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IL TRAMONTO DELL'OCCIDENTE

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IL TRAMONTO DELL'OCCIDENTE

La società post-moderna, il pensiero occidentale e la (bio)diversità



Il tramonto indica il compiersi di un senso nel quale l'Occidente s'è sempre riconosciuto, un tramonto inscritto nell'alba di quel giorno in cui "la terra della sera" ha cominciato ad interpretarsi come cultura del dominio dell'uomo sulle cose.


Introduzione

Alla luce della grave situazione ambientale e umana odierna, questo discorso vuole essere un'analisi generale della nostra realtà nella speranza d'individuare un filo conduttore determinante nel percorso del pensiero occidentale che celebra oggi, grazie alla globalizzazione, la supremazia quasi totale del suo modello sugli altri. Ma proprio nel giorno della sua celebrazione l'uomo può cogliere nella sua interezza il senso del tramonto che accomna, fin dalla nascita, l'Occidente.



Oggi la terra si ribella, il pianeta moribondo ribadisce violentemente la sua presenza agli occhi di un uomo che ha costruito nella dimenticanza dell'essere i suoi sogni di potere e di progresso per sfuggire alla precarietà naturale.

Da qui l'importanza della biodiversità, perché mantenerla significa salvaguardare l'equilibrio della biosfera basato sul legame vita-terra; e della diversità culturale e di pensiero: mantenerla significa salvaguardarci da una globalizzazione che appiattisce i modi della mente su un solo linguaggio e significa anche riscoprire le radici di un pensiero armonico, consapevole del ruolo dell'uomo in quanto parte di una totalità.



Parte I: LA NOSTRA REALTA'


Un mondo che si sta sciogliendo

Ognuno di noi nell'ultimo anno, ha sentito che qualcosa nel comportamento della terra stava cambiando profondamente: le ondate di caldo dell'ultima estate, l'autunno meno freddo del solito e un inverno senza neve sono dati che lasciano interdetti la maggior parte degli esseri viventi, e che quando si verificano in concomitanza sfuggono a qualsiasi statistica. Oltre a questi eventi vi sono quelli direttamente riconducibili all'uomo come l'esaurimento del petrolio ed il suo continuo rincaro, lo smog che soffoca le città e gli scarichi industriali. Oggi proprio tutti ci siamo accorti di come il pianeta stia mutando ad una velocità senza precedenti e non possiamo fare a meno di constatare come più di mezzo secolo di previsioni sulle conseguenze negative dell'uso indiscriminato della terra da parte dell'uomo non siano stati sufficienti per cambiare registro.


Il 2006 verrà ricordato come un anno di mutamenti climatici record ed eventi estremi in tutto il mondo:

gennaio: le temperature alle Svalbard erano di 12° superiori alla media;

primavera: caldo particolare in Australia e in Brasile;

estate: temperature di 2° superiori alla media in Europa;

autunno: temperature superiori alla media e siccità in Cina, USA e Africa;

inverno: poca neve sulle Alpi, i ghiacciai si stanno ritirando.


Di fronte a questi dati nessuno può più trovare attenuanti circa l'influenza dell'uomo sui cicli naturali del pianeta. Infatti le mutazioni sono cominciate da molto tempo:

30%: aumento dell'anidride carbonica dall'inizio della rivoluzione industriale;

2,5°: aumento della temperatura in Antartide negli ultimi 50 anni;

10-20cm: aumento globale del livello del mare nel 1900;

5 trilioni di euro: il costo del mutamento climatico in termini di catastrofi naturali e perdita di vite umane;

0,5°: aumento della temperatura nel mondo a conseguenza dell'effetto serra.


Le previsione degli scienziati per il futuro non sono certo rosee; si prevede infatti:

una crisi delle risorse idriche del pianeta nei prossimi 50 anni;

eventi climatici estremi;

un miliardo di persone non avrà abbastanza acqua;

sfollamento di milioni di persone per l'innalzamento del livello dell'acqua;

grande diffusione della malaria;

frequenti inondazioni dovute alla crescita del livello dei fiumi e allo scioglimento dei ghiacciai;

desertificazione;

cambiamenti della vegetazione;

estinzioni (30% delle specie).


Le soluzioni per ridurre l'emissione dei gas serra (del'20% entro il 2020!) consistono principalmente nello sfruttamento delle energie alternative :

energia solare;

energia nucleare;

energia geotermica;

energia eolica;

biocarburanti.



Probabilmente abbiamo già superato il punto di non ritorno in quanto i sintomi della malattia sono allarmanti e il ritorno alle condizioni di vita che abbiamo conosciuto spesso impossibili. Scienza e tecnica , le più importanti estensioni del potere umano, hanno raccolto il senso del nostro destino negli ultimi 200 anni, ma subordinate ad altre forme di potere, oggi non hanno alcuna autorità, se non quella di allarmarci, sui modi e i tempi della catastrofe naturale che sta avvenendo. Infatti tutto il nostro impianto, che è impensabile senza scienza e tecnica, è rivolto ossessivamente alla rincorsa del "progresso" e nemmeno ora sembra intenzionato a frenare.

Ora più che mai è necessario un cambiamento di rotta; a questo proposito le politiche internazionali e l'ONU non hanno mancato d'intervenire emanando direttive per gli stati, che tutelino almeno parzialmente l'ambiente contro l'impatto inquinante delle industrie, dei rifiuti, delle città ecc. Come mai allora in Europa (che è il continente maggiormente orientato ad una politica verde) le emissioni nel complesso sono cresciute del 2,3%? Esemplificativo in questo senso è il caso del più impor-tante trattato internazionale al riguardo: il protocollo di Kyoto. Il protocollo di Kyoto, che si impe-gnava a ridurre le emissioni del 5,2% entro il 2008-l2, è stato firmato nel 1997 ma ha raggiunto il numero minimo di aderenti per diventare attivo solo nel 2005, e non annovera tra le sue file paesi come Stati Uniti, Australia, Cina e India, ovvero i massimi produttori di anidride carbonica. Questo poiché non si può pensare alla politica slegandola dall'economia e viceversa; queste, come la storia ci ha insegnato, sono le due facce di una stessa medaglia.

La verità è che non abbiamo una cultura capace di inventare nuove categorie, capaci di rispondere alla crisi senza andare contro di sé.

Tutto quanto fa impazzire l'ambiente dipende in qualche modo dall'uomo; i sintomi (l'innalzamento delle temperature, il buco dell'ozono, l'estinzione di migliaia di specie animali e vegetali, i cambiamenti climatici ecc.) sono eventi che hanno messo in crisi i modelli di progresso e crescita occidentali, chiamando alla risposta ognuno di noi. L'uomo è per questo catapultato nuovamente in una dimensione "umana" in cui i fenomeni naturali e il futuro sono fonte di timore e incertezza.


La Perdita di Biodiversità


La parola biodiversità comprende la varietà di forme di vita che popolano la biosfera.

La scintilla che dà origine ai processi evolutivi è un errore nella duplicazione del DNA, una mutazione genetica, che, una volta premiata dalle condizioni ambientali, viene trasmessa e diventa parte integrante del patrimonio genetico della specie. Questo processo, in quattro miliardi di anni, ha generato una miriade di forme di vita che popolano il pianeta.

L'evoluzione è un'ulteriore conferma di come l'ambiente stesso dia origine alla diversità, promuovendo lo sviluppo di caratteristiche favorevoli alla vita in un determinato territorio, ma anche di come l'ambiente cambi e sia influenzato dagli organismi che lo popolano.

Esistono tre livelli di biodiversità:

biodiversità genetica: differenze nel patrimonio genetico fra individui della stessa specie;

biodiversità di specie: numero delle specie esistenti in una determinata area;

biodiversità ecosistemica: varietà di ambienti e condizioni ecologiche cui gli individui devono adattarsi.

Anche la diversità culturale può essere considerata parte della biodiversità, poiché l'uomo ha elaborato uno stile di vita per adattarsi ai cambiamenti delle condizioni ambientali per fronteggiare i vari problemi della vita quotidiana.


La sesta estinzione

L'estinzione di una specie è un fenomeno naturale ma è evidente che la distruzione degli ecosistemi naturali e la conseguente estinzione di molti esseri viventi, hanno subito, in seguito alla sa dell'uomo e ancor più a partire dal XX secolo, una notevole accelerazione. Spesso l'estinzione di un'unica specie è sufficiente a indebolire la rete trofica portando all'estinzione di altri organismi e all'alterazione dell'ecosistema di appartenenza.

I sistemi naturali normalmente sono in grado di autoregolarsi sfruttando le proprie caratteristiche di resistenza e resilienza ma la tecnica moderna agisce ad una velocità innaturale.

L'alterazione è iniziata quando gli esseri umani, hanno cominciato ad abbattere e bruciare le foreste e a sfruttare piante e animali, prima con attrezzi rudimentali e forme di agricoltura primitive, poi con modalità e tecnologie sempre più invasive. Questa forte pressione sugli ambienti è cresciuta di pari passo con il rapidissimo aumento della popolazione umana (crescita esponenziale).

Ogni anno si estinguono 26mila specie di organismi animali e vegetali con un tasso di estinzione mille volte maggiore di quello naturale. Le cause sono molteplici e vanno dalla distruzione degli habitat, che si verifica con il sovrasfruttamento del territorio, all'inquinamento, alla deforestazione ecc., all'introduzione di specie alloctone che competono e spesso si sostituiscono alle specie originarie banalizzando l'ambiente.

Per questo oggi siamo di fronte a quella che gli scienziati chiamano sesta estinzione.

L'innalzamento delle temperature dei prossimi anni non potrà che peggiorare la situazione stravolgendo i ritmi biologici di animali e piante e consolidando il numero di specie estinte ogni anno.

