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GIUSTNATURALISMO

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GIUSTNATURALISMO


Iniziamo a parlare della SECONDA SCOLASTICA.

La scolastica è quella che ha inventato S. Tommaso d'Aquino (filosofo medievale del XIII secolo, cattolico) che si basa sulla riscoperta di Aristotele. Nel 1200, grazie ad alcuni intellettuali islamici si ritraducono le opere maggiori di Aristotele, quindi c'è una riscoperta di questo pensatore. E qui S. Tommaso scrive la sua opera principale che è la "summa teologica".

Seconda scolastica, perché nei primi anni del 1500, in un'università snola (Salamanca) si riprende la scolastica di S. Tommaso, una scolastica, però, rinnovata.

Siamo agli inizi del 1500; c'è la scoperta delle Americhe; c'è l'umanesimo giuridico, il quale produce una nuova visione del corpus iuris, non più come diritto caduto dal cielo, ma come un testo che ha una sua verididicità e che va ricondotto alla sua verità storica. In questo periodo si spezza l'idea dell'universalismo imperiale (l'imperatore c'è ancora, ma non è più quel mito di unità che era per gli uomini del medioevo), cioè manca l'idea universalistica.



Questo succede perché si spezza quella che è la peculiarità del medioevo, cioè la visione dell'unità religiosa: nel 1400 Lutero e Calvino cominciano a criticare profondamente alcuni aspetti della religione cattolica e nasce la RIFORMA PROTESTANTE, alla quale aderiscono molti paesi, tra cui l'Inghilterra, la Germania, la Svizzera, una piccola parte della Francia, ecc. Alla metà del 1500 la chiesa cattolica risponde con il Concilio di Trento, dove i vescovi di tutta Europa cercano di rintuzzare argomento per argomento tutte le critiche della riforma luterana.

Quindi, nel 1500 si deve abbandonare l'idea di unità religiosa; non c'è più l'unità dell'universalismo imperiale; non c'è più l'unità geografica, perché si scopre che la terra è rotonda, non più piatta e ci sono degli altri mondi sconosciuti; non ci si può più fidare della visione storica medievale perché c'è l'umanesimo che fa capire delle cose nuove; c'è il pluralismo delle monarchie, quindi quell'unità politica anche virtuale astratta dell'impero è contraddetta da monarchie ormai fortissime, radicate e ormai perfettamente autonome.

La stessa scoperta del nuovo mondo è un'iniziativa imperialista di due sovrani lungimiranti, come Ferdinando d'Aragona e Isabella di Pastiglia, che finanziano la scoperta del nuovo mondo e la colonizzazione di nuove terre. Tutte queste idee culturali cominciano a modificarsi.

Una data molto importante è quelle del 1453: CADUTA DI COSTANTINOPOLI (ex Bisanzio), capitale dell'impero d'Oriente, presa dai turchi, ottomani, una popolazione non cristiana.

Quindi, gli uomini del medioevo vedono cadere un altro mito: cade anche la capitale d'oriente, capitale della civiltà bizantina.

Perciò vediamo che con la seconda metà del 1400 il medioevo è tramontato definitivamente.

Per quanto riguarda l'aspetto che, culturalmente, influenza direttamente anche le idee del diritto, vediamo innanzitutto un filosofo, cioè FRANCISCO DE VITORIA (1492/1546) il quale studia a Parigi e si imbeve delle idee umanistiche (siamo infatti nel pieno periodo dell'umanesimo). Egli torna in Sna, fa il suo mestiere di filosofo ed intellettuale a Salamanca, dove comincia a diffondere le sue idee. Le idee diffuse da De Vitoria hanno avuto molto successo e questo probabilmente perché nel suo ambiente erano pronti a recepire queste idee, sia come epoca (epoca dell'umanesimo, cioè epoca delle scoperte geografiche), ma anche come luogo geografico: infatti, De Vitoria lavora proprio a Salamanca e il successo di queste nuove idee, in Sna, non è casuale, in quanto la Sna è il primo paese colonizzatore, cioè il primo paese che si trova di fronte a questa nuova visione.

La nuova visione, in sintesi, è questa: finora noi abbiamo pensato che esiste un unico imperatore e un unico papa e dei testi (bibbia per i religiosi; corpus iuris per la società laica) unici e che valgono per tutto il mondo.

Il problema culturalmente cambia quando si va in un'altra parte del mondo, che si credeva non esistesse, e si scopre che una parte altrettanto grande del mondo non sa assolutamente nulla di impero romano, né di Giulio Cesare, né di Bisanzio, né tanto meno del corpus iuris e si tratta di un intero continente che va dall'Alaska alla Patagonia.

Quindi, questa scoperta mette l'uomo occidentale in una profonda crisi, perché tutto ciò in cui credeva o che faceva finta di continuare a credere, non esiste.

I punti di riferimento, che potevano essere Dio, o il pontefice, o l'impero, non è che non esistano, ma bisogna ripensarci, perché questo grande continente mette tutti in una contraddizione enorme.

Francisco De Vitoria non è solo un giurista, e la prima cosa che ci vuole far capire è che deve essere tutto collegato ad un programma di rigenerazione religiosa.

Lui dice: "l'ufficio è il compito del teologo e sono talmente ampi che nessun argomento, nessuna disputa e nessun luogo, sembrano estranei alla riflessione teologica " = quindi, la teologia, per quelli della seconda scolastica, è la madre di tutte le discipline: il diritto non è altro che una sottospecie della teologia, perché solo la teologia può spiegare tutto.


Perché è importante il teologo

Perché il teologo ha gli strumenti, che non può avere il giurista, di interpretare la natura (per questo parleremo poi di giustnaturalismo) intesa come volontà divina.

NATURA = VOLONTA' DIVINA.

Qui siamo nel passaggio tra il medioevo e l'età moderna, perché il medioevo ci aveva insegnato che c'era la volontà divina, cioè l'aequitas (=giustizia divina). Qui si fa un discorso ancora più ampio: la volontà divina non è solo quella dell'equità, ma è la natura, l'intera creazione della natura e se guardiamo bene la natura, come teologi, possiamo vedere la volontà di Dio.

Se la natura è volontà divina, il diritto deve sottostare alla natura: quindi il diritto non è altro che espressione della volontà divina stessa, per cui per conoscere questo, dobbiamo essere innanzitutto dei teologi, secondo De Vitoria.

Inoltre lui dice: "la fonte e le origini delle città e delle repubbliche non sono state determinate dall'uomo e non sono da annoverare tra le sue opere, cioè le opere umane: derivano, invece, dalla natura che ha apportato questa misura razionale, cioè la ratio a tutela e preservazione dei mortali " = in altre parole, dice che non è stato inventato nulla, perché ci si organizza a degli ordinamenti giuridici che non vengono da creazioni umane e neanche l'imperatore le ha inventate.

L'imperatore non ha mai imperato sulle Americhe, quindi tutta la costruzione medievale crolla e allora si deve alzare il livello della generalità: il diritto scende in basso, perché è un diritto imperiale e si è scoperto che questo diritto imperiale non è più universale, appunto perché le nuove Americhe non lo conoscono: allora bisogna alzarsi di un livello, cioè bisogna parlare di natura.

Quindi, quel punto di riferimento universale, che prima era il diritto universale, adesso è la natura, cioè il creato: il dominus non è più l'imperatore, ma è Dio stesso. Se è Dio il primo uomo politico che governa il mondo, capiamo perché il teologo è la professione principe rispetto al giurista.

Persino il diritto universale si è particolarizzato, perché si è scoperto che il diritto universale era solo un diritto europeo.

De Vitoria ha avuto successo, perché è un teologo che, prima di Grozio e di tutti gli altri, ha dato risposta ad un interrogativo che avevano tutti, cioè cosa fare ora che c'è il nuovo mondo.


Adesso arrivano i problemi e, in particolare, c'è il problema di legittimare la colonizzazione selvaggia che viene fatta dei nuovi mondi.

