoro, secondo un determinato ritmo, compreso il ritmo rotativo, che può essere il tipo continuo o discontinuo e il quale comporti la necessità per i lavoratori di compiere un lavoro a ore differenti su un periodi determinato di giorni o di settiamane.

Il lavoratore ha diritto a 11 ore di riposo consecutivo ogni 24 ore di lavoro, regola derogabile per le attività caratterizzate da pariodi di lavoro frazionati durante la girnata. Deroghe alle 11 ore vi sono inoltr per i lavoratori come i dirigenti, il personale direttivo o la manodopera familiare. La contrattazione deve accordare ail lavoratori periodi equivalenti di riposo compensatico o, in casi eccezionali, sia offerta loro appropriata protezione. Qual’ora l’orario giornaliero ecceda le 6 re, un intervallo per pausa, le cui modalità e la cui durata sono stablite dai contratti collettivi di lavoro, per la finalità del recupero delle qualità psico – fisiche. La legge impone una pausa minima di 10 minuti tra iniziio e fine di ogni periodo giornaliero di lavoro.

Tutelati dall’art 36 Cost. sono i riposi settimanali e le ferie, definiti come irrinunciabili. Oni 7 giorni spetta al lavoratore un periodi di riposo di almeno 24 ore consecutive, generalemente coincidenti con la domenica. L’orientamento della corte costituzionale conferma il carattere di normalità del riposo settimanale, ma non ritiene costituzionalmente necessario che esso corrisponda alla domenica.

Il lavoro nella giornata di domenica da diritto a una maggiorazione retributiva prevista dai CCNL. Il diritto alla maggiorazione viene meno quando il contratto collettivo già preveda per i turnisti un trattamento complessivamente + favorevole. La prestazione di lavoro in giornata festiva è illecita per contrarietà a norma imperativa di legge. Le festivitàà infrasettimanali sono contate in 12 giorni. Durante tali festività i lavoratori ricevono la normale retribuzione se ati a ore. Se le festività cadono di domenica i lavoratori ricevono retribuzione doppia.

L’organizzazione internazionale del lavoro prevede un minimo di 3 settimane di ferie, ogni paese aderente può decidere di aumentare il limite, in itaia è di 4 settimane e la costituzione ne sancisce l’irrinunciabilità per soddisfare primarie necessità fisiche e morali del dipendente. Il periodo di ferie è annuale e spetta entro l’anno. Non occorre aver prestato servizio per un intero anno, le ferie sono garantite anche a coloro che abbiamo lavorato per un periodo inferiore, 1/12 delle ferie per ogni mese di servizio prestato o frazione superiore a 15 giorni. Le ferie maturano solo in presenza di effettiva prestazione di lavoro. La scelta del periodo feriale rientra nel potere dispositivo del datore, contemperando le esigenze aziendali con quelle dei prestatori di lavoro.

Le ferie vanno godute per almeno 2 settimane entro l’anno di maturazione, mentre per il restante periodo entro 8 mesi dal termine dell’anno di maturazione. Le ferie vanno possibilmente godute in modo continuativo. Il periodo feriale dev’essere retribuito e non può essere sostituito dall’indennità per ferie non godute salvo in casi di risoluzione del contratto.

In caso di malattia sopravvenuta nel corso delle ferie l’ordinamento dominante attribuisce effetti sospensivi solo alle malattie che impediscono il normale decorso delle ferie.

I PERMESSI e le aspettative calcolati nelle 150 ore per i lavoratori studenti, i permessi per gli addetti ai seggi elettorali nelle elezioni politiche amministrative e nei referendum.

CAPITOLO 3

PUBBLICO E PRIVATO NEI MERCATI DEL LAVORO


NEL 96 viene introdotta la regola dell’assunzione diretta con l’eliminazione per il collocamento ordinario, agricolo e dello spettacolo del vincoliamo nelle modalità di assunzione. Nel pacchetto Treu viene poi inserita la regolamentazione del lavoro temporaneo. Questa riforma introduce il lavoro interinale che introduce il soggetto privato nel mondo del lavoro. Questo mette in discussione un principio dell’ordinamento tradizionale come il divieto di intermediazione della manodopera.

Viene introdotto il decentramento amministrativo di funzioni e compiti dallo stato alle regioni e l’applicazione del principio di sussidiarietà verticale e la liberalizzazione controllata dell’attività di mediazione tra domanda e offerta del lavoro in un’ottica di sussidiarietà orizzontale. Tutto ciò sullo spunto della legge Bassanini con cui il pubblico si concentra sulla politica del lavoro.

Con la riforma del 2003 si stabilisce la riorganizzazione dei mercati del lavoro incentrata sul ruolo dei soggetti privati. L’intervento pubblico nella mediazione tra domanda e offerta di lavoro ancora oggi resta importante e diventa un servizio. Ancora oggi il collocamento inteso come servizio pubblico implica l’esercizio da parte di organismi pubblici.

In occasione della Borsa Nazionale del Lavoro confluiscono informazioni di chi offre e di chi cerca lavoro.

BORSA NAZIONALE DEL LAVORO: introdotta dalla legge Biagi, è basata su una rete di nodi regionali facilmente consultabili sia dai lavoratori che dalle imprese attraverso accessi appositamente dedicati da tutti i soggetti pubblici o privati autorizzati ad erogare servizi per l’impiego. A tal fine tutti gli operatori devono conferire al sistema i dati attinenti alle attitudini professionali dei lavoratori. La conduzione ella BNL è elle mani dello stato mentre la sua gestione è demandata alle regioni.

Il ministero del lavoro istituisce un albo diviso in 5 sezioni in cui vengono iscritti i soggetti autorizzati a svolgere attività di somministrazione e intermediazione tra domanda e offerta; ricerca e selezione, supporto alla ricollocazione professionale. Le nuove agenzie per il lavoro per ottenere l’autorizzazione devono essere in possesso di requisiti di garanzia di un minimo di solidità economica e finanziaria. Questi uffici interagiscono con la borsa nazionale del lavoro. Le 5 sezioni corrispondono a 5 tipi di agenzie:

agenzie di somministrazione

agenzie di somministrazione specialistiche

agenzie di intermediazione

agenzie di ricerca e selezione

agenzie di supporto alla ricollocazione professionale.

Vengono creati anche particolari regimi di autorizzazione per lo svolgimento solo dell’attività di intermediazione, a favore di università, fondazioni, camere di commercio. L’esercizio non autorizzato porta a sanzioni di natura penale.

Nel 2003 viene prevista l’abrogazione di gran parte delle liste di collocamento, del libretto di lavoro e della riserva per le fasce deboli. La preferenza può cadere su qualunque lavoratore, con la massima discrezionalità quindi per i datori di lavoro privati e gli enti pubblici economici, purchè ciò avvenga nel rispett delle precedenze previste dalla legge, delle norme antidiscriminatorie nonché quelle sulla riservatezza.

A favore dei lavoratori licenziali vengono introdotte le liste di mobilità. I CCNL prevedono un dirito di precedenza sulle assunzioni per i lavoratori con contratti a tempo determinato e i lavoratori a tempo parziale.

