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LO SVILUPPO BIPOLARE DELLA FORMA DI GOVERNO ITALIANA

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'LO SVILUPPO BIPOLARE DELLA FORMA DI GOVERNO ITALIANA'




CAPITOLO I


L'elezione di Carlo Azeglio Ciampi alla Presidenza della Repubblica.


L'offerta di dimissioni del Presidente Scalfaro e la convocazione del Parlamento in seduta comune.




La primavera del 1999 contava numerosi appuntamenti di grande rilievo politico e istituzionale: il 18 aprile il referendum in materia elettorale, il 13 giugno le elezioni europee e quelle amministrative, il 28 maggio scadeva il settennato della presidenza Scalfaro. L'elezione del capo dallo Stato si sarebbe quindi sovrapposta alla camna elettorale per il rinnovo del Parlamento europeo e di molte amministrazioni locali: il 13 marzo 1999 il capo dello Stato si dichiarava disponibile ad anticipare la fine del proprio mandato per evitare la sovrapposizione di scadenze istituzionali, ma l'intervento della NATO nei Balcani costrinse il Presidente a restare in carica fino alla scadenza naturale del mandato.


La candidatura di Emma Bonino.


Nel marzo 1999 il Commissario europeo Emma Bonino annunciava di accettare la candidatura per il Quirinale. La candidatura della Bonino veniva sostenuta da un vero e proprio comitato elettorale all'americana, tramite la raccolta di firme a sostegno della candidatura; inoltre di tale candidatura se ne denunciava l'estraneità al sistema costituzionale, che non prevede la presentazione di candidature, né camne elettorali nel Paese, essendo l'elezione del Presidente attribuita ex art. 83 Cost., al Parlamento in seduta comune nella sua composizione allargata ai delegati regionali.


L'orientamento delle forze politiche.


In ordine alle 'candidature' per il Colle, la maggioranza di governo dimostrava scarsa compattezza; inoltre, una parte della maggioranza di governo reputava necessario un accordo con l'opposizione, l'altra no.

I Democratici di Sinistra, per l'elezione del nuovo Capo dello Stato, puntavano sul Ministro del Tesoro Ciampi (è un uomo del bipolarismo, non un uomo dei partiti, non è nemmeno un parlamentare, è un laico in politica): il Presidente del Consiglio, pur autorevole esponente dello stesso partito, voleva evitare che le vicende relative alla scelta del candidato del centrosinistra per il Quirinale potessero alterare il rapporto con il Partito Popolare Italiano, cosa che avrebbe potuto produrre ripercussioni negative sul Governo. Infatti il PPI dimostrava aperta ostilità rispetto alle candidature estranee al partito ed era quindi contrario all'elezione di Ciampi. Inoltre i partiti minori della coalizione sembravano mal sopportare l'asse PPI-DS, che li emarginava dalle trattative. Il centrodestra chiedeva alla maggioranza di concordare un nome con l'opposizione.


La grande intesa tra il centrosinistra e il Polo delle Libertà per l'elezione del Capo dello Stato.


Ai primi di maggio, la scelta della maggioranza, da sottoporre all'attenzione dell'opposizione, sembrava restringersi a due nomi: Carlo Azeglio Ciampi (sostenuto dai DS) e Rosa Russo Jervolino (sostenuta dal PPI del quale era esponente). Come notiamo, il centrosinistra non era in grado di decidere in modo definitivo.

Al fine di dirimere la controversia che lacerava maggioranza, il 12 maggio 1999 si svolgeva un vertice dei leader e dei capigruppo del centrosinistra alla presenza del Presidente del Consiglio dei Ministri: la riunione si concludeva, dando mandato a D'Alema di sondare se le opposizioni fossero disponibili a votare per il Ministro Ciampi al primo scrutinio; in caso contrario la maggioranza avrebbe eletto con i suoi soli voti la Jervolino. Il Polo accettava l'offerta della candidatura di Ciampi. Il 13 maggio 1999 Ciampi viene eletto presidente della Repubblica dal Parlamento in seduta comune e nel proprio messaggio al Parlamento prendeva posizione sulla guerra nei Balcani affermando che 'l'aggressione contro gli innocenti, l'estirpazione dei popoli dalla loro terra natale hanno riportato in Europa l'odio razziale. È contro questo odio che si è determinata l'inevitabilità del ricorso le armi'.



CAPITOLO II


L'azione del primo governo D'Alema.


L'appuntamento elettorale del 13 giugno 1999.


Per il 13 giugno 1999 erano fissate le elezioni europee e quelle per il rinnovo di numerose amministrazioni locali e le tensioni nella maggioranza erano acuite da una crescente polemica tra i DS ed il Presidente del Consiglio, da un lato, ed il PPI, dall'altro. Quest'ultimo accusava i DS di volontà egemonica sulla coalizione e il Premier di inaffidabilità per come aveva gestito l'elezione del Presidente della Repubblica. Tale clima produceva il diffondersi negli ambienti politici di voci che ritenevano assai probabile un rimpasto di governo all'indomani delle elezioni europee. Non che nel centrodestra le acque fossero più tranquille: la camna elettorale era dominata da una polemica crescente tra l'Elefantino ( AN-Patto Segni) e Forza Italia, in ordine alla guida della coalizione e alla linea politica (in particolare, il presidente di FI Berlusconi, relativamente alle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo, invitava gli elettori a non votare per quelle liste che non facevano parte delle due grandi famiglie politiche europee, quella socialista e quella popolare, con ciò escludendo anche AN, suo principale alleato). Il presidente di AN chiedeva che il candidato Premier del Polo venisse scelto tramite primarie, mettendo implicitamente in discussione la leadership di Berlusconi nell'alleanza. Il presidente di Forza Italia avrebbe poi precisato che le elezioni europee avrebbero chiarito 'le posizioni dei vari partiti del Polo e i loro rapporti di forza in termini elettorali' (Berlusconi: 'il voto dirà chi comanda nel Polo').

Il leader di FI Berlusconi chiedeva, tra l'altro, che il presidente del Consiglio presentasse le dimissioni del proprio Governo, qualora la sua maggioranza fosse risultata perdente alle europee. Il 13 giugno si svolgevano finalmente le elezioni europee: la maggioranza di centrosinistra otteneva complessivamente il 41,2%, i partiti del Polo il 38,1%: Forza Italia si affermava come primo partito, vincendo ampiamente la sfida interna con AN; il Presidente del Consiglio commentava soddisfatto i risultati del voto, assicurando che non vi sarebbero state ripercussioni sul Governo ed escludendo un rimpasto.

Quanto alle elezioni provinciali e comunali: sedici province al centrodestra e sedici al centrosinistra; quattro comuni al centrodestra e cinque al centrosinistra. Ma il risultato più eclatante, al punto da imporre, secondo alcuni esponenti del centrodestra, le dimissioni del Presidente del Consiglio, era quello di Bologna, città da sempre considerata 'rossa ': Giorgio Guazzaloca prevaleva con il 50,6% sulla candidatura del centrosinistra Silvia Bartolini. In questo frangente, vi furono notevoli cambiamenti nella struttura (comine ministeriale) del I Governo D'Alema.


I provvedimenti approvati nel periodo di permanenza in carica del Governo.


Nella primavera del 1999 veniva provata la riforma del finanziamento pubblico ai partiti e quella della legge elettorale per le Province e per i Comuni. Rispetto a quest'ultima, le novità introdotte dalla legge 30 aprile 1999 n. 120 sono le seguenti: la durata dei Consigli e delle Giunte comunali e provinciali torna ad essere di cinque anni; viene introdotto un premio di maggioranza per le liste collegate al Sindaco (o per i gruppi collegati al Presidente della Provincia), eletto al primo turno, a condizione che abbiano riportato almeno il 40% dei voti validi e che nessun altra lista o raggruppamento di liste abbia ottenuto più del 50%; viene introdotto uno sbarramento del 3% dei voti validi per le liste (o raggruppamenti di liste collegate) per l'accesso ai Consigli provinciali e comunali; viene consentito al Sindaco e al Presidente della Provincia un terzo mandato elettorale consecutivo, a condizione che uno dei due mandati precedenti abbia avuto una durata inferiore a due anni sei mesi e un giorno e si sia interrotto anticipatamente per ragioni diverse dalle dimissioni volontarie.

Durante la riunione del 29 luglio 1999, il Consiglio dei ministri prendeva atto favorevolmente dell'avvenuta conversione di tutti i decreti legge approvati dal Governo, sottolineando che tale positivo risultato era stato conseguito, da un lato, grazie ad una rigorosa autolimitazione nel ricorso alla decretazione d'urgenza e, dall'altro, con un puntuale impegno da parte delle due Camere.

Nella stessa riunione, il Consiglio dei Ministri approvava due d.Lgs., in attuazione della delega contenuta nella 'legge Bassanini', volta a razionalizzare l'ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri. La riforma della Presidenza del Consiglio dei Ministri (d.Lgs. 30 luglio 1999 n. 303) era diretta a valorizzare il ruolo di direzione, impulso, indirizzo e coordinamento del Presidente del Consiglio; con il d.Lgs. 30 luglio 1999 n. 300, il Governo varava definitivamente la riforma dei ministeri: il loro numero veniva ridotto da diciotto a dodici; a fianco dei Ministeri erano istituite le Agenzie, strutture cui venivano devoluti compiti di carattere tecnico-operativo, destinate ad operare al servizio tanto delle amministrazioni centrali che di quelle regionali ed egli enti locali (il decreto precisava altresì che la riforma sarebbe entrata in vigore a decorrere dall'avvio della successiva legislatura).

Il 10 novembre 1999 la Camera dei Deputati approvava in via definitiva la legge costituzionale n. 2/1999. Tale legge riformava l'art. cento 111 Cost., introducendo esplicitamente nel testo costituzionale, in relazione all'esercizio della giurisdizione, i principi del contraddittorio, della parità tra accusa e difesa, della terzietà ed imparzialità del giudice e della ragionevole durata dei processi, nonché una riserva di legge in materia processuale. Dall'opposizione giungevano giudizi favorevoli sulla riforma, in particolare da Forza Italia.

Vi è inoltre la legge costituzionale 22 novembre 1999 concernente l'azione diretta del Presidente della Giunta regionale e l'autonomia statutaria delle Regioni: tale legge fu approvata da una larga maggioranza che abbracciava l'intero arco delle forze politiche rappresentate in Parlamento, con l'eccezione di Rifondazione Comunista e della Lega Nord. Tale legge ha modificato sostanzialmente gli artt. 121, 122, 123, 126 Cost., introducendo l'elezione diretta del Presidente della Giunta regionale, salva la possibilità del di statuti regionali di disporre diversamente (122.5 Cost.); la disposizione precisa altresì che il Presidente eletto nomina e revoca i componenti della Giunta e che comunque dirige la politica della giunta e ne è responsabile (art. 121.4 Cost.). La riforma prevede inoltre che il Consiglio regionale può esprimere la sfiducia nei confronti del Presidente della Giunta mediante mozione motivata, sottoscritta da almeno 1/5 dei suoi componenti e approvata per appello nominale a maggioranza assoluta dei componenti (art. 126.2 Cost.);l'art. 126.3 prevede poi che il Consiglio sia sciolto (e la Giunta si dimetta), quando il Presidente della Giunta regionale e eletto a suffragio universale e diretto sia colpito da mozione di sfiducia, sia rimosso, risulti impedito, muoia, si dimetta volontariamente. La riforma modificava anche l'art. 123 Cost., assegnando allo statuto il compito di determinare, in armonia con la Costituzione, la forma di governo e i principi fondamentali di organizzazione e funzionamento di ciascuna regione, e modificando l'iter di approvazione della fonte statutaria: lo statuto non viene più approvato con legge della Repubblica, ma solo dal Consiglio regionale con legge approvata a maggioranza assoluta dei suoi componenti, con due deliberazioni successive adottate ad intervallo non minore di due mesi e con la possibilità che 1/50 degli elettori della Regione o di 1/5 del Consiglio regionale possa chiedere un referendum approvativo (vedi artt. 121, 122, 123, 126 Cost.).