Già adesso fenomeni artificiali e climatici fanno sterzare le rotte di uccelli, cetacei, anfibi, mam-miferi e insetti che si adattano, per quanto possibile, alle nuove condizioni ma è triste constatare co-me questa situazione risulti "alienante" per molte specie, che perdono letteralmente la loro bussola naturale. Si conoscono specie che hanno iniziato a vivere nelle grandi città attratte dall'abbondanza di cibo e dal calore.

Gli effetti dell'innalzamento delle temperature insomma si possono verificare anche nel giardino di casa propria dove vivono specie alloctone che fino a 10 anni fa non sarebbero sopravvissute (farfalle africane).

Purtroppo però anche riuscendo, in 20 anni, ad abbassare le emissioni contenendo così l'innalzamento delle temperature fra gli 1,5 e 2,5 gradi, le specie a rischio d'estinzione saranno il 20-30%.

Altro problema che può mettere a rischio la diversità naturale è quello dell'uso della biotecnologia per l'incrocio dei geni di diverse specie animali e vegetali.

La possibilità che i geni modificati passino in modo incontrollato da una specie all'altra è un rischio reale che metterebbe in pericolo la "biodiversità, fondamentale per la sicurezza alimentare dell'umanità. Nel dibattito sui transgenici si sovrappongono posizioni e grandi interessi commerciali, per cui bisognerebbe applicare come regola fondamentale un principio precauzionale. finché non ci sia un consenso scientifico sul tema".

Le varietà agricole commerciali di soia, mais, cotone e colza, sono controllate da appena cinque imprese multinazionali del Nord industriale, proprietarie dei brevetti, e più del 90 per cento dell'area seminata si trova in Argentina, Canada e Stati Uniti, sebbene cominci ad avanzare verso altri paesi. Secondo la politica delle multinazionali, ai contadini che fanno uso di semi modificati viene impedito per contratto di riutilizzare parte dei semi che ricavano dai raccolti, e questo causa l'interruzione della selezione delle sementi, tradizione dei contadini di tutto il mondo, e che è la pratica più antica di ottimizzazione delle colture.



Globalizzazione


Con il termine globalizzazione si indica il fenomeno di crescita progressiva delle relazioni e degli scambi di diverso tipo a livello mondiale osservato a partire dalla fine del XX secolo. Sebbene con questo termine ci si riferisca prevalentemente agli aspetti economici delle relazioni fra popoli e grandi aziende, il fenomeno va inquadrato anche nel contesto dei cambiamenti sociali, tecnologici e politici, e delle complesse interazioni su scala mondiale che, soprattutto a partire dagli anni ottanta, in questi ambiti hanno subito una sensibile accelerazione.

In campo economico la globalizzazione denota la forte integrazione nel commercio mondiale e la crescente dipendenza dei paesi gli uni dagli altri. Con la stessa parola si intende anche l'affermazione delle imprese multinazionali nello scenario dell'economia mondiale: in questo settore si fa riferimento sia alla produzione (spesso incentrata nei paesi del sud del mondo), sia alla vendita, che vede i prodotti di alcuni marchi molto sponsorizzati, in commercio in quasi tutti i paesi del mondo.

Se a livello economico la globalizzazione promuove una crescita e uno sviluppo senza precedenti essa procede senza preoccuparsi di alcun criterio. Le multinazionali hanno oggi la possibilità di agire in maniera "cannibale" eliminando qualsiasi concorrenza ed arricchendosi con lo sfruttamento della manodopera a basso costo.

Lo stato nazionale non è a misura di un simile mercato e manca a livello sovranazionale un coordinamento che possa guidare e regolamentare l'impatto sociale dell'economia globale. Non vi è in pratica un primato della politica sul mercato in quanto le multinazionali possono agire senza grossi vincoli, rispondendo unicamente alle leggi degli stati che sfruttano. L'organizzazione del lavoro com'è stata intesa finora va ripensata, poiché lo stato - limitato entro i propri confini - non può più dettare regole ad imprese transnazionali, capaci di aggirare con la loro influenza ogni barriera. Gli stati dovrebbero accordarsi tra loro, e rinunciare a parte della propria sovranità, delegandola ad istituzioni transnazionali (come il parlamento europeo); al contrario, lo stato viene spinto a diventare minimale (ovvero si occupa solo di garantire l'ordine) rispetto al potere economico, che le multinazionali hanno acquisito grazie alla possibilità di produrre dove la manodopera costa meno, che influenza gli stati a compiere politiche che le attirino, al costo di creare 'zone franche' in cui i diritti umani non siano garantiti.

I dati forniti dalle scienze sociali indicano però che la globalizzazione non ha reso nel complesso i paesi più poveri, ma nemmeno ha grande influenza nella riduzione della povertà. Hanno invece effetto decisamente maggiore alcuni miglioramenti interni, quali sviluppo della rete infrastrutturale, il perseguimento della stabilità politica, le riforme del sistema agrario e miglioramento dell'assistenza sociale.Effetti indiretti della globalizzazione sono le ripercussioni sull'ambiente e sull'inquinamento dell'aria, causate dall'industrializzazione e dall'aumento dei trasporti. Come abbiamo visto le conseguenze del modello economico-politico occidentale sono tragiche, per di piu' esso sta invadendo tutti gli stati e le culture della terra che se vogliono stare al passo devono adeguarsi.

Con globalizzazione, ci si riferisce oltre che allo sviluppo di mercati globali, anche alla diffusione dell'informazione e dei mezzi di comunicazione come internet, che oltrepassano le vecchie frontiere nazionali. Nello stesso campo il termine indica la progressiva diffusione nei notiziari locali su temi internazionali. Per l'economia internazionale i mezzi di comunicazione diventano vetrine virtuali nelle quali si espone l'offerta ai consumatori attraverso la pubblicità mentre la politica è fatta in tv mediante programmi d'intrattenimento e controllo dell'informazione nei notiziari. Di pari passo alla diffusione di notizie su scala mondiale ed alla progressiva presa di coscienza delle problematiche globali, cominciano a svolgersi grandi manifestazioni con la partecipazione contemporanea in numerose località di decine di milioni di persone In ogni caso, nella coscienza dei popoli il fenomeno si sta consolidando insieme alla diffusione del punto di vista globale ed all'impegno concreto per un mondo migliore al di là dei propri interessi personali e dei confini nazionali. Si parla sempre più spesso di 'globalizzazione dei diritti' e perciò di rispetto dell'ambiente, di eliminazione povertà, di abolizione della pena di morte ed emancipazione femminile in tutti i paesi del mondo.

Il termine globalizzazione è infine utilizzato anche in ambito culturale ed indica genericamente il fatto che nell'epoca contemporanea ci si trova spesso a rapportarsi con le altre culture, dato che le infrastrutture dedicate al trasporto consentono a beni e persone di arrivare ovunque e favoriscono una moltitudine di scambi fra individui diversi. Il mercato del turismo si inserisce nella globalizzazione del concetto di viaggio. Quest'ultimo è stato stravolto: i viaggi sono tesi a soddisfare il turista medio offrendo una vacanza standard, cucita attorno alle preferenze dell'uomo occidentale. Nascono così villaggi turistici, alberghi e negozi multinazionali, atti a soddisfare i costumi di chi arriva ma cancellando l'identità originale del luogo. Con l'estensione globale del turismo è sempre meno possibile addentrarsi in qualcosa d'incontaminato e diverso e in questo modo se anche l'ideale classico di viaggio come scoperta. Il rapporto fra culture che avviene oggi è incessante ma allo stesso modo superficiale.

GLOCALIZZAZIONE

Paradossalmente proprio la globalizzazione ha prodotto l'attenzione al locale, che ora pero' compete e mantiene la sua nicchia rivolgendosi all'esterno, con tecnologie e ideali globali.

Questo fenomeno è detto glocalizzazione. La globalizzazione cioè influenza pure le realtà che vorrebbero mantenersi locali, facendo loro acquistare valore economico e importanza, non più per un intrinseco senso di mantenimento delle tradizioni ma per un acquisito valore commerciale.


RISCHI DELLA GLOBALIZZAZIONE

I rischi sono che l'uomo possa perdere la sua autenticità e che le diversità vengano inglobate nel mercato e riproposte superficialmente. La globalizzazione invade non solo l'economia del mondo ma anche i comportamenti, il linguaggio, i costumi, il pensiero, le città e tutto ciò che ruota attorno al nostro concetto d'identità. Vi è la diffusione della concezione tipicamente occidentale di una società in evoluzione: i paesi del terzo mondo sono detti in via di sviluppo.

Insito nella globalizzazione è il conformismo di massa con il quale la società esercita il controllo sociale. La maggioranza si incarica di fornire agli individui una quantità di opinioni già fatte e li solleva dall'obbligo di farsene delle proprie.

Il pericolo di tale tendenza è la svalutazione di caratteristiche individuali quali la creatività, il pensiero proprio, l'elaborazione personale, la deresponsabilizzazione, ecc. In questa situazione le persone tendono a mimetizzarsi e ad adoperare un comportamento previsto dal sistema. Spesso le aspettative del mondo moderno e la pressione esercitata sul singolo scoraggiano le persone all'azione sviluppando insicurezza e inadeguatezza.


L'uomo post-moderno

L'abitante del nostro tempo è un uomo subordinato totalmente alla razionalità dei sistemi economici, politici, tecnici, industriali, scientifici, a cui ha affidato la propria vita. L'uomo è chiamato a misurarsi con strumenti cosi efficienti, come i computer, da abbandonare la pretesa di un primato. E' l'uomo colui che viene misurato, oggi, l'oggetto della tecnica, che avanza sulle ali del mito del progresso per offrire sempre maggiori vantaggi e comodità Ma facendo ciò la tecnica disumanizza chi s'inserisce nei limiti della stretta funzionalità; rispetto alle macchine, però, gli uomini si ammalano, non sono altrettanto precisi e non sempre possono intervenire scienza e medicina ad adattarci a ritmi che non ci appartengono. Le "nostre" macchine, non sono più mero strumento per soddisfare un bisogno, sono la condizione della vita dell'uomo post-moderno; se oggi non riusciamo più a pensare ad un mondo senza scienza e tecnica, ben più grave è il fatto che esse hanno alterato la nostra vita in campi che non appartengono alla competenza di un pensiero strumentale. Tutta quella parte della vita umana, il "mondo della vita" come la chiama Galimberti, riguardante i sentimenti, le emozioni, le credenze, i riti, che si basa su un pensiero non fondato sul calcolo, viene quotidianamente spazzata via dal predominio dell'oggettività scientifica.