Ci sono anche liste speciali di collocamento previste per la gente di mare, i lavoratori dello spettacolo. Restano in vigore la chiamata nominatica, il nulla – osta per l’assunzione, l’obbligo di iscrizione nella lista di collocamento per gli italiani che si rendono disponibili a svolgere lavori all’estero in paesi extracomunitari.

Il COLLOCAMENTO OBBLIGATORIO è quello dei disabili, che resta caratterizzato da una disciplina vincolistica consistente nell’obbligo imposto a certi datori di lavoro di assumere lavoratori considerati deboli sul mercato del lavoro come i disabili. La sua ratio consiste nella promozione dell’inserimento e della integrazione lavorativa delle persone disabili nel mondo del lavoro, attraverso servizi di sostegno e di collocamento mirato. Il collocamento obbligatorio è rivolo:

a) alle persone in età lavorativa affette da minorazioni fisiche, psichiche o sensoriali e ai portatori di handicap intellettivo, che comportino una riduzione della capacità lavorativa superiore al 45%

b)  alle persone invalide del lavoro con un grado di invalidità superopre al 33%

c)  alle persone non vedenti o sordomute

d) alle persone invalide di guerra, invalide civili di guerra e invalide per servizio.

Sono inclusi inoltre orfani e coniugi superstiti di coloro che sono deceduti per causa di lavoro, di guerra o di servizio.

I datori sono obbligati ad assumere:

il 7% dei lavoratori occupati, se occupano + di 50 dipendenti

2 lavoratori se occupano da 36 a 50 dipendenti

Un lavoratore se occupano da 15 a 35 dipendenti

L’obbligo scatta solo quando viene effettuata + di una nuova assunzione, aggiuntiva rispetto all’organico dell’impresa.

Per quanto riguarda i lavoratori stranieri, viene limitato l’ingresso agli stranieri per motivi di ordine pubblico, una volta ottenuto il permesso di soggiorno per motivi di lavoro, si riconosce parità di trattamento e piena uguaglianza di diritti rispetto ai lavoratori italiani.

Una procedura burocratica lunga e complessa si ha quando un datore di lavoro italiano o straniero regolarmente soggiornanre in italia intende istaurare un rapporto di lavoro subordinato con uno straniero residente all’estero.

L’intervento pubblico sul mercato del lavoro deve promuovere e sostenere l’occupazione mediante una politica attiva che stimoli e incrementi la domanda di lavoro al fine di agevolare le assunzioni. Anche le agenzie private per il lavoro possono svolgere atività di politica attiva con attività di supporto alla ricollocazione. Si innestano inoltre i contratti di solidarietà ovvero quei contratti collettivi aziendali stipulati dai sindacati maggiormente rappresentativi che realizzano forme di solidarietà fra lavoratori tramite riduzione di orario a loro carico. Tali contratti sono stati introdotti dalla legge 836/84 e successivamente novellano nel 93 e nel 96. nel contratto di solidarietà di tipo difensivo comporta una riduzione d’orario giornaliera, settimanale o mensile, lo stato interviene con la CIGS. Nel contratto di solidarietà di tipo espansivo, comportante una riduzione d’orario con perdita della retribuzione per permettere la contestuale assunzione di altra manodopera, lo stato interviene con agevolazioni economiche.

Con il contratto di reinserimento il datore di lavoro può ottenere agevolazioni contributive e normative assumendo solo lavoratori che beneficiano del trattamento speciale di disoccupazione da almeno 12 mesi, in pratica da quelli del settore edile e affini. Questo strumento prevede una consistente riduzione sulla contribuzione previdenziale e assistenziale x il datore.

Tra gli strumenti legislativi volti a combattere la disoccupazione ci sono i LAVORI SOCIALMENTE UTILI che sono serviti a tamponare emergenze occupazionali, ma senza innescare un circolo virtuoso di espansione dell’occuazione determinando effetti perversi e nutrendo aspettative di lavoratori socialmente utili di entrare nel pubblico impiego. Sono previsti benefici economici per datori di lavoro privati. Ai lavoratori che svolgono attività socialmente utili viene erogato da parte dell’INPS un assegno mensile. Il legislatore prevede incentivi sottoforma di sostegno diretto con finanziamenti, misure creditizie, formazione .


La SOMMINISTRAZIONE DI LAVORO

Le leggi n. 264/49 e 1369/60 vietavano le attività che continuano o cominciano al di la del collocamento in quanto agli intermediari privati non si limitano a porre in contatto gli apiranti datori e lavoratori, ma assumono formalmente i lavoratori per farli operare alle reali dipendenze altrui. Questa è un’antica prassi datoriale, volta a liberare i datori dalla propria responsabilità giuridica ed economica nei confronti dei lavoratori direttamente occupati, scaricandola su altri soggetti, intermediari o interposti, si da poteresi assicurare manodopera aggiuntiva in maniera meno costosa e + flessibile. Questo è detto divieto di fornitura di mere pretazioni di lavoro o meglio divieto di MERCHANDAGE DU TRAVAIL o INTERPOSIZIONE.

Nel 97 il pacchetto Treu deroga al generale divieto di interpretazione e di intermediazione. Viene quindi introdotto il lavoro temporaneo tramite agenzia, comunemente detto INTERINALE. È un istituto intermedio tra servizi all’impiego, avviamento e selezione del personale, tipologia di lavoro alternativa al contratto a termine, ricca di divieti, vincoli e formalismi che denotano il timore comune a molti legislatori europei, di abusi o frodi a danno dei lavoratori. I lavoratori sindacali sono poco sindacalizzati. I questo tipo di rapporti i soggetti sono 3:

  1. agenzia fornitrice
  2. utilizzatore
  3. lavoratore

i contratti sono 2:

a) contratto di fornitura stipulato dall’agenzia con l’utilizzatore

b) contratto di lavoro subordinato stipulato dall’agenzia con il lavoratore.

Con la riforma Biagi il legislatore rimette mano a tutta la materia disciplinando in via generale la somministrazione di lavoro e prevedendo l’abrogazione sia della legge del 60 sia della legge del 97.

Il lavoro interinale dev’essere limitato ale categorie previste dal CCNL. Gli articoli dal 20 al 27 della riforma Biagi si occupa di questo.

I fenomeni interpositori sono la TRIANGOLAZIONE (vedi tabella) e il CONTRATTO D’APPALTO: si realizza quando l’appaltante chiede all’appaltatore il compimento di un’opera o di un servizio con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio. Perché vi sia un contratto d’appalto l’appaltatore sia un imprenditore genuino, cioè dotato di sufficiente autonomia organizzativa e gestionale. Nella riforma del 2003 si fa chiarezza tra i 2 fenomeni affini: la somministrazione e l’appalto, in particolare di servizi (LABOUR INTENSIVE) cioè quegli appalti in cui risulta prevalente l’apporto del fattore lavoro piuttosto che del fattore capitale. Sono un esempio i servizi di facchinaggio e pulizia e i servizi di programmazione o manutenzione di computers. In caso di appalti labour intensive si ricava la natura genuinamente imprenditoriale dell’attività anche solo dall’esercizio da parte dell’appaltatore dei poteri direttivo e organizzativo nei confronti dei lavoratori assunti dal medesimo ma inviati a lavorare presso il committente.