CAPITOLO III


Dal primo al secondo ministero D'Alema.


Il primo governo D'Alema ha si era costituito nell'ottobre 1998, ed avevano aderito alla maggioranza che sosteneva il Governo, partecipando alla comine ministeriale con propri esponenti: l'Unione Democratica per la Repubblica, Rinnovamento Italiano, il PPI, i Socialisti Democratici Italiani, i Democratici di Sinistra, i Verdi, il partito dei Comunisti Italiani (nel corso del 1999, a seguito dello scioglimento dell'Unione Democratica per la Repubblica, a questo partito politico nella maggioranza di governo, si era sostituita L' Unione Democratica per l'Europa). Nel 1999, dalla fusione di alcuni movimenti erano nati: i Democratici (gruppo politico promosso da Prodi che si collocava nell'ambito del centrosinistra). Il gruppo dei Democratici, che non aveva un'esplicita rappresentanza all'interno della comine ministeriale, tramite Rutelli (uno dei più significativi esponenti del movimento) manifestava la disponibilità del partito ad entrare nel Governo, sulla base di un rilancio del progetto dell'Ulivo. Rutelli, per l'ingresso dei Democratici al Governo, preurava la necessità di una crisi: tuttavia, il Presidente D'Alema affermava che non ci sarebbe stata alcuna crisi di governo perché vi era l'esigenza di non interrompere l'iter parlamentare della legge finanziaria. Comunque all'apertura dei Democratici ad un nuovo Governo lio di questa nuova condizione giungevano dei.. della maggioranza reazioni positive, ma verso la fine di ottobre prendeva corpo un'alleanza tra i partiti della maggioranza contrari al progetto di rilancio dell'Ulivo: l'Unione Popolare per la Repubblica, Socialisti Democratici Italiani e Partito Repubblicano Italiano andavano a formare il Trifoglio e la leadership del senatore Cossiga per condizionare il processo di ristrutturazione della coalizione di centrosinistra per il progetto Ulivo 2 sarebbe diventato. un.. a direzione diessina. Il colpo di grazia venne dal congresso dei Socialisti Democratici Italiani del 10 dicembre 1999 a Fiuggi, dove viene manifestatala più grande ostilità verso D'Alema, ritenuto inidoneo ad essere il candidato premier della coalizione di centrosinistra per le elezioni politiche del 2001. Quindi, in tale situazione, il Presidente del Consiglio D'Alema annuncia che, dopo l'approvazione della legge finanziaria, si sarebbe presentato in Parlamento per rassegnare le dimissioni allo scopo di dare al paese un governo rinnovato in grado di portare a termine la legislatura (così il Presidente del Consiglio si appellava al senso di responsabilità dell'opposizione, affinché collaborasse per una rapida approvazione della manovra: opposizione, sottolineiamo, favorevole a questo tipo di soluzione). In questo contesto, inoltre, ad aggravare la situazione di fu la 'compravendita' dei voti parlamentari che portò il senatore Cossiga alla decisione di lasciare definitivamente la maggioranza di centrosinistra.


Un segnale di malcostume politico: la compravendita di parlamentari.


Il 16 dicembre 1999, sul giornale, ivano accuse da parte dell'opposizione nei confronti della maggioranza e del Governo riguardo a tentativi di 'acquistare' il favore di alcuni parlamentari. L'on. .. (iscritto al gruppo misto della Camera dopo essere stato eletto nelle file della Lega Nord) rivelava che tre settimane prima l'on. Bagliani, ex leghista come lui ma passato all'Unione Democratica per l'Europa, gli aveva offerto duecento milioni in cambio dell'adesione al gruppo guidato dall'on. Mastella.

Il 17 dicembre, durante la seduta della Camera (presieduta dal Presidente Violante),l'on. .. confermava i fatti denunciati e chiedeva l'istituzione di un Giurì d'onore (commissione d'indagine) ex art. 58 del regolamento, al fine di dimostrare la veridicità delle accuse mosse contro l'on. Bagliani. (Art. 58. Quando nel corso di una discussione un deputato sia accusato di fatti che ledano la sua onorabilità, egli può chiedere al Presidente della Camera di nominare una Commissione la quale giudichi la fondatezza dell'accusa; alla Commissione può essere assegnato un termine per presentare le sue conclusioni alla Camera, la quale ne prende atto senza dibattito né votazione).

Diversamente, gli on. Contento e Buontempo (AN) chiedevano l'istituzione di una commissione d'inchiesta ad hoc (ex art. 82 Cost.).

Il 18 dicembre, il Presidente della Camera Violante decideva di istituire la commissione d'indagine, che riteneva di presiedere personalmente 'in relazione ai delicati profili del caso in questione' (la commissione d'indagine non avrebbe dovuto far luce solo sull'episodio denunciato dall'onorevole.., poiché nel frattempo altri deputati avevano rivelato di essere stati oggetto di offerte di denaro al fine di un eventuale cambio di gruppo).

Il 20 dicembre veniva reso noto che sulle vicende di compravendita dei voti parlamentari, a seguito di una denuncia dell'onorevole Ascierto (AN), la Procura della Repubblica di Roma aveva aperto un'inchiesta; il 21 dicembre il Presidente della Camera Violante leggeva alla Camera la relazione conclusiva dei lavori della commissione d'indagine. La relazione del presidente Violante si soffermava puntualmente sui compiti e sui poteri del Giurì d'onore:

'la Commissione d'indagine prevista dall'art. 58 del regolamento della Camera esercita il proprio compito nell'ambito dell'ordinamento parlamentare. Non essendo organo in alcun modo assimilabile alle commissioni d'inchiesta di cui all'art. 82 Cost., non dispone dei poteri dell'autorità giudiziaria. La Commissione non ha poteri coercitivi per l'escussione di testimoni o per l'acquisizione di mezzi di prova. Le dichiarazioni dei soggetti che vengono ascoltati sono rese spontaneamente, senza vincolo di giuramento. Non appare conurabile, sotto il profilo tecnico-giuridico, la sussistenza dell'onere della prova in capo a chi muove l'accusa. L'acquisizione di documenti non è disposta d'ufficio dalla Commissione, ma rientra esclusivamente nella libera determinazione dei soggetti interessati o dei soggetti comunque sentiti dalla Commissione. La decisione cui perviene la Commissione in ordine alla fondatezza dell'accusa non ha contenuto sanzionatorio (essa dispiega i propri effetti esclusivamente all'interno dell'ordinamento parlamentare). Gli atti ed i documenti della Commissione, tranne la relazione finale, sono coperti dal segreto'

In ogni caso, per concludere, la Commissione d'indagine riteneva che l'on. Bagliani avesse 'offerto utilità economiche all'on. .. in cambio di un suo passaggio al gruppo parlamentare di UDEUR': a tale conclusione conducevano le deposizioni dei deputati .. e Gambato, nonché la registrazione del colloquio telefonico con l'on. Rizzi. Il Giurì precisava, inoltre, di ritenere che l'on. Bagliani non avesse agito a nome della Unione Democratica per l'Europa (UDEUR), né col tacito consenso di quel partito. La relazione si concludeva definendo gli episodi oggetto delle indagini 'particolarmente gravi e lesivi degli interessi nazionali ed internazionali del Paese': è per questo motivo che la Commissione raccomandava alla Camera di assumere le necessarie misure regolamentari atte a rendere stabile il quadro parlamentare uscito dal voto, dal momento che, in un regime parlamentare, non può essere data stabilità ai governi senza stabilità dei gruppi parlamentari.


Le dimissioni del governo ed il reincarico all'on. D'Alema.


Il 18 dicembre 1999 il Senato approvava definitivamente la legge finanziaria e subito dopo il Presidente del Consiglio D'Alema prendeva alle Camere le proprie comunicazioni, affermando innanzitutto la propria convinzione circa la necessità di 'una riforma della legge elettorale e delle regole istituzionali in grado di rafforzare il bipolarismo, in grado di favorire una scelta più diretta da parte dei cittadini del Governo del Paese' (D'Alema, sottolineava inoltre, che il bipolarismo a cui è ragionevole pensare per l'Italia non è bipartitico, ma comporta la necessità di organizzare l'alternanza tra alleanze politiche stabili e plurali); il discorso del Presidente del Consiglio si concludeva con invito a rilanciare la coalizione di centrosinistra. Davanti al discorso di D'Alema il centrodestra non esitava dal chiedere elezioni anticipate; sostegno a D'Alema veniva invece espresso da sette partiti della maggioranza (DS, Verdi,PCI,PPI, Democratici, Rinnovamento Italiano,UDEUR). Dopo la formale riunione del Consiglio dei Ministri, D'Alema si recava al Quirinale per presentare al Capo dello Stato le dimissioni del suo ministero. Il giorno successivo, il 19 dicembre, il Presidente Ciampi dava inizio alle consultazioni per risolvere la crisi (venivano quindi ricevuti: presidenti delle Camere, i rappresentanti dei gruppi parlamentari..).

Nel corso delle consultazioni, il Trifoglio affermava che avrebbe condizionato la partecipazione alla maggioranza all'esclusione dal programma di Governo del rilancio del sistema elettorale uninominale maggioritario (in aperto contrasto, quindi, con quanto richiesto dai sette partiti disponibili ad un nuovo governo D'Alema): per il Trifoglio la nuova legge elettorale doveva essere caratterizzata da un impianto sostanzialmente proporzionale, con la introduzione dell'elezione diretta del Premier (sul modello in vigore per le elezioni del Sindaco e del consiglio comunale nei comuni sopra i quindicimila abitanti o del Presidente della Provincia o del Consiglio provinciale).

Veniva poi ricevuta al Quirinale la delegazione unitaria del Polo delle Libertà, si chiedeva la costituzione di un governo istituzionale atto a favorire l'approvazione da parte delle camere di una legge elettorale idonea a garantire stabilità alle maggioranze parlamentari ed ai governi: subito dopo si sarebbero dovute tenere le elezioni anticipate (Berlusconi, inoltre, si diceva interessato alla proposta del Trifoglio in materia elettorale).

Per quanto riguarda invece la delegazione unitaria del centrosinistra, esse chiedeva al Capo dello Stato di attribuire l'incarico di formare il nuovo Governo al Presidente dimissionario D'Alema (DS,PPI,UDEUR,PCI,Democratici,Verdi,Rinnovamento Italiano,Federalisti liberaldemocratici repubblicani).

Quindi, la sera del 20 dicembre, D'Alema veniva convocato al Quirinale per ricevere l'incarico di formare il nuovo Governo. Ora, l'intendimento di D'Alema era quello di cercare di ricucire lo strappo col Trifoglio, senza il quale sarebbe stato costretto ad appoggiarsi ad una maggioranza parlamentare assai ristretta e incerta.


La formazione del Secondo Gabinetto D'Alema.


La mattina del 22 dicembre, il Capo dello Stato nominava D'Alema Presidente del Consiglio e, su sua proposta, i ministri componenti il nuovo esecutivo. Il Governo, ex Art. 94 Cost., otteneva la fiducia al Senato con un'ampia maggioranza; alla Camera otteneva la fiducia ma la maggioranza si rilevava ristretta. Era quindi evidente l'estrema fragilità della maggioranza che, in ogni questione per la quale si fosse reso necessario un voto parlamentare, avrebbe dovuto contrattare il voto favorevole, o almeno l'astensione, delle forze del Trifoglio. Inoltre, la nuova maggioranza non sembrava più compatta rispetto alla precedente: infatti, il centrosinistra non aveva ancora trovato la soluzione al problema della leadership della coalizione in vista delle elezioni del 2001, né una concreta posizione comune in materia elettorale, ed anche il progetto di istituire una Commissione d'inchiesta su tangentopoli sembrava rimanere avvolto nell'ambiguità e nell'incertezza.