Con la scienza la potenza individuale diviene collettiva, il superamento delle singolarità avviene offrendo a tutti le regole del metodo scientifico con cui leggere i fenomeni, formando l'intelletto intersoggettivo, che si presume identico in tutti gli uomini. La scienza si rivolge da una parte a dividere l'uomo non considerando la usa integrità (medicina, psicologia), dall'altra spersonalizza applicandosi agli uomini come se fossero tutti uguali (imposizione dei gusti).

L'uomo è diventato numero della scienza e oggetto dell'economia. La scienza sembra voler trasformare l' uomo in una macchina (tutta la medicina Occidentale agisce sull'uomo separandolo in pezzi da aggiustare). L'economia studia attraverso la scienza il modo migliore per spingere tutti a consumare un po' di più (la psicologia come arma della pubblicità), l'uomo vive per l'accumulo di denaro, che s'è trasformato, da mezzo con cui scambiare dei beni, in fine a cui tutto il processo economico tende incessantemente. Il massimo scambio di denaro avviene virtualmente, attraverso le borse, quasi a sostituire il bisogno intramontabile dell'uomo di un qualcosa di non materiale. si può dire che il denaro sia l'unico valore superiore (il denaro è dappertutto, unico pensiero).

Se economia e politica tendono ad appiattire le differenze del pensiero in favore di un pensiero globale, la tecnica che interviene sempre in presenza delle prime due, basa il suo successo sui calcolatori: i computer, macchine che abituano l'intelligenza dell'uomo ad un linguaggio binario.

Con questo discorso non voglio dire che questo tipo di pensiero sia peggiore, la sua forza è agli occhi di tutti, ed esso ha portato l'uomo a conquiste straordinarie, e straordinarie catastrofi, ma ci permette realmente di vivere meglio (fra l'altro è questo il pensiero grazie al quale esiste o funziona questo discorso). Il prezzo che abbiamo dovuto are trasformando il nostro mondo da dono a materia però, è stato altrettanto alto, la rinuncia progressiva all'interpretazione spirituale della vita e a tutto ciò che sfugge alle nostre categorie (ciò che è oltre l'orizzonte scientifico è ni-ente, l'essere).

L'uomo post moderno sta bene, non vive bene, perché ha tanto, ma non può essere soddisfatto d'identificarsi con ciò in cui e con cui vive. La domanda e la paura si riproporranno sempre..

Il dramma di questo pensiero è la sua imposizione come unico mondo possibile.

Si può affermare quindi che l'alterazione che subiamo, e che probabilmente s'è già compiuta, è ben peggio dell'alienazione di cui ha parlato Marx, perché essa agisce su un uomo che non è in grado di usare un pensiero alternativo che esca dal linguaggio razionale del sistema, oggi non vi è possibile rivoluzione.


Il mito del progresso

"La grande promessa di progresso illimitato - vale a dire la promessa del dominio sulla natura, di abbondanza materiale, della massima felicità per il massimo numero di persone e di illimitata libertà personale - ha sorretto le speranze e la fede delle generazioni che si sono succedute a partire all'inizio dell'era industriale. [.] Grazie al progresso industriale, cioè al processo che ha portato alla sostituzione dell'energia animale e umana con l'energia dapprima meccanica e quindi nucleare e alla sostituzione della mente umana con il calcolatore elettronico, abbiamo potuto credere di essere sulla strada che porta a una produzione illimitata e quindi a illimitati consumi; che la tecnica ci avesse resi onnipotenti e la scienza omniscienti; che fossimo insomma sul punto di diventare dei, superuomini capaci di creare un mondo "secondo", servendoci del mondo naturale come di una serie di elementi di costruzione per edificarne uno nuovo."1

In questo scenario gli uomini hanno pensato di vivere in una nuova libertà, l'esempio delle classi superiore e media lasciava supporre che questa autonomia sarebbe stata di tutti i membri della società a patto che l'industrializzazione procedesse più velocemente possibile. Il raggiungimento della comodità e del benessere avrebbe rappresentato la felicità senza restrizioni per tutti. La trinità costituita da produzione illimitata, assoluta libertà e felicità senza restrizioni venne cosi' a formare il nucleo di una nuova religione, quella del Progresso.

Quando nel 1952, si recò a Oslo per ricevere il Premio Nobel per la Pace, Albert Schweitzer esortò il mondo a "osare di guardare in faccia la realtà. L'uomo è divenuto un superuomo. Ma più il suo potere cresce più egli diventa un pover'uomo.. Le nostre coscienze non possono essere scosse dalla constatazione che più, piu' cresciamo e diventiamo superuomini, e piu' siamo disumani"

Questo discorso risale al periodo consecutivo alla seconda guerra mondiale, momento in cui il mondo era diviso in due blocchi ideologici opposti e si prospettava la minaccia di una guerra nucleare. Più di cinquant'anni dopo il discorso rimane attuale.

Fromm ha individuato in questi punti il fallimento della grande promessa:

la soddisfazione illimitata dei desideri non comporta il vivere bene, la felicità, ne il massimo piacere

la libertà agognata non sussiste quando ci siamo resi conto di essere ingranaggi della macchina burocratica, e che i nostri pensieri, e i nostri gusti sono manipolati dai governi, dall'industria e dai mezzi di comunicazione di massa

il progresso economico è rimasto limitato ai paesi ricchi e il divario verso i paesi poveri è aumentato

lo stesso progresso tecnico ha avuto come conseguenza il manifestarsi di pericoli per l'ambiente e il rischio di conflitti nucleari che minacciano la vita del pianeta

Il fallimento delle promesse dell'era industriale, che ha radici nel pensiero calcolante dimentico dell'essere, si fonda sulla pretesa edonistica che la soddisfazione di ogni desiderio porti alla felicità.

Inoltre l'industria ha superato il desiderio di soddisfare un bisogno che era il fine della tecnica antica, tendendosi verso il desiderio dell'accumulo e smascherando il fine dell'autodeterminazione. La tecnica infatti oggi vuole sé stessa ed è diventata una macchina talmente grande ed efficiente da aver invaso totalmente la vita dell'uomo e il mondo. Essa non è piu' lo strumento dell'uomo ma l'uomo è lo strumento della tecnica come ingranaggio del suo sistema sempre rivolto al progresso. Questa condizione toglie responsabilità alla persona, che inserita nella macchina lavorativa, non si preoccupa del risultato delle sue azioni, ma soltanto di essere efficiente nel proprio mestiere.

Quando con una lettera venne chieste all'uomo che sganciò una delle due bombe atomiche sul suolo giapponese, cos'aveva provato in quel momento, egli rispose "It was my job"..

Come scrive Heidegger " Ciò che da tempo minaccia l'uomo di morte - e di una morte che concerne la sua stessa essenza - è l'incondizionatezza del puro volere, nel senso dell'autoimposizione deliberata e globale. Ciò che minaccia l'uomo nella sua essenza è l'ingannevole convinzione che, attraverso la produzione, la trasformazione, l'accumulazione e il governo delle energie naturali, l'uomo possa rendere agevole a tutti e in genere felice la situazione umana. Quando invece la pace di questa pacificazione non è altro che l'agitazione ininterrotta della piu' sfrenata autoimposizione, orientata ormai su sé stessa."

L'edonismo del '900 si manifesta paradossalmente nell'accettazione del lavoro disciplinato e ossessivo contrapposto all'ideale dell'ozio più totale per il resto della giornata e durante le vacanze. Forse è proprio la combinazione di questi due stili di vita "estremi" che consente all'uomo di vivere.

La seconda promessa dell'era industriale era la libertà come autonomia che è sfociata però nell'individualismo egoista basato sul possesso promosso come via per il benessere. Il percorso dell'uomo verso il piacere si snoda quindi attraverso il possesso, in quanto più ho e più sono, e la competizione.

Il mito del progresso ha mutato l'uomo a sua immagine spingendolo ad un "carattere dell'avere" e all'acquisto per ricercare il benessere. In uno scenario simile l'economia delle imprese è l'unico soggetto autonomo con la scienza, poiché non è vincolata ad alcuna legge o criterio etico, ma alla più libera e sfrenata concorrenza del mercato.

Allora il progresso è vissuto dagli uomini come una condizione che al contrario gli limita e gli accomoda, sulla condizione esistenziale (o non esistenziale) dell'avere. Ciò coincide con il non andare avanti, non progredire, accontentandoci di conoscere ciò che possiamo avere, qualcosa di ragionevole e determinato che ci possa rassicurare. Non solo temiamo di affrontare l'ignoto e il diverso, ma neghiamo totalmente ciò che oltrepassa le categorie oggettivo-scientifiche della ragione, ciò svaluta ulteriormente le modalità dell'essere, impendendo al pensiero di desituarsi dall'universo che è stato determinato o letto con regole scientifiche.

Il mito del progresso promosso e basato sulla fede nella scienza, da cui traggono vanto la nostra epoca e gli uomini che la vivono, è, tra le forme di conservazione, la più radicale, perché non si limita trattenere l'uomo nella sua situazione, ma giunge a prospettargli come irreale, perché non scientifico, ogni tentativo di trascendimento, che lascia alle spalle il quotidiano avere a che fare con le cose e con il loro sempre più sicuro possesso.