De Vitoria dice: "noi siamo teologi e sappiamo leggere la natura: Dio parla attraverso la natura " = questa natura ci fa vedere che nel mondo naturale non tutto è uguale: ci sono persone che hanno certe virtù e devono esercitare queste loro virtù attraverso il comando, mentre ci sono altre persone che non hanno queste virtù, o che addirittura la loro razionalità è spenta dall'errore, da false credenze e quindi non hanno nessun diritto e devono essere soggette a rieducazione o ad assoggettamento.

Quindi, in natura ci sono, naturalmente, degli uomini inferiori.

Questo porta a due conseguenze:

Dal punto di vista del giurista: già il giurista è in crisi, come sono in crisi le università e, per riacquistare prestigio, il giurista deve dare dei consilia, o si deve far assumere dai grandi tribunali, o deve essere un giurista alla corte dei vari principi. Quindi, il giurista è talmente in crisi che può sorgere uno come Francisco De Vitoria e dire che il giurista conta meno del teologo. In Europa, perciò, si afferma l'idea che il discorso sulla natura sia un discorso preliminare a quello del diritto: è la natura che ci dice quali sono i fondamenti del diritto, i fondamenti dei regni, ecc.

Questo discorso sugli uomini inferiori avrà come momento particolarmente vivo una discussione con ripercussioni europee fra due polemisti, universitari di Salamanca e anche uomini intellettuali di grande livello, cioè IVAN DE SEPULVEDA e BARTOLOMEO DE LAS CASAS: entrambi vivono nel primo '500 e si combattono a suon di libelli. De Sepulveda scrive "Le cause della giusta guerra . .. " = in questo periodo c'è un dibattito sulla giusta guerra in cui combattono filosofi e giuristi. Questa è un'epoca di grandi carneficine, sia in America, sia in Europa, quindi uno degli argomenti preferiti dai giuristi era guerra giusta, perché la guerra si divide in giusta ed in ingiusta, perciò bisognava sempre giustificare la guerra, in qualche modo. La loro disputa si conclude in nulla: essi sono convocati dal pontefice, fanno una quaestio sui pro e i contra tra i due, però alla fine il pontefice non da una solutio, cioè non da ragione né all'uno, né all'altro.



Per concludere vediamo GROZIO, grande esponente del giustnaturalismo.

Quando si dice che Grozio è il fondatore del giustnaturalismo va bene, ma a condizione di sapere che Grozio veniva dalla seconda scolastica.

Grozio passò il suo maggior tempo in carcere, perché era perseguitato per le sue idee.

L'idea sulla natura non l'ha inventata Grozio, ma l'hanno riscoperta i secondi scolastici di De Vitoria.

Grozio è certamente un uomo geniale, che spunta nel luogo giusto e al momento giusto. Vive tra la fine del 1500 e i primi del 1600 in Olanda: l'Olanda, in Europa, oltre la Sna, è la più grande potenza commerciale.

Pur essendo un piccolo stato, l'Olanda è riuscita a produrre una grande forza commerciale, tanto che le colonie olandesi sono sparse in tutto il mondo.

Oltre che una grande potenza commerciale, l'Olanda è anche un grande paese di libertà intellettuale: tutti i libri vietati nel resto dell'Europa vengono stampati in Olanda.

Una delle opere di Grozio è DE IURE BELLI AC PACIS - 1625 (=il diritto della guerra e della pace) e prima aveva scritto un'altra operetta che è MARE LIBERUM (=il mare libero di essere solcato dal colonizzatori) = qui nasce il diritto internazionale marittimo e se lo pongono gli olandesi, perché loro sentono il bisogno di una regolamentazione della navigazione quando si va a colonizzare.

Solo l'osservazione della natura ci può dare delle regole universali, cioè valide per tutto il mondo in materia di guerra, di pace e di scambi marittimi e commerciali.


Cosa cambia con Grozio rispetto a De Vitoria

Grozio è laico: l'osservazione della natura non è necessariamente la volontà divina. Lui non lo nega e dice che la natura ce l'ha data Dio, ma ce l'ha messa già in testa, perché noi in testa abbiamo già le regole naturali. Quindi, ogni uomo, anche quello non cattolico e non civilizzato può, guardando dentro se stesso, sapere quali sono le regole di diritto naturale.

Quindi, i temi della natura non li inventa Grozio, soprattutto perché quello della natura è un concetto antichissimo che viene dalle prime riflessioni filosofiche aristoteliche e riprese da S. Tommaso d'Aquino, poi riportate, nei primi del '500, a piena luce dai teologi della scuola di Salamanca.


Perciò, quando parliamo di giustnaturalismo e vogliamo individuare le sue origini, possiamo ripetere gli stessi punti a proposito del momento del passaggio tra la fine del medioevo e l'inizio dell'età moderna.


Vediamo che in questo periodo si forma una nuova mentalità culturale e, innanzitutto, dobbiamo citare alcuni nomi importanti:

CARTESIO con il suo pensiero della RAZIONALITA': la razionalità umana diventa elemento centrale della riflessione sectiunesiana = da luogo metafisico, la ratio viene portata ad un luogo prettamente umano, tanto è che per noi, oggi, la razionalità è quasi sinonimo di umanità.

NEWTON e GALILEI con un approccio SPERIMENTALISMO: le verità non si affermano in base a dei dogmi, ma si sperimentano nella natura (natura diversa da quella di tipo teologico).

Questa idea, razionalistica ed empiristica (sperimentalismo), fa cambiare anche l'approccio ai filosofi-politici, che cominciano adesso a riflettere in termini meno dogmatici.




Arriviamo così a Grozio e al suo giustnaturalismo.


Che cosa afferma il giustnaturalismo di tipo graziano? Afferma l'esistenza di REGOLE AUTOEVIDENTI: esistono delle regole autoevidenti, cioè delle regole che si evidenziano da sole e che non hanno bisogno di un'autorità trascendente o secolare, ma dotata di particolare prestigio, come l'imperatore o il pontefice, che le imponga in un atto passivo di obbedienza.

Esistono delle regole autoevidenti, cioè delle regole che tutti possiamo, in qualche modo, individuare.


Su cosa si fondono queste regole autoevidenti? Su valori etico-sociali, cioè su dei valori morali (es.: non fare ad altro quello che non vorresti fosse fatto a te stesso) e su dei valori sociali (es.: se siamo in una comunità, il mio interesse è preservare questa comunità, quindi evito tutto ciò che mette in crisi la mia comunità).

In base a questi valori si possono individuare delle regole, anche banali ed ovvie, autoevidenti. Queste regole autoevidenti che si fondano sui valori etico-sociali sono il frutto della razionalità umana.


Questa razionalità umana individua alcuni valori etico-sociali, di sopravvivenza, di buon vivere, di autoconservazione, quindi da ciò  si possono dedurre alcune regole autoevidenti, cioè regole in base alla razionalità umana.

Qui vediamo finire il medioevo: in qualche modo la seconda scolastica era proiettata nel nuovo, perché c'era un mondo che metteva in crisi il medioevo, ma rispondeva in modo antico, cioè rispondeva alle esigenze nuove rimodellando le verità del medioevo, cioè che esistesse una natura ed una razionalità che era identificata con la volontà divina.

Per interpretare la volontà divina occorrono degli interpreti che, in questo caso, non sono dei giuristi, ma sono dei teologi, perché solo i teologi possono interpretare la volontà divina. Ma se si parte dalla razionalità umana, si può vedere bene che non esistono più intermediari, perché basta un uomo sano di mente e che abbia a cuore la propria sopravvivenza e la sopravvivenza dell'ambiente umano e naturale che lo circonda, perché quel singolo uomo senza aver bisogno, né di giuristi, né di teologi, possa individuare da solo quei valori etico-sociali, ma soprattutto le regole autoevidenti.

Qui non si parte da Dio, anche se si può arrivare a Dio, perché la razionalità umana può dimostrare l'esistenza di Dio, ma si parte sempre dalla razionalità umana.

E questo è il frutto di 2 o 3 secoli di crisi medievale che tocca il suo apice nel '400/'500 con l'umanesimo, quindi con la riscoperta della personalità umana, che porta alla razionalità umana, la scoperta dei nuovi mondi, la fine dell'universalismo religioso o imperiale, ecc.: insomma, un nuovo percorso che porta a questi nuovi punti di riferimento.