L’appalto ritenuto non genuino cioè privo ei requisiti di cui all’art 29 è punico con la stess sanzione penale della somministrazione non autorizzata.

Un altro strumento di uso lecito nello schema della triangolazione è il distacco: il dipendente di un datore viene dislocato presso un altro, con contestuale assoggettamento al comando ed al controllo di quest’ultimo. Occorre il consenso del lavoratore se la sede del distacco è a + di 50 km o quando nel distacco si modificano cambi di mansioni ma non in senso peggiorativo. Il distacco è quella somministrazione posta in esere temporaneamente da un datore di lavoro qualunque per soddisfare un proprio interesse. L’interese non dev’essere per forsa economico può esere ad esempio di formazione. I requisiti quindi sono la temporaneità e la non economicità dell’interesse.

La legge 196/97 prevede la fornitura di manodopera di cui può avvenire sia per mezzo di un contratto di somministrazione a tempo determinato, sia per mezzo di un contratto di somministrazione a tempo indeterminato che non è ancora molto praticata. La tecnica utilizzata è quella della CASISTICA TASSATIVA della somministrazione a tempo indeterminato dove c’è un rinvio alla contrattazione collettiva. Le legge determina le ragioni giustificative, ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo e sostitutivo, per la somministrazione a termine riferibili all’ordinaria attività dell’utilizzatore. Questo è il cd CLAUSOLONE.

Per il contratto di somministrazione sono previsti requisiti di FORMA per cui l’atto dev’essere scritto ab substantiam e di CONTENUTO, i c.d. elementi obbligatori: estremi dell’autorizzazione dell’agenzia, numero dei lavoratori da somministrare, rischi per la salute dei lavoratori data di inizio della somministrazione edurata. È possibile inserire delle clausole. Tutte le informazioni inerenti il contratto devono essere fornite dall’agenzia al lavoratore a pena di sanzioni amministrative. La somministrazione di lavoro è vietata in 3 casi:

  1. la sostituzione di lavoratori in sciopero
  2. per le unità produttive e le mansioni interessate, nei 6 mesi precedenti, da licenziamenti collettivi o da integrazioni salariali.
  3. da parte di imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi.

Accanto al contratto di somministrazione c’è il contratto di lavoro subordinato tra agenzia e lavoratore, privo di un necessario collegamento negoziale con il primo, può essere a tempo parziale o pieno, a tempo determinato e derogabile per atto scritto a tempo indeterminato con diritto del lavoratore per i periodi di non lavoro. Il lavoratore rientra nell’organico con un indennità di disponibilità di 350 €. I lavoratori somministrati guadagnano di + di un lavoratore normale.

I lavoratori somministrati risultano alle dirette dipendenze dell’agenzia, titolare del contratto dilavoro, essi svolgono la propria concreta attività lavorativa nell’interesse nonché sotto la direzione ed il controllo dell’utilizzatore. Sull’agenzia gravavano in favore dei lavoratori gli obblighi retributivi e contributivi, previdenziali e assistenziali. Le imprese ricorrono al lavoro interinale per un risparmio gestionale. I poteri tipici del datore quello direttivo e di controllo sono in capo all’agenzia. L’agenzia di somministrazione deve provvedere ad addestare i lavoratori e informarli sui rischi generali per la loro sicurezz e salute. Gravavano senz’altro sull’utilizzatore gli obblighi di sicurezza e protezione individuati dalla legge o dalla contrattazione collettiva. In definitiva si riscontra una maggiore libertà dell’utilizzatore di scegliere se avvalersi dei lavoratori somministrati da un’agenzia autorizzata o se procedere direttamente ad assunzioni.

Sono vietate le clausole di esclusiva dei lavoratori verso l’agenzia.

Le agenzie interinali devono avere forma di SPA e hanno a garanzia fideiussioni bancarie, occorre una certa dislocazione sul territorio. Gli amministratori non devono avere precedenti penali.

SANZIONI

SOMMINISTRAZIONE IRREGOLARE: mancanza di forma scritta o vizio nel contratto di somministrazione. Viene convertito il rapporto di lavoro in capo all’utilizzatore.

SOMMINISTRAZIONE FRAUDOLENTA: art28 rinvia all’art18 legge Biagi con sanzioni di tipo penale. Vengono rimborsati 50€ x lavoratore x ogni giorno di lavoro. Si aggirano norme inviolabili di legge ad esempio il soggetto che non è abilitato a gestire l’agenzia.

CAPITOLO 7

POTERI E DOVERI DEL DATORE DI LAVORO


I poteri sono poteri giuridici in senso proprio esercitabili in modo discrezionale per la tutela di un interesse proprio.

POTERE DIRETTIVO

Potere giuridico fondamentale del datore di lavoro, che mira a garantire l’esecuzione e la disciplina del lavoro in vista degli interessi sottesi al rapporto. La disciplina riguarda il potere di modificare le mansioni, potere punitvo ecc.. nell’esercizio del potere direttivo il datore deve tenere presenti alcuni principi come:

il divieto di discriminazione

il principio di parità dei sessi

l’uguaglianza formale e sostanziale

POTERE DI CONTROLLO

La disciplina statutaria assoggetta il potere di vigilanza del datore a limiti specifici. L’art 2 Stat.Lav. si riferisce alle GUARDIE GIURATE: personale di vigilanza con compiti di tutela del patrimonio aziendale e dotato di particolari privilegi connessi a tale funzione. L’art 3 invece impone la preventiva comunicazione ai lavoratori interessati dei nominativi e delle mansioni specifiche del personale di vigilanza sul lavoro. Questi vigilanti sono normalmente dei dipendenti. Queste due norme sono contro il controllo occulto. Questi 2 articoli non possono essere invocati quando il controllo riguarda CONDOTTE ILLECITE cioè mancanze specifiche dei dipendenti. Si è pertanto riconosciuta la piena legittimità di controlli clandestini compiuti con modalità, nonchè da soggetti diversi dalle guardie giurate e dal personale di vigilanza.

L’art 4 precisa i controlli esercitabili dal datore di lavoro stabilendo che essi non possono realizzarsi mediante impianti audiovisivi e altre apparecchiature atte a sorvegliare a distanza l’attività dei lavoratori. Controlli a distanza possono giustificarsi solo se richiesti da esigenze organizzative, produttive o attinenti alla sicurezza del lavoro, cosicché il controllo sul lavoro ne sia al più una conseguenza accidentale. È prevista una garanzia procedurale e in ultima istanza giudiziale. Le apparecchiature di controllo sono installabili solo previo accordo con tutte le RSA e RSU o in mancanza con la commissione interna.

L’art 6 riguada le visite personali di controllo sul lavoratore ovvero le perquisizioni personali. tale prassi è ammessa solo se indispensabile ai fini della tutela del patrimonio aziendale e a condizione che le visite siano svolte all’uscita dei luoghi di lavoro con sistemi di selezione automatica riferiti alla collettività o a gruppi di lavoratori. Una metodologia c.d. imparziale. Anche qui occorre l’accordo sindacale previa decisione della direzione del lavoro servizi ispettivi con possibile appello al ministero.