Svevo: la malattia sociale

Hector Schmitz, in arte Italo Svevo, appartenendo ad una area geografica intimamente collegata all'Europa, è fra i primi a percepire le tematiche e le tensioni culturali, la crisi di valori e la solitudine umana, che si affermavano nel continente, in seguito al trionfo della nuova borghesia industriale.

Trieste, che fu parte dell'Impero Austrungarico fino al 1918, è il crocevia fra due mondi, quello della cultura Italiana e quello della cultura mitteleuropea, è per natura e posizione, città multietnica, per questo Svevo, nato proprio a Trieste (1861), in una famiglia di commercianti ebrei, percepisce in anticipo tutte le novità culturali del tempo. L'autore ha da subito una doppia formazione linguistica: l'italiano della madre e il tedesco del padre. La vicinanza con Vienna, gli permette ad esempio, di sentire subito gli echi delle teorie sulla psicanalisi di Freud e di cogliere in generale tutto ciò che ruota attorno alla capitale Austriaca, vero centro culturale dell'epoca.

Mentre la letteratura italiana conosce solo i primi sintomi delle trasformazioni in atto, nei romanzi di Svevo già troviamo la coscienza della crisi, della definitiva caduta di un mondo con i suoi valori e le sue certezze.

Altra caratteristica interessante dell'autore è la sua estraneità alla ura classica del letterato, egli segue le orme del padre acquisendo una formazione commerciale, non umanistica, e in seguito al fallimento dell'azienda famigliare lavora per 18 anni in banca. Contemporaneamente collabora con riviste e progetta il primo libro intitolato prima "Una inetto", poi "Una vita". La sua marginalità all'ambiente letterario fa si che il libro venga pubblicato dallo stesso autore, a propie spese, nel 1892, senza riscuotere alcun successo. In seguito all'insuccesso del secondo libro, "Senilità", pubblicato nel 1898 Svevo entra in un lungo silenzio letterario che durerà fino al 1918, e incomincia l'attività d'imprenditore. Proprio una coincidenza lavorativa porta l'autore a partecipare ai corsi d'inglese di un James Joice non ancora famoso, con il quale instaura un rapporto di amicizia e reciproca stima letteraria. Negli stessi anni legge le opere di Freud attraverso il cognato, rivoltosi all'illustre medico viennese per sottoporsi alla nuova terapia psicanalitica.

Nel 1919 inizia il suo terzo lavoro: "La coscienza di Zeno", che pubblica nel 1922 ancora a sue spese; di fronte alla paura di un nuovo insuccesso, Svevo si rivolge a Joice, che sottopone il romanzo alla critica europea. Contemporaneamente arriva l'interesse di Montale che ne decreta con Omaggio a Italo Svevo il successo italiano ed europeo.

Cio' che emerge dalle opere si Svevo è il ritratto di un uomo moderno nel suo irrisolto rapporto con una realtà sempre meno definita, il ritratto non è realistico, ma psicologico, la crisi dell'uomo moderno si esprime nell' inettitudine, nell'assenza morale e di fede, nella solitudine e nella malattia.


LA MALATTIA SOCIALE NE "LA COSCIENZA DI ZENO

Il romanzo segue il filo di un discorso che il protagonista fa con sé stesso rievocando e reinterpretando, quando è ormai vecchio, le fasi salienti della propria vita, rappresentate in sei nuclei tematici.

Il tema principale del libro è la malattia, che prima viene analizzata dalla e nella coscienza, per poi essere estesa all'intera società. La coscienza è il mezzo con il quale la malattia, che infine è la stessa vita, si analizza e si studia; chi intraprende la strada della coscienza non può che essere considerato inetto, in una società cinica ed egoista, priva di ogni valore morale.

E' inutile quindi adoperare una coscienza critica in quanto la malattia risiede in tutta la società, tutti gli individui sono malati, ma alcuni hanno la coscienza, mentre altri sono apparentemente sani in quanto si adattano in modo non problematico alla realtà. L'analisi negativa della società lascia spazio soltanto all'ironia, che l'autore rappresenta nel ribaltamento dei ruoli; il protagonista, (l'inetto) Zeno Cosini, guarisce nel momento in cui smette di ritenersi malato e accetta di vivere in una società malata, abbandonando perciò psicanalisi, coscienza e scrupoli morali, tanto da arricchirsi speculando in tempi di guerra.

La stessa società rappresentata cede il passo al cinismo del singolo.

Ancora più paradossale se si vuole è l'ultimo modulo in cui uno Zeno ormai "guarito" diventa il mezzo con il quale l'autore esprime un'inquietante analisi sulla fine del mondo, e sull'invenzione di un nuovo terribile ordigno, che di li a poco avrebbe realmente posto un punto di domanda sulla vicenda umana.

Letta in senso radicale le ultime ine contengono la condanna della civiltà occidentale, prodotto di un alienazione e quindi destinata a svilupparsi sino all'autodustruzione.

Il romanzo si apre con una prefazione dello psicanalista , il dottor S., che dichiara di pubblicare le memorie di un suo paziente per dispetto. A scrivere di sé è Zeno Cosini, un ricco commerciante triestino a riposo che viene spinto dal suo psicanalista a rivivere le vicende della sua vita. I sei moduli sono: Il fumo (Zeno racconta di come, da bambino, abbia iniziato a fumare non riuscendo più a smettere; l'inettitudine emerge in tutte "le ultime sigarette"); La morte di mio padre (ricostruisce il rapporto con il padre a partire dalla morte di quest'ultimo; l'autorità e un legame costruito sui sensi di colpa impediscono la comunicazione fra i due); La storia del mio matrimonio (è la storia paradossale di come Zeno, innamorato di Ada finisce per sposare la sorella Augusta); La moglie e l'amante (racconta la vita matrimoniale di Zeno, che ama razionalmente la moglie perché sana, ma la tradisce con Carla per trasgredire); Storia di un'associazione commerciale (si delinea la vittoria di Zeno: Ada viene imbruttita da una malattia e il marito e cognato Guido fallisce in borsa e muore per un mal simulato suicidio; Zeno gioca in borsa e rileva le perdite dell'associazione commerciale); Psico-analisi (Zeno, dopo aver espresso le considerazioni negative sulla psicoanalisi viene sorpreso dalla guerra; mentre i soldati muoiono nelle trincee, Zeno si arricchisce speculando senza scrupoli e si ritiene guarito: la malattia risiede solo nella coscienza).

Conclusioni



Parte II: ALLA RICERCA DELLE ORIGINI DEL PENSIERO OCCIDENTALE


IL SENSO DEL TRAMONTO

L'Occidente, viene a formarsi il giorno in cui ha preso a interpretare sé stesso come cultura del dominio dell'uomo sulle cose. Nell'alterazione del "senso" delle cose e del ruolo dell'uomo nella natura, l'Occidente s'è staccato storicamente dalla cultura greca rendendo necessaria la divisione fra Oriente e Occidente.

A partire da questo distacco il percorso della filosofia , prima come metafisica e teologia, poi come scienza e progresso, s'è svolto attraverso il "pensiero calcolante" promosso dal principio di ragione, ovvero un pensiero finalizzato al controllo delle cose, l'espressione della volontà di potenza in cui l'Occidente s'è sempre espresso.

In questo modo l'Occidente ha ridotto lo spazio della libertà molto più di quanto non abbiano potuto fare le sue espressioni sociopolitiche, perché la possibilità di diversi scenari di pensiero e di linguaggio è molto più liberante della "libertà di parola" all'interno dell'unico e solidificato linguaggio.

Il tramonto indica il compiersi di un senso con il quale l'Occidente s'è sempre riconosciuto, un tramonto inscritto nell'alba di quel giorno in cui "la terra della sera" ha cominciato a interpretarsi come cultura del dominio dell' uomo sulle cose.


Il periodo assiale

Qualcuno ha definito la spinta alla filosofia, che sempre si ripropone nel percorso umano, come quel sentimento di meraviglioso rispetto verso le cose: il periodo assiale è il momento storico che più incarna questo ideale, un periodo in cui la domanda precedeva la risposta.


Jaspers pone il periodo assiale fra '800 e '200 a.C. Durante questo periodo si concentrarono tutte le possibilità del pensiero; i saggi del tempo affrontarono i temi del materialismo, dello scetticismo, della sofistica, fino al nichilismo.

Fu in quest'epoca che vissero in Cina Lao-Tzu e Confucio, che in India meditò Buddha, in Iran Zarathustra. La civiltà greca tramandò le opere dei poeti della tragedia, conobbe Omero e i grandi filosofi Talete. Anassimando, Eraclito, Parmenide. Per la prima volta furono lasciate tracce chiare del pensiero spirituale e filosofico.

Ciò che ha maggiore rilevanza in questo periodo è la vicinanza dell'uomo all'essere percepito come totalità, le parole a cui era affidato il suo senso erano l'àpeiron di Anassimandro, il lògos di Eraclito, l'einai di Parmenide, il Brahman-Nirvana di Buddha, il Tao di Lao-Tzu.


Nel pensiero aurorale, in ciò che Jaspers definisce come periodo assiale, l'essere era inteso come lo stesso presentarsi degli enti, come il loro incondizionato accadere.


La nascita dell'Occidente

Il rapporto fra Oriente e Occidente si annuncia già nel periodo assiale come una polarità interna che diventa via via sempre più decisiva. I Greci infatti hanno fondato il mondo dell'Ovest , ma in maniera che esso continua a esistere solo finché tiene lo sguardo rivolto all'Oriente, adottandone gli elementi, ma staccandosene e impegnandosi in una lotta da cui trae, in termini sempre piu' occidentali, la propria identità. I Greci e i Persiani, la divisione dell'Impero romano negli imperi d'Oriente e d'Occidente, la cristianità occidentale e orientale, il mondo occidentale e l'Islam, l'Europa e l'Asia sono le successive forme assunte dall'antitesi in cui popoli e culture allo stesso tempo attraggono e si respingono. Questa antitesi è stata in ogni tempo un elemento costitutivo in cui l'Occidente da un lato e l'Oriente dall'altro si sono riconosciuti.