La conseguenza pratica di questo ragionamento è che, sottolineare l'elemento della razionalità, fa sì che la verità e, in particolare, la verità giuridica (quindi la norma e la regola), per essere conoscibile, non ha più bisogno di un interprete, né di un mediatore, ma semplicemente dell'intelletto umano: quindi, ogni singolo uomo può individuare autonomamente, senza interpreti supplementari, la norma etico-giuridica da seguire, attraverso un atto di intelletto, che è un atto di razionalità.

Quindi, si parla di SECOLARIZZAZIONE del fondamento del diritto: si riporta al secolo, cioè si riporta sulla terra il fondamento del diritto (che, nel medioevo, stava in cielo, perché l'aequitas era la giustizia divina). Partire dalla razionalità umana produce la secolarizzazione del diritto. In questo modo la norma giuridica diventa DICTAMEN RECTAE RATIONIS (=dettato della retta ragione).

Questa è l'epoca in cui la ratio diventa razionalità, cioè ragione umana, mentre per secoli la ratio era il senso profondo delle cose trasfuse nella creazione.

Adesso la norma diventa un semplice enunciato della ragione giusta.

Per quanto riguarda queste regole autoevidenti, e si vedrà meglio con altri pensatori, in particolare con LEIBNIZ, dobbiamo dire che le regole autoevidenti possono benissimo essere identificate con poche regole che troviamo espresse nel diritto romano, se togliamo dal diritto romano tutto ciò che è eccessivo e superfluo.

ESEMPIO: le regole "pacta sunt servanda", o le regole in base alle quali bisogna risarcire i danni, sono regole autoevidenti che si giustificano.

Arriviamo ora al punto del CONTRATTUALISMO.

Abbiamo visto qual è il fondamento del diritto, il quale non viene da un'autorità o, meglio, viene da un'autorità razionale, che è l'autorevolezza che ognuno di noi ha dentro se stesso.

E qui cominciano i problemi.


Il giustnaturalismo è compatibile col positivismo

(Positivismo = idea culturale del filosofo ottocentesco, ma è un atteggiamento che noi abbiamo verso la norma giuridica, per cui è diritto vigente tutto ciò che è norma positiva, cioè norma scritta vigente).

Il giustnaturalismo può benissimo essere in contrasto col positivismo, nel senso che io affermo una regola autoevidenti, poi vado nel ducato di Lombardia e mi trovo una norma positiva, vigente, che è contraria alla norma autoevidente.

Questo strano conflitto, in realtà, diventerà una specie di "santa alleanza" nel XVIII secolo, perché grazie a questa idea si affermerà il principio secondo il quale i sovrani illuminati (che hanno la razionalità) dovranno incorporare nelle loro norme le regole naturali: quindi, il sovrano, che prima era in conflitto con le regole autoevidenti, adesso deve farsi lui il campione delle regole autoevidenti e si autolegittima in questo modo. I sovrani hanno ragione di esistere in quanto pongono in essere le regole naturali, quindi fanno diventare positive le regole naturali, giustificando in qualche modo la loro sovranità.

I sovrani fonderanno la loro sovranità non più su un atto autoritativo, ma mettendo per iscritto le leggi di natura.

Il contrattualismo è il versante giuspubblicistico del giusnaturalismo, perché le regole autoevidenti sono autoevidenti, ma c'è bisogno di norme positive e le norme positive sono fatte dal legislatore, il quale presuppone uno stato. Di conseguenza, oltre a giustificare le regole autoevidenti, bisogna giustificare lo stato (e da adesso si può cominciare a parlare di stato).

Quindi, il contrattualismo è tutta una serie di idee che spiegano le origini dello stato.


Come si giustifica l'esistenza di un sovrano, di uno stato, di un regno, attraverso questo nuovo orizzonte conoscitivo politico?

Non basta più l'idea che il sovrano l'ha investito Dio, ma occorre un altro percorso, che non parta dall'alto. Quindi si tratta di rigiustificare tutti i sovrani che ci sono, però, invece che partire da Dio, bisogna partire dalla razionalità umana. E si parte dal CONTRATTO SOCIALE.

Il contratto sociale si basa su un'idea che precede il contratto sociale stesso, che è quella dello STATO DI NATURA. Si ritorna al concetto di natura, solo che prima la natura era la ratio, era la volontà divina e non ci eravamo mai chiesti molto su questo: adesso si dice che, se la natura è qualcosa che sta in terra e certamente adesso siamo in qualche modo usciti dalla natura, come ci immaginiamo ora questo stato di natura? Perché, evidentemente, prima di fare uno stato c'era qualcosa e questo qualcosa era l'assenza di stato e l'assenza di stato, a sua volta, era lo stato di natura.

Storicamente non sappiamo se è mai esistito uno stato di natura, razionalmente ce lo possiamo immaginare, cioè possiamo sapere che nel percorso della storia non tutte le cose sono così come le abbiamo adesso.


Quindi, prima cosa c'era?

E qui i filosofi della politica si sono sbizzarriti. Il primo a tirare fuori questa idea del contratto sociale è THOMAS HOBBES, un inglese, che nel 1651 scrive il LEVIATHAN (=un mostro che divora tutto) = si tratta di una sorta di incubo e questo incubo è lo stato moderno.

Lo stato di natura, per Hobbes, è uno stato di paura:

Bellum omnium contra omnes = l'uomo lupo all'altro uomo.

Homo homini lupus = l'uomo lupo all'altro uomo.

= Hobbes dice che l'uomo, dotato di razionalità, fa di tutto per uscire dallo stato di natura; quindi, si mette d'accordo e l'atto che sancisce questo accordo è il CONTRATTO SOCIALE (e questa è l'origine dello stato).


In cosa consiste la razionalità del contratto sociale

Che se noi vogliamo evitare questo stato di paura è ovvio e razionale che facciamo un contratto sociale e che lo facciamo nel modo più evidente, più rapido e più netto possibile.

E qui arriva la genialità di Hobbes, perché lui ci dice: Chi fa il contratto sociale?

Il contratto sociale è il contratto stipulato da tutti meno uno, cioè meno il sovrano. In questo modo il sovrano, che viene investito mediante il contratto sociale, non risponde di nulla.


Quindi, si dice che Hobbes è il filosofo-politico che da le premesse all'ASSOLUTISMO. Hobbes insiste molto sulla terribilità dello stato di natura per giustificare l'assolutismo che deriva dal contratto sociale e assolutismo può essere solo se si fa contratto sociale di tutti meno uno, cioè meno il sovrano assoluto.

Vediamo che Hobbes, da una parte inventa questo sistema, da una parte è ispirato alla realtà: in questi anni si va verso lo stato assoluto (che c'è già), quindi occorre che alcuni filosofi e giuristi diano una costruzione tecnica a quello che c'è già. E questo è un punto di partenza.

Possiamo dire, quindi, che Hobbes certamente è un contrattualista, ma è anche un assolutista, cioè un filosofo della politica assolutista.

Ma Hobbes è anche un'altra cosa: è un fautore del GIUSVOLONTARISMO = Hobbes non parla di regole autoevidenti, ma a lui del giusnaturalismo interessa un aspetto, cioè l'aspetto del contrattualismo.

La legge, secondo Hobbes, è la manifestazione di volontà del sovrano, per cui "giusvolontarismo", termine che indica che il diritto si identifica con la volontà del sovrano.

Quindi, la norma è un atto di volontà e tutto ciò che vuole il sovrano è diritto.


Da questa idea assolutistica del diritto nascono le nostre garanzie e nasce il primo germe, pur pallidissimo, dello stato di diritto, cioè nasce la premessa logica: il silenzio del sovrano corrisponde alla libertà. La libertà consiste nel fare tutto ciò che il sovrano non comanda, cioè un'idea di libertà negativa.

Questa è una cosa molto importante, perché è l'inizio della teoria moderna del diritto penale, perché il diritto penale consiste nel dare mille obblighi e questi obblighi, divieti e comandi, si devono conoscere in anticipo, poi si è liberi di fare tutto ciò che la legge non sancisce.