L'ardua scelta dei sottosegretari: il primo problema per il Governo.


(Sottosegretario di Stato: coadiuvano il ministro ed esercitano i compiti che quest'ultimo delega loro con apposito decreto; essi sono collaboratori del ministro o del Premier e quindi non fanno parte del Consiglio dei Ministri e non possono partecipare alla formazione della politica generale del Governo).

Il 22 dicembre, durante la sua prima riunione, il Consiglio dei Ministri, presieduto dall'on. D'Alema, provvedeva a scegliere i sottosegretari di Stato: i difficili equilibri interni alla maggioranza ne avevano fatto aumentare il numero fino a sessantaquattro.



CAPITOLO IV


La formazione del II Governo Amato tra elezioni regionali e referendum.


Le elezioni regionali del 16 aprile 2000: la sconfitta del centrosinistra.


Il 16 aprile 2000 erano previste le elezioni per il rinnovo dei consigli delle quindici Regioni a statuto ordinario e per l'investitura diretta dei rispettivi Presidenti. Durante la camna elettorale, un ruolo di primo piano veniva assunto dai leader nazionali, l'on. Berlusconi per il centrodestra e il premiere D'Alema per il centrosinistra (mentre molti dei candidati alla Presidenza delle Giunte regionali rimanevano piuttosto defilati); D'Alema, infatti, dato che le continue polemiche all'interno della coalizione di maggioranza sulla candidatura a Presidente del Consiglio per le elezioni politiche del 2001 finivano col mettere in discussione la sua premiership, aveva forse pensato di guadagnarsi l'appoggio compatto del centrosinistra, conducendo in prima persona la camna per le elezioni regionali, nella speranza di vincerle. In questo modo, la contesa elettorale si trasformava impropriamente in una sorta di referendum sull'azione del Governo e l'esito, quindi, in un indicatore della sua popolarità.

I risultati della consultazione elettorale mostravano una netta affermazione dell'opposizione di centrodestra, che eleggeva i propri candidati alla Presidenza non solo in tutte le Regioni settentrionali già governate dal Polo, ma anche in Liguria, Lazio, Calabria e Abruzzo (Regioni precedentemente guidate da Giunte di centrosinistra); il Polo riconfermava anche la presidenza della Regione Puglia: l'esito delle elezioni regionali portava il centrodestra ad innalzare le prime richieste di dimissioni del Governo (e quindi di elezioni anticipate); il segretario di Rifondazione Comunista Bertinotti individuava, come causa del tracollo del centrosinistra, 'una responsabilità da parte del governo D'Alema', e del Premier in particolare, colpevole di aver trasformato ' una competizione regionale sui programmi in una contesa tra il Governo e il centrodestra, tra lui stesso e Berlusconi'. In ogni caso, i risultati elettorali mettevano in seria difficoltà il Governo e soprattutto il Presidente del Consiglio D'Alema, responsabile di aver eccessivamente politicizzato e personalizzato lo scontro con il Polo delle Libertà e con il suo leader Berlusconi.


Le dimissioni del II Ministero D'Alema e l'infruttuoso rinvio presidenziale del Governo alle Camere.


Il 17 aprile il Presidente del Consiglio D'Alema convocava il Consiglio dei Ministri, al quale comunicava 'di ritenere corretto sottoporre al Capo dello Stato le dimissioni dell'esecutivo': il Capo dello Stato non accoglieva però le dimissioni del Governo presentate da D'Alema e lo rinviava alle Camere per un dibattito sulla situazione politica (parlamentarizzazione della crisi: e l'invito rivolto dal presidente della Repubblica al governo dimissionario a presentarsi in una delle due camere per esporre i motivi della crisi in modo da renderli pubblici).

D'Alema, quindi, prendeva atto del netto insuccesso dell'opposizione alle elezioni regionali, ma precisava che sarebbe stato un grave errore lo scioglimento delle camere dal momento che era già stato fissato un referendum (ammesso dalla corte costituzionale) in materia elettorale: infatti, sosteneva D'Alema, era dovere del Parlamento riformare la legge elettorale e dare al paese un sistema che garantisca maggiormente la stabilità e l'autorevolezza dei governi (esigenza fortemente sentita anche dal Capo dello Stato) (lo scioglimento anticipato delle camere avrebbe precluso la celebrazione dei referendum nella data già fissata ex Art. 34 legge n. 352/1970, per il quale: 'nel caso di anticipato scioglimento delle camere o di una di esse, il referendum già indetto si intende automaticamente sospeso all'atto della pubblicazione nella gazzetta ufficiale del decreto del presidente della Repubblica di indizione dei comizi elettorali per la elezione delle nuove camere o di una di esse. I termini del procedimento per il referendum riprendono a decorrere a datare dal 365° giorno successivo alla data dell'elezione').

Il centrodestra appariva invece intenzionato a chiedere la convocazione dei comizi elettorali. Dal centrosinistra le dimissioni del Governo venivano interpretate come la presa d'atto, da parte del premier, di una errata conduzione della camna elettorale.

Il 19 aprile, davanti al senato, D'Alema definiva le dimissioni del governo ' un atto di coerenza' che aveva ritenuto di compiere alla luce dei risultati delle elezioni regionali e della netta affermazione del centrodestra che aveva chiesto in modo esplicito lungo tutta la camna elettorale un voto anche contro questo governo. D'Alema, sottolineava, di prenderne atto non per un dovere istituzionale che imponga al presidente del consiglio l'obbligo di dimettersi, ma come espressione di una responsabilità politica. D'Alema si mostrava comunque, come già detto, contrario allo scioglimento anticipato delle camere e sosteneva,appunto, la necessità di un governo in grado di garantire lo svolgimento dei referendum (ritenuti ammissibili dalla corte costituzionale).

Tutto il centrodestra sottolineava il carattere politico delle elezioni regionali appena tenutesi: per il centrodestra, il giudizio negativo degli elettori non era superabile limitandosi alla sostituzione di D'Alema alla guida del governo con un diverso esponente del centrosinistra, ma rendeva altresì inevitabile 'lo scioglimento anticipato delle camere', ciò perché la coalizione di governo non poteva salvare se stessa addossando ogni responsabilità della sconfitta al presidente del consiglio, dal momento che l'intento del corpo elettorale era quello di manifestare un netto rifiuto delle politiche attuate dalla intera maggioranza parlamentare di centrosinistra. Il centrodestra contestava inoltre l'argomento principale con il quale il presidente del consiglio sosteneva l'inopportunità di sciogliere in anticipo le camere, ossia l'esigenza di garantire il regolare svolgimento dei referendum, ed in particolare quello elettorale.

Gli esponenti del centrosinistra interpretavano le dimissioni del governo non come atto obbligato, ma come un gesto di 'sensibilità politica' del presidente del consiglio, che, con le proprie dimissioni, si assumeva la responsabilità di 'aver accettato lo scontro in camna elettorale su temi squisitamente politici'. Gli esponenti di centrosinistra ribadivano, poi, che l'inopportunità di un ricorso immediato alle urne trovava fondamento anche nella necessità di celebrare i referendum, in particolare quello elettorale, nella data già fissata. In questo senso si esprimevano non solo i rappresentanti dei partiti favorevoli all'abrogazione del meccanismo di assegnazione con il metodo proporzionale per liste di 1/4 dei seggi previsto dalla legge elettorale della camera, ma anche quelli contrari a tale modifica. La maggioranza, compatta, sosteneva di poter risolvere la crisi aperta dalle dimissioni di D'Alema con la formazione di un nuovo governo 'politico' di centrosinistra, guidato da un autorevole esponente della coalizione ed escludeva la costituzione di governi tecnici o istituzionali.

Nel pomeriggio del 19 aprile, dopo la riunione del consiglio dei ministri, il Presidente della Repubblica riceveva le dimissioni dell'Esecutivo.


La formazione del Governo Amato ed i cambiamenti nella comine ministeriale.


La sera del 19 aprile si teneva un vertice dei senatori dei partiti del centrosinistra, col quale veniva deciso l'allargamento della maggioranza ai Socialisti Democratici Italiani e dal Partito Repubblicano Italiano, che non avevano sostenuto con voto favorevole il II governo D'Alema, mentre restavano escluse aperture verso Rifondazione comunista. La sera del 20 aprile, in un altro vertice dei senatori dei partiti del centrosinistra, si decideva di designare alla guida del nuovo governo il Ministro del tesoro Amato: peraltro,l'UDEUR e i Democratici accettavano tale soluzione purché essa non precludesse una diversa candidatura alla premiership per le elezioni politiche del 2001.

Quanto al centrodestra, esso chiedeva lo scioglimento anticipato delle Camere. Comunque, al termine delle consultazioni, il Capo dello Stato Ciampi conferiva l'incarico di formare il nuovo governo ad Amato; inoltre, Ciampi affermava di non aver accolto la richiesta del centrodestra di sciogliere in anticipo le camere perché aveva constatato l'esistenza di una maggioranza politicamente concorde nel volere la nascita di un nuovo governo. Tuttavia, il Presidente non aveva disatteso del tutto le richieste dell'opposizione di centrodestra, giacché aveva invitato Amato a formare un governo con meno ministri e sottosegretari di quello precedente (l'invito di Ciampi ad Amato rispondeva ai timori espressi al Capo dello Stato del centrodestra, secondo cui centrosinistra, per garantirsi una sicura maggioranza parlamentare, stava offrendo posti di ministro e sottosegretario ai deputati incerti). Il 25 aprile 2000 il Presidente della Repubblica nominava Amato Presidente del Consiglio e, su sua proposta, i nuovi ministri (diminuiti da venticinque a ventiquattro grazie all'accorpamento del Ministero del Commercio con l'Estero con quello dell'Industria).


I dibattiti parlamentari sulla fiducia.


Per quanto riguarda le dichiarazioni politico-programmatiche, Amato assegnava al suo governo il compito di 'portare a compimento la legislatura', in modo da consentire lo svolgimento dei referendum (e l'adozione dei provvedimenti legislativi che il loro esito potrà richiedere e consentirà). In materia elettorale, in particolare, il Presidente del Consiglio Amato rilevava la necessità di una legge in virtù della quale 'consentire al prossimo Presidente del Consiglio di svolgere il proprio ruolo sulla base di una diretta o indiretta legittimazione popolare'.

L'opposizione di centrodestra ribadiva invece la dubbia legittimazione del Governo, al fine di sostenere la richiesta di scioglimento anticipato delle Camere; inoltre, oggetto di critica da parte delle opposizioni di centrodestra erano altresì il numero e le modalità di scelta dei ministri e dei sottosegretari, la debolezza della premiership di Amato, l'uso strumentale dell'imminente scadenza referendaria, che finiva col diventare la 'stampella politica di un Governo extraparlamentare a maggioranza incerta'.

La necessità o l'opportunità di uno scioglimento anticipato delle Camere, per contro, veniva decisamente contestata dal centrosinistra, il quale affermava che 'della vita del Governo decide il voto di fiducia, la verifica dell'esistenza della necessaria base parlamentare'; inoltre, sosteneva il centrosinistra, 'le elezioni, comprese quelle a carattere amministrativo, lanciano sicuramente dei messaggi politici ma, in un paese normale, ogni elezione decide per l'oggetto della stessa'


I referendum del 21 maggio 2000.