Jaspers individua la scissione nell'atteggiamento dei due poli nei confronti dell'aspetto dell'essere. L'Occidente si domanda perché il reale è cosi assumendo un tono di sfida contro la radice della realtà. Mentre l'Oriente confida "in ciò che non si lascia pensare".

Nella sfida alla precarietà dell'essere del pensiero Occidentale vi è la paura della precarietà della domanda, la ribellione contro il fondamento da cui si deriva, la volontà di capovolgere quel rapporto metafisico originario che prevede l'essere come dominante e l'uomo come custode di questo dominio. Il nichilismo che accoglierà il destino dell'Occidente è già alle origini come il rifiuto dell'essere e opposizione al suo accadere.

Non è difficile scorgere nell'antitesi sfida e abbandono la differenza che andrà via via separando l'Oriente dall'Occidente. L'Oriente non ha mai contrapposto l'uomo all'essere, cosi da generare quella serie di dualismi in cui si è espressa a tutti i livelli la metafisica occidentale, in questo modo l'originaria comprensione della totalità è rimasta intatta. Il dominio dell'essere non è mai stato vissuto come un problema , le espressioni imponenti della sua presenza omnicomprensiva hanno tenuto lontano la possibilità dell'oblio, di cui invece è stato vittima l'Occidente nel corso della sua storia.

"Gli asceti indiani e alcuni monaci in Cina e Occidente, fuggirono il mondo per giungere all'assoluto, in una meditazione , che affrancata dal mondo lo coglieva nel suo dileguarsi e nel suo risolversi nell'essere pensato come tutto. [.] Il tempo si dissolse per loro perdendosi nella fuggevolezza del linguaggio del mondo. In Occidente i primi filosofi passarono nel mondo come se, nonostante ogni legame con esso, giungessero costantemente dal di fuori. Provenendo da una patria lontana, trovarono nel mondo se stessi e le cose, e , pur nell'estrema vicinanza a esse, trascesero le apparenze fenomeniche, memori dell'eterno."3


Oggi l'Occidente minaccia di travolgere l'Oriente con la sua logica di potenza, estinguendo una parola e una tradizione che conserva il suo senso originario.

L'atteggiamento dell'Occidente rimane di sfida ed è percepito come ineluttabile, naturale accadimento umano, non come frutto di un proprio atteggiamento scelto e rigorosamente attuato nella storia. In questo pensiero anche cambiamenti vengono ipotizzati con i caratteri della sfida poiché di pensa ad adeguare ulteriormente le cose, cambiando la natura, senza imporre all'uomo un cambiamento nell'atteggiamento verso la realtà.

La drammaticità nasce dal fatto che la potenza dell'Occidente ha raggiunto possibilità tali che le consentono la soppressione dell'Oriente e con lui le indicazioni del periodo assiale che conserva.



Platone

L'essere con Platone non viene più inteso come presenza di ciò che si manifesta, ma come quell'ente che presiede l'essere e l'apparire di ogni cosa. Il sole nel mito della caverna rappresenta proprio quest'ente esterno che promuove l'esistenza degli altri in qualità di super-ente.

Platone introduce per la prima volta in questi termini il principio di causalità (ciò da cui tutto deriva) che ritroveremo poi nella dottrina cristiana e nella filosofia della ragione.

L'essenza degli enti appartiene ad una dimensione soprasensibile, l'iperuranio, il mondo delle idee, delle quali gli enti sono appunto rappresentazioni. In forza di questo passaggio del pensiero la verità cambia luogo: da proprietà dell'essere diventa proprietà dell'uomo, in quanto l'attenzione non è più rivolta all'originario manifestarsi dell'ente, ma al corretto rapportarsi dell'uomo all'ente.

Con l'affermarsi di questa prospettiva s'incubano conseguentemente l'etica dei valori (che fa capo a quell'Ente supremo espresso dall'idea di Bene), la ragione, Dio e la centralità antropologica, che , a partire da Platone, condizioneranno la cultura dell'Occidente fino a Nietzsche e oltre.

CENTRALITA' ANTROPOLOGICA

La garanzia delle cose del mondo e la ricerca delle condizioni che le assicurano è il motivo costante dell'Occidente. Un'identica intenzione di sfuggire e ribellarsi alla precarietà dell'accadere. L'uomo teme l'instabilità e cerca terreni solidi su cui ancorare il senso del proprio presente e futuro. A questa esigenza rispondono il tanto il Dio del cristianesimo, quanto il cogito di sectiunesio e la volontà di potenza di Nietzsche.


"La verità come "svelamento" non è più il tratto fondamentale dell'essere stesso, ma, divenuta "adeguamento" per essere stata soggiogata all'idea, d'ora in poi è il tratto distintivo della conoscenza dell'ente. [.] Con questo mutamento dell'essenza della verità si compie al tempo stesso un cambiamento del luogo della verità."4

La verità diventa una proprietà dell'uomo, il corretto rapportarsi dell'uomo alle cose.

Alla base dell'oggettività non si pone la presenza dell'ente, ma la sua rappresentazione; in seguito la filosofia s'è preoccupata di cercare le condizioni della corretta rappresentazione, ovvero le condizioni del pensiero oggettivo, cercando di estinguere "ogni dubbio".

Ma dietro questa oggettività si nasconde la soggettività dell'uomo posto al centro come entità che pensa le cose e attraverso la ragione le rappresenta. Con questo l'uomo inizia la sua prassi di costruzione e distruzione in base a quei valori che egli stesso pone, cercando di assicurarsi dalla precarietà che sempre si ripresenta.


Dopo Platone l'uomo è al centro di una nuova etica di valori che si sostituisce alla precedente visione dell'essere come unico valore.


Il pensiero Biblico

L'annuncio della religione giudaica è stato per l'Occidente nuova fonte di significati su cui i filosofi hanno elaborato la propria metafisica.

La visione del cosmo nel periodo assiale era quella legata all'essere. Ad esempio Eraclito si esprime cosi: "Questo cosmo, che è lo stesso per tutti, non lo fece alcuno degli dèi o degli uomini, ma sempre era, è, e sarà fuoco sempre vivente che si accende e se spegne secondo giusta misura"

La Bibbia invece, si apre cosi: "In principio Dio creò il cielo e la terra. La terra era un caos senza forma e vuota:le tenebre ricoprivano l'abisso e sulle sue acque aleggiava lo spirito di Dio. Iddio disse: "sia la luce", e la luce fu.

Nel linguaggio biblico caos è sinonimo di disordine di elementi, per cui è determinante l'intervento di Dio che separa il caos definendo e dando nome alle cose, in funzione del raggiungimento del cosmo. La nascita del mondo è l'esercizio della volontà di Dio che risulta simile alla ura del demiurgo Platonico.

Nella Bibbia, inoltre, il tempo è scandito da Dio, che, giorno per giorno nomina tutte le cose, fino a chiamare, nel sesto giorno, l'uomo, a cui affida tutte le cose.

In virtù dell'affidamento divino l'uomo si pone sopra le cose del mondo e la storia occidentale diventa storia di dominio. Il mondo non è più cosmo, totalità, essere, poiché Dio è la sua causa e l'uomo il suo custode. (sarebbe interessante analizzare le teorie sul caos prima del mondo).

Il suo significato non è cosmologico ne assiale, ma atropo-teologico (l'uomo è fatto a immagine e somiglianza di Dio). Si può capire con questo quanto il pensiero biblico è rilevante per comprendere l'Occidente e la sua storia.


Ragione e rivoluzione : Bacone e sectiunesio

"In seguito al peccato originale, l'uomo decadde dal suo stato di innocenza, e dal suo dominio sulle cose create. Ma entrambe le cose possono essere recuperate, almeno in parte, in questa vita. La prima mediante la religione e la fede, la seconda mediante le tecniche e le scienze."


Bacone può essere considerato il profeta della rivoluzione scientifica: egli non propone alcun risul-tato scientifico ma è convinto che si debba fare una trasformazione scientifica del mondo per renderlo oggetto del dominio dell'uomo. In quest'ottica l'impegno morale dell'uomo diventa studiare le leggi naturali per servirsi della loro forza nascosta (sapere=potere), e sicuramente Baco-ne vi si dedica con una speranza religiosa. Il metodo va fondato sulla visione meccanicistica, quantitativa e matematica della natura.


La rivoluzione scientifica del viene preceduta dalla rivoluzione filosofica della ragione, con la quale l'uomo si pone dichiaratamente come "giudice" del mondo delle cose.

sectiunesio indica col cogito il fondamento dell'essere, questa teoria gli consente di aprirsi due strade:

la dimostrazione di Dio

il primato della ragione

Se da un lato sectiunesio rivela le sue radici cristiane provando l'esistenza di Dio, dall'altro offre una visione profondamente atea, che non ha scrupoli a mettere la ragione al di sopra di Dio. E' la ragione la via oggettiva attraverso cui l'uomo conosce Dio, tanto che sectiunesio afferma che il dio dei filosofi parla un linguaggio matematico. Se alle origini la ragione era il mezzo per arrivare all'esistenza di Dio, in seguito s'è rivelata nella sua indipendenza procedendo con il suo metodo rigoroso e scientifico alla rappresentazione sistematica e oggettiva del mondo naturale.

Il linguaggio della ragione adottato da sectiunesio è la matematica, qualcosa diviene oggettivo se si lascia tradurre in ura geometrica o espressione geometrica. Il linguaggio della matematica si basa su regole che portano gli uomini allo stesso risultato, offrendo il processo lineare e scientifico del progresso. sectiunesio si propone di costruire, "come una favola", un mondo totalmente nuovo, un mondo che possa essere immaginato secondo le regole di semplicità e di evidenza che la ragione ha formulato per sé. "La mia intenzione non è di spiegare le cose che effettivamente sono nel mondo vero, ma di immaginare un qualsiasi dove non vi sia nulla che anche le menti grossolane non siano in grado di concepire: un mondo tuttavia che possa essere creato esattamente come lo avrò immaginato" (sectiunesio, Il mondo IV)

La geometria analitica assumeva in tal modo un ruolo centrale tra le scienze, in quanto consentiva quella costruzione di un mondo di favola fondato su pure leggi razionali numericamente esprimibili e graficamente rappresentabili che era l'ideale scientifico sectiunesiano.