Che progresso è? Hobbes ci fa vedere che le nostre libertà cominciano con l'inizio delle legge, dove lo stato non arriva, però rispetto a prima, dove l'aequitas era la volontà divina, la differenza consiste in questo:

Nel medioevo io non cesso mai di essere sottoposto all'aequitas, perché la volontà divina è dovunque, nella natura, nel creato, quindi io sono sottoposto in qualunque momento delle mia vita all'aequitas, quindi posso essere sempre passibile di condanna = non sono mai libero, perché sono inserito nel creato che ha le sue leggi.

Con questa idea, per quando io abbia a che fare con un Leviathano, che mi fa ogni giorno mille divieti, alla fine ci sarà sempre un divieto che si dimenticherà di pormi, e lì comincia la mia libertà = Dio è lontano dal creato e la natura è una cosa completamente diversa.



PRECISAZIONE

L'importanza di Hobbes è quella di aver affermato che la legge e, in generale lo stato, ha un fondamento razionale e ragionevole: le leggi saranno in tutti i casi utili, quindi hanno un fondamento di razionalità.

Secondo il ragionamento di Hobbes, la legge alla fine risulta un atto di razionalità: non c'è nulla però che ci assicuri la razionalità del comportamento del sovrano, se non almeno nel caso peggiore, che non è detto che debba avvenire, cioè il fatto che anche se il sovrano dovesse porre in essere qualcosa di "discutibile", è pur sempre un atteggiamento, un atto, o una legge razionale, perché in ogni caso servirà ad uscire dallo stato di paura dello stato razionale.

Secondo Hobbes, la ragionevolezza è garantita dal fatto che, in ogni caso, ci serve: per quella volta che sragionerà, sappiamo che è il prezzo che dobbiamo are per uscire fuori dal terribile stato di paura.


Molto diverso è il contrattualismo di JOHN LOCKE (1632-l704), il quale scrive TWO TREATISES OF GOVERNAMENT (=i due trattati sul governo) nel 1690.

Mentre quello di Hobbes è un contrattualismo assolutista, quello di Locke è un contrattualismo liberale.

Il contratto sociale di Hobbes veniva stipulato tra tutti i futuri sudditi, tranne il sovrano, che restava esterno a questo fatto e il fatto di rimanere esterno è la base dell'assolutismo: il sovrano è assoluto proprio perché non è vincolato dal contratto sociale fondamentale.

Per Locke la situazione cambia: il contratto sociale è fatto tra tutti, nessuno escluso, nemmeno il sovrano. Da qui la visione liberale. Questo presupposto, apparentemente tecnico, ha delle conseguenze su un piano di diritto pubblico enormi, perché se il contratto sociale lo facciamo tutti è ovvio che la scelta del sovrano viene in un momento successivo al contratto. Ne consegue che il sovrano è vincolato al rispetto del contratto sociale, cioè deve assicurare ai suoi sudditi i beni fondamentali della libertà naturale che, per Locke, sono sostanzialmente tre:

Libertà

Uguaglianza

Proprietà

Questi sono i tre beni fondamentali che già avevamo nello stato di natura e che, se non anche in termini assoluti, vogliamo conservare anche nello stato civile, sennò la sovranità non avrebbe senso.

Mentre per Hobbes il sovrano non è obbligato al rispetto di nessun diritto naturale, perché svincolato dal contratto sociale e il suo bene lo produce lo stesso (secondo Hobbes il bene consiste nel fatto di avere evitato la guerra di tutti contro tutti).

Per Locke, invece, visto che il sovrano è parte integrante del contratto sociale, occorre qualcosa di più: il sovrano è vincolato al rispetto di questi tre beni fondamentali che ci vengono dallo stato naturale.

Per Locke la libertà non è una definizione negativa: non è il silenzio della legge, perché qui il sovrano si deve impegnare positivamente con la sua legge a garantirci questi tre beni.

Seconda conseguenza molto importante è che, secondo Hobbes, il sovrano compie, di regola, leggi utili e se questa utilità noi non la vediamo, non possiamo farci nulla, perché è un sovrano assoluto e dobbiamo accontentarci che ci ha tolti allo stato di guerra di tutti contro tutti.

Invece, secondo Locke, se il sovrano mi conculca assolutamente la libertà, o produce delle intollerabili disuguaglianze, o mi priva della mia proprietà, perde la legittimità: per questo qui lo stato è liberale, perché c'è un momento di garanzia dei sudditi, perché in questo caso cominciano a diventare quasi cittadini.

Come vediamo è stato usato uno strumento logico-tecnico uguale, il contratto sociale e si è arrivati a conclusioni diametralmente opposte.

Hobbes pensava ad un sovrano assoluto, quali quelli che stavano nascendo in tutta Europa, a cominciare dal sovrano francese, proprio in quegli anni.

Locke, al contrario, aveva a cuore una visione liberale dello stato, quindi sempre partendo dal contratto sociale, modificava le conseguenze.


Il giustnaturalismo ha una progine molto importante in Germania e parliamo, in particolare, di SAMUEL PUFENDORF (1632-l694) e ricordiamo due opere:

De iure naturae et gentium - 1672 (=sul diritto naturale delle genti).

De officio hominis et cives - 1673 (=sul dovere dell'uomo e del cittadino).

Con Pufendorf dobbiamo ricordare un evento importante nella storia dell'università europea, perché per la prima volta in Germania Pufendorf aprì una cattedra di diritto naturale. Si tratta di un'iniziativa molto importante perché ci fa vedere come siamo in pieno giustnaturalismo e si comincia ad insegnare il diritto naturale nelle università come materia monografica, assieme al corpus iuris di Giustiniano.

Negli stessi anni in Francia (1600) si apre una cattedra di diritto nazionale francese (soprattutto il diritto delle consuetudini regionali francesi, poi cristallizzate nella versione delle ordonnance regie).

Come si vede, quindi, il 1600 è un momento di sblocco e di novità, anche nell'insegnamento universitario.

Perciò Pufendorf e il diritto naturale è un binomio inscindibile, sia perché è un giustnaturalista, poi anche perché lo insegna all'università.

Il suo obiettivo, come poi quello di gran parte dei giusnaturalisti tedeschi, è quello di preoccuparsi di un problema a monte.

I tedeschi non si occupano di contrattualismo, ma si occupano proprio di diritto naturale, cioè diritto naturale come diritto produttivo di norme giuridiche, norme di diritto civile, o di diritto penale, ecc.


Come si fa a distinguere il diritto naturale dalla morale? E come facciamo a togliere alla chiesa l'autorità ecclesiastica e la possibilità di ingerirsi con delle valutazioni morali? Prima di affrontare cos'è il diritto naturale bisogna affrontare questo problema.

Prima di tutto, a partire dai tedeschi, il diritto naturale diventa oggetto di una precisa sistemazione scientifica.


DIRITTO NATURALE

DIRITTO CIVILE

Può essere conosciuto in due modi:


RIVELAZIONE = dato direttamente da Dio = conosco un precetto etico. Di questo se ne occupano i teologi.


RAZIONALITA' = posso capirlo con la mia ragione = conosco una norma naturale. Di questo se ne occupano i filosofi-politici, i giuristi, ecc.


Legislatore = Dio.

Produce una


NORMA CIVILE





SANZIONE





Legislatore = Sovrano.


Differenza tra la norma naturale e la norma civile.

ESEMPIO: Se dico "non rubare", questa è una norma etica; se dico "non rubare sennò ti do 5 anni di carcere", questa è una norma civile.

Non che la sanzione non può esserci anche nel diritto naturale, ma è implicita, cioè non è detta da nessuno. Se non si rispetta il diritto naturale si disgregherà la società, ma certamente non si incorre in nessuna sanzione.

Con Pufendorf abbiamo una prima definizione di norma: la norma è un comando (=decretum) con cui qualcuno (in questo caso il sovrano), obbliga un soggetto (subordinato) di attenersi al comportamento prescritto.

La legge civile, per distinguerla dalla legge naturale, non è altro che un comando sanzionato.