L’art 5 limitava il potere di controllo nei confronti del lavoratore assente per infermità. Vieta la prassi tradizionale dei controlli con medici di fabbrica e affida il controllo ai servizi ispettivi dell inail per gli infortuni e dell inps per le malattie. La visita fiscale dev’essere fatta da medici imparziali. Il terzo comma del suddetto articolo affida agli enti pubblici la valutazione della capacità di proseguire il rapporto di lavoro di un lavoratore.

L’art 8 vieta al datore di lavoro ai fini dell’assunzione e nel corso del rapporto, di effettuare indagini, anche tramite terzi, sulle opinioni politiche, religiose o sindacali del lavoratore nonché sui fatti non rilevanti ai fini della valutazione della attitudine professionale di questo. La norma garantisce in modo relativo la sfera privata del lavoratore con il limite dei fatti rilevanti ai fini dell’attitudine professionale. Sono stati infatti dichiarati illegittimi i test attitudinali. La materia è ricompressa nell’ambito della tutela della privacy l. n 675/96 sostituita poi dalle norme del TU 196/2003 del codive in materia di protezione dei dati personali. La disciplina riguarda solo i dati sensibili, che rivelano l’origine raziale le convinzioni religiose, lo stato di salute o la vita sessuale. Il trattamento dei dati comuni è ammesso solo con il consenso espresso dell’interessato. Infine i dati giudiziari, idonei a rivelare i provvedimenti giudiziari in materia di casellario giudiziale, devono ricevere un consenso scritto previa autorizzazione del garante.

POTERE DISCIPLINARE

Trova esistenza anche in ambiti non lavorativi. L’art 2106 c.c. stabilisce che l’inosservanza da parte del lavoratore degli obblighi previsti nei 2 articoli precedenti può dar luogo all’applicazione di sanzioni disciplinari, secondo la gravità dell’infrazione e in conformità delle norme corporative. Il potere disciplinare dunque è fondato sul contratto di lavoro.

Il potere disciplinare e i suoi connaturali limiti sostanziali vengono ricondotti alla funzione organizzatoria del contratto di lavoro. I limiti introdotti dallo statuto dei lavoratori spogliano il potere disciplinare di quell’immediatezza che nel codice lo caratterizzava come potere autocratico e lo assoggettano a forme di esercizio e di controllo dirette a garantire la posizione contrattuale del lavoratore.

Il presupposto sostanziale per l’applicazione di sanzioni è la sussistenza del fatto addebitato. Spetta al datore l’onere della prova. Sul lavoratore grava l’onere di provare l’eventuale riconducibilità del fatto addebitato ad una situazione di impossibilità non imputabile, secondo i principi generali in materia di responsabilità contrattuale. Vige il principio di proporzionalità tra infrazione e sanzione. Il potere disciplinare funziona da deterrente verso gli errori della comunità aziendale. Ad aggravare la sanzione è un’eventuale recidiva. L’art 7 st. lav. Stabilisce che non può tenersi conto ad alcun effetto delle sanzioni disciplinari decorsi 2 anni dalla loro applicazione.

L’art 7 stabilisce i requisiti procediemntali che sono i presupposti del potere disciplinare. La loro esistenza si traduce nell’inesistenza del potere e conseguentemente nella nullità della sanzione.

a) preesistenza del codice disciplinare aziendale.

b)  Il codice disciplinare dev’essere portato a conoscenza dei lavoratori mediante affissione in luogo accessibile a tutti

c)  A fondamentale garanzia del contraddittorio, il datore di lavoro non può irrogare la sanzione al lavoratore senza avergli preventivamente contestato l’addebito e senza averlo sentito a sua difesa. Il lavoratore potrà farsi assistere da un rappresentante dell’asociazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato. L’addebito deve essere contestato con immediatezza e con specificità.

Sotto il profilo della specificità la contestazione è ritenuta congrua allorché appare concretametne idonea a realizzare il risultato perseguito dalla norma, cioè a consentire una puntuale difesa da parte del lavoratore. La contestazione deve insomma individuare i fatti addebitati con sufficiente precisione. La recidiva deve esere contestata solo se concorre ad integrare l’infrazione.

Il datore di lavoro è tenuto a sentire oralmente il lavoratore se ne fa richiesta, ma può ricevere le sue eventuali giustificazioni scritte senza onere di invitarlo a svolgere difese orali. I provvediemnti disciplinari + gravi del rimprovero verbale non possono essere applicati prima che siano trascorsi 5 giorni della contestazione per iscritto del fatto che vi ha dato causa. Ci si chiede se è un termine tassativo o meramente dilatorio. Se il lavoratore si difende prima, il datore può applicare prima la sanzione. Il lavoratore può essere assistito da un rappresentante sindacale, solo su richiesta del lavoratore.

Si ragiona sempre con riguardo al licenziamento. L’orientamento è tuttora mutevole.

L’art.7 st.lav. non prevede alcun obbligo in capo al datore di motivare il provvediemento disciplinare in concreto adottato rispetto alle difese avanzate dal dipendente.

Qualora il codice disciplinare o il CCNL preveda l’obbligo del datore o di motivare la sanzione, la sua inosservanza comporterà la nullità del provvedimento disciplinare.

Sempre l’art 7 prevede che il lavoratore possa impugnare il provvedimento nell’ambito di procedure arbitrali eventualmente previste dal contratto collettivo ovvero promuovere, nei 20 giorni successivi la costituzione di un collegio di conciliazione ed arbitrato.

Il lavoratore può impugnare il provvedimento presso il giudice del lavoro. La prescrizione ha un termine di 10 anni. Il lavoratore può scegliere una clausola compromissoria che prevede l’arbitrato. In diritto del lavoro l’arbitrato è diffuso soprattutto in ambito dirigenziale.

La scelta dell’arbitrato è incentivata dal fatto che l’attivazione comporta la sospensione della sanzione. Si prevede la perdita di efficacia della sanzione laddove il datore di lavoro non provveda a nominare entro 10 giorni il proprio rappresentante in seno al collegio arbitrale.

Le 2 orme di giustizia sono alternative. L’arbitrato viene scelto perché la decisione è rapida, e x la sospensione della sanzione. Il datore può rifiutare l’arbitrato e rivolgersi al giudice del lavoro. Se rimane inerme la sanzione non ha efficacia. Il processo del lavoro è gratuito e non ci sono spese giudiziarie.

CAPITOLO 10

LA CESSAZIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO


IL LICENZIAMENTO INDIVIDUALE

Il rapporto di lavoro può cessare per:

recesso del datore di lavoro = LICENZIAMENTO

risoluzione consensuale

scadenza del termine nei contratti a tempo determinato

morte del lavoratore

impossibilità sopravvenuta della prestazione e la forza maggiore.

Nel codice civile il recesso considera le parti in maniera identica. Ex art 2118 ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto di lavoro a tempo indeterminato. L’unico vincolo per recedere è il PREAVVISO. La ratio è quella di consentire al datore in caso di dimissioni la tempestiva sostituzione del lavoratore e al lavoratore la ricerca di altra occupazione. Questo è il caso del c.d. LICENZIAMENTO IN TRONCO. L’obbligo di preavviso vine emeno in caso di licenziamento per giusta causa poiché ai sensi dell art 2119c.c. non consente la prosecuzione anche provvisoria del rapporto.