Il 21 maggio era prevista la consultazione referendaria sui sette quesiti ammessi dalla Corte costituzionale. Il quesito più sentito dalle forze politiche e la quello in materia elettorale, che mirava ad abrogare le disposizioni relative all'attribuzione, con metodo proporzionale per liste, dei 25% dei seggi della Camera, in modo che tali seggi sarebbero stati assegnati, su base circoscrizionale, ai candidati non eletti nei collegi uninominali che avessero conseguito i migliori risultati. Gli altri quesiti riguardavano: l'abolizione dei rimborsi elettorali ai partiti; l'abrogazione del voto di lista nel sistema elettorale per l'attribuzione dei venti seggi togati del CSM; gli incarichi extragiudiziari e le carriere dei magistrati; l'abolizione dell'obbligo del datore di lavoro di reintegrare il lavoratore licenziato senza giusta causa.

(Il primo problema che si trovava di fronte il Governo Amato era costituito dalla richiesta proveniente dai comitati promotori dei referendum e da alcuni partiti di rivedere le liste elettorali, al fine di cancellare i nomi degli elettori deceduti o irreperibili. Infatti, lasciarvi inseriti questi ultimi, avrebbe provocato un innalzamento artificioso del quorum, rendendo necessaria per la validità dei  referendum la partecipazione al voto di un numero di lettori in realtà superiore a quello richiesto dall'art. 75 Cost.. Il 31 maggio, iniziava in Senato la discussione del disegno di legge che avrebbe convertito la rapida revisione delle liste elettorali, estendendo i casi di cancellazione dalle liste dell' A.i.v.e.: la fattispecie della irreperibilità si sarebbe realizzata, non solo nell'ipotesi già prevista di mancata partecipazione a due censimenti consecutivi, ma anche nel caso di mancanza dell'indirizzo dell'elettore residente all'estero o quando quest'ultimo non avesse ritirato i certificati elettorali relativi alle ultime due consultazioni elettorali. L'iter del provvedimento non si presentava però facile a causa, da un lato, dell'opposizione dei partiti contrari al quesito referendario in materie elettorale, dall'altro, dei tempi assai ristretti. Il 9 maggio il Senato approvava il disegno di legge in materia di revisione delle liste elettorali, ma la maggioranza si spaccava, dopo l'astensione dal voto di UDEUR,Socialisti Democratici Italiani, PPI: tuttavia, il 10 maggio, il Governo emanava il decreto 'pulisci-liste', ma con una difformità rispetto al testo approvato dal Senato. Le due consultazioni da prendere in considerazione per la presunzione d'irreperibilità dovevano essere distanziate da un intervallo di tempo di trecentosessantacinque giorni e non di sei mesi).

Ne centrodestra AN indicava ai propri lettori di votare a favore dell'abrogazione del vigente meccanismo di attribuzione del 25% dei seggi della Camera, invece FI e Lega invitavano gli elettori ad astenersi dal voto. Nel centrosinistra favorevoli al quesito erano i Democratici di Sinistra, i Democratici, i Verdi e Rinnovamento Italiano, contrari PPI e PCI, i quali però invitavano i loro elettori a votare, mentre UDEUR, Socialisti Democratici Italiani e Rifondazione comunista davano indicazione per l'astensione.

Il 21 maggio si celebravano i referendum: l'affluenza alle urne era assai bassa, attorno al 30%. Pertanto il quorum partecipativo (ovvero la maggioranza degli aventi diritto) non veniva raggiunto e quindi la consultazione era invalida. Soddisfatti dell'esito del voto erano ripartiti favorevoli ad una riforma elettorale in senso proporzionale.




CAPITOLO V


Gli inutili sforzi riformatori sul finire della XIII legislatura: il dibattito sulla modifica del sistema elettorale e sul conflitto d'interessi.


La XIII legislatura è stata feconda di riforme costituzionali: l'autonomia statutaria e l'elezione diretta dei Presidenti delle Regioni ordinarie (l. cost. 1/1999), la riforma del titolo V (l. cost. 3/2001), la disciplina del giusto processo (l. cost. 2/1999), le norme in tema di voto degli italiani all'estero (l. cost. 1/2000 e 1/2001).

Mentre la modifica del sistema elettorale e la disciplina del conflitto d'interessi rimanevano allo stato di progetti di legge, nelle ultime settimane della XIII legislatura, a partire dall'inizio del 2001, la maggioranza di centro sinistra portava a compimento l'iter parlamentare di alcune riforme costituzionali.


Le riforme costituzionali in materia elettorale.


La legge costituzionale 1/2000 ('Modifica all'art. 48 Cost. concernente l'istituzione della circoscrizione Estero per l'esercizio del diritto di voto dei cittadini italiani residenti all'estero') aggiungeva un nuovo terzo comma all'art. 48 Cost., per consentire agli italiani all'estero l'esercizio del diritto di voto. A questo fine veniva istituita una circoscrizione Estero, alla quale venivano assegnati seggi nel numero che sarebbe stato successivamente stabilito da una norma costituzionale (tale nuova legge costituzionale stabiliva che 6 dei 315 senatori elettivi e 12 dei 630 deputati sarebbero stati eletti nella circoscrizione estero, e che la nuova disciplina costituzionale sarebbe stata applicata solo dopo l'approvazione della legge concernente le modalità di attribuzione dei seggi assegnati alla circoscrizione estero. Tale legge sarà però approvata solo nel corso della XIV legislatura, legge costituzionale 27 dicembre 2001).

La legge 27 dicembre 2001 prevede che gli elettori italiani residenti all'estero votino per corrispondenza, salvo che optino per l'esercizio del diritto di voto in Italia. Gli elettori, che esercitano l'opzione votano nella circoscrizione della sezione elettorale di ultima residenza in Italia. Il sistema elettorale prescelto è proporzionale, sulla base delle quattro ripartizioni in cui è suddiviso il territorio mondiale ( Europa, America meridionale, America settentrionale e centrale, Africa-Asia-Oceania-Antartide). A ciascuna ripartizione è attribuito un seggio; i restanti seggi sono assegnati alle ripartizioni in base al numero dei cittadini italiani che vi risiedono.L'elettore oltre ad esprimere un voto di lista, può esprimere 1 o 2 preferenze per i candidati inseriti nella lista.Vengono proclamati eletti, nell'ambito dei seggi assegnati a ciascuna lista, i candidati con più preferenze. Inoltre, la nuova legge elettorale dispone che vengano stipulate intese in forma semplificata con i Governi degli Stati Esteri per garantire che l'esercizio del voto sia effettivo e non comporti pregiudizio per i cittadini all'estero. Gli italiani all'estero hanno votato per la prima volta per i referendum del 15-l6 giugno 2003.


Le riforme costituzionali in materie regionale.


Con la legge costituzionale n. 2/2001 veniva adottato anche per la Sicilia, la Sardegna, il Friuli Venezia Giulia e le province autonome di Trento e Bolzano il sistema a suffragio universale  e diretto di elezione del Presidente della Giunta, introdotto per le Regioni ordinarie con legge costituzionale 1/1999. Anche la maggior parte delle autonomie regionali speciali faceva così propria, sia pure in via transitoria, la forma di governo 'neoparlamentare', unendo al riconoscimento della legittimazione popolare diretta del capo dell'esecutivo l'istituto, di impronta parlamentare, della mozione di sfiducia da approvarsi a maggioranza assoluta, e la conseguenza dello scioglimento automatico del Consiglio per qualunque vicenda (sfiducia, dimissioni, morte, impedimento permanente, rimozione) che impedisse al Presidente la prosecuzione del suo mandato. Veniva inoltre riconosciuto a tutte le Regioni speciali il potere di ridisciplinare la propria forma di governo attraverso un'apposita legge statutaria da approvarsi a maggioranza qualificata.

La riforma costituzionale più ambiziosa della XIII legislatura è la legge costituzionale 3/2001 che ha riformato il titolo V della Costituzione. Con tale riforma si conclude la XIII legislatura; le nuove elezioni si sarebbero tenute il 13 maggio 2001.


Il referendum costituzionale del 7 ottobre 2001.


L'opposizione, in merito alla riforma del titolo V della Costituzione, accusava il centrosinistra di aver evitato una tradizione e un principio implicito del nostro ordinamento secondo cui le modifiche costituzionali avrebbero dovuto essere approvate con il più ampio consenso possibile tra le forze parlamentari. Il 13 marzo 2001 (il giorno dopo la pubblicazione del testo in gazzetta ufficiale) 112 senatori di centrodestra e 77 senatori di centrosinistra presentavano una richiesta di referendum confermativo (ammesso poi dalla Corte di Cassazione il 21 marzo). Come notiamo, entrambe le coalizioni sceglievano la via dell'appello al popolo: la coalizione di centrosinistra per confermare la riforma, quelli di centrodestra per sconfessarla. Insediatosi il nuovo Parlamento, si doveva ora stabilire la data di celebrazione del referendum confermativo della riforma del titolo V; in seno alla nuova maggioranza, era soprattutto la Lega Nord a ipotizzare la carcerazione della riforma e la apertura di un nuovo procedimento di revisione costituzionale nel quale fosse dato maggior spazio alla 'devolution' in alcune materie, in particolare la sanità, l'istruzione e la sicurezza locale. Su decisione del Consiglio dei Ministri, il Presidente della Repubblica emanava il decreto di indizione del referendum, fissandone la data al 7 ottobre 2001. Il referendum del 7 ottobre, pur con una partecipazione al voto bassa (34, 1%), vedeva la vittoria dei sì con il 64, 2%. La legge costituzionale n. 3/2001 entrava così in vigore il 9 novembre 2001.


La riforma del titolo V (parte II) della Costituzione.


La legge costituzionale n. 3/2001 modifica in modo radicale il titolo V della Costituzione, intitolato 'Le Regioni-le Province-i Comuni' e ridefinisce sostanzialmente i rapporti tra Stato centrale, Regioni e autonomie locali.

La novità più rilevante è data dall'art. 117 Cost., con riferimento al nuovo criterio di distribuzione delle materie oggetto di potestà legislativa tra lo Stato e le Regioni:

Art. 117 1° comma: la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.

Con la riforma 3/2001, allo Stato è ora consentito intervenire legislativamente soltanto nelle materie elencate nell'art. 117.2 Cost., e dettare i principi fondamentali nelle materie indicate nell'art. 117.3 Cost., essendo ogni altra materia riservata alla competenza generale e residuale delle Regioni.

2° comma: lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie: politica estera, immigrazione ordine pubblico e sicurezza, per equazione risorse finanziarie, giurisdizione, previdenza sociale, legislazione elettorale e principi fondamentali, organi di governo degli enti locali, tutela dell'ambiente, organizzazione amministrativa.

3° comma: sono materie di legislazione concorrente (dove, appunto, lo Stato determina i principi fondamentali della materia tramite leggi cornice, mentre alle Regioni spetta il compito di emanare la legislazione specifica di settore nel rispetto dei principi fissati dallo Stato): commercio con l'estero, tutela del lavoro, istruzione, tutela delle salute, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia, armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento del sistema tributario e della finanza pubblica.

4° comma: spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato (potestà legislativa residuale delle Regioni).

5° comma: le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, nelle materie di loro competenza, partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari che provvedono all'attuazione e all'esecuzione degli accordi internazionali e degli atti delL'UE, nel rispetto delle norme di procedura stabilitE da legge dello Stato, che disciplina le modalità d'esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza.

6° comma: la potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, salva delega alle Regioni. La potestà regolamentare spetta alle Regioni in ogni altra materia. Comuni, Province e Città Metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell'organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite.

9° comma: nelle materie di sua competenza la Regione può concludere accordi con Stati e intese con enti territoriali interni ad altro Stato, nei casi e con le forme disciplinati da leggi dello Stato.


Le leggi regionali non sono più soggette al visto preventivo del Commissario del Governo (anch'esso abrogato) né ad un'eventuale impugnazione sospensivo del Governo innanzi alla Corte costituzionale, ma sia lo Stato sia le Regioni possono impugnare reciprocamente le leggi in via principale innanzi alla Corte costituzionale entro 60 giorni dall'entrata in vigore della legge stessa, e quindi senza alcun effetto sospensivo (art. 127 Cost.).