Grazie a questo passaggio logico, nel '600, Pufendorf, partendo dal diritto naturale, riusciva a distinguere la competenza dei teologi dalla competenza dei giuristi:

Teologi = diritto naturale.

Giuristi = diritto civile.

Finalmente si individua che tutti i comandi sanzionati vengono fatti oggetto di indagine da parte dei giuristi e in questo campo i teologi non possono entrare: quindi, il sovrano potrà tranquillamente legiferare sapendo che la chiesa non può entrare nei comandi sanzionati, perché la chiesa si occuperà delle norme naturali che ci verranno rivelate attraverso i precetti etici.

Naturalmente il comando sanzionato non può essere in contrasto col diritto naturale.

La legge civile, non naturale, è quella che ci da il sovrano, però il sovrano ha l'obbligo morale di conformarsi al diritto naturale, cioè non può porre in essere comandi sanzionati irrazionali, innaturali.

Per affermare questo non si usa il contratto sociale, ma si usa un'argomentazione di razionalità, o di saggezza, tanto è vero che da quest'epoca in poi si parlerà di sovrani illuminati.

I sovrani vengono esortati a fare norme, ma norme razionali e naturali. Quindi, i sovrani se vogliono essere saggi e riconosciuti come tali dai "sudditi" devono adeguare i propri comandi sanzionati al diritto naturale.

La concezione di Pufendorf rispetto alla libertà è molto vicina, anche se non identica a quella di Hobbes.

Pufendorf non individua positivamente le libertà fondamentali dell'individuo, come fa Locke: la libertà è il silenzio della legge anche se con qualcosa in più.

Mentre per Hobbes era una sorta di vuoto pneumatico dove c'era proprio il silenzio della legge, Pufendorf dice che le libertà vengono garantite dal fatto che il sovrano non impone una sanzione: dove non c'è una sanzione si è liberi di fare quello che si vuole, ma questa libertà in cui consiste l'assenza di sanzioni riporta a quei godimenti che si avevano nello stato di natura.

Quindi, il silenzio della legge mi fa godere di quella libertà che godevo nello stato di naturale. Ciò vuole dire che Pufendorf non ha la stessa visione terribile dello stato naturale come aveva Hobbes.


Allievo di Pufendorf, CHRISTIAN THOMASIUS. La sua opera fondamentale è FUNDAMENTA IURIS NATURALIS GENTIUM - 1706 (=fondamenti di diritto naturale delle genti).

Thomasius aderisce in toto al maestro, però cerca di entrare un po' più in profondità, perché ritiene che il pericolo consista sempre nella possibilità che il diritto naturale, in quanto ha un nocciolo profondo di eticità, possa essere oggetto di confusione ed ulteriore appropriamento da parte dei filosofi, dei teologi, della chiesa, ecc.

Per arrivare alle stesse conclusioni del maestro Pufendorf, Thomasius fa un altro percorso.


Qual è  l'obiettivo dell'uomo

La ricerca della felicità (che si aggiunge alla tranquillità e alla pace: questa è la felicità).

Partiamo dalla felicità e dalla pace. Questa pace può essere:

INTERNA = quella della propria coscienza. E' assicurata dall'ONESTA'.

ESTERNA = quella per cui se rubo delle cose ad altri vengo perseguito perché altero l'equilibrio della collettività. E' assicurata dalla GIUSTIZIA.

INDIFFERENTE = non riguarda né la pace interna, né la pace esterna, ma consiste nello stare bene con gli altri. E' assicurata dal DECORO.

Se si vuole raggiungere direttamente la felicità, la felicità assoluta si ha con l'onestà, perché si fa quello che dice Dio e non ci si sbaglia mai.

Più modestamente, se non è questione di raggiungere la felicità, ma è questione di evitare i mali, prevale il giusto (la giustizia), perché è fatto di comandi sanzionati, i quali evitano il male, anche non ci fanno raggiungere la felicità.


Qui nasce la mentalità giuridica moderna.


GOFFREDO GUGLIELMO LEIBNIZ autore, nel 1667, della NOVA METHODUS DISCENDAE DOCENDAEQUE JURISPRUDENTIA (=nuovo metodo di apprendere e di insegnare la giurisprudenza).

Leibniz è un grande filosofo, logico, matematico e scienziato. Egli si interessa anche della giurisprudenza e, in particolare, il suo problema è quello della CERTEZZA (uno dei punti critici dell'antico regime): poiché non siamo in un'epoca codificata e viviamo in un clima di particolarismo giuridico, di conseguenza i giuristi hanno bisogno di criteri di certezza (come la communis opinio, che però da una parte risolve la certezza, ma dall'altra porta anche incertezza).

Leibniz propugnava la certezza e la verificabilità delle scienze matematiche e delle scienze naturali e riteneva che anche la giurisprudenza ed il mondo giuridico dovessero subire lo stesso trattamento: gli dava fastidio il mondo dell'arbitrarietà e della discrezionalità tanto è che ne dava una valutazione negativa.

Ai tempi di Leibniz un giudice poteva emettere una sentenza di "non liquet", cioè "non è chiaro": in altre parole, un giudice che allo stato attuale non ritenesse un senso di chiarezza su un dato di fatto e su un dato di diritto, poteva emettere una sentenza di non liquet (cosa impossibile per un sistema a regime codificato come il nostro).  Questo sistema di non liquet per Leibniz era un'assurdità, perché in un sistema certo, una sentenza di non certezza era impossibile.

Vediamo cosa propone Leibniz, perché questo suo modo di ragionare è un modo di vedere la norma che prelude direttamente al modo di vedere codificato della norma ed è molto vicino alla nostra idea di codice.


Cos'è la norma per Leibniz? La norma è una proposizione: la norma deve avere un soggetto, un predicato e in rapporto tra soggetto e predicato deve esserci un verbo (copula).

Questi sono gli elementi fondamentali per fare una norma giuridica: soggetto e predicato, mentre il verbo è un elemento ovvio, perché soggetto e predicato devono essere posti in una certa relazione.


Cosa comporta questo nel mondo giuridico? Comporta che il soggetto è inteso, per la prima volta, in un modo diverso da come lo intendevano i giuspolitici e i giusfilosofi. Finora il soggetto era il suddito, perché se io dico che una norma è la manifestazione di volontà del sovrano, allora i destinatari di questa norma sono i sudditi del sovrano stesso.

Per la prima volta, attraverso la definizione della norma come proposizione, il soggetto cambia denominazione: non è più visto come un subordinato, cioè come colui che subisce l'autorità giusvolontaristica del sovrano, ma diventa titolare della norma e diventa destinatario della norma.

Se la norma viene definita così, come una proposizione con una sua logica e una sua ragione di essere e perché, soprattutto, sia certa, allora il soggetto cambia connotazione: il predicato sarà o un obbligo o un diritto e il soggetto è titolare o di un diritto o di un obbligo, e la copula serve per porre in relazione questi due elementi.

Con questo sistema si ha una norma certa, ma una norma certa di cui ai tempi di Leibniz non esiste nessun esempio, perché in questo periodo le norme si facevano in un altro modo, cioè in maniera non geometrica. Questo è il "novo methodus" che lui chiamava anche MORE GEOMETRICO (=modo geometrico).



Cosa vuole dire usare questa idea di norma "more geometrico"

L'ordinamento giuridico dovrebbe essere fatto non, ad esempio, di 2000 norme tutte orizzontali, ma dovrebbero essere poste in una costruzione geometrica a triangolo, dove al vertice vanno le norme generali, e via via, le norme particolari: questo perché ci sono alcune norme generali (regole fondamentali), che possiamo sempre esprimere attraverso questo sistema, che danno vita a delle sottonorme.

ESEMPIO: la norma "pacta servanda sunt" (=tutti i patti devono essere osservati) è una norma generale, ma da questa norma posso trarre delle sottonorme, come "se vendo una cosa devo consegnarla entro un certo termine": quest'ultima è una norma più specifica rispetto alla prima, messa però in un ordine verticale, perché dipende sempre dalla prima.

Però more geometrico vuole dire anche un'altra cosa: non è detto che tutte le norme si pongano in questa idea triangolare, ma ci può essere anche una eccezione alla regola.