Il reale, nel senso di oggettivo, diventa ciò che si riduce alla corrispondenza matematica.

Con sectiunesio la filosofia è ancora spinta alla totalità ma essa le sfugge perché limitata dalle anticipazioni che la prevedono dentro ad un sistema matematico.

Oggi questa oggettività rigorosa è stata rivalutata dagli stessi sviluppi della matematica e della fisica. Infatti, i fisici moderni, non accettano più gli assiomi della geometria euclidea, e il principio della causalità accolti incondizionatamente da sectiunesio; in quanto sanno che è impossibile affidare a un principio il valore di una verità assoluta, e una scienza la comprensione del tutto.


Nella conseguente rivoluzione scientifica l'uomo attraverso la tecnica proseguirà il dominio del mondo secondo le regole della ragione, relegando Dio al campo teologico del cristianesimo. L'impianto fideistico si sposta, in assenza di Dio, nella stessa scienza con la creazione dei miti del progresso e della razionalità che diventano i nuovi custodi della salvezza dalla precarietà.

Tuttavia le origini bibliche si ritrovano sia nel dominio scientifico delle cose, sia nella rivolta contro il creatore, che è preurata nella narrazione del peccato originale.


sectiunesio continua il sentiero umanistico tracciato da Platone con la dottrina delle idee. L'epoca moderna fondata sulla rivoluzione scientifica è l'epoca in cui l'uomo pone tutte le cose del mondo all'interno della sua rappresentazione causale e scientifica basata sull'anticipazione mentale dell'essenza delle cose.

Kant: i limiti della ragione

La fuga e la ricerca nel romanticismo inglese

Le conseguenze della rivoluzione scientifica sconvolsero l'Europa. Le rivoluzioni industriali, l'affermazione della classe borghese, la divisione del cristianesimo, il colonialismo, la crescita demografica sono solo una parte degli eventi concatenati che si verificarono nell'arco di due secoli.

Gli artisti, solitamente, hanno una grande sensibilità e cosi fu per i poeti del romanticismo inglese, che, avvertirono un forte sconvolgimento degli equilibri fra mondo e uomo, che avvenivano in Gran Bretagna, ovvero la nazione più potente dell'epoca, tanto da intraprendere una vera e propria fuga alla ricerca delle radici e del senso del sublime che in un certo modo, rappresentano, quella dimenticanza dell'essere, che si rivelava nella storia con sempre più forza.


Il romanticismo inglese fu in netta contrapposizione con l'illuminismo che si caratterizzava per la fede incondizionata nella ragione e l'ottimismo verso il progresso. Il romanticismo contrappose una visione pessimistica della vita, derivata dalle delusioni della rivoluzione francese e industriale. Questo pessimismo è evidente nei caratteri tipicamente romantici di malinconia, tristezza, insoddisfazione e oscurità.

Alla ragione, che si poneva come sistema assoluto ma non era in grado di spiegare la totalità, l'es-senza delle cose, i romantici opponeva irrazionalità, sentimento e istinto.

LA FUGA: poeti e scrittori, insoddisfatti ed emarginati dalla società del tempoe decisero di scappare dal degrado delle città attraverso il viaggio, che costituisce un simbolo costante anche nelle loro opere. Fuga e viaggio costituiscono la via scelta dai romantici, non solo come speranza, ma anche come necessità e ricerca dell'essenza, del senso del sublime.

La fuga si divide in fuga nel tempo e fuga nello spazio: nella prima il poeta si rifugia nel passato, in epoche trascorse come il medioevo, la Grecia classica e l'infanzia; nella seconda l'artista ricrea altri mondi unendo elementi immaginari e reali, dove l'uomo può affermare il suo vero io.

IL SENSO DEL SUBLIME: l'infinito genera nell'artista romantico un senso di terrore e impotenza, una sensazione che toglie il respiro. Questa forza violenta, tuttavia non lo spaventa, ma al contrario l'incapacità e la paralisi nei confronti dell'assoluto si traduce nell'uomo in piacere indistinto, estasi, dove ciò che è spaventoso e incontrollabile diventa bello, in quanto parte della natura. Una simile sensazione non può essere colta con la ragione, né spiegata a parole, ma solo accennata nelle poesie.

LA NATURA: la visione della natura del romanticismo inglese, che si esprime maggiormente nel concetto di sublime, riporta alla mente il pensiero dell'essere come totalità del periodo assiale. L'uomo romantico si sente parte del mondo naturale tanto da scappare dalle città per affrancarsi a un mondo che viene deturpato dalle industrie. Ma se da un lato nel senso del sublime si esprime la simbiosi uomo natura e la volontà dell'artista di appartenere incondizionatamente all'essere; dall'altro l'essenza nascosta nella natura è proposta sempre a misura d'uomo, tanto che essa è personificata, vendicatrice e riflette gli umori dell'autore (Coleridge "The rime of the ancient mar-iner") o celebrata solo nei grandi elementi denotando la soggettività del poeta (Byron "To Ocean").

Il quadro che ne risultà e quello di una natura simile a Dio ma immanente, in cui il poeta si ricono-sce come parte, ma che viene pensata sempre a partire da esso.


I profeti del tramonto

La filosofia della ragione conosce il suo massimo splendore e la sua totale organizzazione con Hegel: "Ciò che è razionale è reale; e ciò che è reale è razionale"5

In seguito e nello stesso periodo si consolida però il senso di una rottura nella linea rivolta verso il progresso della filosofia occidentale. E'il momento in cui si affermano filosofi come Schopenhauer, Kierkegaard, Marx, Nietzsche ecc.


SCHOPENHAUER

La filosofia di Schopenhauer trae spunto da correnti eterogenee tra cui il pensiero di Kant e l'induismo.

Kant s'era proposto di elaborare una critica della ragione per individuarne i limiti specifici del campo d'indagine. Nel dualismo Kantiano i fenomeni potevano essere conosciuti attraverso intelletto e ragione, mentre il noumeno era in conoscibile.

Schopenhauer ribalta questa visione definendo i fenomeni come mere rappresentazioni all'interno del rapporto soggetto oggetto, velo di Maya, che l'uomo con la sua ragione pensa di conoscere. La realtà conoscibile è soltanto il noumeno, ciò che si nasconde sotto il velo delle rappresentazioni, ovvero la volontà. Con questa tesi egli scardina il concetto di una conoscenza a priori nell'uomo (categorie ecc.) e la possibilità della ragione di affrancarsi la realtà. Infatti la volontà è una pulsione irrazionale che non vuole altro che sé stessa, essa è dolore, perché oggettivandosi nei singoli individui li contrappone, e forza cieca.

La scoperta che dietro ogni cosa si nasconde la volontà, smaschera anche la natura della ragione che è volontaristica, non razionale.

Partendo dallo smascheramento si può intraprendere il percorso della liberazione attraverso la rinuncia che costituisce l'etica di Shopenhaur; etica non in senso classico perché l'etica cosi intesa non è stata altro che mezzo della volontà di vita per soddisfare un bisogno, o tendere a un desiderio, (a cui subentreranno immancabilmente la noia e una nuova tensione).

Le morali, i valori e gli ideali sono soltanto "gusci vuoti senza nocciolo"6 . La rinuncia alla volontà di vita viene enunciata da Schopenhauer in arte (estetica), compassione (etica) e ascesi (noluntas).

Arte: attraverso l'arte l'uomo contempla le cose sottraendole ai principi causali della ragione. Ciò gli permette di avvicinarsi all'eterno. Le arti sono ordinate in una gerarchia che vede nell'archi-tettura il grado più basso dell'oggettivazione della volontà e nelle tragedia il grado più alto. La musica è volontà pura (sono interessanti i riferimenti alla musica di Wagner). L'arte costituisce una liberazione transitoria. "La virtù, come il genio, non si insegna"7

Compassione: l'uomo riconosce se e i suoi simili come rappresentazioni di un'unica volontà e rinuncia alla lotta, considerandoli con compassione

Ascesi: ripudio della volontà, misconoscimento. L'ascesi prevede povertà, castità e sacrificio.


NIETZSCHE

Nietzsche "educato" da Schopenhauer a riconoscere la maschera della ragione, non seguirà la via della rinuncia dell' suo "educatore" ma quella dell' "eterno si" traducendo la volontà di vita in volontà si potenza. Infatti una volta che si è riconosciuto l'inganno della ragione, rifiutare la volontà di vita, perché irrazionale, è un permanere nell'ambito della ragione, è un implicito riconoscimento del suo valore. Il conflitto è proprio nel fatto che intraprendere una via razionale di liberazione attraverso il rifiuto, significa, non solo esprimere una volontà di liberazione dal dolore, ma anche continuare a vivere nel mondo della rappresentazione e non in quello "reale".

Nel tentativo di cogliere il reale, Nietzsche afferma la volontà di potenza sopra ogni cosa, affidandogli il consumo del mondo nell'eterno ritorno a sé stessa.


Nella prima filosofia di Nietzsche, hanno una parte importante Schopenhauer e l'incontro con Wagner, da cui si aspetta la rinascita della civiltà tragica.

Ne La nascita della tragedia Nietzsche sfata l'interpretazione romantica della civiltà greca rivendicando lo spirito dionisiaco dimenticato che si esprimeva nella tragedia. Egli individua in Socrate (anti-dionisiaco per la morte imposta) e Platone i simboli del decadimento dello spirito dionisiaco, in favore della parte apollinea della vita rappresentata da ragione, intelletto ed equilibrio.