Per quanto riguarda le dimissioni per giusta causa, il lavoratore è esonerato dall’obbligo di preavviso e ha diritto all’INDENNITA’ SOSTITUTIVA DEL PREAVVISO, ovvero una retribuzione prevista per il preavviso lavorato. La durata del preavviso è rinviata alla contrattazione collettiva. Generalemente i CCNL individuano misure differenziate a seconda della categoria di appartenenza e dell’anzianità dei lavoratori.

L’art 2110 c.c prevede che il lavoratore in malattia non può essere licenziato fino alla cessazione dello stato morboso o alla scadenza del periodo di comporto. L’art 2109 impedisce invece le computabilità nelle ferie del periodo di preavviso.

La parte che recede può sostituire il periodo di preavviso con la relativa indennità pari alla retribuzione che sarebbe spettata in ipotesi di preavviso lavorato. Il calcolo dell’indennità di preavviso è demandata alla contrattazione collettiva.

La mera sostituzione del preavviso con la indennità non è però idonea a produrre l’anticipata risoluzione del rapporto, il quale resta giuridicamente attivo fino al termine del periodo di preavviso. L’entità del preavviso dipende dall’anzianità di servizio. È lecito uno specifico accordo mediante il quale datore e lavoratore prevedano la risoluzione immediata del rapporto, precludendo istantaneamente la maturazione di ulteriori vantaggi economici e normativi. La mera accettazione della indennità sostitutiva del preavviso e del TFR non concretizza alcun comportamento concludente in tal senso.

Dirigenti e collaboratori domestici possono essere licenziati senza giustificazioni per la rottura del rapporto fiduciario. Lavoratori in prova e sportivi professionisti possono essere licenziati ab mutum.

Un accordo interconfederale del 1947 introdusse alcune limitazioni al potere di licenziamento nel settore dll’industria. L’accordo fu poi sostituito con 2 accordi del 1950, uno per i licenziamenti individuali e uno per le riduzioni collettive di personale, a loro volta rimpiazzati da 2 accordi del 1965.

La l604 del 1966 prevede che è necessaria una giustificazione del licenziamento. Per la giusta causa fa rinvio all’art 2119c.c.

La legge del 66 canonizzò il principio della giustificazione obiettiva del potere di recesso, dichiarando illegittimo il licenziamento non sorretto da giusta causa o da giustificato motivo e attribuisce un rilievo giuridico al profilo causale di un potere che era ritenuto sostanzialemente insindacabile e svincolato da oneri causali.

L art 5 della l 604 pose l’onere della prova della giusta causa o del giustificato motivo a carico del datore di lavoro, chiamato cos a supportare anche sul piano probatorio la legittimità del recesso. Per il licenziamento non assistito da giusta causa, viene previsto un regime sanzionatorio che vede la riassunzione del lavoratore o amento di una penale risarcitoria ragguagliata ad un numero di mensilità di retribuzione che variano entro i limiti predefiniti a seconda delle diemensioni dell’impresa, dell’anzianità di servizio, del comportamento e delle condizioni delle parti.

In base all’art 18 dello statuto dei lavoratori, quando il giudice ritenga il licenziamento non assistito da giusta causa o da giustificato motivo, dee orinare la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro senza alcuna possibilità alternativa di tipo risarcitorio ovvero senza alcuna possibilità di monetizzare la stabilità dl rapporto. Oltre alla reintegrazione il giudice condanna il datore al risarcimento del danno subito.

La giusta causa è quella che non consente la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto. La giusta causa è un gravissimo inadempimento degli obblighi contrattuali, ma anche in qualsiasi altra circostanza o situazione esterna al rapporto di lavoro, verificatasi nella sfera del lavoratore ed idonea a ledere il vincolo di fiducia tra le parti. La fiducia è considerata sui futuri e corretti adempimenti del rapporto di lavoro. La valutazione della giusta causa dipende dalla gravità della mancanza commessa e il giudizio viene dato con criterio di sussidiarietà, per effetto del quale il recesso per giusta causa viene legittimato solo nelle ipotesi in cui il licenziamento per giustificato motivo soggettivo o le minori sanzioni disciplinari risultino inadeguate.

Nel caso delle organizzazioni di tendenza il concetto tipico di giusta causa viene reso sino a ricomprendere financo situazioni di incompatibilità personale rispetto agli scopi o all’ideologia dell’organizzazione.

La giusta causa consiste in un fatto di tale gravità d imporre l’immediata estromissione del lavoratore, mentre resta ininfluente l’effettivo pregiudizio o danno subito dal datore.

La pendenza di un procedimento penale a carico del lavoratore non rappresenta di per se una giusta causa.

L’orientamento prevalente ammetteva la conversione del licenziamento intimato per giusta causa, poi considera insussistente, in licenziamento ad nutum con amento della indennità sostitutiva del preavviso.

Il GIUSTIFICATO MOTIVO può essere OGETTIVO o SOGGETTIVO. Il giustificato motivo SOGGETTIVO riguarda un inadempiemento degli obblighi contrattuali di lavoro. La definizione è data nell’art3 l.604/66 legittima il licenziamento con preavviso. Per chi ritiene che il concetto di giusta causa identifichi solo un inadempimento contrattuale. La differenza con il giustificato motico è solo di tipo quantitativa. Il giustificato motivo è di minore gravità. Chi sostiene che la giusta causa abbracci anke i comportamenti contrattuali che ledono la fiducia nei futuri adempimenti, trova una differenza di tipo qualitativa; qui la giusta causa comprende anche un giustificato motivo aggravato, oltre a comportamenti estranei a un inadempimento attuale. Per quanto riguarda la valutazione della notevolezza dell’inadempimento, questa spetta al giudice. Il grado di notevolezza è individuato nel grado di colpa del lavoratore e non nell’utilità del datore compromessa dall’inadempimento. Nella definizione del giustificato motivo soggettivo manca l’interesse dell’altra parte, che ai fini della risoluzione contrattuale viene valorizzato come esclusivo punto di riferimento valutativo dell’interesse del creditore.

In ogni caso ampia è la discrezionalità del giudice nel classificare un determinato inadempimento come giusta causa di licenziamento o come giustificato motivo soggettivo. Il legislatore ha espressamente escluso la conurabilità di un giustificato motivo di licenziamento nel caso di rifiuto del lavoratore di trasformare il proprio rapporto da tempo pieno a tempo parziale. Inoltre l’effettuazione di prestazioni di lavoro supplementare richiede il consenso del lavoratore interessato ove nn prevista e regolamentata DAL ccnl e che l’eventuale rifiuto dllo stesso non integra gli estremi del giustificato motivo del licenziamento.

Il giustificato motivo OGGETTIVO invece riguarda le ragioni di carattere aziendali. Si tratta dei c.d. LICENZIAMENTI TECNOLOGICI, quando il dipendente viene sostituito dalle macchine.  Per attuare questo tipo di motivo ci sono 2 condizioni:

a) l’effettività delle esigenze aziendali

b)  un preciso nesso di causalità tra tali esigenze e il licenziamento.

Il giudice deve accertare l’effettiva soppressione di una posizione lavorativa all’interno dell’azienda. Le scelte di gestione però non sono sindacabili dal giudice che deve limitarsi a accertarne la sola effettiva realizzazione e consistenza. Non può valutare la convenienza economica.