ESEMPIO: "i patti sono da rispettare", ma c'è un minore: i minori possono fare eccezione, per tutelare la loro non piena maturità e consapevolezza dell'importanza di un certo tipo di negozio. Però, se si tratta di una norma di tipo eccezionale, questa norma non può trarre conseguenza: si tratta di un'eccezione che si ferma qui (non si possono creare delle sottonorme, così come le norme eccezionali non possono essere analogiche).

Quindi, in generale, le norme more geometriche si pongono in una situazione: dal generale, via via sempre più nel particolare. Dove c'è un'eccezione, quell'eccezione non può produrre norme più specifiche.

Con questo sistema, Leibniz ritiene che l'ordinamento può avere un sistema certo e, tendenzialmente, completo: basta che io individui le norme generali, grazie ad un lavoro di interpretazione posso fare delle sottonorme sempre più particolari e posso fare anche delle eccezioni, che non devono trarre conseguenze, quindi il sistema risulta completo. Il giudice non potrà più fare sentenze di "non liquet", perché grazie a questo sistema logico tutto è perfettamente coordinato.


Leibniz è certamente un razionalista, perché per lui l'idea di una certa razionalità e di un certo ordine è preliminare ad ogni altro tipo di ragionamento, proprio per ottenere certezza e completezza dell'ordinamento. Non è, però, un giustnaturalista: in qualche modo egli è attraversato dal giustnaturalismo, ma lo contesta.


In che senso Leibniz è attraversato dal giustnaturalismo ma in qualche modo lo contesta? Lo contesta sul fatto che il giustnaturalismo, come sappiamo, si basa sull'esistenza di un ipotetico stato di natura: in questo di natura si può stare bene o si può stare male (v. Hobbes e v. Locke . ).

Tutta questa idea teorica che serve solo per giustificare l'assolutismo del sovrano, per Leibniz è sbagliata. Non dice che lo stato di natura non esiste: è un giustnaturalista in questo senso, perché non può fare a meno di partire da un'idea comune a tutte le menti in quest'epoca, però non gli piace per tutte le conseguenze che nascono.

ESEMPIO: uno dei punti su cui era partito Pufendorf era quello di distinguere il diritto dalla morale religiosa, problema teorico, ma anche problema politico, perché si trattava di escludere la chiesa da alcuni aspetti giuridici e tecnici fondamentali.

A Leibniz non va l'idea di distinguere la giustizia dall'etica: secondo lui è un errore.

Per Thomasius il diritto di tutti i giorni è evitare il male: la felicità eterna ce la da soltanto Dio con la sua etica. In questo modo Thomasius aveva diviso i due ambiti. Questa operazione logica che serviva per sottrarre potere alla chiesa, per Liebniz è pericolosissima e forse ha ragione, perché individua uno dei mali che affligge democrazia - Le elezioni - I gruppi parlamentari - Il governo - La Corte Costituzionale" class="text">la democrazia moderna, cioè il fatto che una nostra azione, oggi, può essere moralmente riprovevole, ma giuridicamente perfettamente legittima.

Quindi, per Leibniz, distinguere la giustizia dall'etica può essere pericoloso, perché potremmo avere delle norme ingiuste.

Per Leibniz la norma deve essere una proposizione e questa proposizione deve raccogliere una norma che sia anche equa.

Nel medioevo questo problema non c'era, perché c'era l'aequitas: l'aequitas per gli uomini medievali non era un'astrattezza, ma era l'impronta di Dio sul mondo, era l'ordine universale. Nel medioevo la presenza di Dio era totale ed unificante.

Questo si è perso, con la frattura del cristianesimo, con la scoperta del nuovo mondo: quindi, si è persa anche quell'idea che la giustizia corrisponda all'equità. E' una frattura drammatica del mondo moderno. Infatti noi oggi abbiamo bisogno di rifarci ai diritti fondamentali, che non sono altro che un bisogno di recuperare i valori generali ed astratti di equità.


Cosa è cambiato oggi? Noi avvertiamo che questo modo di ragionare ha i suoi limiti, ma non siamo ancora riusciti ad elaborare una forma alternativa a questo sistema e viviamo anche noi in una sorta di "antico regime" in cui bisogna riscrivere e ripensare le fondamenta logiche della nostra cultura.


CHRISTIAN WOLFF autore, nel 1748, dello JUS NATURAE METHODO SCIENTIFICA PER TRACTATUM (=diritto di natura trattato a fondo col metodo scientifico).

Vediamo la grande differenza con Leibniz: Wolff è un giustnaturalista e razionalista insieme.

Il diritto di natura è centrale nel pensiero di Wolff, ma siccome è allievo di Leibniz, usa la razionalità, gli strumenti razionali di Leibniz, ma parla del diritto di natura.

Wolff dice una cosa diversa da tutti gli altri: la libertà.


Cos'è la libertà finora per tutti i filosofi già visti? C'è una definizione negativa di libertà finora, perché è ovvio che se la norma è manifestazione della volontà del sovrano, di conseguenza la libertà non è altro che "dove tace il sovrano".


Wolff da un'interpretazione più evoluta: la libertà non è solo negativa, ma è una libertà positiva, perché dal diritto naturale noi abbiamo dei valori fondamentali, quindi questi valori fondamentali non ci servono solo per uscire dallo stato di natura e fare il contratto sociale, ma devono essere positivamente realizzati anche nell'ordinamento giuridico, quindi il sovrano li deve realizzare.

Locke dice: "se il sovrano non mi da quei beni naturali di cui io godevo nello stato di natura, lo posso deporre".

Wolff non può fare un'affermazione di questo genere, ma tira fuori un concetto molto importante e che noi ancora oggi usiamo: WOHLFART (=pubblica felicità o benessere generale) = letteralmente vuole dire BENESSERE DELLA COLLETTIVITA'. Si tratta dello stato di benessere, quindi dello stato sociale.

In altre parole, Wolff dice: il sovrano deve rispettare i diritti naturali che vengono dal diritto di natura, perché il sovrano ha questo obiettivo, cioè deve raggiungere la pubblica felicità (non lo si può deporre).

Questa è un'idea di sovrano illuminato.


JEAN DOMAT autore di LES LOIS CIVILES DANS LEUR ORDRE NATUREL (=le leggi civili nel loro ordine naturale) pubblicata tra il 1689 e il 1694. Si tratta di un'opera scritta in francese e divisa in diversi volumi.


Qual è l'obiettivo di Domat

"Il disegno che ci siamo proposti è di ridurre le leggi civili al loro ordine; di distinguere le materie del diritto e adunarle secondo la collocazione che esse hanno nel corpo che naturalmente compongono; di dividere ciascuna materia secondo le sue parti e disporre in ciascuna parte la serie delle sue definizioni, dei suoi principi e delle sue regole, nulla asserendo che non sia chiaro per sé . Non è dunque un compendio quello che ci siamo proposti di fare o una semplice opera istituzionale . Ci siamo proposti due primi effetti di quest'ordine: la brevità, col togliere tutto l'inutile e tutto il superfluo e la chiarezza, pel semplice effetto dell'ordine; sperando che per questa brevità e per questa chiarezza sarà facile l'imparare solidalmente le leggi in breve tempo e che lo studio, reso facile, diverrà anche gradito ".

= Brevità e chiarezza; con ordine naturale; da questo ordine naturale, una divisione per materie; le materie con delle sub-materie; ecc.

E' la cultura del tempo, una cultura sectiunesiana, empirica, geometrica, scientifica che si impone nel '600 e anche le leggi sono sottoposte a questo tipo di operazione.

E' importante notare subito alcune cose. Innanzitutto, brevità e chiarezza, uno degli obiettivi che era anche di Leibniz, obiettivi che saranno poi le grandi utopie del secolo successivo, prima che arrivino i codici: il codice è la realizzazione pratica di questo obiettivo e di questa utopia.


Perché nel '600 si avverte il problema della brevità e della chiarezza

Perché c'è il particolarismo giuridico: quindi l'unica cosa che si ha in mente è come fare a raggiungere brevità e chiarezza, proprio perché il sistema giuridico è poco chiaro, è prolisso ed è ingestibile.