Nietzsche critica anche in altre opere la razionalità Socratica, rea di aver avviato la decadenza che domina la cultura europea.


La seconda filosofia di Nietzsche è detta del Nichilismo

Affermare la volontà di potenza vuol dire far cadere tutti i miti dell'uomo lasciandolo senza appigli, come su di "un filo teso sopra l'abisso". Il nichilismo è: "che i valori supremi perdono ogni valore"8

L'idea di "eterno ritorno" nega la visione lineare del tempo: il corso storico non si muove verso un fine che trascende le parti, ma ogni momento del tempo esiste ed ha tutto il suo senso in sé. (viviamo in una prospettiva che pre-vede il tempo attribuendogli un fine che non ha)

Il nichilismo per Nietzsche ha due facce, una è negativa, ed è la decadenza dell'uomo Occidentale che ha agito nella storia solo in vista del dominio delle cose mascherando la sua attitudine; ciò è scoperto portando all'estremo l'impulso di verità fino a smascherare come errori i valori umani: in primis la verità stessa, poi la morale tradizionale e la giustizia, fino a l'amore per il prossimo e Dio.

Il processo di liberazione dall'errore, però, é frutto anch'esso dell'educazione alla verità, che é andata avanti per millenni: esso giunge a compimento con l'ateismo (scienza).

La storia è il raffinarsi della ricerca della verità da parte della ragione, ma non offre alcun progresso finché non viene smentito il concetto di verità.

Non si tratta perciò di dimostrare che Dio non esiste o di prescrivere l'eliminazione di Dio dalla vita, quanto di prendere atto del declino inarrestabile della fede in Dio, che consente di liberare l'umanità dalla coscienza della colpa.

Con la morte di Dio crollano i valori, che sancivano il 'no' perentorio alla vita terrena, il disprezzo di essa nella convinzione che ve ne fosse un'altra ('un mondo dietro il mondo').

La seconda faccia è quella positiva in cui l'uomo, grazie alla distruzione di ogni appiglio precedente, può oltrepassare e superare se stesso e di spingersi verso il nuovo. Ma il nuovo può emergere solo attraverso la distruzione del vecchio e, dunque, attraverso la sofferenza. La nuova virtù diventa allora la potenza: potenza per superare le difficoltà, per ricercare nuove conoscenze e per affrontare la realtà senza il Dio-protettore.

Oltre la distruzione di ogni falsa credenza e tradizione, deve esserci un uomo nuovo, l'oltreuomo, colui che ama la vita dicendo si alla volontà di potenza, affermando il suo dominio, per vivere pienamente ed essere misura di tutte le cose.


Con Nietzsche la natura di questo itinerario partito da Platone giunge alla sua massima chiarezza. La morte di Dio svela la natura della metafisica come volontà di salvaguardare le cose e l'uomo dalla possibilità del nulla. Questa salvaguardia non è garantita né da Dio né dai valori, ma dalla volontà di potenza che, per raggiungere il suo dominio sull'ente, ha ideato sia Dio sia i valori che volta in volta si sono affermati nella storia.

Nietzsche dopo il rifiuto di ogni valore e di Dio, ha fatto, della volontà di potenza il valore supremo, e dello spazio lasciato libero dalla morte di Dio la dimora del super-uomo, ultima espressione della soggettività partita da Platone.

Con Nierzsche si ha l'epilogo della parabola dell'Occidente, che ha assistito al progressivo assentarsi dell'essere in occasione del progressivo affermarsi dell'uomo.


Tutta la bellezza e la magnificenza che abbiamo prestato alle cose reali e immaginate, io voglio rivendicarla come proprietà e opera dell'uomo: come la sua più bella apologia. L'uomo come poeta, pensatore, Dio, amore, forza; ammiriamo la sua regale generosità, con cui ha fatto doni alle cose per impoverire se stesso e sentirsi miserabile ! Finora il suo maggiore disinteresse fu questo, che egli ammirò e adorò e seppe nascondere a se stesso che egli stesso aveva creato ciò che ammirava.


(Nietzsche, 'La volontà di potenza')



Parte III: CONCLUSIONI



La necessità della ricerca: incontro con l'antropologo

Questa non è un'analisi antropologica della popolazione aborigena ma una raccolta di dati basati sull'incontro con l'antropologo Nicola Pagano.

Il mio interesse si rivolge sia al percorso umano dell'antropologo attraverso la conoscenza sul campo, cosa di cui non posso fornire dati in quanto mantengo soltanto il ricordo di alcune impressioni, sia alle caratteristiche della vita e del pensiero degli aborigeni.


L'insediamento degli uomini in terra d'Australia si stima risalga a 60000 anni fa, in seguito a cambiamenti climatici, le tribù rimarranno isolate in quella terra, senza aver quasi nessuno contatto con il mondo esterno per anni e anni. In questi secoli gli aborigeni si sono costruiti una tradizione culturale originale che è rimasta intatta per il loro isolamento.

Da quando, nel 1770, James Cook sbarcò in Australia e lo nominò terra Inglese, ad oggi, gli aborigeni hanno rischiato l'estinzione.

Il popolo aborigeno ha una cultura nomade, per loro non esiste il concetto di proprietà privata, né concetto di casa ed hanno una concezione del tempo relativo agli spostamenti.

Nella mentalità aborigena vi è uno stretto legame uomo natura (essere): l'uomo appartiene alla terra. Tutta la tradizione di erge su questo rapporto indissolubile.

I nomadi si muovono attraverso la terra seguendone il ritmo, in modo da adeguarsi alle risorse che offre in un particolare momento, in un determinato territorio. Questi spostamenti sono guidati dalle "canzoni" con le quali si racconta e si tramandano una miriade d'informazioni, che vanno dal linguaggio della natura, alle storie parentali della famiglia, passando per geografia del territorio e la locazione delle risorse (le comunità vivono di caccia, raccolta e pesca).

La sacralità è un aspetto fondamentale della vita aborigena: il 90% della vita di uomini e donne è dedicata alle cerimonie, che si svolgono con canti che contengono la storia del popolo e con cui le persone apprendono le norme sociali di comportamento (i primi canti contenevano solo il nome del-le cose. L'arte (incisioni ecc.), rappresenta ciò che i canti dicono, ma generalmente non è fatta per durare (le varie famiglie sono molto conservatrici per mantenere le canzoni a cui appartengono).

Ogni clan è composto da 7/10 persone per agevolare gli spostamenti; viene praticato il controllo delle nascite e dei rapporti sessuali fra membri dello stesso clan (esogamia). Esiste la poligamia.

Il bambino già a 10 anni viene istruito alla vita nella boscaglia. I bambini attraversano un rito d'iniziazione (dolore, circoncisione, canti) con cui sono riconosciuti come adulti, in grado di sopravvivere. Gli adulti hanno due possibilità (ruoli): la prima è il percorso mistico-musicale per accomnare i canti (non vi è una cultura musicale matematica); la seconda è fase esclusivamente mistica che consiste nella conoscenza delle tecniche di guarigione, riparazione delle ossa (pranoterapia) e magia nera (per i trasgressori).

La vita degli uomini aborigeni è a cavallo fra sogno e realtà, per fare ciò sono abituati a sviluppare linguaggi e comportamenti emotivi più che razionali (non riescono e non vogliono controllare i sentimenti).


L'esperienza in Australia ha cambiato profondamente la percezione delle cose di Nicola Pagano e sicuramente egli ha beneficiato più della propria esperienza personale che non delle informazioni professionali. Questo dimostra come la necessità della ricerca, il confronto con il diverso sia caratteristica insopprimibile nella vita dell'uomo. Penso che questo incontro sia stato la dimostrazione di come il disagio dell'uomo Occidentale sia un fatto "normale" solo nella nostra civiltà e di come vi siano ancora posti dove si può ritrovare un modo di vivere più umano e diverso.

Buona ricerca!

L'importanza della (bio)diversità

Il pensiero Occidentale e le sue azioni storiche, hanno portato a conseguenze disastrose per il pianeta. Se nel tramonto del pensiero Occidentale, l'uomo ritornerà a cercare la sua patria nell'essere, riconoscendo lo stretto rapporto esistenziale fra se stesso e la globalità, si potrà instaurare quella convivenza armoniosa fra esseri viventi e natura, che il mondo postmoderno non ha ancora cancellato del tutto.

Questa percorso si svolge attraverso la ricerca: una ricerca è quella della filosofia che ha il compito di leggere nella storia dell'Occidente il suo senso; la seconda ricerca è quella dell'uomo che attraverso la conoscenza della diversità, può seguire le indicazioni, di ciò che rimane a testimoniare un modo di vivere alternativo, che permetta la vita del pianeta.

Se nello stesso tempo non si agisce salvaguardando la biodiversità si rischia di perdere le caratteristiche di alcuni ecosistemi, che, proprio per la loro peculiarità hanno ospitato specie animali e tradizioni culturali uniche. Il legame fra territorio, uomo e altre specie che lo abitano, è stato infatti fondamentale nel generare le diversità che rendono ogni popolo unico e che si possono ritrovare nelle negli usi, nelle credenze, o nei miti. L'India per esempio, ha una cultura che fonda parte della sua pratica religiosa su leggende in cui animali e uomini sono protagonisti allo stesso modo. In Occidente gli echi di una simile tradizione si ritrovano nei culti ani o sono stati dimenticati ponendo l'uomo come unico luogo religioso.

Questo legame alla terra è ciò che in occidente è stato dimenticato, l'uomo non cerca più di vivere in armonia con le cose che lo circondano perché non ha mantenuto l'"idea" dell'essere.

Sempre in India, l'originale vicinanza all'essere si coglie, anche, nella complementarietà fra filo-sofia, religione, medicina, cucina, morale ecc.