Altra rilevante novità riguardala modifica dell'art. 118 Cost. In tema di competenza amministrativa dei diversi livelli territoriali:

art. 118 1º comma Cost: le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurare l'esercizio unitario, siano conferite a Province, Città Metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà (verticale).

2° comma: Comuni, Province e Città Metropolitane sono titolari di funzioni amministrative propria e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze.


Con la l. Cost. 3/2001 vi è anche una nuova disciplina dell'autonomia tributaria ed impositiva dei enti sub statali:

art. 119 Cost 1º comma : Comuni, Province, Città Metropolitane e Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa.

2° comma: hanno inoltre risorse autonome. Stabiliscono ed applicano tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario.

3° comma: la legge dello Stato istituisce un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante.

4° comma: le risorse derivanti dalle fonti di cui ai commi precedenti consentono a Comuni, Province, Città Metropolitane e Regioni di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite.

La riforma n. 3/2001 ha anche abrogato l'art. 125 Cost, che disciplinava i controlli sugli atti amministrativi regionali, e l'art. 130 Cost che prevedeva le forme del controllo regionale sugli atti degli enti locali.


La l.Cost. 3/2001 ha modificato anche l'art. 114 Cost.:

1° comma: la Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città Metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato.

2º comma: Comuni, Province, Città Metropolitane e Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione. (Autonomia statutaria di tutti gli enti territoriali sub-statali)

3º comma: Roma è la capitale della Repubblica. La legge dello Stato disciplina il suo ordinamento.


La l. Cost. 3/2001 ha toccato anche l'art. 116 Cost.:

1º comma: Friuli Venezia Giulia, Sardegna, Sicilia, Trentino Alto Adige e Valle d'Aosta dispongono di forme e condizioni particolari di autonomia, secondo i rispettivi statuti speciali adottati (con legge costituzionale).

2° comma: la regione Trentino Alto Adige è costituita dalle Province autonome di Trento e Bolzano.

3° comma: il nuovo 3º comma dell'art. 116 riconosce anche alle Regioni a statuto ordinario la possibilità di specializzarsi, di ottenere cioè individualmente forme e condizioni particolari di autonomia dallo Stato, nelle materie di potestà legislativa concorrente, e in tre materie di potestà legislativa esclusiva statale (giustizia di pace, norme generali sull'istruzione, tutela dell'ambiente-ecosistema e dei beni naturali). Il provvedimento è caratterizzato da una legge statale, e prevede l'iniziativa delle Regioni interessate, il parere degli enti locali coinvolti e l'approvazione a maggioranza assoluta da parte delle Camere sulla base di intese tra lo Stato e la Regione stessa.


Il nuovo art. 120 Cost., dopo aver ribadito per le Regioni di porre ostacoli alla libera circolazione di persone e cose all'interno del territorio nazionale, costituzionalizza il potere sostitutivo del Governo nei confronti delle Regioni e degli enti locali. Il nuovo 2º comma dell'art. 120 generalizza questo potere di sostituzione con riferimento a tre ipotesi: 1) mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria, 2) pericolo grave per l'incolumità e la sicurezza pubblica, 3) quando lo richieda la tutela dell'unità giuridica o dell'unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali.


La riforma n. 3/2001 prevede la partecipazione degli enti locali, unitamente alle Regioni, alla Commissione parlamentare (bicamerale) integrata per le questioni regionali (art. 126.1 Cost: con decreto motivato dal presidente della Repubblica, sentita la Commissione bicamerale per le questioni regionali, sono disposti lo scioglimento del Consiglio regionale e la rimozione del Presidente della Giunta che abbiano compiuto atti contrari alla Costituzione o gravi violazioni di legge, oppure per ragioni di sicurezza sociale). La riforma n. 3/2001 porta anche la diretta presunzione costituzionale del Consiglio delle Autonomie locali, quale organo indefettibile dell'organizzazione regionale (art. 123.4 Cost: in ogni regione lo statuto disciplina il Consiglio delle autonomie locali, quale organo di consultazione tra la Regione e gli enti locali).




CAPITOLO VI


Le elezioni del 13 maggio 2001.



La designazione di Francesco Rutelli a candidato alla Presidenza del Consiglio per il centrosinistra.


Le elezioni politiche del 13 maggio 2001, le terze disciplinate dal sistema prevalentemente maggioritario introdotto nel 1993, hanno evidenziato un forte consolidamento del bipolarismo.

Nel 2001, la maggioranza di centrosinistra si presentava come la coalizione cui attribuire meriti e responsabilità di quanto fatto o non fatto nella legislatura appena conclusa; per contro, l'opposizione di centrodestra e il suo leader Berlusconi si presentavano con una formula politica e un programma chiaramente alternativi. Il programma di centrodestra era incentrato sulla promessa di una consistente diminuzione della pressione fiscale, sul tema della sicurezza e dell'immigrazione, sulla lotta alla disoccupazione e su un nuovo ambizioso piano di rilancio dell'economia e degli investimenti pubblici.

Le elezioni europee del 1999 e le elezioni regionali del 2000, con la stipula di un accordo organico tra la Casa delle Libertà e la Lega Nord di Bossi, consacravano la coalizione di centrodestra come favorita per le elezioni politiche del 2001.

La maggioranza di governo mostrava delle difficoltà in merito alla candidatura alla Presidenza del Consiglio da contrapporre a quella di Berlusconi. Promosso Prodi a Presidente dell'UE e messo definitivamente fuori gioco D'Alema dall'esito delle elezioni regionali, l'alternativa alla candidatura alla Presidenza del Consiglio si concretizzava nei nomi di Giuliano amato e Francesco Rutelli (sindaco di Roma): Amato riteneva che questa battaglia sul candidato fosse dannosa per il centrosinistra, e per questo motivo invitava coloro che lo avrebbero sostenuto a riconoscersi in Rutelli. I due principali protagonisti della camna elettorale sarebbero stati quindi Berlusconi e Rutelli.


La faticosa formazione delle coalizioni. I terzi poli.


Con l'approssimarsi della scadenza elettorale, si identificavano chiaramente i due schieramenti politici:

- il centrosinistra, con DS,PPI, Democratici, Verdi, Comunisti italiani, Rinnovamento Italiano,UDEUR;

- il centrodestra, con FI, AN, Centro Cristiano Democratico, Cristiano Democratici Uniti.

Il sistema elettorale vigente, prevedendo l'assegnazione del 75% dei seggi con un sistema maggioritario in collegi uninominali e la distribuzione del restante 25% dei seggi con un criterio proporzionale, imponeva l'alleanza tra partiti politicamente vicini e la nascita di coalizioni: nascevano quindi la Casa delle Libertà e l'Ulivo. Inoltre, la regola del 'first takes all', che presiede all'assegnazione del seggio nei collegi uninominali, costringeva le coalizioni ad un continuo sforzo di avvicinamento e di alleanza con altre forze politiche, in modo da evitare dannose dispersioni di voti.

La Casa delle Libertà puntava a consolidare il rapporto con la Lega Nord di Bossi, che nelle elezioni del 16 aprile 2000 le aveva consentito di conquistare il governo in 8 Regioni tra le quali tutte quelle del Nord. Berlusconi era costretto ad una difficile opera di sintesi: da una parte, garantire la tenuta dell'accordo con Bossi e, dall'altra parte, contenere le pretese della Lega in termini di seggi in modo da sottrarre una eventuale futura maggioranza al condizionamento dei parlamentari leghisti. Comunque, in definitiva, il centrodestra offriva l'immagine di una coalizione coesa. ½ era comunque lo sforzo della Lega Nord di ritagliarsi un'identità politicamente autonoma e significativa all'interno della coalizione: l'identità politica della Lega Nord consisteva essenzialmente in un progetto di 'devolution' di competenze alle Regioni, che si doveva considerare parte imprescindibile del programma di governo. I termini dell'accordo tra centrodestra e Lega Nord erano esplicitati dallo stesso Berlusconi: esso contemplava il riconoscimento di un certo numero di collegi considerati sicuri nelle Regioni settentrionali, l'attribuzione di Ministeri di primo piano e la devolution come uno dei punti essenziali del programma di governo.

Il centrodestra curava anche il rapporto con la Fiamma Tricolore di .., movimento di estrema destra: veniva concluso un accordo di 'non belligeranza', che prevedeva la mancata presentazione di candidati dello schieramento guidato da Berlusconi in tre collegi, uno in Sicilia orientale e gli altri due in Puglia e nel Lazio; come contropartita, il movimento di.. rinunciava a schierare propri candidati in tutti i collegi 'in bilico', nei quali cioè il divario tra i due schieramenti principali era così ridotto da assegnare alla Fiamma Tricolore un ruolo determinante.

Nel centrodestra si deve inoltre registrare la presentazione di liste comuni tra il CCD di Casini e il CDU di Buttiglione con la denominazione di Biancofiore, al fine di aggirare l'ostacolo della soglia di sbarramento.


L'Ulivo si presentava invece alle elezioni evidenziando moltissimi partiti e profonde divisioni. Comunque, dell'Ulivo facevano parte i seguenti partiti: DS,Partito Popolare,Democratici,UDEUR, Rinnovamento Italiano,SDI, Verdi, Comunisti italiani. Erano esterni, per varie ragioni, Rifondazione Comunista e Italia dei valori, lista di Di Pietro.

La necessità di raggiungere il quorum del 4% imposto dalla legge elettorale della Camera per la distribuzione proporzionale dei seggi, determinava, con l'approssimarsi della scadenza del 13 maggio, fenomeni di aggregazione tra movimenti politicamente vicini. Erano innanzitutto le forze di centro a mettere in cantiere l'ipotesi di un'alleanza elettorale. Infatti: Partito Popolare, Democratici,UDEUR e Rinnovamento Italiano diedero vita ad un raggruppamento unitario; spingevano in tale direzione i sondaggi, che mettevano seriamente in dubbio la capacità dei singoli partiti, da soli, di raggiungere la percentuale del 4%, ma il progetto era motivato anche dall'esigenza di riequilibrare i rapporti di forza nella maggioranza, affiancando ai DS un soggetto in grado di intercettare quote significative dell'elettorato di centro. I quattro partiti davano così vita al movimento della 'Margherita'.

I veri problemi del centrosinistra erano quelli connessi alla definizione del rapporto con Rifondazione Comunista e con la lista Di Pietro: infatti, l'accordo con i due movimenti era la condizione necessaria per essere competitivi con il centrodestra. L'accordo non venne assolutamente raggiunto, anzi: obiettivo di Rifondazione comunista era quello di puntare, dopo la sconfitta elettorale, ad una scomposizione della coalizione di centrosinistra e ad una nuova riaggregazione di forze, il cui programma politico fosse più esplicitamente ispirato ai valori della sinistra tradizionale e del mondo dei lavoratori. Comunque, il mancato accordo decretava la sconfitta del centrosinistra.

Anche nel 2001, comunque, si assisteva al tentativo di contrastare la bipolarizzazione della competizione elettorale: lo sforzo più impegnativo era quello compiuto dalla nuova formazione Democrazia Europea (fondata dal segretario del sindacato CISL Sergio D'Antoni): il nuovo partito dichiarava esplicitamente la propria alternatività ad entrambe le principali coalizioni. Democrazia Europea optava per la corsa solitaria alle elezioni ed il risultato del 13 maggio penalizzava tale strategia, confermando la difficoltà di forze diverse dalle due coalizioni maggiori di ritagliarsi un ruolo autonomo.

In una logica anti-popolare e proporzionale si doveva ascrivere la posizione della lista Di Pietro, di Rifondazione Comunista e della Lista Pannella-Bonino; ma, a parte Rifondazione Comunista, che ha superato la soglia di sbarramento del 4%, il risultato delle altre liste porta a ritenere che, a sistema elettorale invariato, non c'è spazio per la rottura dello schema bipolare e per la presenza in Parlamento di terze o quarte e forze in grado di condizionare in modo determinante la formazione di maggioranze. Il bipolarismo sembra trionfare.