Perché gli uomini del medioevo non si pongono il problema della brevità e della chiarezza

Perché avevano l'aequitas e tutto rientra in quell'ordine naturale.

Adesso che tutto si è sfasciato rimane un particolarismo giuridico eccessivo e poco chiaro ed ecco che questi signori, animati da spirito scientifico, cercano di dare un contributo.


Ancora importante da notare: l'ordine naturale. Siamo in un'epoca interessata al giustnaturalismo: c'è chi parte dal diritto di natura, chi ci arriva, chi lo critica, chi lo esalta, ma tutti hanno lo stesso problema.

Il diritto naturale è un punto di riferimento che può risolverci il problema della prolissità del particolarismo giuridico. Quindi, la naturalità dell'ordine ci riporta ancora una volta a quel filone, quello del giustnaturalismo.

Il problema, però, è che Domat non si interessa tanto del diritto naturale, ma ci parla di un ordine naturale. In altre parole, Domat non parte tanto dall'idea che questo diritto naturale deve essere scovato: questo diritto naturale c'è già, sappiamo come prenderlo, ma il problema è come metterlo in ordine.

Quindi, non è tanto identificare le leggi generali, ma mettere queste leggi generali in ordine.

Il materiale normativo già esiste ed è il diritto romano.

Nel diritto romano, però, c'è un problema di sistematicità, cioè si trovano le stesse cose in diverse parti, che si ripetono, alcune legate all'epoca di Giustiniano, alcune prima, alcune adattate, o altre addirittura in contraddizione.

Quindi, gli umanisti, i francesi, hanno subito identificato che quello è un problema: il diritto romano lo si poteva anche criticare, ma poteva anche essere utile, purché lo si sottoponesse ad un'opera di revisione, cioè ad un ordine di tipo sistematico.

I francesi, però, avevano già individuato un criterio sistematico sul diritto romano, che a sua volta avevano già individuato gli stessi romani, per loro stessi, e in particolare lo aveva individuato Gaio, il quale divideva il diritto romano in tre parti (cose, persone, azioni, cioè i rapporti che intercorrono le persone con le cose). Perciò, i francesi hanno pensato di utilizzare questo criterio per riprendere il diritto romano: non rinnegano il diritto romano, ma lo riscrivono mettendo tutte le norme, ad esempio, che riguardano le persone, da una parte, quelle che riguardano le cose, da un'altra parte, e così via.

Quindi, l'ordine naturale di Domat è il lio di quell'idea sistematica del diritto romano: il diritto romano va criticato, ma non tanto nei contenuti, ma nella sistematicità.

A questo punto Domat ha un altro problema: come fare ad individuare un ordine naturale?

C'è una parola chiave che usa Domat che è ESPRIT (=spirito) = RATIO.

Secondo Domat, l'esprit delle norme ci aiuta a dividere le norme in due grandi categorie:


LEGGI NATURALI  LEGGI ARBITRARIE




IMMODIFICABILI   MODIFICABILI

(es.: pacta servanda sunt)  (es.: chi fa un furto

scasso può essere

punito . ..).




Diritto privato   Diritto penale

Diritto pubblico

Procedure


Domat ci dice che si può stabilire un ordine naturale e questo ordine naturale si stabilisce grazie al criterio della ratio (con l'esprit), la quale ci dice se una legge è naturale o se è arbitraria: le leggi naturali sono tutte di diritto privato.

Per la prima volta un giurista, nella seconda metà del '600, riesce ad individuare un criterio oggettivo di individuazione del diritto privato.

Non solo grazie a questo criterio della immodificabilità Domat ci dice che cosa è diritto privato e che cosa non lo è, ma da una caratteristica di supremazia al diritto privato, perché se il diritto privato è un diritto naturale e non è modificabile, è ovvio che il diritto privato "vale" di più del diritto pubblico, o del diritto penale, o del diritto delle procedure, ecc.; perché tutti questi diritti possono cambiare col tempo, a seconda dei sovrani e delle circostanze, mentre il diritto privato non cambierà mai.

In quest'epoca di Domat non esiste un principio di diritto penale: nel '600 non si trova, o si trova molto raramente e appena accennata, una norma che definisca che cos'è l'omicidio, perché non esiste un'idea generale di omicidio, perché non esiste un'idea generale di persona, quindi non esiste ammazzare una persona, appunto perché non c'è.

Domat non divideva solo la legge naturale e la legge arbitraria, ma divideva anche gli STATUS: l'antico regime è un'epoca di status personali, non esiste la persona. Il soggetto non esiste.

Gli status si possono dividere da naturali ad arbitrari (molto importante per l'epoca).

ESEMPIO: la minore età o la maggiore età è uno status naturale: è arbitraria poi la fissazione della maggiore età. Questo lo si vede dal fatto che non si può essere contemporaneamente maggiorenni e minorenni: uno esclude l'altro.

Quindi Domat fa un'altra distinzione per cui il soggetto naturale che è titolare e destinatario di leggi naturali è proprio l'ambito perfetto del diritto privato naturale.


L'opera di Domat si divide in tre parti:

TRAITE' DES LOIS e si trovano regole generali sul diritto, sulle cose e sulle persone.

LOIS CIVILES = obbligazioni e successioni.

DROIT PUBLIC = diritto penale, diritto amministrativo, diritto di governo, pubblici ufficiali, le procedure.


La proprietà, che sta alla base di tutti i codici moderni, in Domat non lo troviamo: Domat vive in un'epoca in cui la proprietà è un istituto assolutamente minoritario e che non ha quasi nessuna rilevanza. Questo deriva dalla cultura feudale, per cui esistevano più poteri sulla terra.

La proprietà era vista come una cosa astratta che non aveva molto senso, mentre era importante stabilire il soggetto e i beni: importanti sono i poteri del soggetto sui beni (potere di vendere, potere di acquisto, potere di disporne mortis causa, ecc.). Questo era quanto contava, non la proprietà in quanto astratta e le cose avevano tante qualità (tipico del particolarismo).


Il soggetto di Domat non è ancora il soggetto della rivoluzione francese e dei codici, ma è un soggetto che ha una volontà di consenso, cioè che attraverso la sua volontà può esprimere un consenso capace di modificare le proprie ricchezze e le proprie situazioni giuridiche.

Questo è importante, perché sono importanti le obbligazioni e le successioni, cioè i poteri dei soggetti e le qualità degli oggetti, cioè dei beni.


ROBER JOSEPH POTHIER autore di tre opere importanti:


1740 - LA COUTUME D'ORLEANS (=la consuetudine di Orléans).

1748/52 - PANDECTAE IN NOVUM ORDINUM DIGESTAE (=le pandette articolate in un nuovo ordine).

1772 - TRAITE DU DOMAINE OU DE PROPRIETE (=trattato sul dominio o sulla proprietà).


(=Domat e Pothier sono considerati i filosofi del diritto che danno un contributo ideale alla codificazione napoleonica).


La prima cosa fondamentale da notare è che tutte le opere di Pothier sono state scritte in francese, ma quando si tratta di parlare della compilazione giustinianea, si parla in latino. Questo, sicuramente, è dovuto a seconda dei destinatari dell'opera: quando un'opera deve essere destinata ad un pubblico di giuristi o di intellettuali francesi, si scrive nella lingua nazionale; quando, invece, si scrive un'opera che è destinata anche ad un pubblico che va oltre i confini francesi, si scrive nella lingua internazionale per eccellenza, cioè il latino.

LA COUTUME D'ORLEANS è molto importante perché è un'opera che riguarda la consuetudine d'Orléans, cioè è molto importante che un giurista faccia l'esegesi di queste consuetudini (vediamo infatti che nel nord della Francia si affermano le coutume, e questa è una delle tante consuetudini che si affermano). Finora i giuristi si sono occupati quasi esclusivamente di diritto romano, per criticarlo, per distruggerlo, per rifonderlo in una nuova sistematica: adesso, ma ormai già da qualche decennio, la dottrina comincia ad esplicare la propria attività scientifico-esegetico direttamente sulle consuetudini. Questo vuole dire che già nel '700 le consuetudini nazionali francesi, per i giuristi, sono un bagaglio normativo degno di essere fatto oggetto di operazione dottrinale.