La ricerca e la conoscenza di realtà diverse da quella Occidentale costituisce un ancora di salvataggio per l'uomo occidentale, se la nostra civiltà fino ad ora ha esportato il suo modello senza mai curarsi di come potessero essere migliori quelli degli altri, questo è il momento di attingere, per ricercare le nostre origini comuni (il pensiero dell'essere), nelle altre civiltà. Bisogna restringere il campo della ragione per riscoprire altre letture della vita, con una consapevolezza diversa. I nostri problemi esistenziali sono quelli dell'uomo e ci ricordano la spiritualità persa, ogni cultura ha qualcosa da insegnarci sulle grandi domande dell'uomo, e se la biodiversità è importante per la vita della terra, la diversità culturale, che anche nasce dalla biodiversià ecosistemica, è indispensabile alla salute psichica dell'uomo. Quanto più ci omologhiamo su un unico pensiero, tanto più perdia-mo alternative di senso, quanto più scompaiono le culture, tanto meno scopriremo una differente visione delle cose, forse quella che farebbe proprio al caso nostro.


Nicola Pagano ci ha dimostrato come il contatto con culture diverse generi sempre uno sviluppo nella propria coscienza che ci porta a superare, a volte con difficoltà, gli schemi della nostra cultura. L'antropologo mostrava una sorta di stupore e imbarazzo quando spiegava l'esperienza del suo battesimo e del sogno indotto dallo sciamano della famiglia; noi Occidentali diremmo che le sue visioni erano indotte non dallo sciamano ma dal coinvolgimento emotivo, dalla fame e dalla stanchezza. Ma anche dando una spiegazione "occidentale", non sono forse i linguaggi delle nostre emozioni e del nostro corpo, altrettanto "veri", di quelli della ragione? E anche negando l'esistenza

della verità, non è forse questa un'ulteriore credenza?

L'unica spiegazione di senso che l'uomo può dare è quella che attribuisce un senso alla realtà.

Ma anche senza un senso, è cosi difficile riconoscere dentro e fuori di sé la stessa cosa?

La storia dell'occidente è la storia del suo tramonto, in quanto il tramonto è il senso che ha sempre espresso la sua cultura, il senso del dominio dell'uomo sul mondo nella dimenticanza dell'essere, di tutto ciò che esiste con o senza di lui.

La scoperta della storia del senso occidentale, è il compito della filosofia se vuole ritrovare un giorno lo spazio originale per la domanda, una domanda che non pretende risposte ma che si rivolge alla totalità dell'essere con quel sentimento di amore (lio di povertà) e meraviglia, che ne costituisce il senso. Se le cose vengono guardate in questa maniera, allora accadono.


BIBLIOGRAFIA

Fromm, Erich, To have or to be?, Harper & Row, Publishers, Inc., New York, N.Y., USA 1976 (trad. it. Avere o essere?, Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano 1977)

Galimberti, Umberto, Il tramonto dell'Occidente, Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano, Prima edizione nell'"Universale Economica" - SAGGI 2005

Barman, Z., Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone, Laterza, Roma-Bari 1999

Ronald Robertson, intervistato da Donatella Della Ratta su "Il manifesto", 1.6.2004

Atlante de la Repubblica, Il Pianeta Impazzito 2007



appunti



La minaccia sia alla biodiversità che al pensiero risulta essere oggi lo stesso modo di vivere dell'Occidente, che è sempre più globale ed elimina sia radici



Per fare questo, bisogna però rivolgersi alle culture che hanno mantenuto le tracce del periodo assiale, rinunciando ad imporre il modello occidentale al mondo.


viene conservata ancora nelle culture che sono riuscite a mantenere un pensiero dell'essere.che ha determinato in altre culture un rapporto di rispetto e meraviglia,



Nicola Pagano ci ha dimostrato come il contatto con culture diverse generi sempre uno sviluppo nella propria coscienza che ci porta a superare, a volte con difficoltà, gli schemi della nostra cultura. L'antropologo mostrava una sorta di stupore e imbarazzo quando spiegava l'esperienza del suo battesimo e del sogno indotto dallo sciamano della famiglia; noi Occidentali diremmo che le sue visioni erano indotte non dallo sciamano ma dal coinvolgimento emotivo, dalla fame e dalla stanchezza. Ma anche dando una spiegazione "occidentale", non sono forse i linguaggi delle nostre emozioni e del nostro corpo, altrettanto "veri", di quelli della ragione? E anche negando l'esistenza della verità, non è forse questa un'ulteriore credenza?

L'unica spiegazione di senso che l'uomo può dare è quella che attribuisce un senso alla realtà.

La storia dell'occidente è la storia del suo tramonto, in quanto il tramonto è il senso che ha sempre espresso la sua cultura, il senso del dominio dell'uomo sul mondo nella dimenticanza dell'essere, di tutto ciò che esiste con o senza di lui.

La scoperta della storia del senso occidentale, è il compito della filosofia se vuole ritrovare un giorno lo spazio originale per la domanda, una domanda che non pretende risposte ma che si rivolge alla totalità dell'essere con quel sentimento di amore (lio di povertà) e meraviglia, che ne costituisce il senso.



I rischio a questo punto è qie

La mente rivela tutte le sue potenzialità quando l'uomo crede in qualcosa. Credere non significa affidarsi solo alla ragione, come fa l'Occidente.


L'uomo occidentale ha svalutato la sua parte spirituale


La vera economia

Prima che la nostra sia imposta

Il pensiero deve ritrovare i segni del pensiero dell'essere, che è stato smarrito nella storia dell'Occidente, ma che rimane intriso nel pensiero di altre culture.

Solo partendo da questo pensiero, allineandosi al senso di ciò che lo circonda, può dare il via ad una vera economia globale ed iniziare a considerare ogni cosa nella misura in cui è, e non nella misura che l'uomo gli attribuisce.

Se la nostra è la storia del dominio dell'uomo sulle cose nella dimenticanza dell'essere, riconoscere il nichilismo che accomna la nostra civiltà può aiutarci a sviluppare la nostra vita verso altri profili, in cui si trovano le tracce di quel pensiero che fu anche Occidentale.



Conoscere queste culture e proteggere la diversità è la vera economia,


Il disagio dell'uomo

Come abbiamo visto sono numerosi i fattori che incidono a mantenere l'uomo in una condizione di disagio nella quale e disumanizzato. D'altra parte, egli stesso è l'artefice di una società di questo tipo e spesso non sembra aver l'energia per staccarvisi.

Secondo Fromm l'uomo occidentale vive unicamente la dimensione dell'avere in una società basata sul possesso e sul soddisfacimento dei desideri.

L'uomo vive oggi nella modalità dell'avere aggrappandosi a quanto ha in un pa.103



L'uomo occidentale nel suo percorso, è stato sempre coerente con le premesse metafisiche che aveva posto.

Dopo Nietzsche la filosofia s'è preoccupata con Husserl, Heidegger, Jaspers, di come va conosciuto qualcosa. I problemi del primo '900 sono stati quelli del linguaggio, del pensiero, della fenome-nologia, che tentano di oltrepassare i pregiudizi ormai consolidati nel pensiero Occidentale.

Ma allora qual è lo spazio della filosofia? Forse lo spazio originario della meraviglia.



Conclusioni:avere o essere . 16-l02/103

Constatata l'infondatezza del progresso incessante della nostra epoca è difficile non porsi la domanda sul perché non si agisce. I dati di fatto di questa analisi sono conosciuti sia dalla gente che dalle istituzioni ma pochi sono disposti a cambiare uno stile di pensiero consolidato e pigro che accomuna coloro che sono benestanti. Mentre a livello personale nessuno può rimanere indifferente testimone di una minaccia all'esistenza di tutti noi, coloro che sono investiti della responsabilità della pubblica amministrazione non fanno nulla, e quanti hanno affidato il destino alle loro mani continuano a loro volta a non fare nulla.



Scienza e Tecnica

La fede nel progresso si fonda a sua volta nella fede nella scienza che è diventata il potere assoluto su cui è stata costruita la società moderna. L'uomo attende da essa di divenire appunto omniscente, e per questo si affida al lei per la risoluzione di tutti i problemi. Il fondamento della superstizione scientifica non è scientifico, ma fideistico, a generarlo è però la scienza con i suoi miti e cosi' per il progresso. La superstizione scientifica è il tentativo di sopprimere il senso dell'essere per assicurarsi tutte le cose e porle al servizio dell'uomo.

Il potere non è più del signore sul servo, ma della scienza e della tecnica, a cui devono sottostare sia i servi, sia i signori. Questi ultimi non possono esercitare la loro signoria prescindendo dalla razionalità tecnico-scientifica del sistema, ma ne sono condizionati e quindi in qualche modo asserviti. Nasce cosi il mito della scienza capace di risolvere i conflitti di classe mediante una scientifica distribuzione del potere sulle cose, in modo che tutto sia a disposizione di tutti.

Ora la scienza è apprezzata perché conferisce potere, e se nell'essenza del potere è implicita un'irriducibile alterità, la scienza non può porsi come sistema assoluto, perché ha bisogno dell'alterità da sopprimere per il riconoscimento del proprio potere, mentre è proprio dell'assoluto non aver bisogno di nulla. Il potere muove dunque da un proprio non essere, e ora possiamo dire anche: verso un non essere che lo esige e lo provoca. Tra questi due estremi indefiniti c'è il mito del progresso.






Erich Fromm, cit.da "Avere o Essere",.11-l3

M.Heidegger,"Wozu Dichter?" (1946); tr.it. "Perchè i poeti?", in "Sentimenti Interrotti", cit.p.271

K.Jaspers, "Introduzione alla filosofia" Longanesi, Milano 1569, .126

M..Heidegger, "La dottrina platonica della verità", (1931-l932, 1942)

G:W:F: Hegel, "Lineamenti di filosofia del diritto", 1821, p.15

A.Schopenhauer, "Memoria sul fondamento della morale", cit., p. 205

A.Schopenhauer "Memoria di un fondamento morale", p. 221

F. Nietzsche, "Frammenti postumi 1887-l888", p. 12




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