Le regole elettorali e le strategie delle coalizioni e dei partiti.


Le elezioni del 2001 si segnarono per lo sforzo dei partiti, e soprattutto dalle due coalizioni maggiori, per sfruttare le opportunità del sistema elettorale al fine di massimizzare il risultato in termini di seggi. Per attenuare gli effetti distorsivi della rappresentanza del sistema maggioritario e per consentire un recupero dei seggi nella quota proporzionale alle liste sconfitte e alle liste minori, il sistema elettorale di entrambe le Camere prevede lo 'scorporo'. Tale meccanismo fa sì che dal risultato ottenuto dalle liste proporzionali debbano essere sottratti i voti (tutti al Senato, una parte alla Camera), ottenuti dai candidati vincitori nella parte maggioritaria e collegati a quella o a quelle liste. La conseguenza è o dovrebbe essere tale da penalizzare, nel recupero proporzionale dei seggi, la lista vincente nella parte maggioritaria. Lo scorporo è concepito per andare a danno delle due principali coalizioni, le uniche che hanno la possibilità di assicurarsi la vittoria nei collegi maggioritari e che, pertanto, devono subire la decurtazione di voti nella parte proporzionale.

Comunque, sia il centrodestra che centrosinistra si attrezzavano per ridurre i danni derivanti dallo scorporo. Le due principali coalizioni presentavano, infatti, nella parte proporzionale per la Camera 2 liste: 'lista per l'abolizione dello scorporo' (centrodestra) e 'Paese Nuovo' (centrosinistra), denominate liste civetta a cui si collegavano tutti (o quasi) i rispettivi candidati nella quota maggioritaria. In tal modo, tutti i voti ottenuti dai candidati vincenti nel maggioritario sono stati scorporati dal risultato delle 2 liste civetta, che peraltro non avevano ottenuto alcuna preferenza, essendo nate appositamente per le elezioni e prive di ogni riferimento politico a partiti esistenti; mentre le liste 'reali' presentate dei partiti hanno potuto partecipare alle distribuzioni dei seggi nella parte proporzionale senza dover subire alcuna decurtazione, poiché ad esse non è risultato collegato alcun candidato. Le conseguenze di tale escamotage erano rilevanti sul piano degli effetti elettorali: ne risentiva pesantemente Rifondazione Comunista, l'unica lista non allineata alle due principali coalizioni che, nella parte proporzionale, riusciva a superare la soglia di sbarramento del 4%; per effetto delle liste civetta, Rifondazione comunista doveva accontentarsi di 11 deputati. Comunque, il ricorso alle liste civetta sollevava polemiche molto aspre, dal momento che era destinato a penalizzare pesantemente le formazioni politiche minori, o comunque ad avvantaggiare la coalizione vincente.


Il sistema elettorale nel 2001 mostrava una significativa novità: entrambe le principali coalizioni indicavano in nome del candidato alla Presidenza del Consiglio all'interno del simbolo stampato sulla scheda elettorale nei collegi uninominali. La Casa delle Libertà presentava un simbolo con la scritta 'Berlusconi Presidente', il centrosinistra metteva invece in evidenza il nome di Rutelli. Tale indicazione rivestiva un indubbio valore politico, conurando una sorta di investitura popolare del Presidente del Consiglio.


Anche la camna elettorale del 2001 era governata dalle regole della 'par condicio'. La legge 10 dicembre 1993 era stata modificata dalla legge n. 28/2000 recante 'Disposizioni per la parità di accesso ai mezzi di informazione durante le camne elettorali e referendarie e per la comunicazione politica': tale legge impone alle emittenti radiotelevisive di assicurare a tutti i soggetti politici l'accesso equo e imparziale all'informazione e alla comunicazione politica, distinguendo tra il periodo propriamente pre-elettorale e la restante parte dell'anno. Vale, in generale e per tutto l'anno, una regola di imparzialità ed equità nella comunicazione politica (= esposizione di opinioni e posizioni politiche nelle tribune politiche, nei dibattiti, nei confronti, nelle interviste). L'offerta di programmi di comunicazione politica radiotelevisiva è obbligatoria per le emittenti radiotelevisive nazionali.

Durante la camna elettorale, l'emittente pubblica, obbligatoriamente, e le emittenti private, facoltativamente, possono trasmettere messaggi politici autogestiti, che non superino il 25% della effettiva durata totale dei programmi di comunicazione politica: ovviamente, l'offerta di spazi per messaggi autogestiti deve avvenire a parità di condizioni per tutti i soggetti rappresentati in organismi elettivi.

Per quanto riguarda i programmi radiotelevisivi di informazione, vige il divieto di favorire, anche in forma indiretta, indicazioni di voto o manifestare le proprie preferenze di voto, ponendo a carico dei registi e dei conduttori l'obbligo di comportamento corretto ed imparziale nella gestione del programma 'così da non esercitare, anche in forma surrettizia, influenza sulle libere scelte degli elettori'.

Nei quindici giorni precedenti il voto è vietato rendere pubblici o diffondere i risultati di sondaggi sull'esito delle decisioni e sugli orientamenti politici e di voto degli elettori, anche se tali sondaggi sono stati effettuati in un periodo precedente. Le regole dettate dalla legge 28/2000 sono supportate da sanzioni che consistono essenzialmente nell'offrire alle forze politiche danneggiate una compensazione nell'accesso agli spazi informativi, nonché nel dare rilievo e notorietà alla violazione delle norme sulla par condicio.


I temi della camna elettorale.


La camna elettorale del 2001 è stata caratterizzata dai suoi accenti esasperati e contraddittori, tanto che il Presidente della Repubblica Ciampi si vedeva costretto ad invitare ripetutamente le parti ad abbassare i toni. La camna elettorale in atto in Italia attirava l'attenzione della stampa estera e dei Governi europei. Il centrodestra e Berlusconi ottenevano la massima consacrazione al congresso di Berlino; però, la stampa estera e diversi esponenti di Governo europei manifestavano seri timori parlando di 'pericoli' per le sorti dell'Unione Europea, connessi a un'eventuale vittoria del centrodestra. Tali critiche, quindi, spingevano il leader della Casa delle Libertà a cercare un Ministero degli Esteri stimato a livello internazionale: si spiegava così la successiva nomina di Renato Ruggiero.

Comunque, se Berlusconi contava i suoi nemici all'estero, Rutelli doveva difendersi dagli attacchi provenienti da settori imprevisti dalla società italiana. La corsa di Rutelli si scontrava in più di un'occasione con la Chiesa cattolica, la quale bocciava il programma del centrosinistra giudicandolo vuoto e retorico; inoltre, ad irrigidire i rapporti tra la gerarchia ecclesiastica e la coalizione di centrosinistra aveva contribuito la polemica innescata dal Ministro per l'Ambiente Bordon con Radio Vaticana, con la minaccia di chiudere i suoi ripetitori, responsabili di un inquinamento elettromagnetico superiore ai limiti di legge.


La sovrapposizione di elezioni politiche e elezioni amministrative.


Le elezioni politiche del 2001 coincidevano con la scadenza del mandato dei Sindaci di molte città: i cittadini di Roma, Milano, Napoli, Torino e Venezia e di molti altri centri minori erano chiamati a rinnovare i propri vertici amministrativi e, contemporaneamente, insieme a tutti gli elettori, il Parlamento nazionale.

Le elezioni politiche si sarebbero svolte il 13 maggio 2001; diventava un caso la data delle elezioni amministrative: il dubbio concerneva la possibilità di accorparle con le elezioni politiche, oppure di tenere in un momento diverso (la scelta dell'accorpamento è rimessa alla discrezionalità del Governo).

I due schieramenti si contrapponevano anche su tale questione: il centrosinistra, tradizionalmente più forte nelle elezioni amministrative, che era favorevole all'accorpamento, perché avrebbe potuto essere l'elemento per trainare un buon risultato anche nelle elezioni politiche; contro tale ipotesi si schierava il centrodestra, che voleva evitare il rischio di confusione derivante da un numero eccessivo di schede.

In ogni caso, alla fine si optava per l'accorpamento delle elezioni: le amministrative si svolgevano unitamente alle elezioni politiche il 13 maggio 2001.


Il risultato del voto politico del 13 maggio 2001.


Il voto del 13 maggio consegnava una vittoria netta in termini di seggi e di voti alla coalizione di centrodestra, consacrando Silvio Berlusconi leader indiscusso dell'alleanza e Forza Italia partito più votato. (Nel 2001 il centrodestra si accordava con la Lega Nord e con la Fiamma Tricolore di..; il centrosinistra, non riusciva a concludere un accordo politico o elettorale con quelle due forze, Rifondazione comunista e lista Di Pietro, che, se alleate, avrebbero potuto determinare, specie al Senato, un esito diverso se non opposto).

Le elezioni del 2001 deludevano le aspettative dei c.d. terzi poli, Democrazia Europea, Lista Di Pietro, Lista Pannella-Bonino, Rifondazione comunista, di ritagliarsi uno spazio autonomo e significativo all'interno dello schieramento politico: infatti, a causa del mancato raggiungimento della soglia di sbarramento nella quota proporzionale da parte di queste liste (eccetto Rifondazione), il 97,6% dei seggi alla Camera ed il '96, 5% dei seggi al Senato risultava assegnato alle forze politiche appartenenti alle due coalizioni principali.

Come si nota, tale sistema elettorale ha realizzato il principale scopo alla base della riforma del 1993: garantire la formazione in Parlamento di una maggioranza in grado di governare. Resta però critico, tale sistema, sul piano della rappresentanza delle minoranze che non riescono a trovare spazio. A parte Rifondazione comunista, il ruolo di opposizione parlamentare, coerentemente con l'attitudine bipolare del nostro sistema politico, viene riservato esclusivamente alla coalizione di centrosinistra.




CAPITOLO VII


L'avvio della XIV^ legislatura (maggio-novembre 2001).



La maggioranza parlamentare di centrodestra e la nascita del II° Governo Berlusconi.


Il 30 maggio 2001 iniziava la XIV^ legislatura repubblicana con la prima seduta delle nuove Camere. L'ordine del giorno della 1ª convocazione di Camera e Senato prevedeva l'elezione dei rispettivi presidenti. Il centrodestra escludeva di offrire una delle due presidenze all'opposizione. Il centrodestra indicava Pera (FI) e Casini (CCD) rispettivamente per la presidenza del Senato e per quella della Camera, dopo un vertice notturno tra i leader della Casa delle Libertà e solo dopo che Berlusconi, nel precedente incontro con Bossi, aveva ottenuto dalla Lega la rinuncia alla presidenza della Camera e al Ministero degli Interni promettendo in cambio la 'visibilità' per la Lega Nord con l'assegnazione del Dicastero della Giustizia e di quello del Welfare e politiche sociali. L'on. Pera veniva eletto Presidente del Senato al primo scrutinio; l'on. Casini veniva eletto Presidente della Camera solo al quarto scrutinio. Sia Casini che Pera, né i loro discorsi di insediamento ribadivano l'apertura della maggioranza ad un dialogo costante con l'opposizione, sottolineando che c'è un diritto della maggioranza a governare ed un diritto dell'opposizione a controllare.


La formazione del II° Governo Berlusconi.