Il licenziamento è assistito da un giustificato motivo oggettivo solo quando il lavoratore non può essere utilizzato du posizioni di lavoro alternative.

Il LICENZIAMENTO DISCRIMINATORIO è un tipo di lic dal motivo illecito, determinato da ragioni di credo politico o fede religiosa, dall’appartenenza a un sindacao e dalla partecipazione ad attività sindacali. Esso è nullo indipendentemente dalla motivazione addotta ed è vietato anche per i dirigenti. Eccezione a questa regola è per le ORGANIZZAZIONI DI TENDENZA che hanno una connotazione ideologica tale per cui è ammesso il licenziamento per discriminazione di idee ed è ammessa anche l’indagine su queste. Non si applica quindi l’art 18 il datore può riassumere il lavoratore o indennizzarlo con una penale.

Il potere di licenziare è limitato in alcuni casi come:

malattia

infortunio

gravidanza e puerperio

servizio militare

tutti casi in cui c’è una sopravvenuta impossibilità allo svolgimento della prestazione. Il licenziamento intimato nel corso del periodo di comporto è considerato INEFFICACE e riprenderà efficacia al termine dell’evento protetto. Nel caso di protrazione dell’impossibilità il datore può recedere dal rapporto allegando il mero superamento del periodo di comporto che oreperebbe in sostanza, come un giustificato motivo obiettivo predeterminato. Irrecedibilità si ha nei periodi prima e dopo il matrimonio della lavoratrice e nei casi dei periodi di maternità o paternità.

Il divieto non si applica nei casi di:

colpa grave che costituisce giusta causa per la risoluzione

cessazione dell’attività aziendale

esito negativo della prova

la presenza dei requisiti sostanziali è condizione necessaria ma non sufficiente per poter conurare il licenziamento come legittimo.

Il licenziamento dec’essere comunicato per iscritto al lavoratore mentre non è necessaria l’indicazione dei motivi i quali possono essere richiesti dal lavoratore entro 15 giorni dalla comunicazione. Solo epr i lavoratori domestici, gli ultrasessantenni con requisiti penisionistici, per i lavoratori in prova permane un principio di libertà delle forme.

Il licenziamento produce effetto dal momento in cui perviene a conoscenza del lavoratore e ciò rileva a vari fini come ad esempio la decadenza x l’impugnazione.

L’onere della forma scritta è rispettato anche nel caso in cui il datore offra in consegna la lettera di licenziamento al dipendente che rifiuti di riceverla.l’atto si reputa conosciuto al momento in cui giunge all’indirizzo del destinatario salva prova di impossibilità incolpevole.

Il licenziamento che non rispetta i requisiti di forma segue la stessa disciplina del licenziamento senza giusta causa o giustificato motivo. Se c’è un vizio di forma il licenziamento può essere rinnovato osservando le modalità prescritte e la cessazione del rapporto di produce solo al momento della rinnovazione.

Il licenziamento DISCIPLINARE è quello volto a sanzionare un comportamento colposo o manchevole del lavoratore non collegato con esigenze produttive dell’azienda. Le sanzioni disciplinari non devono mai riguardare elementi sostanziali del rapporto di lavoro. Questo tipo di licenz è espressione del potere disciplinare del datore. Non bastano la mera comunicazione del licenziamento e l’eventuale successiva specificazione ei motivi, occorre rispettare gli oneri procedurali ex art 7 st.lav. la procedura prevede:

a) la preventiva affissione del codice disciplinare in luogo accessibile ai lavoratori

b)  la contestazione per iscritto degli addebiti mossi al lavoratore

c)  la concessione di un termine per presentare le giustificazioni

d) la previsione di una pausa di riflessione (5 giorni)

il licenziamento disciplinare richiede diverse garanzie procedurali previste dall’art 7 dello statuto dei lavoratori. Prima questo tipo di licenziamento doveva essere previsto dai CCNL.

La crte costituzionale prevede che i primi 3 commi del detto articolo devono applicarsi a tutti i licenziamenti disciplinari. Secondo la Corte di Cassazione puntualizza che il licenziamento è disciplinare quando è correlato ad un comportamento imputabile a titolo di colpa al lavoratore (inadempimento), essendo irrilevante la sua espilicita previsione e qualificazione in termini disciplinari nella specifica disciplina del rapporto. Secondo un’impostazione ONTOLOGICA il licenziamento disciplinare copre per intero l’area del licenziamento per giustificato motivo soggettivo e quasi totalmente quella del licenziamento per giusta causa.

La mancata affissione del codice disciplinare o l’omessa previsione di una specifica infrazione non inificiano la legittimità del licenziamento quando i fatti addebitati al dipendente conurino illeciti penali o gravi violazioni di doveri fondamentali del lavoratore.

Si ritiene che il licenziamento debba essere intimato in stretta correlazione temporale con il verificarsi dei fatti che giustificano la cessazione del rapporto.

Anche con riguardo ai licenziamenti disciplinari si distinguono i datori di lavoro che rientrano nel campo di applicazione dell’art 18 da quelli (di minori dimensioni) che rientrano nello spazio operativo della l. 604/66 e infine dalle situazioni in cui vige un regime di recedibilità ad nutum. La corte costituzionale come la cassazione hanno ritenuto applicabile il regime sanzionatorio dell’art 18.

Il licenziamento disciplinare che ha vizi di procedura non è nullo ma produce effetti del licenziamento illegittimo. L’area della libera recedibilità rientra solo nell’area del recesso ad nutum.

L’art 6 della l. 604/66 stabilisce che il licenziamento deve essere impugnato a pena di decadenza entro 60 giorni dalla ricezione della sua comunicazione. In caso di licenziamento con preavviso la decorrenza avviene già durante il periodo di preavviso. La ecadenza è ritenuta applicabile non solo al licenziamento ingiustificato, ma anche a quello nullo in qanto discriminatorio nonché al licenziamento disciplinare viziato per mancato rispetto del procedimento previsto dall’art7 st.lav.

Solamente la comunicazione al datore di lavoro della richiesta del tentativo obbligatorio di conciliazione sospende il decorso di ogni termine di decadenza per la durata di tale tentativo e per i 20 giorni successivi alla sua conclusione.

L’impugnazione può essere extragiudiziale l’atto mediante il quale il lavoratore a prescindere da formule sacramentali manifesta al datore la volontà di contestare la legittimità del recesso. Si evita la decadenza e da qui parte la prescrizione di 10 anni.

Con l’impgnativa giudiziale c’è il deposito del ricorso in cancelleria nei termini previsti dal citato art 6.

La notifica del ricorso al datore di lavoro deve avvenire entro i 60 giorni dalla comunicazione del licenziamento. L’impugnativa è legittimata attraverso i sindacati.

L’art 5 prevede un tentativo di conciliazione stragiudiziale obbligatorio da parte del lavoratore. In mancanza del tentativo di conciliazione il giudice nella prima udienza, sospende la controversia e fissa un termine di 60 giorni per consentire un altro tentativo. Il processo va riassunto nel termine perentorio di 180 giorni che decorre dalla richiesta di conciliazione.

L’onere della prova della sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo di licenziamento spetta al datore di lavoro. Questo si dice ONERE DELLA PROVA INVERSO.