Le PANDECTAE IN NOVUM ORDINUM DIGESTAE è un'opera di risistemazione della compilazione giustinianea. "Pandette risistemate in un nuovo ordine" ci fa pensare anche all'opera di Domat: esiste un ordine delle leggi civili (leggi romane) che può essere preso in considerazione al di là dell'ordine che ci aveva dato Giustiniano e Triboniano.

Domat aveva parlato di ordine naturale e la naturalità dell'ordine è quella di guardare all'esprit, cioè alla ratio: una legge immodificabile è una legge naturale.

Pothier ci parla di un nuovo ordine e l'importanza sta proprio nell'ordine, cioè nel fatto che la compilazione giustinianea possa essere recuperata solo se risistemata in nuovo ordine, naturale o meno che sia.

Infine, il TRAITE DU DOMAINE OU DE PROPRIETE : qui si spiega perché Pothier viene spesso messo vicino a Domat, perché in Domat mancava la parte relativa alla proprietà.

La proprietà come diritto pieno ed esclusivo, senza concorrenza di altri poteri, non esiste, se non in forme residuali, per almeno 1000 anni in Europa, cioè quando nell'alto medioevo si afferma il feudo. Per tutto l'alto medioevo, il basso medioevo, sino all'età moderna, soprattutto per i beni immobiliari (terra), i cosiddetti allodi,  la proprietà è poco importante, mentre è giuridicamente importante il bene di grande estensione e di grande importanza economica che hanno più titolarità: questo deriva dal feudatario.

La proprietà è un concetto di pienezza e di esclusività: la mentalità feudale fa sire la pienezza e l'esclusività.

Per questo Domat, che pure distingueva il diritto privato da tutti gli altri diritti, non ritiene rilevante occuparsi della proprietà, perché è un caso quasi irrilevante. Per Domat sono importanti i poteri del soggetto, cioè qualità del soggetto e qualità della cosa: la proprietà per lui non vuole dire nulla.

Con Pothier non c'è ancora stata la rivoluzione francese. La rivoluzione francese è stata detta "la rivoluzione della proprietà borghese", con la quale dei borghesi, degli imprenditori, auspicavano un nuovo diritto, fra cui l'affermazione di una proprietà piena ed esclusiva.

Pothier è morto prima di vedere questo risultato, però già raccoglieva i frutti della società francese del tempo.

Di proprietà già ne parlava qualcuno: già nel '500 DUMULIN ne aveva già parlato.


Sapendo che in antico regime non c'è la proprietà piena ed esclusiva, se non in forma residuale, quando DUMULIN nel '500 (o Pothier nel 1772) parlano della proprietà la auspicano? Di cosa parlano? Parlano di qualcosa di già esistente, perché nella storia non si possono inventare cose nuove, semmai si può dare un significato nuovo a quello che c'è già.

ESEMPIO: Abbiamo un pezzo di terra sul quale ci sono due poteri: abbiamo il titolare 1 che è colui che ha dato in concessione il terreno, godendone un censo (rendita) al 2, il quale è un altro titolare il quale fa coltivare la terra a dei braccianti, prende il frutto, fa operazioni commerciali e ricava un certo patrimonio 1000, del quale 1000 ogni anno deve darne 100 al titolare.

1 è un titolare di un certo tipo di dominio, cioè egli può disporre della terra ma fino ad un certo punto, praticamente dispone di un censo: il 2 viene chiamato utilista, perché gode della proprietà e può disporne, anche se fino ad un certo punto.

Allora, abbiamo il proprietario e l'utilista: chi è il proprietario secondo Pothier? Nessuno dei due è il proprietario, ma Pothier sceglie, per dare la qualifica di proprietario, l'utilista.

Quando nasce il feudo militare il personaggio predominante è il dominus, cioè colui che da: è lui che ha il potere, perché è un potere di tipo politico, un potere militare, fatto di potenza, di rispettabilità, di onore, ecc. Piano piano il feudo cambia e diventa un fatto di rendita, e questo quando lo si può trasmettere ereditariamente, quando lo si può vendere, quando si ha della rendita, ecc.: è, cioè, un investimento e questo fatto di investimento diventa talmente importante nella mentalità dell'uomo in antico regime, cioè dopo 1000 anni, che quello che conta è l'operazione economica di colui che ci mette creatività economica nel migliorare il terreno. Quindi, la cultura dell'epoca comincia a sentire come fattore importante la condizione dell'utilitario, non del titolare, perché è l'utilitario che viene sentito come colui che da un contributo di ricchezza e di miglioramento alla terra, alle cose e alla società.

E' la cultura che cambia ed è la cultura che guarda al soggetto numero 2 come ad un nuovo protagonista.

Allora Pothier, sa che non è un proprietario, ma dice di chiamarlo proprietario e questo perché dietro c'è una società che dice: "se vogliamo migliorare la ricchezza dobbiamo dare dei poteri maggiori al numero 2, cioè all'utilista, perché il titolare è improduttivo, in quanto riceve solo la rendita: si chiamiamo proprietario il numero uno, il titolare, al numero due non interesserà più niente, e non gli interesserà più niente migliorare il terreno ". (numero 1 - titolare = rentier, cioè redditiero).

Si sta affermando una società in cui gli utilisti premono, perché si rendono conto che gli strumenti che la società dell'antico regime da a loro sono pochi e limitati.

Da qui a poco a tempo verrà dichiarata estinta la società feudale: siamo in piena epoca di illuminismo.

Tutto questo però non vuole dire eliminare il diritto romano: il diritto romano serve perché nel diritto romano troviamo, ad esempio, l'istituto della proprietà piena ed esclusiva che ci può servire.

La proprietà di cui parla Pothier e i romani ha una cosa in comune, che oggi è cambiata: si tratta della proprietà immobiliare, cioè riguarda la terra. Il proprietario è l'imprenditore agricolo. Questa idea verrà messa in crisi dall'industrializzazione a metà dell'800 e, oggi, con la finanziarizzazione dei mercati.


Restiamo in Francia: finora abbiamo parlato di due grandi giuristi francesi, Domat e Pothier.

Domat ci dice qual è l'ordine naturale, ci dice come distinguere il privato dal pubblico.

Pothier lo ricordiamo soprattutto per l'importanza che da alle consuetudini e per l'importanza che da all'istituto della proprietà.

La Francia è all'avanguardia da questo punto di vista, perché non ci sono solo i giuristi che operano in questo senso, ma ci sono anche i sovrani, i quali danno un grande contributo al processo di codificazione.


Cosa succede in Francia dal punto di vista della legislazione? La legislazione segue questo processo di ammodernamento?

Si e no.

Nord - coutume regionali

Già dal medioevo la Francia è divisa in due grandi aree:

Sud - diritto romano


Valenza politica di tutto ciò è che nel nord si afferma la presenza forte di una monarchia. Al sud c'è la forte presenza delle città che funzionano come le città in Italia.

Al nord il diritto romano non si applica mai, se non come ratio scripta, cioè come sorta di principio generalissimo, ma nessuno applicherà mai il diritto romano in ultima istanza, perché c'è una monarchia e tratta il suo diritto come diritto comune sussidiario, mentre al sud la monarchia è più lenta e più debole e non contrasta molto con le autonomie.

Il sovrano legifera, ma non come sovrano assoluto: il sovrano è garante delle autonomie. Assume queste garanzie all'interno delle sue leggi = ORDONNANCES = ordinanza = indica una norma proveniente generalmente dalla volontà sovrana.

Il sovrano può fare una ordonnance solo con efficacia dichiarativa, oppure con efficacia integrativa (consuetudine lacunosa), o anche con efficacia modificativa (si interviene sulla consuetudine, non perché la consuetudine non ha valore, o perché il re lo possa fare, ma si interviene perché si vuole rafforzare lo scopo della consuetudine al fine che la consuetudine raggiunga bene il suo scopo).

L'ordonnance è sempre collegata alla coutume.






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