La camna elettorale aveva visto gli schieramenti politici contrastarsi non solo sul programma dell'Esecutivo, ma anche sui candidati della possibile 'squadra di Governo'. Dopo che erano stati resi noti i risultati elettorali definitivi, il Presidente della Repubblica avviava un primo giro di consultazioni informali in vista della formazione del nuovo Esecutivo: Ciampi insisteva sulla necessità di una ura di altissimo livello al Ministero degli Esteri per garantire all'Italia 'una rappresentanza internazionale inattaccabile e di grande autorevolezza'. Il Presidente della Repubblica esprimeva inoltre l'auspicio che 'il futuro Presidente del Consiglio potesse affrontare al più presto la questione relativa al conflitto di interessi in modo da poter separare gli interessi privati rispetto alle funzioni pubbliche'. Anche in ragione delle specifiche richieste provenienti dal Capo dello Stato e per contribuire a colmare il presunto deficit di credibilità della sua coalizione sul piano internazionale, l'on. Berlusconi valutava nuovamente la possibilità di affidare il Dicastero degli Esteri all'ex presidente del WTO Renato Ruggiero. Tale notizia induceva una larga parte della stampa europea a cambiare radicalmente opinione e a migliorare quindi l'immagine internazionale del Governo Berlusconi. Il 18 maggio il Presidente del Consiglio dimissionario Giuliano Amato incontrava, nella abitazione privata di Gianni Letta, il leader della coalizione di centrodestra per discutere degli appuntamenti internazionali che attendevano il futuro Presidente del Consiglio: la riunione della Nato a Bruxelles, il vertice di Goteborg ed infine, il vertice del G8 di fine luglio a Genova.

La probabile assegnazione ad un 'tecnico' del Dicastero degli Esteri era stata accolta, dalla coalizione di centrodestra, con molte perplessità. La decisione politicamente più significativa, anche in ragione delle aspettative dei partner europei, riguardava infatti il candidato alla Farnesina. Berlusconi aveva ristretto la sua scelta a due personalità: Ruggiero (tecnico) e Casini (politico): da questa decisione dipendeva anche la scelta dei candidati per la Presidenza delle Camere, che sembrava convergere su Fisichella per il Senato e Roberto Maroni per la Camera.

Duplice l'obiettivo di AN: la presidenza del Senato e la vicepresidenza unica del Consiglio per il suo leader; AN puntava inoltre al Ministero dell'Ambiente e a quello dell'Agricoltura. Per l'on. Casini si faceva concreta l'ipotesi della guida della Farnesina, caldeggiata dalle altre forze della coalizione intenzionata a non cedere il ministero ad un tecnico.

Il leader della Lega Bossi chiedeva a Berlusconi: un posto da vicepremier, un ministero di 'serie A' (con ogni probabilità agli Interni) e la Presidenza di una Camera.

La difficile trattativa per l'assegnazione del Dicastero degli Esteri si avviava alla conclusione durante un incontro tra Ruggiero, Berlusconi e l'ex segretario di Stato americano Kissinger durante il quale Berlusconi riusciva a convincere l'ex direttore del WTO ad accettare un mandato da 'tecnico politico', in accordo con il programma della Casa delle Libertà. Conseguentemente, cadeva il veto posto dagli alleati della coalizione, in particolare dalla Lega, alla nomina di Ruggiero alla Farnesina.

Per quanto riguarda la Presidenza della Camera, che la Lega rivendicava per Roberto Maroni, sulle ambizioni della Lega Nord gravavano alcune riserve del Quirinale. A pochi giorni dalla convocazione delle Camere per la scelta dei rispettivi presidenti, la Lega Nord e AN ribadivano le loro richieste: la Lega non intendeva rinunciare alla presidenza di Montecitorio,AN voleva Fisichella Presidente del Senato; nelle ultime trattative, però, FI avanzava la candidatura dell'on. Pisanu per la Presidenza della Camera, e quella di Enrico La Loggia per Palazzo Madama.

Il 28 maggio, a conferma delle difficoltà e delle forti tensioni all'interno della coalizione per l'assegnazione della presidenza delle Camere e degli incarichi di Governo, Berlusconi discuteva con Ciampi della possibilità di applicare solo parzialmente la riforma Bassanini nella semplificazione dei ministeri, che, abbattendo drasticamente il numero dei dicasteri (da 18 a 12) gli stava creando non pochi problemi nella formazione dell'Esecutivo.

Il vertice, nel quale era stato raggiunto l'accordo per eleggere Pera al Senato e Casini alla Camera aveva lasciato irrisolte alcune questioni concernenti gli incarichi di Governo direttamente collegati ad esponenti di rilievo di FI, quali Enrico La Loggia, Scajola e Pisanu. I primi due erano in ballottaggio per il Ministero degli Interni; per gli esclusi, erano a disposizione il Ministero dei Beni Culturali, quello dei Rapporti con il Parlamento è forse quello delle infrastrutture (ma difficilmente Berlusconi avrebbe rinunciato all'Ingegnere Lunardi).

La rinuncia di Fisichella (AN) al Ministero della Difesa, dopo la mancata elezione a Presidente del Senato, riapriva le trattative con una AN che insisteva sulla richiesta del Dicastero della Difesa; ma la candidatura più probabile per la Difesa continuava ad essere quella dell'on. Martino (FI). Si profilava così uno scambio: la rinuncia alla Difesa avrebbe comportato per il secondo partito della coalizione l'assegnazione del Ministero dell'Ambiente e di quello per le Politiche Agricole. La decisione di Buttiglione di accettare le Politiche Comunitarie, rendeva disponibile per FI il Ministero della Pubblica Istruzione, per il quale si profilava la scelta di un tecnico: Letizia Moratti. Si faceva così sempre più concreta l'ipotesi di aumentare a 14 i ministeri con la previsione di un dicastero autonomo della Sanità e uno delle Telecomunicazioni.

Il 30 maggio, Berlusconi ufficializzava la nascita di un 'mini-esecutivo' formato da quattro leader della coalizione, che avrebbe consentito loro di gestire direttamente la politica dell'Esecutivo. La nomina di Roberto Maroni al Ministero della Giustizia incontrava il veto del Capo dello Stato (infatti, l'on. Maroni, lo stesso Bossi e una quarantina di altri parlamentari e dipendenti della Lega uravano quali indagati in un'inchiesta a Verona per 'reati contro l'ordinamento dello Stato', che andavano dall'attentato alla Costituzione, all'associazione antinazionale, all'associazione paramilitare): Maroni rinunciava quindi al Ministero della Giustizia per consentire a Berlusconi di comporre la squadra di Governo in piena serenità. Bossi, comunque, continuava a dichiararsi convinto che il Ministero della Giustizia sarebbe andato alla Lega perché 'se la Lega non dovesse entrare nel governo, si andrebbe nuovamente a votare'. La lega si rendeva quindi disponibile a valutare ipotesi alternative alla candidatura di Maroni: e dopo un lungo vertice con Fini, Buttiglione e Bossi, Berlusconi affidava il Ministero della Giustizia ha Roberto Castelli (capogruppo dei senatori leghisti nella legislatura precedente).

Il 7 giugno iniziavano le consultazioni per la formazione del nuovo governo. La rappresentanza dell'Ulivo guidata da Rutelli (al Quirinale per le consultazioni) affermava la necessità che il nuovo Esecutivo risolvesse il problema del conflitto di interessi, in modo da poter essere libero, nelle decisioni che prenderà, da condizionamenti di interessi privati. La rappresentanza dell'Ulivo chiedeva inoltre un governo la cui composizione non diminuisse la credibilità dell'Italia davanti all'opinione pubblica ed all'estero.

La delegazione del centrodestra, composta dai capogruppo di FI, AN, Biancofiore e Lega Nord, chiedeva al Capo dello Stato di conferire l'incarico di formare il nuovo governo a Berlusconi.

Rifondazione comunista (Bertinotti) denunciava al Presidente della Repubblica una menomazione deldemocrazia - Le elezioni - I gruppi parlamentari - Il governo - La Corte Costituzionale" class="text">la democrazia che si manifesta nell'impossibilità di avere in Parlamento la presenza di tutti i rappresentanti del popolo italiano, tutto ciò come conseguenza di una manomissione del criterio di rappresentanza operato dalle liste civetta e con una progressiva modificazione della costituzione materiale del paese che ha imposto un regime bipolare, largamente limitativo della libertà di esercizio di opposizione e di critica e di rappresentazione politica durante la camna elettorale.

Il 9 giugno, ultimate le consultazioni, Ciampi convocava al Quirinale Berlusconi, al quale conferiva l'incarico di formare il nuovo Governo. Il 10 giugno il Presidente del Consiglio Berlusconi annunciava la lista dei Ministri alla stampa ed anticipava che il Governo, dopo la sua costituzione, avrebbe adottato un decreto-legge inteso a modificare il D.Lgs. 300/1999, allo scopo di conservare autonomia politica, organizzativa e funzionale al Ministero delle Comunicazioni e al Ministero della Sanità. L'11 giugno, il Consiglio dei Ministri approvava tale decreto-legge che provvedeva a ridefinire il numero dei dicasteri, ricostituendo quelli della Sanità (Sirchia) e delle Comunicazioni (Gasparri).

In definitiva, sul piano della rappresentanza politica, gli incarichi 'pesanti' risulteranno in tutto 16: 14 i Ministri con Portafoglio; la Vicepresidenza del Consiglio assegnata a Fini; il sottosegretariato alla presidenza a Gianni letta.


La presentazione del Governo alle Camere ed il voto di fiducia.


Il 20 e 21 giugno il governo veniva approvata la mozione di fiducia al governo dal senato e dalla camera. Il discorso programmatico con il quale il presidente del Consiglio Berlusconi otteneva la fiducia dalle due camere si soffermava sui temi di politica internazionale. Il presidente del consiglio infatti parlava di 'continuità della linea di politica estera' e di un 'più incisivo impegno per la costruzione europea e per il suo futuro, così come per il consolidamento dell'alleanza atlantica e del rapporto con gli Usa'. Il presidente del Consiglio riaffermava l'intenzione di attuare una riforma federalista dello Stato, con le connesse innovazioni in campo fiscale, ispirata ai principi dell'autonomia delle comunità locali e della sussidiarietà è collegata ad un rafforzamento del potere esecutivo in senso presidenzialista, nonché ad un più efficace potere di controllo delle assemblee parlamentari.

Accanto ad una riforma della P.A. secondo un nuovo modello di decentramento e di efficienza, il programma di Governo prevedeva l'adeguamento delle pensioni minime, la riduzione della pressione fiscale, la rivisitazione dei codici, un rilancio dell'economia e la realizzazione delle grandi opere infrastrutturali, secondo le compatibilità ambientali e le esigenze di modernizzazione del paese. Il presidente del Consiglio poneva in rilievo il problema della giustizia e della sicurezza: Berlusconi affermava infatti che l'obbligatorietà dell'azione penale e l'autonomia della magistratura sono principi realizzati in modo insoddisfacente se si pensa all'alto numero di reati per cui non si procede e a gli effetti perversi di una totale unificazione delle carriere e delle funzioni tra magistratura requirente e magistratura giudicante. Berlusconi aggiungeva, inoltre, che avrebbe, entro pochi mesi, risolto il tema del conflitto di interessi.

In definitiva, Berlusconi affermava che era da realizzarsi il federalismo, collegato ad una riforma che renda più forte e diretta la legittimazione popolare dell'esecutivo centrale, su una linea presidenzialista; sanità, scuola e sicurezza sarebbero state le prime materie devolute interamente alle regioni. Infine, il presidente del Consiglio si occupava del problema del Mezzogiorno: 'recupero della legalità, infrastrutture, formazione professionale e sgravi fiscali saranno le coordinate che dovranno dare slancio alla parte del paese più povera e svantaggiata'.


L'attacco terroristico dell'11 settembre 2001 e l'invio di truppe italiane in Afghanistan.


L' 11 settembre gli Usa erano vittima di un attacco terroristico di enormi proporzioni, che provocava la morte di quasi 3000 persone e stravolgeva il paesaggio urbano di New York, e apriva una grave frattura tra il mondo occidentale e il mondo arabo. Luoghi ed edifici simbolo dell'America economica e finanziaria e dell'America politica venivano colpiti da aerei di linea americani dirottati da un commando di terroristi arabi, appartenenti al gruppo di Al Qaeda, guidato da Bin Laden.