L’onere della prova è stato dato in capo al datore anche per quanto riguarda le informazioni sul numero di dipendenti, la presenza di un patto di prova ecc . fino al gennaio 2006 quest’onere era del lavoratore.

Il licenziamento dell’invalido è tutelato sia dalla legge 604/66 sia dall’art 18 st.lav.

Nel momento in cui parliamo di tutela siamo già in presenza di una sentenza di illegittimità del licenziamento.

Secondo l’art 8 della l 604/66 dall’annullamento del licenziamento senza iusta causa deriva un’obbligazione altrrativa x cui il datore è tenuto a riassumere il lavoratore entro il termine di 3 giorni o risarcire il danno versandogli un’indennità che va da un minimo di 2.5 a un massimo di 6 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto. Questa è la c.d. TUTELA OBBLIGATORIA. Ciò avviene in base alle dimensioni dell’impresa, all’anzianità di servizio del lavoratore e alle condizioni delle parti. La misura massima dell’indennità è di 14 mesi per il lavoratore con anzianità superiore ai 20 anni. Il licenziamento fa sorgere un’obbligazione di ricostruzione ex novo del rapporto nel momento in cui il lavoratore viene riassunto. Questa è una forma di tutela debole perché lasciata nella discrezione del datore di lavoro.

La TUTELA REALE invece è una tutela forte contro il licenziamento illegittimo. Il regime sanzionatorio è delineato dall’art 18 st lav.questa prevede:

a) la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro: non c’è soluzione di continuità e nessuno può obbligare il datore a reintegrare il lavoratore poiché sarebbe un obbligo di fare infungibile. Fino a quando il lavorato re non viene reintegrato il datore dovrà cmq are le retribuzioni. Questo non costituisce ancora il risarcimento del danno. Se il lavoratore non riprende servizio entro 30 giorni dall’invito rivolto dal datore, il rapporto di lavoro si intende risolto allo spirare dei 30 giorni salvo giustificato motivo di assenza. La reintegrazione deve avvenire nello stesso posto occupato al momento del licenziamento. Nulla impedisce il trasferimento sempre nel rispetto dell’art 2103 c.c.

b)  il risarcimento del danno al lavoratore: stabilito nell’ordine della retribuzione globale dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione. Inoltre rientra anche il versamento dei contributi maturati e il risarcimento del danno per il periodo intercorrente tra il licenziamento e la sentenza di reintegra. La misura del risarcimento è inderogabilmente vincolata alla retribuzione non percepita dal lavoratore licenziato. Si applica il criterio della RETRIBUZIONE GLOBALE DI FATTO ovvero quanto il lavoratore avrebbe effettivamente e continuativamente percepito nel periodo considerato. Le eventuali variazioni in meglio per il datore vengono dette aliunde perceptum e sono le retribuzioni percepite dal lavoratore durante il periodo di risoluzione che vengono sottratte al danno da risarcire.

Quando il lavoratore rinuncia alla reintegrazione ha la facoltà di chiedere al datore in sotituzione di questa una indennità pari a 15 mensilità di retribuzione globale di fatto.

Allo stato l’art 18 st.lav. si applica a ogni datore di lavoro, imprenditore e non, che:

a) occupa nella unità produttiva ove ha avuto luogo il licenziamento + di 15 dipendenti

b)  occupa nell’ambito dello stesso comune + di 15 dipendenti

c)  occupa complessivamente + di 60 dipendenti.

Al di sotto di questa soglia vale la tutela dell’art 8. per le aziende agricole il numero dei dipendenti si abbassa a 5.

Il criterio di computo dei dipendenti si effettua senza contare i contratti di somministrazione, gli apprendisti e contando come “metà operaio” un lavoratore part time.

Ove non sia applica l’art 18 st.lav., perché nn ricorre nessuna condizione indicata, si applica la legge 604/66 e la sua alternativa sanzionatoria.

Il regime di stabilità obbligatoria si applica a prescindere dalla consistenza occupazionale, nei confronti dei datori di lavoro non imprenditori che svolgono senza fine di lucro attività di natura politica, sindacale, culturale .

Per quanto riguarda le organizzazioni di tendenza esse tollerano la prosecuzione coatta della collaborazione con un lavoratore sgradito o comunque non allineato all’ispirazione politica.

L’area del LICENZIAMENTO LIBERO è stata ridotta al minimo.

Rimane per i dirigenti, caso in cui deve comunque sussistere una conseguenza logica. Sono tutelati contro i licenziamenti discriminatori e il datore è tenuto all’obbligo del licenziamento il forma scritta.

La contrattazione collettiva di alcuni settori ha inoltre riconosciuto ai dirigenti la possibilità di ricorrere ad un collegio di conciliazione e di arbitrato per l’accertamento della giustificatezza o meno del licenziamento. Il collegio ha facoltà di condannare il datore al amento dell’indennità supplementare, di natura risarcitoria, il cui quantum oscilla tra un minimo ed un massimo predeterminato di mensilità di retribuzione.

A questa distinzione si è uniformata la prevalente giurisprudenza ritenendo che soltanto nei confronti dei dirigenti apicali possono trovare applicazione le garanzie procediemntali sul licenziamento disciplinare di cui all’art 7 st.lav., applicandosi incece nei confronti dello pseudo - dirigente o dirigente meramente convenzionale.

Ai sensi dell’art 10 l 604/66 la disciplina vincolistica dei licenziamenti non si applica in favore dei lavoratori assunti in prova. Tale tutela riprende vigore quando sono decorsi 6 mesi dall’inizio del rapporto di lavoro. Il licenziamento nel periodo di prova può essere contestato in via giudiziale quando risulti che non è stata consentita, per la inadeguatezza della durata della prova o per altri motivi illeciti.

Sono sottratti dalla normativa in esame

i lavoratori con contratto a termine

gli atleti professionisti

gli apprendisti durante l’apprendistato

sono privi delle garanzie dell’art 18 st.lav. e dalla l 604/66 i lavoratori ultrasessantenni in possesso dei requisiti pensionistici, sempre che non abbino optato per la prosecuzione del rapporto di lavoro.




I LICENZIAMENTI COLLETTIVI

Il licenziamento collettivo è disciplinato dalla l. 223/91. prima erano regolati da 2 accordi interconfederali. Il licenziamento collettivo è connesso allo strumento della Cassa integrazione guadagni (ammortizzatore sociale). Il licenziamento collettivo seguito da mobilità diviene lo strumento con cui risolvere i problemi di eccedenza definitiva di personale attraverso una intelligente ed assistita getione extra – aziendale, della forza lavoro esuberante.

La 223/91 interviene su un sistema vecchio che prevedeva un’intervento importante della cassa integrazione. Il suo uso era stato distorto percjè si applicava anche a imprese che non potevano riprendersi. La nuova legge straordinarizza la cassa integrazione.