Solo in serata il Presidente Bush rivolgeva un messaggio alla nazione, nel quale dichiarava che gli Usa avevano subito un attacco di guerra, e che avrebbero colpito duramente i responsabili e i Paesi che li proteggevano. Immediate, in tutto il mondo, le reazioni di sdegno per l'attentato e le dichiarazioni di solidarietà agli Usa.

Il Consiglio dei Ministri si riuniva in via straordinaria la sera del giorno 11 e il presidente del consiglio assicurava l'appoggio incondizionato dell'Italia nella ricerca dei criminali responsabili di tali attentati. Le istituzioni comunitarie offrivano totale sostegno, anche militare, all'alleato d'oltreoceano. Il 12 settembre Silvio Berlusconi riferiva alla camera che, sul piano politico, la risposta all'attacco antiamericano e antioccidentale dovrà essere sufficientemente energico per raggiungere tre risultati decisivi:

1) l'individuazione e la punizione dei responsabili degli attentati, 2) l'eliminazione della loro rete di protezione, 3) la costruzione di un sistema di prevenzione e di intelligence che renda impossibile la realizzazione dei piani di morte del terrorismo internazionale.

Comunque, nonostante la totale solidarietà mostrata da parte di tutte le forze politiche italiane, già dalle prime dichiarazioni emergevano dubbi e perplessità circa eventuali azioni militari da parte degli Usa. Ventiquattro ore dopo l'attentato terroristico Bush affermava: 'è stato un atto di guerra, non solo un atto di terrorismo. E in quanto atto di guerra risponderemo in modo adeguato'. Il 14 settembre, su richiesta del Presidente Bush, il senato americano (congresso) votava all'unanimità una risoluzione, una sorta di cambiale in bianco, in vista delle azioni militari ('il presidente è autorizzato a usare tutte le necessarie e idonee è misure di forza contro quelle nazioni, organizzazioni o persone che, a suo giudizio, hanno pianificato, commesso o aiutato gli attacchi terroristici dell'11 settembre 2001 o che hanno dato asilo a simili persone o organizzazioni').

Il 12 settembre il consiglio Atlantico dichiarava di poter applicare l'art. 5 del suo trattato istitutivo, quello che impegna tutti i partner a rispondere congiuntamente all'attacco rivolto anche contro uno solo di loro. Il giorno seguente il vice segretario dell'alleanza chiariva che l'art. 5 è molto flessibile. Non implica necessariamente una partecipazione degli alleati ad un eventuale rappresaglia militare degli Usa contro gli autori degli attentati: tocca innanzitutto al Governo degli Usa decidere quello che vuole fare, e per gli altri non c'è alcun automatismo.

Il 14 settembre, durante un Consiglio dei Ministri, Berlusconi affermava che il nostro paese avrebbe sostenuto la doverosa e sacrosanta guerra al terrorismo al fianco degli Usa. Il 21 settembre, il Consiglio Europeo sollecitava la costituzione di una coalizione globale la più ampia possibile sotto l'egida delle Nazioni Unite per la lotta al terrorismo ed approvava inoltre un piano d'azione dell'Unione Europea che comportava un rafforzamento della cooperazione giudiziaria e di polizia in seno all'Unione, e lo sviluppo di strumenti giuridici internazionali per bloccare le fonti di finanziamento del terrorismo.

Il 2 ottobre gli Usa fornivano agli alleati un'esauriente informativa in merito alle responsabilità di Bin Laden e della sua organizzazione Al Qaeda, frutto del 'più grande sforzo investigativo mai compiuto dagli Usa'; accertata quindi la provenienza del devastante attacco mosso contro gli Usa che si poteva considerare, in base all'art. 5 del trattato Nato, un attacco diretto a tutti i membri dell'Alleanza atlantica, gli Usa, in applicazione del suddetto trattato, richiedevano, in occasione del Consiglio atlantico del 3 ottobre, alcune specifiche misure individuali e collettive di solidarietà e di assistenza logistica; richieste che i Paesi membri dell'Alleanza accoglievano immediatamente. La decisione, però, non comportava l'automatico impegno militare diretto da parte degli Stati alleati; la diplomazia americana avrebbe concordato caso per caso e su base bilaterale, gli aiuti di ciascun alleato nella misura ritenuta necessaria.

Il 4 ottobre, il Ministro della Difesa italiano, nella seduta congiunta delle Commissioni Affari esteri e Difesa, di Camera e Senato, informava, in relazione alla prima richiesta di collaborazione che il Governo degli Usa aveva presentato alla Nato e ai paesi membri, del consenso espresso dall'Italia alle misure di sostegno logistico, giudicate compatibili con le capacità complessive dello strumento militare e di sicurezza del nostro Paese. Il ministro della Difesa Martino, sulla base delle determinazioni della Nato e delle specifiche richieste avanzate dagli Usa, dichiarava che il Presidente del Consiglio Berlusconi, anche se 'costituzionalmente' non obbligato, riteneva altamente opportuno coinvolgere il Parlamento con un voto su una risoluzione.

Il 7 ottobre Usa e Gran Bretagna iniziavano le incursioni nell'Afghanistan con un'azione rapida e mirata: raid aerei e missili cruise investivano Kabul,Kandahar e Islamabad. Lo stesso giorno,Bin Laden, con un intervento alla televisione araba, rivendicava la paternità degli attentati giurando su Allah che 'né l'America né coloro che vivono in America avranno sicurezza fino a quando non l'avrà concretamente la Palestina, fino a quando tutti gli eserciti infedeli non usciranno dalla terra del profeta'. In serata Berlusconi interveniva da Palazzo Chigi affermando: 'l'Italia è a fianco degli Usa; siamo pronti a partecipare ad eventuali azioni militari se ci verrà chiesto'.

Il 9 ottobre, quindi, il Governo si presentava in Parlamento per ottenere un voto, 'il più ampio possibile', sull'apporto logistico e militare dell'Italia alle operazioni in Afghanistan (l'auspicio era quindi quello di una massima convergenza possibile tra maggioranza e opposizione). I capigruppo della coalizione di maggioranza presentavano, sia alla Camera sia al Senato, un'unica mozione di sostegno all'impegno del Governo italiano, mentre i leader del centrosinistra non riuscivano ad elaborare una soluzione comune (il centrosinistra, quindi, sulle questioni relative agli interventi militari non riusciva ad affermare una posizione unitaria). In definitiva i due rami del Parlamento, sentite le comunicazioni del Governo, approvavano due risoluzioni: una della maggioranza (che impegnava il Governo ad assicurare 'il sostegno delle azioni, anche militari, che si renderanno necessarie nella lotta al terrorismo internazionale') l'altra, presentata dai gruppi dei DS e della Margherita (che impegnasse a se il Governo 'a prestare agli Usa la collaborazione di assistenza e sostegno richiesta ai paesi membri dell'alleanza atlantica, nella misura e nei modi comunicati dal Governo al Parlamento, contribuendo in tal modo a una necessaria ed efficace operazione di polizia militare secondo criteri di giusta proporzionalità'. L'appoggio del Parlamento italiano all'offensiva avviata dagli Usa in Afghanistan arrivava sotto forma di un'intesa tra maggioranza di governo e maggioranza dell'opposizione.

Alla Camera, il dispositivo che approvava le dichiarazioni del Governo e che confermava /'in questa fase cruciale di lotta al terrorismo internazionale, la piena solidarietà dell'Italia al popolo e al Governo degli Stati Uniti d'America, nonché delle istituzioni dell'Alleanza atlantica, assicurando il sostegno alle azioni, anche militari, che si rendevano a tal fine necessarie, tenendo costantemente e tempestivamente informato il Parlamento'/riceveva 513 voti a favore (tra maggioranza e gran parte dell'opposizione), 35 contrari e 2 astensioni. Il dispositivo era contenuto in entrambe le risoluzioni presentate dal centrodestra e dalla maggioranza dell'Ulivo. Votavano contro l'invio delle truppe: Rifondazione comunista, i Verdi e i Comunisti italiani.Allo stesso modo il Senato approvava con 152 voti favorevoli, 26 contrari e 1 astenuto la risoluzione presentata dalla maggioranza che confermava quanto prima riportato.

Comunque, il contingente militare che l'Italia metteva a disposizione era di '2850 unità, compresi i circa 1000 militari dell'esercito il cui impiego avrebbe potuto collocarsi in una fase successiva'.




Conclusioni (di Antonio D'Andrea).



Considerazioni sull'evoluzione del bipolarismo nel sistema di governo in Italia.


Il rafforzamento del bipolarismo nel nostro Paese è dovuto alla precisa volontà delle forze politiche di aggregarsi in due condizioni alternative, ciascuna con un suo leader noto (in quanto preventivamente indicato) agli elettori e destinato guidare il Governo, espressione della coalizione vincente.

Nelle elezioni del maggio 2001, i partiti raggruppati nelle due coalizioni che si sono fronteggiate (Polo e Ulivo) si sono spinti, quanto alla indicazione dei due candidati alla carica di Presidente del Consiglio, sino ad inserire i loro nomi (Berlusconi e Rutelli) nel logo della coalizione e, dunque, per questa via a riproporre quella indicazione nominativa in una delle due schede che gli elettori hanno ricevuto per l'elezione della Camera (relativa all'elezione nei collegi uninominali) ed in quella relativa alle elezioni nei collegi senatoriali.

Nel corso della XIV legislatura si nota un forte irrobustimento del funzionamento in senso bipolare del sistema politico italiano, anche se non mancano frequenti occasioni di contatto interno a ciascuna coalizione, la cui natura pluripartitica certo non facilita l'individuazione di una 'posizione unitaria' su numerose questioni dell'agenda politica; il fatto nuovo che evidenzia il bipolarismo italiano nella XIV legislatura è rappresentato dalla convinzione manifestata dai partiti, appena dopo la naturale formazione del Secondo Governo Berlusconi e ribadita anche nei momenti di maggiore tensione all'interno della coalizione di appartenenza, di non potersi e volersi adoperare per cambiare nelle Camere la maggioranza di governo 'uscita' dalle urne. Quindi la quasi totalità dei partiti italiani non ritiene più possibile la costituzione di una maggioranza di governo che si possa formare ex post in forza di semplici accordi parlamentari e che sia diversa da quella che ha ricevuto una preventiva e positiva valutazione popolare.

Comunque, nel contesto bipolare, così come viene conurandosi nell'ordinamento italiano, di una coalizione della cui leadership nessuno discuta in quanto pacificamente riconosciuta, può non essere agevole definire gli assetti del Governo; è però evidente che anche nell'ordinamento italiano la logica bipolare, che muove le alleanze delle forze politiche, possa effettivamente offrire al corpo elettorale la possibilità di scegliere tra due proposte alternative di governo, una delle quali destinata a prevalere nella competizione per la ripartizione numerica dei seggi parlamentari.

La volontà (maggioritaria) degli elettori, così come si rende 'utilizzabile' in termini di forza parlamentare (seggi) della coalizione che prevale, può, dunque, essere strutturalmente collegata alla formazione del Governo. Si può quindi affermare che il Governo, che scaturisce da un confronto tra due coalizioni dichiaratamente alternative e presentate come tali al corpo elettorale, finisce per avere con gli elettori un collegamento più immediato di quanto non accadrebbe se le forze politiche affrontassero solo dopo il voto la questione delle alleanze, ricercando, sulla base dei risultati acquisiti da ciascuna di esse, la maggioranza parlamentare di sostegno all'Esecutivo.

Bisogna inoltre sottolineare che, nonostante la recente sa nelle schede elettorali del nome del candidato Premier per entrambe le coalizioni, l'elezione del Presidente del Consiglio, nell'ordinamento italiano, non è né diretta né indiretta sotto il profilo costituzionale.


















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