La l. 223/91 contempla 2 fattispecie di licenziamento collettivo:

per riduzione del personale: serve che l’azienda abbia un organico minimo di 15 dipendenti che intenda licenziare almeno 5 lavoratori nella provincia o in arco temporale di 20 giorni. Il numero dei lavoratori può anche diminutire e il licenziamento rimane sempre collettivo se all’inizio se ne volevano licenziare alemeno 5. Facciamo notare che non si tratta di unità produttive. La causa della dismissione dev’essere unitaria e riconducibile a una RIDUZIONE O TRASFORMAZIOEN DI ATTIVITA’ DI IMPRESA. Fanno licenziamento collettivo anche 2 licenziamenti + 2 dimissioni + un mutuo consenso per la stessa ragione.

Il giudice valuta la legittimità del licenziamento e non può sindacare la scelta né dare alternative. Il compito del giudice è quello di:

accertare la sussistenza del presupposto causale

verificare il nesso tra il ridimensionamento e i singoli provvedimenti di recesso.

Valutare la correttezza procedurale dell’operazione

per messa in mobilità: l’imprenditore con + di 15 dipendenti può avviare il procedimento di messa in mobilità alla fine di un periodo di CIG straordinaria, e ritenga dinon essere in grado di reimpiegare tutti i lavoratori sospesi e di non poter ricorrere a misure alternative. Deriva quindi da una situazione oggettiva e anche un unico licenziamento dopo la CIG diventa licenziamento collettivo. È importante trovare una soluzione che comporti meno disagio possibile.

La procedura è prevista dagli artt 4 e 5 223/91. questa impone all’imprenditore l’bbligo di comunicare preventivamente e per iscritto alle RSA e RSU ed alle associazioni di categoria aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative i motivi tecnici ed organizzativ che determinano la necessità di ridurre il personale. Il datore ha l’obbligo di comunicare:

n dei lavoratori

qualifiche

motivi

conseguenze

misure per far fronte al licenziamento collettivo

per ogni lavoratore il datore deve versare una somma a titolo di anticipo sul TRATTAMENTO DI MOBILITA’. Si effettua con un versamento all’inps ed è un costo per l’impresa.

La prima fase di questa procedura è una fase SINDACALE che ha luogo per iniziativa del sindacato entro 7 giorni dalla data di ricevimento della comunicazione e deve svolgersi entro 45 giorni. È un libero confronto tra l’imprenditore e il sindacato finalizzato a ricercare un accordo che risolva in tutto o in parte il problema delle eccedente- il datore di lavoro ha l’onere di buona fede verso il lavoratore.

Il legislatore non si è spinto al di la dell’obniettivo di incentivare il dialogo con finalità conciliative, visto che l’imprenditore resta libero di non accettare le proposte sindacali e il sindacato può fare altrettanto. L’imprenditore è incentivato a concludere l’accordo dal momento che in questo caso beneficia di una consistente decurtazione dei costi del licenziamento. È prevista altresì l’ipotesi in cui un recesso possa essere evitato spostando il lavoratore a mansioni anche non equivalenti a quelle di provenienza.

Dopo questa fase si conurano 2 situazioni:

se si raggiunge l’intesa viene formalizzata in un accordo

se la procedura è risultata infruttuosa c’è una nuova fase conciliativa in sede amministrativa. L’organo amministrativo ha numerosi dati per la ricollocazione dei lavoratori.

Qui non ci sono ancora i nomi dei lavoratori. L’intera procedura non può avere durata superiore a 7 giorni. Il datore ha facoltà di individuare i lavoratori utilizzando appositi criteri in concorso tra loro posti in CCNL o stabiliti in via sussidiaria nella l 223/91 che sono:

esigenze tecnico – produttive

carichi di famiglia

anzianità contributiva

in base alle esigenze dell’impresa si darà + valore a un criterio piuttosto che ad un altro. Tutto deve avvenire con buona fede e trasparenza.

Anche in questo tipo di licenziamento occorre la forma scritta. Se il rapporto cessa immediatamente verrà corrisposta l’indennità d preavviso. L’atto di recesso permette l’iscrizione del lavoratore nelle liste di mobilità con dovuta informazione alle autorità pubbliche e sindacali da parte del datore.

I lavoratori nelle liste di mobilità hanno diritto a:

a) sostegno al reddito: indennità di mobilità al massimo per 2 anni

b) ricollocazione: la regione crea corsi professionali d seguire per non perdere i benefici.

Il licenziamento collettivo è VIZIATO quando sia intimato:

senza l’osservanza delle forme previste (forma scritta),

non siano state osservate le procedure

non corretta applicazione dei criteri di scelta: manca il requisito della motivazione del licenziamento.

Se il giudice dichiara illegittimo il licenziamento ne dichiara:

INEFFICACIA: se c’è difetto di forma o mancato rispetto della procedura

ANNULLABILITA’: per violazione dei criteri di scelta

In ambo i casi si ordina la REINTEGRA ex art 18 st.lav.

Esiste però un correttivo per cui il datore ha la facoltà di intimare il licenziamento ad un altro lavoratore facendo un corretto uso ei criteri di scelta, con l’unico onere aggiuntivo di una comunicazione preventiva alle rappresentanze sindacali aziendali.


Il TFR: trattaemento di fine rapporto è un’indennità che spetta al lavoratore in ogni caso di cessazione del rapporto di lavoro. La disciplina è dettata dalla l 297/82. prima si chiamava indennità di anzianità. Veniva corrisposto sempre tranne in caso di licenziamento.

La vecchia indennità veniva calcolata con una moltiplicazione dell’ultima retribuzione per un coefficiente proporzionale alla durata del rapporto. Per ciascun anno di servizio si isolava una quota pari alla complessiva retribuzione annuale divisa per 13,5. nella nuova disciplina acquista un carattere previdenziale da corrispondere anche in caso di licenziamento.

il CCNL può agire solo sul dividendo stabilendo cosa rientra e cosa no.

Una delle novità è l’equiparazione del trattamento epr impiegati ed operai, annullando gli svantaggi che quest’ultima categoria poteva ancora registrare a livello di contrattazione collettiva.

Le quote della retribuzione annuale devono essere rivalutate ogni anno con l’applicazione di un tasso dell’1,5% in misura fissa e dal 75% dell’aumento dell’indice dei prezzi al consumo accertato dall’Istat. Il nuovo sistema di computo del TFR concerne solo le anzianità di lavoro maturate dopo il 31 maggio 1982.

Il lavoratore con almeno 8 anni di servizio presso lo stesso datore può ottenere un’anticipazione del TFR non superiore al 70% del trattamento maturato. Ci sono però precisi vincoli per la domanda di anticipazione:

spese sanitarie per terapie

acquisto della prima casa di abitazione per se o li

spese durante i periodi di formazione

astensioni da lavoro dei genitori dei primi 8 anni del bambino.

Anche il limite dei beneficiari.

Viene previsto un fondo di garanzia alimentato da contributi datoriali e destinato a sostituire il datore di lavoro nell’erogazione del TFR in alcuni casi di insolvenza o inadempimento. Il fondo interviene in caso di:

a) fallimento

b)  concordato preventivo

c)  liquidazione coatta

d) amministrazione straordinaria.

2004= RIFORMA MARONI: mira a facilitare l’afflusso del TFR ai fondi pensionistici complementari. Non vien prevista una forma di conferimento ma un silenzio assenso. La volontà del lavoratore a non aderire al fondo pensione dev’essere espressa entro 6 mesi dall’entrata in vigore del relativo decreto legislativo.




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